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Autore: Opalix    06/07/2006    7 recensioni
“La memoria è la parte più nobile dell’essere umano. Senza memoria non c’è identità e non c’è nemmeno alcuna coscienza di esistere.”
V.M.Manfredi
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
Capitoli:
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Sono di nuovo qui… dopo mesi di assenza! Il lavoro qui all’estero prende più tempo di quello che pensassi e mi dispiace di essere stata così lenta! Beh, meglio tardi che mai, no?

PARTE IV

CAPITOLO 2: KILLING TIME

And he knew what he needed to keep us alive
No time for cowardice, kill and survive
Like a killer kid with a switchblade knife
Nasty word, he'll take your life

ACT 1# Until it sleeps

La sua pelle era quanto di più serico avesse mai toccata, la sua bocca che non sapeva come rispondere ai suoi baci, i suoi gemiti, così spontanei e trattenuti, come i lamenti di un gattino sperduto… l’eco smorzato di quei gemiti di piacere che rimaneva nelle orecchie e sembrava non volersene mai più andare… La mano di Draco sembrava non volersi mai fermare mentre carezzava incessantemente il fianco nudo e pallido di Sonja. Una lievissima nota di sudore andava a mitigare l’odore pungente del caprifoglio che invadeva la stanza… quel sentore leggero e indescrivibile che solo chi ha appena fatto l’amore riesce a notare tra gli altri profumi, un po’ come se si potesse individuare un sospiro, un gemito sussurrato, tra il chiacchiericcio di una sala piena di persone.
Come… come era possibile sentirsi allo stesso tempo così in pace, così confortato dalla vicinanza di un corpo accanto al proprio, e arrendersi alla consapevolezza che il mondo, così come aveva imparato ad accettarlo stava per avere una fine?
Arrendersi…
Draco assaporò il suono di quella parola, sottovoce, con la lingua che batteva contro i denti e poi sibilava sull’ultima “s”, con quel soffio che aveva il sapore di qualcosa di definitivo.
No. La resa era soltanto una questione di punti di vista.
Si era arreso quando aveva permesso a Voldemort di relegare Sonja – Ginny - in quel mondo magico fuori da ogni tempo? Si era arreso quando aveva venduto la vita di quel figlio mai voluto, eppure così amato? O non si era arreso a lasciarli entrambi morire?
Si era arreso quando aveva permesso a Voldemort di infilare Sonja nel suo letto, con la magia, come il più ignobile dei mezzani, trattandolo come uno stallone da monta… si, perché, in fondo era questo che era stato - un infimo pacchetto di geni e poteri da trasmettere a chi sarebbe stato più importante di lui. Si, forse quella volta si era arreso… se si può considerare resa quella accettata nell’ignoranza, o nel desiderio così forte da impedirgli di notare che Ginny – Sonja – era stregata.
Ma si era arreso quando, stanco di nascondere ogni impeto di dolcezza, aveva permesso a Sonja – Sonja… Ginny… - di guardarlo negli occhi, di catturare la sua anima e trasportarlo nel suo mondo di incoscienza? Quando, nella paura e nella disperazione in cui ormai nuotava senza speranza, aveva trovato conforto nel letto di chi – Sonja – non poteva nemmeno dare un nome ad una simile esperienza? O semplicemente aveva preso quello che voleva più di ogni altra cosa, disperando di poterlo avere in altro modo… incapace di arrendersi davvero al pensiero che lei non era, e non sarebbe mai stata, davvero sua?
Era sua. In quel momento, in quello strano mondo, in quel modo incosciente e vuoto, in quel totale abbandono… Sonja era sua, ora.
Aveva quello che voleva, in quel momento: aveva lei, quando voleva, aveva la donna che aveva desiderato da anni, consenziente ora - se tale si poteva considerare. Poteva veder crescere suo figlio, dall’ombra, vegliare su di lui, vederlo diventare il più grande mago di tutti i tempi o la più grande delusione, che sarebbe coincisa con la morte. E allora perché non arrendersi davvero, questa volta: perché non accettare questi momenti in cui poteva avere lei, amarla, sentirsi quasi amato, quasi corrisposto… accettare di vedere Nicolaj crescere, senza desiderare nulla di più?
Perché, nonostante tutto ciò che era stato detto di lui, quella parola gli era così estranea… perché non riusciva a sentirla sua?

Guardò Sonja respirare lenta e regolare nel sonno, la sentì mugolare in un sogno come un gattino che si rotala su un cuscino, o un bambino. Strinse dolcemente le dita sul fianco, come per rassicurarla – incubi tormentano il tuo sonno, principessa? Quali immagini di un passato, quali ricordi che non puoi interpretare, ti si rivelano soltanto nei sogni? – e fece scivolare la mano sullo stomaco di lei, avvicinandola a sé.
Come poteva distruggerla, come poteva farle ciò che doveva fare – ciò che avrebbe dovuto fare da tanto tempo, ciò che ora sapeva di non poter più rimandare, ciò che non riusciva ad accettare – sapendo che non c’era che una flebile speranza che lei potesse sopportarlo? Come poteva fare ciò che doveva quando avrebbe solo voluto tenerla così, tra le braccia, baciando ogni centimetro di quella pelle di alabastro, fino a togliere tutte le invisibili, ma presenti, tracce di sangue dei delitti commessi…
Posso. Devo. Devo, se voglio che qualcosa di noi, di noi due, di ciò che avremo potuto essere, sopravviva a questo mondo assurdo, a questa guerra inutile. Devo… e posso, se riesco a ricordare che se tu potessi ancora parlarmi mi chiederesti di farlo; posso, se soltanto riesco a pensare che se tu, Ginny, potessi ancora guardarmi attraverso l’oro liquido di questi occhi, mi ordineresti di non esitare.

