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Autore: ethelincabbages    02/11/2011    13 recensioni
Trecentoquindici metri è la distanza tra un cancelletto in ferro battuto, riverniciato nero, e la sua controparte in verde mirto. Trecentoquindici metri, un lampione e un paio di gatti randagi che ogni tanto si addormentano nel cassonetto della spazzatura. Un vicolo di Londra, uno qualsiasi, in cui le abitazioni si confondono tra le foglie gialle e svolazzanti e gli usci si somigliano un po’ tutti agli occhi del visitatore di passaggio: sorride, apre gli occhi, scatta la foto, regalandosi la cartolina di un momento, e poi va via. Non ascolta, non osserva. Non capisce quanto poco, quanto fragili siano trecentoquindici metri. Buon ComplEFP a Lights!
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, James Sirius Potter, Rose Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Hidden Harmony is better than the Obvious'
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Questa one-shot è dedicata a Lights per il suo quarto anno su EFP, sei una bimbetta adulta adesso! Spero ti piaccia: a me personalmente ha fatto impazzire scriverla.
Un Grazie Immenso a Leireel che ha betato il pezzo in tempi record!



Trecentoquindici metri

Trecentoquindici metri è la distanza tra un cancelletto in ferro battuto, riverniciato nero, e la sua controparte in verde mirto. Trecentoquindici metri, un lampione e un paio di gatti randagi che ogni tanto si addormentano nel cassonetto della spazzatura. Un vicolo di Londra, uno qualsiasi, in cui le abitazioni si confondono tra le foglie gialle e svolazzanti e gli usci si somigliano un po’ tutti agli occhi del visitatore di passaggio: sorride, apre gli occhi, scatta la foto, regalandosi la cartolina di un momento, e poi va via. Non ascolta, non osserva. Non capisce quanto poco, quanto fragili siano trecentoquindici metri.

**

«Hermione! Torna a casa».
Una bambina, nella sua divisa di scuola, passeggia verso il cancello verde mirto. Verde mirto: il suo colore preferito. Le piace perché le ricorda i pic-nic in riva al fiume nella foresta di Dean, quando non ci sono altri bambini a rubare l’attenzione dei suoi genitori, quando la mamma le legge delle signorine Bennet e le farfalle le scappano dalle mani. Scappano le farfalle. Come per magia. Anche quell’inferriata era diventata verde mirto come per magia. Aveva chiuso gli occhi e stretto le mani ed era successo. Suo padre e sua madre non avevano mai detto niente. Era successo.
A trecentoquindici metri il cancello è nero e trascurato. Non entra mai nessuno lì. Non ci sono bambini; c’è un roseto selvaggio, nel giardino, che cresce, cresce e cresce. E scivolano spine tra i ferri, e corrono roselline rosse tra le erbacce alte. Nessuno va mai a sistemarlo. Nessuno sembra mai accorgersi di quel silenzio incantato. Solo lei. Si ferma, qualche volta, prima di entrare a casa nel viaggio di ritorno da scuola: un giardino incantato. Tra le spine, un pomeriggio, Hermione ha trovato delle pagine gialline, un po’ ruvide, come di un album fotografico. Una sola immagine si è salvata dal vento: due mani di giovane donna stringevano un bimbo appena nato. Dormiva.
Hermione ha conservato quella foto nel cassetto sotto i suoi calzini preferiti, quelli con i pupazzetti di Pippo.

**

Trecentoquindici metri. È la casa in cui James e Lily Potter avevano deciso di costruire il loro futuro, prima della paura, prima della profezia, prima di Godric’s Hollow. Ed è a trecentoquindici metri dall’appartamento dei Granger.
Casa. Un posto dove accendere il camino e correre scalzi sul parquet, sbruffare contro i rimproveri della mamma e ridacchiare alle espressioni buffe del papà, un posto che profuma di patate al forno la domenica mattina e di castagne al fuoco il venerdì notte, dove tornare la sera dopo aver passato la giornata a giocare in giardino con la bimba che abita due case più in là.
Il testamento di Sirius libera anche l’ultimo presidio del passato nelle mani di Harry: Hermione fissa inebetita l’indirizzo delineato nell’elegante calligrafia di Nangnok, il goblin.
Il roseto magico, il bambino addormentato. Ripensa al sonno convulso di Harry sul divano della Sala Comune o nelle tante notti in tenda: la linea leggermente curva delle labbra, i pugni stretti lungo i fianchi. Come ha fatto a non riconoscerlo? Rivede la foto e la strada. Pensa a tutti i sorrisi che si sono persi nella sua infanzia, pensa alle corse che avrebbero potuto condividere, ai giochi, alle scoperte, alle foglie morte che avrebbero potuto schiacciare. Una vita insieme a Harry, prima, ancora prima del treno, di Oscar, del Troll di montagna. Prima di Ron.

