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Autore: Sherlock Holmes    04/11/2011    1 recensioni
Sono passati due mesi da quando il dottore ha lasciato il 221B per andare a vivere con la sua dolce metà a Cavendish Place, in attesa del matrimonio.
Sherlock Holmes vuole continuare la sua vita tranquillamente… Ma l’abbandono di Watson gli ha lasciato un vuoto difficile da colmare.
Come fare per riappacificare il suo animo inquieto?
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Afferrai dallo scaffale il taccuino di Watson che, nella fretta del trasloco, si era dimenticato.
Lo sfogliai, osservando la sua scrittura. Mi si formò un nodo in gola.
Chiusi il libretto con un piccolo tonfo e lo gettai sul tavolinetto persiano.
Arricciai il naso.
“Forse dovrei riportarglielo… E’ pur sempre un suo ricordo…”constatai.
Sapevo però, in cuor mio, che il vero motivo della mia visita a Watson sarebbe stato tutt’altro.
 
Osservai la mia cipolla argentea. Mancavano dieci minuti alle sette.
“E’ certamente ancora allo studio medico…”pensai.
Con il taccuino in mano, mi diressi verso Oxford Street. Lì, chiamai una carrozza con un fischio.
Giunsi in poco tempo davanti alla porta del suo studio.
La targhetta dorata sul battente riluceva. Vi si poteva leggere: Dottor J.H.Watson, medico chirurgo.
Sentivo la copertina del libricino tra le mie dita e la sua ruvidezza, non so come, mi fece rabbrividire.
Stavo per bussare, quando, da dietro l’entrata, sentii due uomini parlare.
- Generale, sono contento che stia meglio…-
Era la voce di Watson.
- Già, merito delle sue cure, dottore.- rispose colui che doveva essere il generale.
- E della sua forza d’animo.-
La porta si aprii.
Ne uscì un uomo sulla settantina, con un bastone da passeggio.
- Allora arrivederci!- salutò.
Watson sortì dalla porta e mi si parò davanti.
- Holmes?- disse, con tono sorpreso. Il suo viso faceva trapelare felicità mista a preoccupazione.
Annuii.
Mi schiarii la gola:- Ecco, Watson, deve sapere che oggi stavo esplorando gli scaffali in cerca di un documento per il mio cliente, quando ho trovato questo.- gli spiegai, porgendogli il libretto – E’ la sua scrittura. Ho pensato che, per lei, potesse essere importante riavere gli appunti sulle nostre avventure.-
Lo prese con delicatezza. Lo aprì, voltando poi alcune pagine.
- Grazie.- mormorò.
Mi feci coraggio.
Maledizione, era possibile che fosse facile gettarsi a combattere in un corpo a corpo con un criminale e che fosse così difficile parlare a Watson del mio sentimento d’amicizia nei suoi confronti?
- Watson,- dissi d’un fiato, senza fissarlo – io… ho bisogno di lei.-
I suoi occhi s’illuminarono:- Un nuovo caso da affrontare insieme?- chiese.
Il suo sguardo, poi, però, si fece spento.
- Holmes… Non so come dirglielo. Io presto avrò famiglia, non posso più permettermi di rischiare la vita come un tempo. Inoltre, il mio studio ha preso piede. Sa che ho più pazienti del dottor Stamford? Si rende conto?- disse, con una punta di gaiezza.
Lo osservai.
E capii che era contento.
Alla fine, forse, era quella la cosa più importante: la felicità del mio amico.
Avrei potuto alzare i tacchi ed andarmene…
Il mio egocentrismo, però, mi fece continuare a parlare:- E lei si rende conto che ogni giorno, da solo, rischio la vita? Non c’è più nessuno su cui possa fare totale affidamento, Watson… Non ho nessuno. Alcun… Amico. E… Mi sento perduto.-
Le mie parole colpirono Watson come una pugnalata.
- Sa ciò che mi ha ferito?- Era così semplice infierire quando si era iniziato…- Lei non si è neanche degnato, in questi due mesi, di farmi visita! E pretende addirittura che io le faccia da testimone alle sue nozze…-
Watson fisso il marciapiede.
Senza aggiungere altro, aspettai la risposta del dottore, che non arrivò.
Così, con un’ultima occhiata, me ne andai.
Non presi la carrozza.
Desideravo fare quattro passi.
Mi diressi così nel vicolo accanto allo studio medico ed iniziai a camminare lentamente.
Era stato strano esternare  non solo a Mycroft ma anche a Watson ciò che avevo provato in quelle ultime settimane…
La realtà mi colpì come un pugno nello stomaco.
Io, Sherlock Holmes, la macchina pensante, avevo dei sentimenti.
Vale a dire, distrazioni pericolose.
Rimuginando su tutto ciò, non mi accorsi immediatamente del mio inseguitore.
Solo dopo alcuni metri, osservando il riflesso in una finestra, vidi, alle mie spalle, un energumeno.
Istintivamente, la mia mano si tuffò nella tasca interna della giacca… Ma non trovò alcun revolver.
L’avevo dimenticato.
Come sempre.
Era Watson che si ricordava di prendermelo…
Velocizzai il passo e così fece anche colui che mi stava tallonando.
Svoltai a sinistra.
Vi erano un paio di barili ed una scopa appoggiata su di essi. Afferrai la ramazza, posizionandomi esattamente all’angolo dello studio di Watson, aspettando l’arrivo dell’inseguitore.
In pochi secondi, spuntò dal vicolo.
Rimasi spalle al muro.
Non appena mi scorse, mi avventai su di lui.
Usando il bastone della scopa, lo colpii sulla schiena. L’unico effetto che ottenne il mio attacco fu la rottura della mia arma.
Rimasi con il moncone in mano, sorridendo al mio avversario.
La soluzione più semplice sembrava essere fuggire. L’inseguitore era una vera e propria montagna di muscoli e non sarebbe valso a nulla il combattimento diretto.
Non mossi però neanche un passo.
Infatti, sentii attorno al mio collo un laccio.
Colpii l’uomo alle mie spalle con una gomitata allo stomaco. Fu inutile.
L’energumeno iniziò a stringere vigorosamente il cappio attorno alla mia gola.
Il vicoletto era piuttosto stretto. Decisi così di sfruttare la mia altezza per appoggiare i piedi contro il muro di fronte, in modo da cercare di diminuire la pressione sul mio collo.
Il mio assalitore non fece una piega. Anzi, si mise a ridere sommessamente, spostandosi bruscamente e facendomi così scivolare fino a terra.
Misi le mani sul laccio, tentando senza risultato di allentarlo.
Sentii mancarmi l’aria…
L’uomo strinse ancora più forte la corda.
Boccheggiai.
Le membra divennero pesanti… I sensi si offuscarono…
 
