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Autore: Shizue Asahi    04/11/2011    3 recensioni
-C’hai fatto?- latrò, sfilandosi un fazzoletto di panno da una delle tasche posteriori del camice per poi strofinarglielo con forza sul naso.
Alessio scosse la testa, mentre la sua attenzione veniva catturata dalla porta annerita del laboratorio.
-Niente.- rispose con la semplicità che caratterizzava l’infanzia, prima di sorridergli.
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tordo canterino

 

 

Guardò distrattamente la maestra camminare lentamente tre le due file di banchi, contrarre la bocca in una smorfia astiosa e socchiudere gli occhi, per poi raggiungere la cattedra e sedersi.

Si rigirò tra le dita la matita, carezzandone la superficie rovinata e smangiucchiata, prima di fare un singulto e lasciarla cadere per terra.

Si portò una mano al fianco destro e si girò verso il suo compagno di banco, che gli sorrise mostrandogli la penna con cui l’aveva appena pungolato. Gli occhi chiari di Giovanni Cacciacani brillarono divertiti, mentre i suoi si inumidivano.

Digrignò i denti riportando l’attenzione sulla maestra, cercando di ignorare il compagno, impegnato a frugare nell’astuccio, non contento della sua reazione.

La donna si era messa i vistosi occhiali con la montatura a farfalla, che era solita indossare durante i colloqui con i genitori e per le occasioni importanti, e si osservava soddisfatta attraverso il vetro del piccolo orologio che portava al polso.

Infastidita sollevò gli occhi e fulminò la classe. I bambini si ristrassero, schiacciandosi contro le sedie e il mormorio cessò di colpo.

Nell’inquietudine e nel silenzio generale non passò inosservato il suo secondo singulto. Cacciacani l’aveva colpito di nuovo, questa volta all’altezza della spalla e quando gli occhi della donna si posarono su di lui avvertì una dolorosa stretta allo stomaco, poi afferrò la prima penna che gli capitò sotto mano, si voltò e la conficcò nella gamba del bambino, Giovanni Cacciacani dilatò gli occhi e cacciò uno strillo, poi si accasciò sul banco, mentre la maestra , scandalizzata, saltò quasi giù dalla sedia e gli occhiali le scivolarono dal naso, atterrando sul registro.

Alessio osservò sbigottito la punta della penna, che stringeva nella mano destra. Aprì la bocca ed emise un suono strozzato quando si sentì sollevare di peso. Invano cercò di aggrapparsi al banco, ma la maestra lo trascinò dall’altra parte dell’aula sbraitando.

Avvertì le unghie della donna conficcarglisi nel braccio, mentre lo stomaco gli si contorceva dolorosamente per la seconda volta.

Si piegò in avanti, dibattendosi. Il tessuto scuro del grembiule si lacerò e Alessio quasi riuscì a liberarsi. Tirò la gonna nera della maestra, che strillò, contrasse le labbra e lo afferrò per un orecchio torcendoglielo.

Alessio si bloccò di colpo, più per l’aver realizzato cosa stesse facendo, che per l’effettivo dolore. Si lasciò trascinare fino alla porta, poi guardò la maestra, rossa in viso e con i capelli arruffati, e si vergognò. Abbassò gli occhi e si osservò le scarpe, intente a seguire l’andatura  della donna, troppo svelta per impedirgli di incespicare nei suoi stessi piedi.

Quasi inciampò, ma la maestra non glielo permise, trattenendolo per l’orecchio.

Aprì la porta e  lo sbatté fuori dall’aula. Con la voce resa stridula dal nervosismo gli intimò di non muoversi e ritornò in classe.

Alessio si strofinò il braccio e poi l’orecchio. Gli occhi stretti, la bocca socchiusa e un rivolo di sudore che gli percorreva la tempia.

Respirò a fondo, cercando di scacciare la fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco e si toccò lo strappo del grembiule, all’altezza del braccio destro. Sua madre non ne sarebbe stata contenta, pensò stringendosi nelle spalle.

Un tordo si posò sul ramo dell’albero di castagne situato al centro del cortile e Alessio, attraverso la finestra del corridoio, lo osservò arruffarsi le piume, scuotere la testa e spalancare il becco in un muto lamento.

Non si spaventò quando lo vide cadere e accasciarsi al suolo, tra le foglie secche che il guardiano aveva dimenticato di raccogliere.

Si passò una mano tra i capelli neri, per poi voltarsi e avviarsi.

Camminava svelto, battendo ritmicamente la suola consunta delle scarpe contro la superficie liscia del corridoio, ripercorrendo mentalmente la strada che glie era passata per la testa poco prima.

Arrivò a metà del corridoio e, senza fermarsi, girò a destra  e poi svoltò a sinistra. Salì una rampa di scale e si ritrovò al piano superiore, nel quale non era mai stato, poiché era interdetto alle elementari, ma non ne se preoccupò: sapeva esattamente cosa fare. Sgusciò verso la parte più stretta del piano, tenendo gli occhi fissi su un punto imprecisato davanti a lui. Quando i suoi piedi si fermarono si ritrovò dinanzi a una porta completamente grigia. Di fianco allo stipite c’era una targhetta che riportava una parola di cui non conosceva il significato.