“Will to live. Will to fight. Will to survive.”
Laurell K. Hamilton
“Narcissus in Chain”

Ma ora non guardarmi, lasciati tenere così, lasciami sognare come non faccio da una vita. Lasciami immaginare come sarebbe stato portarti via di qui, prima di tutto questo, guarire le tue ferite, darti il tempo di pensare a me come un uomo, come un ragazzo, non come un assassino… darti il tempo di innamorarti di me, come Melissa ha detto che sarebbe successo.
Lasciati tenere stretta finchè sembra che tutto dorma tranne me. Lasciami pensare che questa sera non debba mai venire, che questa paura folle non debba essere affrontata.

I'll tear you open, make you gone
No more can you hurt anyone
And the fear still shakes me
So hold me, until it sleeps

ACT 2# Fight fire with fire

Fight fire with fire
Bursting with fear
We all shall die

Cosa mi è rimasto se non l’odio? Cosa sono, cosa sono sempre stato… se non l’arma della vendetta?
Questo è ciò per cui sono stato cresciuto. Questo è ciò per cui ho sofferto, per cui tutti abbiamo sofferto.
Avrei dovuto essere la lama tagliente al servizio di ciò che è giusto, il bianco vessillo della “giusta” vendetta… ma non sono altro che odio, ormai. Tutto ciò che è rimasto di me è ciò che lui, ha lasciato, dopo essersi preso famiglia, amici, amore… tutto. E ora anche l’ultima briciola di umanità che mi ancorava a questa guerra, l’ultima briciola di speranza mi è stata strappata.
Tutti dobbiamo morire, prima o poi. Se è scritto che il mio giorno debba essere oggi… che sia. Non ho più nulla che rimpiangerei, se non la vita che forse avrei potuto vivere, se lui non fosse mai esistito. Non sono nulla, se non l’odio che lui mi ha instillato.
Hai vinto, Voldemort. Hai vinto: ti odio.
Non sono più il bambino innocente che non sa odiare, che pensa solo al coraggio, alla lealtà e che ti combatte con l’arma della purezza del suo cuore.
Ti odio. Con tutto me stesso.
Non ho più l’arma dell’innocenza e della bontà, da usare contro di te: ti voglio morto, ti voglio vedere soffrire. Forse per colpa di questa amarezza non potrò più vincere contro di te, il “male”… tu sei il “male” come l’ho conosciuto. E hai strappato, calpestato, devastato tutto ciò che di bene ci poteva essere dentro di me. Ora non posso che combatterti con il tuo stesso odio, con il tuo stesso male, con le tue stesse armi. Ti voglio morto, a qualsiasi costo… perché ormai non c’è nulla che io non abbia già pagato.

Ma non mi tiro indietro.
Sto arrivando Herm… e se ormai sei morta, sto arrivando lo stesso.

Armageddon is here, like said in the past
Soon to fill our lungs the hot winds of death
The gods are laughing, so take your last breath
Fight fire with fire

ACT 3# Sad but true

I tendaggi pesanti, probabilmente di velluto, rendevano la grande sala ancora più tetra e polverosa. Pesanti drappi di velluto verde scuro, quasi bluastro. Verde come il vestito di Melissa. Melissa… che sapeva essere allo stesso tempo a tono e stonata, a tema e fuori luogo. Le onde della lunga gonna di seta erano della stessa tonalità delle tende, ma spiccavano su quel fondo come una nota stonata in una melodia perfetta: lucide e brillanti riflettevano la luce delle torce, illuminando una parte del viso, immobile, mentre l’altro lato era nascosto sotto la studiata cascata i riccioli scuri.