**

«Dove vai?» domanda sua madre; evita di alzare lo sguardo dal bollitore sul fornello. Vuole essere una domanda casuale. Ha visto Hermione saltellare sulle scale e indossare il giaccone. È preoccupata, ma diffidente – come se temesse le prossime azioni della figlia, come se si aspettasse di dimenticare tutto, ancora una volta, con un solo colpo di bacchetta.
«Vado a studiare da Harry» risponde Hermione, stringendo istintivamente i due volumi di Teorie di Difesa Avanzata, il primo esame per l’Accademia, l’unico teorico. Finge di non vedere il dubbio nello sguardo della madre, sgraffigna un biscottino al burro dalla dispensa. Quel gesto infantile le fa guadagnare un sorriso abbozzato da parte di sua madre.
«Questi ragazzi ti han davvero viziato!» Sembra quasi non ci sia rimpianto, adesso.
Correre da una parte all’altra della strada è come scappare giù in Sala Comune o trascinare Harry e Ron in Biblioteca da Madama Pince. Sono i suoi due mondi: corrono insieme, paralleli. Ogni tanto Hermione vorrebbe cedere all’idea che poco o niente è cambiato – sono solo trecentoquindici metri, in fondo.

**

«Harry, cosa sto facendo?»
Si lascia cadere sul terzo gradino di fronte allo sguardo di Harry, che abbandona immediatamente l’uscio e si accomoda accanto a lei e si appropria della sua mano. Nonostante l’ora, nonostante il pigiama, nonostante il freddo. È Hermione, è il minimo che le deve.
«Come va, Hermione?»
Domanda superflua, un po’ stupida, un po’ retorica. È come se Harry non conoscesse altri modi per iniziare un discorso: non è mai stato bravo con le parole.
«Tra 10 ore e 37 minuti mi sposo».
«Wow! Contiamo anche i secondi adesso?» bisbiglia lui, nascondendo un sorriso davanti all’ansia di Hermione.
«Sono terrorizzata» continua lei, ignorando completamente le parole di Harry, e gli stritola cordialmente la mano.
«Lo ami?» È tutto quello che Harry ha bisogno di sapere. È tutto quello che Hermione ha bisogno di ricordare. Lei pare fermarsi a pensare, allenta un po’ la presa sulle dita dell’amico, e lascia scorrere lo sguardo intorno al giardino di notte: il dondolo, i ciottoli, le piccole lampade solari che si accendono quando tramonta il sole; Harry ha fatto le cose in grande quando ha ripreso la casa dei suoi genitori, non c’è niente che ricordi l’antico caos di quello stesso cortile. Solo, in un angolo, ha voluto conservare un po’ di quel vecchio roseto, invisibile agli occhi dei Babbani.
Hermione annuisce, in fine, rispondendo tacitamente alla domanda di Harry, e posa piano la testa sulla spalla di lui. Al suo posto.
«Allora andrà tutto bene».