Alessio socchiuse le labbra, lasciandosi sfuggire un ansito, poi girò la maniglia e la serratura scattò. Entrò nell’aula e la porta si richiuse dietro si lui.

 

 

Quando l’ultima campanella suonò, ponendo fine alle lezioni, posò l’ultimo foglio sull’alta pila di compiti che era alla sua destra e tirò un sospiro di sollievo. Con calma radunò le sue cose e le infilò nella valigetta di pelle, regalatagli da una collega il Natale precedente, mentre ascoltava il vociare concitato della scolaresca inetenta ad abbandonare l’istituto. Strinse le labbra ritrovandosi tra le mani il fascicolo di uno degli studenti della scuola primaria. Gli occhi grigi del bambino, ritratto nella foto tenuta ferma da una graffetta insieme agli altri fogli, ricambiarono la sua occhiata perplessa.

Tentennò per qualche secondo, indeciso, poi infilò anche il fascicolo nella valigetta e uscì dall’ufficio. Dopo essersi assicurato che tutti i bottoni del suo cappotto si trovassero nelle rispettive asole, fece l’usuale controllo del piano. Era un’abitudine che aveva conservato fin dall’adolescenza, gli piaceva girare per la scuola quando era sicuro di non incontrare nessuno o al massimo il vecchio bidello. Per quanto fosse conscio che non ce ne  fosse alcun bisogno, prolungava giorno dopo giorno il giro, non avendo alcuna fretta di ritornare in una casa vuota.

Lanciò un’occhiata distratta al castagno nel cortile e vide l’ultimo studente ritardatario accingersi a varcare il cancello e correre verso casa. Sorrise, beata gioventù, pensò dirigendosi verso l’ultima porta del piano.

Quando si trovò davanti al laboratorio di chimica posò una mano sulla maniglie e la fece girare, certo che questa opponesse resistenza, ma non fu così. La serratura scattò e la porta si aprì.

L’uomo si accigliò e scosse la testa, prima di infilare una mano dalla tasca e tirarne fuori un mazzo di chiavi.

Stava per infilarle nella toppa quando un odore pungente lo costrinse ad arricciare il grosso naso.

Allarmato entrò nell’aula e impallidì vedendo tutta una lunga fila di provette lasciate incustodite sulla cattedra, con ancora al loro interno il contenuto. Un rumore attirò la sua attenzione, mentre l’odore si faceva sempre più pungente. Si voltò e si bloccò, incontrando un paio di piccoli occhi grigi.

-Che cosa ci fai qui?- esclamò atteggiando il viso rugoso nella sua migliore espressione seria.

Il bambino gli sorrise, alzando le spalle. Il grembiule sporco e le mani impiastricciate. Ne allungò una verso un punto davanti a sé e il professore la seguì. Impallidì, vedendo la luce rossa del fuoco allungarsi verso il soffitto, annerendo la parete e bruciando la vecchia tavola periodica.

Scattò verso il bambino, cercando di afferrarlo per la vita, ma questo si dimenò e sfuggì alla sua presa. Incredibilmente rapido, il fuoco si propagò per tutta la parte destra dell’aula, arrivando quasi alla porta.

L’uomo urlò indietreggiando, poi riuscì ad afferrare il bambino per una delle maniche del grembiule. Lo strattonò e questa cedette definitivamente e lui se la ritrovò in mano.

Gli occhi di Alessio si accesero e, con una forza non sua, spintonò l’uomo. Il professore sorpreso, perse l’equilibrio e cadde all’indietro. Si ritrovò poggiato alla superficie piana della cattedra, mentre il fuoco vi si arrampicava per una delle gambe.

L’uomo non ebbe il tempo di scostarsi, che una delle provette esplose per il troppo calore, seguita subito dopo dalle altre. Si ritrovò sbalzato in avanti, mentre le schegge di vetro gli si conficcavano dolorosamente nella carne e lui batteva la testa.

Prima che Alessio riuscisse a raggiungere la porta, questa fu inghiottita dalle fiamme e poi ci fu solo una nuvola di fumo.

 

Con fatica riaprì gli occhi, ma subito fu costretto a richiuderli. La luce troppo forte della lampadina gli illuminava il viso tondo, mentre una mano callosa lo scuoteva dicendo parole che gli arrivavano come una confusa cantilena.

Sospirò e riaprì gli occhi, incontrando la piega pronunciata della bocca di un vecchio. La pelle cadente delle guance tremolava e si intravedeva un filo di barba.

Alessio si mise a sedere e l’uomo smise di scuoterlo. Si mise una mano su una guancia, strofinando una macchia nera di fuliggine, mentre osservava l’uomo articolare a fatica una frase.

-C’hai fatto?- latrò, sfilandosi un fazzoletto di panno da una delle tasche posteriori del camice per poi strofinarglielo con forza sul naso.

Alessio scosse la testa, mentre la sua attenzione veniva catturata dalla porta annerita del laboratorio.

-Niente.- rispose con la semplicità che caratterizzava l’infanzia, prima di sorridere al bidello.

 

 

 

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