“Perché sei venuta, mia Melissa?”
Il tono dell’oscuro signore, vibrante e secco come sempre – come il sibilo di un rettile in agguato – lasciava trapelare una lieve irritazione.
“Ciò che stai per fare è qualcosa che non è mai stato tentato prima. Non credi che valga la pena assistere?” rispose la donna, giocherellando con il bracciale a forma di salamandra che portava al polso sinistro. La sua voce morbida scivolava sulle pieghe dei tendaggi come vino dolce avvelenato, la provocazione trattenuta a stento increspava le sue belle labbra rosse come corallo – e altrettanto pericolose e taglienti.
Voldemort mosse una mano nell’aria, un gesto secco e veloce.
“Non sei mai stata interessata a questo tipo di magia, Melissa!” ribattè duramente.
Melissa accennò un sorriso.
“E dimentichi che il peggiore difetto di ogni donna è la curiosità?” sussurrò beffardamente.
Voldemort la scrutò ancora per qualche minuto, poi si girò a fronteggiare l’imponente tavola di pietra, sola ed inquietante al centro della sala quasi vuota. Ai piedi di quella lastra di marmo – nera e grezza, nella penombra, come un altare profanato – era legata e svenuta una donna dai lunghi capelli castani, cadenti sul viso come un sudario sporco.
La bacchetta vibrò tra le mani ossute di Voldemort, come se un guizzo di trionfo crudele avesse pervaso la sua stretta su di essa. Un leggero colpo alla immensa porta di ebano lucente lo riscosse.
“Vieni avanti, Draco.”
Il portone si aprì con fatica e Draco – grigio messaggero triste, nel suo lungo mantello del colore del cielo dopo un temporale - spinse gentilmente Nicolaj all’interno della sala, poi si voltò per richiudere i battenti; inaspettatamente Sonja guizzò tra di essi all’ultimo secondo, lasciando che si richiudessero dietro di lei con un tonfo sordo.
Si guardarono dritto negli occhi, senza perdere contatto con la realtà come spesso succedeva, poi entrambi si voltarono e si incamminarono dietro Nicolaj, verso la tavola di marmo. Il ragazzino sembrava intimidito e impaurito da quella penombra inquietante; alla vista della donna legata si fermò di botto, spalancando gli occhioni chiari, e rivolse al padre dietro di lui un’occhiata spaventata.

Non posso aiutarti, piccolo. Non posso risparmiarti nulla di questo orrore: devi essere forte, perché questa volta non posso esserlo io per entrambi… o per tutti e tre. Come quando sei nato.
Sii forte. Se avrò abbastanza fortuna, e non sarò troppo codardo, forse potrò risparmiarti il male peggiore, quello a cui non c’è rimedio… sebbene il prezzo potrebbe essere la tua innocenza e la tua dolcezza di bambino.

“They say love conquers everything. They lie.”
Laurell K. Hamilton
“Cerulean Sins”

“Mia Sonja…”
Il tono di Voldemort sembrava compiaciuto, quasi affezionato, rivolgendosi alla rossa e tendendole una mano. Automaticamente, come incastrata in una invisibile ragnatela, la ragazza si staccò dal fianco di Draco e si diresse verso il suo signore, senza tuttavia prendere con le proprie dita la mano che egli le stava porgendo. Voldemort non si curò di quel gesto irrispettoso e raggiunse il viso di Sonja con le lunghe dita, carezzandolo lievemente – la viscida carezza di un serpente.
C’era il sentimento più simile all’affetto che quell’essere potesse provare, nelle profondità scarlatte di quegli occhietti malvagi, c’era quell’orgoglio che alberga nello sguardo rapito dello scultore, quando osserva l’opera terminata, plasmata, estratta dallo spirito della pietra grezza, per incantare gli stessi dei…
“Stiamo per avere ospiti, mia bellissima bambola…” le disse dolcemente “ospiti che non gradirei interrompessero la mia piccola cerimonia. Capisci cosa intendo, Sonja?”
Sonja scostò la testa, sottraendosi di scatto alla carezza; lo guardò per un istante, con quegli occhi che nulla dicevano perché a nulla sapevano dare un nome. Annuì, come disinteressata.
“Andrai ad aspettare il nostro ospite indesiderato. Egli non può apparire all’interno di questa casa. Sarai pronta per distruggerlo?”
Ancora una volta Sonja annuì e scosse le spalle. La bacchetta apparve nella sua mano, estratta – o fatta apparire, forse? – da chissà dove, ad una velocità degna di un grande duellante. Camminando lentamente, seguendo quel ritmo cantilenante che solo nella sua mente risuonava come campane a morto, raggiunse il portone e sparì nel buio, seguita da due occhi il cui colore sembrava contenere congelato tutto il dolore che un essere umano può provare. E molto di più.

Do
Do my work,
do my dirty work, scapegoat.

I’m your dream, make you real
I’m your eyes when you must steal
I’m your pain when you can’t feel
Sad but true

“Fai uscire anche il padre.”
Voldemort si voltò con uno scatto degno di un cobra impazzito.
“Non è suo padre!”
Melissa alzò gli occhi al soffitto, ostentando al contempo esasperazione e disinteresse, quella affascinante contraddizione di sentimenti che può mostrarsi negli occhi delle donne come lei… calcolatrici, consapevoli, intelligenti. Bellissime.
“Come ti pare… fai uscire Draco.”
“Perché?”
Un sopracciglio scurissimo si alzò sulla fronte pallida della donna, descrivendo un arco perfetto appena al di sotto dell’onda di riccioli.
“Normalmente ti fidi del mio giudizio.”
“Interferirà?”
“Non lo so. Potrebbe. Il suo destino si intreccia con ciò che non riesco a vedere. Il destino di Sonja. O il mio…”
Voldemort la guardò con sospetto, poi annuì, quasi con rassegnazione.
“Vattene, Draco…”
Il biondo strinse una mano sulla spalla di Nicolaj, tentando di non mostrare nessun segno dell’inferno che si stava scatenando nel suo cuore.
“Mio Signore…” implorò debolmente.
“Ho detto vattene.”
Draco chinò la testa, evitando l’innocente sguardo di Nicolaj che si alzava impaurito su di lui, e mormorò “Si, mio Signore…”, senza riuscire a nascondere completamente il nodo che gli impediva di respirare e di parlare. Con un inchino appena accennato, anche lui lasciò la stanza.