**

«Ma…» Alla sillaba balbettata da Ron, Hermione risponde con un’occhiata bieca, ma mai che ci sia un singolo caso in cui il suo adorabile marito capisca l’antifona. «Sei sicura che ci voglia tutto quel limone? Mia madre aveva detto una spruzzata». E mia madre così, e mia madre colì, ma Ginny lo fa in questo modo, ma perché non chiami tua madre?
«Okay, perché non ti ci metti tu?» replica, posando rumorosamente il coltello nel piatto.
«Ma era solo un… consiglio. Non c’è bisogno che te la prendi» borbotta, nascondendosi dietro la Gazzetta del Profeta che finge di leggere.
Hermione scuote semplicemente la testa, adocchiando Rose. La bimba, nel suo seggiolone, gode dell’assenza di attenzione dei genitori facendo orbitare, in perfetto stile sistema solare, il cucchiaio, il piatto e tutto il semolino; non appena intercetta l’espressione allibita e arrabbiata della mamma, che a lei pare solo buffa, scoppia a ridere.
«E tu che ridi, piccola peste?» È impossibile restare arrabbiati di fronte a quel sorriso a due dentini e mezzo. «Sapete che vi dico? Andiamo a mangiare da Harry».

**

«Mi hai mentito». Il gradino è lo stesso. Così come i trecentoquindici metri, il giardino, i ciottoli e l’amico.
«Cosa?» chiede. Non ricorda, o probabilmente finge, mentre con un gesto consueto riaccomoda i propri occhiali sul naso. Tenta di convincerla a entrare dentro, ma lei, cocciuta, si siede sullo stesso vecchio gradino. Sono passati tredici anni, due figli da una parte e tre dall’altra, la carica di Capodipartimento Auror e quella di Sottosegretario del Ministro. Precoci e brillanti – tipicamente Harry e Hermione.
Harry si butta accanto a lei, il sole è tramontato da poco, la scarsa luce di una giornata nebbiosa è diventata un’ombra violetta e confusa. Un po’ come lei. Ci sono lacrime sulle guance di Hermione, alcune sono asciutte, altre continuano a scendere. Harry si morde il labbro e stringe i pugni: non vuole davvero dover correre a prendere a botte la causa di quelle lacrime.
«Avevi detto che sarebbe andato tutto bene» lo accusa, e lui para il colpo come meglio può: l’abbraccia. Sì, lo aveva detto, prima. Prima di capire che la vita non è un libro per ragazzi e il lieto fine non arriva, si costruisce giorno per giorno; prima di scoprire che una moglie troppo vincente sarebbe stata uno schiaccianoci per l’autostima di Ron. Grandi speranze, aspettative: tutte deluse. La sua giustificazione? Ci credeva davvero.
«Mi dispiace» le sussurra contro l’orecchio. Lei singhiozza, lo stringe più forte, balbetta qualcosa e poi annuisce. «Vieni dentro, su».
«Ginny?» domanda lei, temendo di non essere pronta ad affrontare sua cognata, ex-cognata.
«Uscita» borbotta Harry, facendo spallucce: non passa giorno in cui sua moglie non abbia qualche amica da rivedere o qualche evento in cui presenziare; in fondo è una giornalista.
Non basta l’amore. Non basta più.