“ E’questa la mia fine?”
 
Uno sparo.
E il laccio si sciolse. 
 
L’aria tornò a fluirmi nei polmoni.
Tossii. Più e più volte.
- Holmes!- udii chiaramente.
“Watson?”
Respirai profondamente.
- Sta bene?-
Mi sedetti contro il muro, poggiando la testa sui mattoni rossi.
Annuii.
- Quante volte glielo devo ripetere?- mi chiese.
Inarcai le sopracciglia.
- Il revolver, Holmes, dannazione!-
Gli sorrisi.
Mi porse la pistola dal quale era partito il colpo che aveva ferito il mio aggressore.
- Cerchi di non dimenticarselo.-
Chiusi gli occhi, posandomi una mano sul collo, tastando il solco che il laccio aveva lasciato.
Watson mi fissò:- Ho sentito un rumore nel retro del palazzo e… chi trovo? Lei che sta per farsi uccidere.- Il tono di rimprovero si tramutò in uno più indulgente:- E’ un duro colpo, sa, vedere un amico morente…-
Aprii gli occhi.
Sentimmo i fischietti dei Bobby, accorsi dopo aver udito lo sparo.
Watson mi guardò.
- Fortunatamente, grazie ad un certo investigatore, ho preso l’abitudine di avere sempre in tasca una pistola. D’altronde, Londra è pericolosa.-
Mi offrì la mano. La afferrai, e mi rialzò.
Con voce roca assentii:- Già.
Narrai ai poliziotti di Scotland Yard ciò che era accaduto. Il ferito fu portato in ospedale. L’arresto fu convalidato all’istante.
Watson mi si rivolse:- Domani è in casa, Holmes? Diciamo, dalle 10 in poi?-
Gli sorrisi nuovamente.
- Penso che dovrei esserci.- gli risposi.
- Ottimo, allora vengo a Baker Street.-
Gli diedi le spalle
- Sappia che ho un caso su cui lavorare…-
Watson mi si accostò e, a bassa voce, mi domandò:- Moriarty?
- Sì, esatto. L’aggressione di oggi potrebbe aprire un nuovo capitolo.-
Ero certo che il mandante della mia uccisione fosse il professore.
Feci qualche passo:- Sappia, quindi, che non sarò loquace.-
Watson si strinse nelle spalle:- Come sempre.
  
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