Hey, I’m your life
I’m he one who took you here
Hey, I’m your life
And I no longer care

Non fu difficile, per lui, apparire in quel cortile gelato dimenticato da Dio e da qualunque essere sia mai stato pregato da voce umana; l’aria fumosa e gelida sollevò brividi visibili lungo le braccia scoperte del ragazzo, che però sembrava insensibile a ogni stimolo esterno, persino al freddo pungente.
Le mura screpolate della casa si confondevano con la nebbia grigiastra che si stava addensando, una nebbia che pareva non avere nulla di naturale… quasi che anche l’aria avvertisse la densa nube di magia che stava per liberarsi all’interno della costruzione.
Una figura bianca – così bianca da riflettere quel barlume di luce perlaceo che attraversava la nebbia – spiccava contro una porta scura ed Harry strinse gli occhi per distinguerne i tratti; la figura si avvicinava, all’apparenza galleggiando su quella nebbia inquietante, con movenze ritmate e spettrali – o rese tali dall’atmosfera soffocante e dalla sensazione di assurdità, di “sbagliato”, che vibrava in ogni fibra di quell’essere.
Nello stesso istante in cui Harry scorgeva il vermiglio colore dei capelli su tutto quel biancore, un’altra figura emergeva dalla stessa porta, amalgamandosi con la nebbia di cui portava i tristi colori; due grida simultanee ruppero il silenzio, entrambe rivolte ai resti di ciò che un tempo era stata una donna.
“Ginny!”
“Sonja.”
E per una volta – l’ultima – per lei fu troppo.
Portandosi le mani alle orecchie in un gesto convulso, Sonja si accasciò sul selciato mentre un rantolo di pura, fisica, sofferenza le usciva dalla gola; il rumore della bacchetta che cadeva a terra sembrò spaccare l’aria in mille pezzi come un invisibile e fragilissima lastra di vetro.

…non era dunque il sole, in grado di scioglierti qui sul terreno che tante volte hai percorso sul tuo destriero, principessa di neve, piccola fata di ghiaccio e di sangue… ma il dolore! Il dolore che ti strappa in due, dilaniando la tua carne e la tua mente, per renderli uguali alla tua anima dimezzata. Che farai ora, persa nella nebbia della tua mente, mentre il tuo corpo riposa nella nebbia del mondo che più non conosci, come una ghirlanda di fiori bianchi caduta… non sai che verrà calpestata dai cavalli?
Non ricordi con quanto amore poteva essere pronunciata quella parola, quel nome che tanto ti fa male ascoltare?
Non ricordi il bianco… il bianco delle lenzuola, il bianco di quella mano che teneva la tua, il bianco del soffitto che fissavi sofferente, distrutta, mentre la vita scivolava dal tuo corpo nel dono più grande, e tu scivolavi nell’oblio…
Non ricordi, non puoi ricordare quelle parole che hanno reciso quel filo, linfa vitale, pensiero di madre, che ti avrebbe ricondotto fuori dalla nebbia in cui ti trovavi, incosciente.
E se quel filo non fosse stato reciso? E se una speranza, un appiglio, una debole traccia ti avesse nel tempo – quel tempo che tu non puoi percepire - ricondotta all’esterno, dove ogni cosa ha un nome, e quel nome fa male?

“Il cimitero era avvolto dalla nebbia e lei vagava tra le lapidi consunte, cercando qualcosa e qualcuno. Era notte, una notte scura punteggiata di stelle, e una luna viola stava sorgendo all’orizzonte. Giunse ad un ponticello di terra fresca e fiancheggiato da boccioli appassiti. Nell’aria c’era un profumo balsamico e pungente misto al sentore della terra smossa di fresco.”
Marion Zimmer Bradley
“Exile’s song”

Attraverso gli occhi appannati la donna riconobbe il gioco di luci e ombre sulle pieghe lucenti del mantello di seta – grigio contro il grigio del mondo - dell’uomo che si era chinato, veloce, al suo fianco e le sfiorava il viso con le dita.
Compassione… quel sentimento che agli umani è dato, talvolta, di provare.
Da dove le veniva quel pensiero? Da dove, quella parola sconosciuta?
Alzò gli occhi spalancati, in pozze di oro colato che sembravano allargarsi ed invadere lo spazio normalmente riservato al bianco e al nero, e li fissò in quelli argentei di lui.
“Draco…” mormorò tremando, come se il suono di ogni singola lettera prosciugasse la forza dal suo corpo.
Forse avrebbe voluto ucciderla in quel momento, mettere fine alla sofferenza così atroce… e poi uccidere se stesso e raggiungerla, dovunque fosse quel luogo in cui dicono si riposi in eterno.
Forse avrebbe voluto abbracciarla, consolarla, baciare quel viso bianco come uno spettro fino a dargli un colore e una parvenza di vita…
Forse avrebbe voluto parlarle, chiederle perdono, in quel momento in cui sembrava quasi poter capire.
Forse avrebbe voluto fare tutto insieme, questo e altro. Ma non ne ebbe il tempo.
Lo schiantesimo lo colpì, secco e preciso al centro della schiena, mozzandogli il respiro e troncando ogni possibile grido. Il mantello frusciò contro le pietre ruvide del selciato, mentre lui collassava sul corpo di Sonja, facendole scudo e cercando di proteggerla. Come sempre.