**

Scarabocchia Hermione: non è da lei. Traccia linee dritte e ghirigori storpi su frasi a metà. Le parole non le sono mai mancate – non per i temi di Pozioni, non nelle lettere a Harry e Ron, non alle prove scritte per i M.A.G.O. –, ma questa volta ha dei seri dubbi su cosa rispondere alla proposta di Kinsgley Shakebolt: diventare il suo successore. La grafia del Ministro è sempre stata nitida, tonda e precisa, un po’ come lui, così chiara che sembra confonderla ancora di più. Sarebbe una rivoluzione, forse: donna, Nata Babbana, quarantadue anni appena compiuti, spalla destra di Harry Potter durante la guerra e dopo, al Quartier Generale Auror, in prima linea nella difesa di Ibridi e delle Creature Magiche Intelligenti, consigliera del Ministro da sette anni. E se fosse troppo anche per lei?
«Mamma!» La voce di Rose la distrae per un attimo dai suoi dubbi. Sente il suo respiro dietro l’orecchio destro.
«Zia!» e quello del nipote dall’altro lato.
«Perché non esci, stasera?»
«Doppio attacco» sospira, voltando la testa verso gli sguardi speranzosi dell’uno e dell’altra.
«Stai sempre a leggere queste carte noiose» sbuffa James, arricciando il naso apparentemente disgustato. Lui non si è mai curato di carte noiose di nessun genere.
«Non ti diverti mai» rincara la dose Rose, col suo visino finto angelico. Troppo grandi e troppo azzurri quegli occhi, le son sempre costati un sacco.
«A prescindere da qualsiasi cosa io voglia fare questa sera, la risposta alla vostra prossima domanda è no. Non andrai a quella festa. E tu» punta il dito contro il petto del suo nipotino preferito. «Smettila di insistere. Tu sarai anche maggiorenne e farai tutto quello che quell’irresponsabile di tuo padre ti permette di fare, ma Rosie non lo è».
«Suvvia, Hermione, in fondo, mancano solo due mesi. E poi io non sono irresponsabile» James e Rose ridacchiano sotto i baffi: quei capelli spettinati e quegli occhiali storti non sono il ritratto della responsabilità.
«Oh, Merlino! Ci sei anche tu» Hermione sbatte la testa contro le sue lettere scarabocchiate. Avere Harry contro in questa piccola disputa contro la figlia non l’aiuterà affatto.
Harry sorride tranquillo, nella sua perfetta faccia da schiaffi, che negli ultimi trent’anni non è cambiata per niente. Si siede sul divano di fronte alla scrivania, e giocherella con il Boccino che, probabilmente, ha appena rubato a James. «Passeggiavo da queste parti. Sono solo…»
«Trecentoquindici metri» continuano James e Rose cantilenando.
«Ragazzi, perché non andate a vedere cosa combinano Albus e Hugo in laboratorio?» finge noncuranza, poi fa l’occhiolino: «Me la lavoro io». Rose acchiappa il braccio di James e lo trascina fuori ridendo e scuotendo la testa. «Vorresti non soddisfare quel sorriso lì?» chiede, alzandosi. Cattura la mano di Hermione e la costringe a sedersi accanto a lui.
«Quel sorriso lì mi ha creato talmente tanti guai quanti non puoi neanche immaginare» borbotta, sbuffando, braccia conserte. Non le piace che Harry si intrometta nell’educazione dei suoi figli. È già dura abbastanza senza la presenza costante di Ron.
«Oh, sì, lo so invece. Crollo davanti a quello stesso sorriso da almeno trent’anni».
«Non te la cavi con un complimento, sai bene ch-» Un dito posato delicatamente sulle labbra le impedisce di continuare la sfuriata.
«Ti è arrivata la lettera di Kinsgley» afferma, non chiede.
«Lo sapevi?»
«Se ne parlava» ammette, mentre le sistema i riccioli dietro l’orecchio. Lui e il suo maledetto vizio di giocherellare con i suoi capelli.
«Cosa dovrei fare?»
«Cosa vuoi fare?»
«Non posso. Non sono capace. Ministro, Harry. Sai che vuol dire? Non posso» balbetta. E se Hermione balbetta vuol dire che la situazione è grave; lo sa lei, e lo sa anche Harry, che ridacchia. Poi diventa serio d’un tratto.
«Tu puoi tutto». Non è una battuta, ne è seriamente convinto. «Tu puoi essere la numero uno a Hogwarts anche correndo dietro a Harry Potter e puoi salvargli la pelle un casino di volte, puoi batterlo al duello finale dell’addestramento Auror (e no, non te l’ho mai perdonata), puoi crescere due meravigliosi ragazzi senza l’aiuto del loro padre, puoi essere il miglior sottosegretario che il Ministero abbia mai avuto, puoi e sei la migliore amica che un folle come me possa desiderare, e sì, Hermione Granger, puoi anche essere un ottimo Ministro della Magia. Se vuoi» finisce, e poi la stringe tra le braccia. «E puoi anche permettere a quel tesoro di ragazza di andare alla festa con Jamie e Al».
«Potrei…» bisbiglia, la voce bassa e gli occhi vagamente lucidi. Ma solo un po’. Sigilla quella specie di accordo con un sorriso e un bacetto sulla guancia ispida di Harry. Non sarebbe male se si radesse ogni tanto. «Mi dici una cosa?» continua. Harry annuisce, dopo essersi comodamente sistemato con Hermione tra le braccia. «Perché sei sempre qui?»
Lui sorride e fa spallucce. Si china quel tanto che basta per baciarle pigramente le labbra. «Sono solo trecentoquindici metri».

   
 
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