Come una tigre, un felino con l’istinto di attaccare, Sonja si riscosse alla luce rossastra dello schiantesimo e rotolò via da Draco, impugnando la bacchetta che le era caduta e puntandola contro Harry Potter.
Potter… l’eroe che tremava, di fronte alla ragazzina che un tempo aveva voluto amare.
Ma la ragazzina non esisteva più, ed in quegli occhi infuocati da gatta arrabbiata non c’era più nulla di umano a cui appellarsi.

“Sonja…”
“Ginny, Merlino, che ti ha fatto….”
Due uomini, che la vita aveva diviso fin dal primo istante, si trovavano ad implorare la stessa donna, usando due nomi diversi.

“Lascialo andare, Sonja.”
Per la prima volta da quando Lui l’aveva trasformata in un’assassina impazzita, spietata - bambola crudele in grado di uccidere a passo di danza – Sonja esitò, confusa, paralizzata dal suono di quei due nomi, pronunciati nello stesso istante da due uomini diversi.
Una voce che ritorna da un passato sconosciuto, pronunciando un nome che l’altra voce aveva smesso di sussurrarle. Cosa rimane del tempo se l’ordine dei ricordi viene confuso nella nebbia?
Gli occhi dorati si riempirono di terrore e un lieve lamento sfuggì a quelle labbra pallide di paura; sperduta, Sonja fece l’unica cosa che ancora era in grado di ritenere sua: cercò di trovare conforto nella sua forma di gatto.
“No!”
Con un incantesimo rapidissimo Draco le procurò un taglio superficiale sulla gamba, abbastanza per rompere la sua concentrazione. Sonja rantolò e crollò in ginocchio, portandosi una mano alla coscia e riportandosela al viso, sconvolta, mentre il sangue rosso gocciolava dalle dita.
“Malfoy!”
E l’odio dell’eroe si rivolgeva al nemico sbagliato…
“Potter, va dentro! La Granger!” fu l’urlo rauco di Draco.
Harry si guardò intorno confuso e sconvolto: Ginny… la sua Ginny tornata dal passato, in ginocchio a osservare stupita il sangue colare sulla sua pelle bianchissima, la voce della sua Ginny che chiamava il nome del suo nemico nel dolore, il viso della sua Ginny sul quale chissà quale incantesimo aveva stampato l’indifferenza e la pazzia. Malfoy, nemico giurato di sempre, che guardava la donna che un tempo era sua con un amore che lui non avrebbe mai potuto provare, che feriva quella donna, che gli diceva di andare… che lo lasciava passare, lui, il nemico.
Una voce che ritorna dal passato con un tono diverso ed il dolore negli occhi… un dolore che un uomo non dovrebbe mai provare e sopravvivere. Cosa rimane della ragione se l’ordine delle cose viene sovvertito?
Sonja sollevò lo sguardo dalla propria mano e lo posò su Harry, con quel lampo di terrore che i bambini riservano agli adulti sconosciuti, poi volse il capo per guardare Draco e pronunciò il suo nome in un mormorio straziante. Mentre Draco si rialzava, a fatica, e le posava una mano sul viso con una dolcezza infinita, dai suoi occhi grigi traboccava una tale sofferenza che non era possibile guardare in essi – occhi che delle lacrime riuscivano ad avere solo il colore – senza restare feriti.
“Va Potter… qui non puoi fare niente, ma forse per lei, là dentro, sei ancora in tempo” mormorò, senza distogliere lo sguardo da Sonja.
Harry arrancò un passo indietro, senza riuscire a girarsi, come se ciò che vedeva: quello strano relitto di essere umano, quell’incrocio anormale tra un demone e una bambola di porcellana, cercare conforto – conforto da cosa? – nello sguardo triste di colui che aveva sempre disprezzato come il più infimo degli uomini. Era tutto troppo assurdo, troppo irreale per poter anche soltanto pensare.

Draco fece alzare Sonja e la strinse tra le braccia brevemente; con le labbra vicine alle sue e gli occhi persi nei riflessi dorati di quelli di lei, mormorò il suo nome, più volte… il suo vero nome: Ginny. Ad ogni parola la ragazza tremava più forte e la mano sporca di sangue stringeva convulsamente i lembi del mantello lucente di lui, imbrattandolo di rosso scuro.
Ti amo, Sonja… Ginny. Ti amo. E mi dispiace.
La mano di Draco si strinse al polso sinistro di Ginny e fece ruotare il braccialetto fino a stringere tra due dita la testa del serpente che si mordeva la coda. Gli occhi di cristallo baluginarono crudeli mentre le dita pallide del mago si infilavano tra il bracciale e la pelle delicata del polso di lei…
“C’è tuo figlio là dentro, Ginny. Nostro figlio. E non posso condannarlo a ciò che Lui vuole fargli… Perdonami.”
Un grido sconvolto gorgogliò nella gola di Harry Potter, mentre il terrore dell’incomprensione si allargava negli occhi felini di Sonja. Con una torsione secca delle dita Draco frantumò il gioiello di ametista – lui, che l’aveva chiuso, solo lui aveva il potere di romperlo.

Amico, rifiutato e riluttante.
Amante, disperato a tal punto di accettarla quando lei non poteva sottrarsi.
Carceriere, in quel modo subdolo e malvagio, quando avrebbe solo voluto tenerla stretta tra le braccia e non lasciarla mai sola.
Custode… dell’incantesimo e di lei.
Con quale altra sordida qualifica si sarebbe lasciato affogare all’inferno?

Crudeli schegge di ametista conficcate nella pelle diafana della mano di Draco, che si ricoprivano di sangue vivo e vermiglio…. sangue che macchiava ora la lana candida del maglione di Sonja mentre, con un grido spasmodico, questa si accasciava tra le braccia di lui.

ACT 4# And Justice for All

I can’t believe the things you say
I can’t believe
I can’t believe the price you pay

Continuavo a stringerla tra le braccia, mentre il trauma dell’incantesimo che si era rotto la precipitava nelle convulsioni, e tentavo di arginare le coltellate inferte alla mia anima da ogni spasmo sofferto di lei.
La stavo uccidendo, volontariamente, e l’unica attenuante che riuscivo a pensare per me stesso era che lo stavo facendo per nostro figlio.
Perché Voldemort stava per distruggerlo, per renderlo qualcosa che non sarebbe mai più stato umano: mai ragazzo, mai uomo, mai adulto… solo un essere colmo di magia nera, un corpo per albergare un ultimo frammento dell’anima di Voldemort. Un Horcrux… vivente. Uno dei pezzi del scacchiera che Re Potter si era mangiato, una ad una come pedoni, durante gli ultimi anni. Nicolaj non sarebbe stato altro che un tabernacolo, per ospitare una briciola di un essere che, non essendo più abbastanza umano per produrre un erede nel modo consueto, aveva scelto quella strada infima e terribile…
Quale prezzo era stato pagato, in termini di dolore e vite, per ottenere quel bambino… da lui voluto, da lui concepito in tutto tranne che nella realtà dell’atto, incurante di ciò che sacrificava.
Quale prezzo avrei dovuto pagare io, che in passato ero stato troppo debole per essere altro se non un docile schiavo, per disfare ciò che avevo lasciato accadere?
Al di sopra della testa di Ginny, colsi lo sguardo sconvolto e ferito di Potter, in cui sorgeva un barlume di comprensione su ciò che era stato fatto alla donna che non era riuscito a proteggere… guarda grande eroe, guarda a che compromesso sono sceso, cosa ho accettato pur di tenerla in vita, pur di tenerla con me! Ecco ciò che pensai amaramente, ecco ciò che mi era rimasto, ecco la mia vita, se vita si può chiamare… credi ancora di essere l’uomo più tormentato del pianeta? Eri ancora così ingenuo da credere che soffrano solo i buoni, i prodi, in una guerra come questa?

Sonja urlò e lo strillo risuonò nella nebbia come la vibrazione di un diapason spezzato – raccapricciante come le urla dei condannati a morte per tortura, come le grida straziate delle anime risucchiate dagli inferi.
La ragazza si dibattè come una furia, spingendo e graffiando quelle braccia che volevano solo evitare che lei si facesse del male. Si accasciò, tenendosi spasmodicamente le orecchie, come a non voler sentire quella voce che in realtà era soltanto nella sua testa, la voce dei ricordi, della vita, del dolore.
Il peso di ciò che alberga dentro la nostra anima è spesso insostenibile, pur avendo a disposizione i giorni di tutta una vita per venire a patti col passato… da lei si pretendeva che affrontasse i ricordi di una intera vita, il peso delle azioni più orribili, quando questi cadevano a massacrarle la coscienza nello spazio di un battito del cuore.
“No! No, no no no….”
Quegli occhi sbarrati e terrorizzati si alzarono sul viso di Draco e le sue labbra livide si mossero senza emettere suoni, cercando di pronunciare il suo nome.
“Sono qui” mormorò il ragazzo, riprendendola tra le braccia “sono qui, sono qui…”
“Non è vero, non è vero… cosa…”
Lacrime cominciarono a scendere copiose da quegli occhi che da tanto tempo non sapevano più piangere, le unghie strapparono la seta del mantello a cui si aggrappavano come ad un ultimo brandello di corda sospesa sullo strapiombo…. Scuoteva la testa per far uscire tutti quei ricordi orribili, tutto quel sangue, tutto quel dolore infinito che l’incoscienza dell’anima le aveva impedito di provare.
“No. No, no….”
“Ginny….”
“Sonja…” singhiozzò lei.
Draco annuì, sempre guardandola negli occhi – i giorni della codardia erano finiti, dovevano esserlo… perché era giusto che patisse anche lui ciò che le stava infliggendo – e le bisbigliò la verità: “hai scelto tu quel nome, Ginny…”
“Draco... Draco sono tutti sogni, dimmi che sono tutti sogni…”
Draco scosse la testa, incapace di parlare, come di respirare: il dolore di lei impregnava l’aria e sembrava soffocarlo.
“Nicolaj!” pianse la ragazza.
“E’ là dentro, Ginny.”
Lei si liberò di scatto e lottò per sostenersi da sola, tremando da capo a piedi; gli occhi ancora fissi in quelli di Draco, colmi di una nuova, dolorosa coscienza e privi di quella luce ipnotica e malsana che aleggiava prima nelle pagliuzze dorate. Con un ultimo rantolo, mosse qualche passo malfermo all’indietro e si girò per correre, incespicando, verso la porta.
Draco non impiegò più di un respiro per scattare dietro di lei; nell’istante in cui si mosse, anche l’eroe del mondo magico sembrò riscuotersi e corse nella stessa direzione.

Nothing can save you

Probabilmente furono le tre mani insieme a spalancare la porta, o forse Ginny nemmeno sfiorò il pesante battente, quasi fosse sicura che la sua furia avrebbe potuto distruggerlo.

Parole arcane, strisciare inesorabili su una lama di luce verde che, crudele come veleno privo di antidoto, colpiva ciò che ormai non era che un fagotto di vestiti e carne ai piedi di un altare sacrificale.
Nessun sangue sulla pietra.
Nessuna ferita, se non quella che due occhi bruni infliggevano al cuore di un eroe di carta, posandosi su di lui per l’ultima volta… impietosi nel loro amore, nella loro purezza, nella loro dolcezza, fino alla fine.
Nessun grido, perché gli angeli quando cadono non fanno rumore.

Un grido lacerò l’aria e interruppe il rituale al suo culmine, mentre Ginny scattava a spingere un bambino spaurito al di fuori di un circolo di incantesimi. Un grido che avrebbe reso rauco qualunque essere umano, perché usciva dagli inferi in cui solo chi si è visto strappare l’ancora della salvezza per un’ultima, dolorosa volta, può precipitare.
Un grido… e un pensiero nel vento, a contenere le parole che la voce non poteva pronunciare.
Herm… a presto, amore.

Nello stesso istante le fiamme delle candele vibrarono per la rabbia esplosa in un secondo grido, terrificante e pauroso. Il disappunto, lo stupore, l’ira di qualcuno che non aveva accettato di pensare che qualcosa potesse andare storto nel piano perfetto.
Poi la rabbia di Voldemort esplose in tutto la sua forza e i tendaggi sembrarono muoversi sotto la spinta di una folata di vento. Il rituale era stato interrotto, l’occasione era perduta… l’Oscuro Signore non poteva accettare una simile delusione, non senza manifestare tutta la sua collera. La sua mano scheletrica ebbe uno spasmo sulla bacchetta, i suoi occhi si fissarono su Draco e compresero… finalmente compresero.

Che ancora una volta, e sempre, aveva sottovalutato il potere di quello sconosciuto fenomeno chiamato amore: qualcosa in grado di dare la forza a chi è debole, il coraggio a chi è codardo, la capacità di sfidare anche le paure più radicate, di andare contro se stessi e la propria stessa vita.

Draco si difese dall’attacco di maledizioni con la prontezza di chi è abituato a combattere, ma la disperazione di chi sa di avere troppo da perdere: un occhio a se stessi e un occhio a chi si è li per proteggere. Gli incantesimi rimbalzavano sul sortilegio scudo, mentre correva per avvicinarsi a Ginny, raggomitolata attorno a Nicolaj, senza fiato; una maledizione Cruciatus lo colpì a tradimento e rotolò sul pavimento, contorcendosi negli spasmi che la disciplina di un tempo gli avrebbe permesso di arginare e sopportare. Nicolaj lanciò uno strillo acuto, ma Ginny – Sonja – lo azzittì e si levò in piedi davanti a lui. Una furia, con il fuoco negli occhi e la determinazione disperata nei lineamenti che un tempo non avevano che la serenità perversa di una ballerina di porcellana.
E allora balliamo, mia danzatrice…
Gli sguardi si incrociarono, furenti. Ne scaturì un duello, frenetico e crudele – odio che si riversava nell’aria, odio e potere… sufficienti a togliere il fiato e illuminare, con i lampi malvagi che uscivano dalle bacchette, la grande sala buia.
Luce.
Grida.
Parole arcane cadevano inesorabili come lame affilate, colme della loro minaccia di morte e dolore. Tutto troppo rapido per poter essere seguito da una misera mente umana.
Il maestro e l’allieva… credeva di poterla sopraffare facilmente, lei, a cui aveva trasmesso col sangue e il dolore tutta la magia oscura che nella sua lunga vita aveva imparato e sperimentato?
L’allieva che ormai odia il maestro.
Il maestro deluso dall’allieva… no mia danzatrice, non mi sei più utile.
“Avada Kedavra.”

Un grido acuto perforò le orecchie di Draco che, nella sua disperazione, pensò di non essere arrivato a spingerla in tempo… ma non grida chi è colpito dalla maledizione che uccide, e il raggio di luce verde aveva soltanto sfiorato la lunga treccia ondeggiante della ragazza.
Si ritrovò in ginocchio, a fare scudo col proprio corpo a lei e al figlio, e gocce di sangue rosso brillante cadevano dal ramo appuntito di un candelabro che sporgeva dall’altare. Il sangue di Ginny, il sangue di Sonja – sangue sulla pietra, sangue del sacrificio.

So true, so real.

Nel cercare di proteggerla, l’aveva uccisa lui stesso. La punta sporgente di metallo si era conficcata nella schiena di lei e il sangue scarlatto già macchiava il maglione bianco – demone rosso, strisciante su un manto di neve, impaziente di reclamare il suo ultimo pegno.
La risata crudele di Voldemort fece da sfondo rossastro al respiro gorgogliante di Ginny e al grido di Draco.
Gli occhi dorati si alzarono sul viso del giovane mago e incredibilmente, Ginny gli sorrise. Quel sorriso dolce e malinconico che la vera Ginny a volte gli aveva donato – quando si prendeva cura di lei, quando la faceva smettere di piangere per un istante, quando le regalava qualcosa...
Poi il suo sguardo si voltò lentamente verso l’altro uomo, distrutto, che stringeva al petto un cadavere dai lunghi capelli bruni, all’altro lato dell’altare. Occhi verdi che avevano ormai perso ogni brillantezza risposero allo sguardi, disperati e stanchi.
“Adesso Harry. Insieme…”
La ragazza spinse Draco lievemente di lato e velocemente trasse a sé Nicolaj.
“Nicolaj, devi farmi un favore… un ultimo favore.”
Nicolaj le toccò il viso con le manine e li occhi di Ginny si riempirono di lacrime.
“Ti voglio bene, piccolo, te ne ho sempre voluto ma non ero in me, lo sai vero? C’era un incantesimo su di me.”
“Si” bisbigliò il bambino, e aggiunse, senza motivo, “c’era la nebbia…”
“Adesso dobbiamo fare andare via la nebbia, Nicolaj. Per sempre. Te lo prometto.” La sua voce tremò e il respiro gorgogliò in gola a causa del sangue che ormai stava invadendo i polmoni, ma continuò, “Ricordi quell’incantesimo che ti ha fatto uccidere il gatto? Devi usarlo… solo stavolta. Solo per togliere la nebbia per sempre.”
Nicolaj annuì di nuovo ma la sua manina tremava sulla guancia di Ginny.
“Sonja…”
“Ssh…. Ti prego, Nicolaj. Insieme a me. Poi sarà tutto finito.”
Ginny prese la bacchetta e la puntò nella direzione di Voldemort, che si stava avvicinando senza aver colto quel veloce scambio di battute.
“Quello che faccio io, Nicolaj.”
Quasi nello stesso istante Harry Potter, l’eroe caduto, e il bambino che Voldemort aveva voluto con tutto se stesso, puntarono la bacchetta nella stessa direzione.

Il sangue della sua creatura, versato per amore, perché anche l’amore può diventare troppo…
L’innocenza del “figlio”, perduta per sempre in quel giorno in cui anche un bambino è costretto ad uccidere…
L’amore del nemico, a riposare in eterno… su quell’altare di pietra.

Non era necessario essere il più grande mago oscuro per sapere che tre sacrifici chiudono un cerchio.
Ossa del padre, carne del servo, sangue del nemico… per riportarlo alla vita.
Amore, innocenza e dolore… non erano forse sufficienti a negargliela?

“Avada Kedavra!”

ACT 5# Nothing Else Matters

Miseri resti di ciò che era stato uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, giacevano a terra, in un groviglio di seta nera e di pelle che pareva rinsecchirsi ogni istante, come squame, morte e biancastre, di un grosso serpente.

Harry Potter abbassò la bacchetta e osservò quei resti con indifferenza.
La fine. La fine di tutto… anche di lui.
Con una dolcezza infinita si chinò a raccogliere il corpo ormai freddo di colei che era stata Hermione Granger, la strinse al petto e si avviò all’esterno, faticosamente.

Gli occhi freddi e scuri di Melissa guardarono l’eroe sparire, al di là della porta nella nebbia del mondo reale; osservarono per un istante i resti di Voldemort e poi si posarono con un amaro, mezzo, sorriso i braccialetti ancora chiusi e intatti ai propri polsi.
Libera…
Con un movimento fluido si allontanò dagli arazzi scuri contro i quali si era schiacciata durante il velocissimo duello, e si avvicinò alle spalle di Draco, gli occhi fissi in quelli agonizzanti di Ginny.
“Non potevo prevedere questo, lo sai vero?”
“…nulla che mi… riguardasse…” assentì la ragazza, faticosamente.
Melissa scosse la testa.
“La vita è stata crudele con te, Sonja… ma io posso solo vedere, non posso interferire. Tutto sarebbe comunque successo…”
“Vattene Melissa… lasciaci, ti prego…”
La donna si chinò e allungò una mano verso la fronte madida di Ginny lasciandovi una carezza lieve – il petalo di una rosa nera, cadere sulla neve nell’espressione più dolce e malinconica dell’assurdità del mondo - poi si allontanò in un frusciare di seta che aveva lo stesso colore della notte.

So close, no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
and nothing else matters

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
and nothing else matters

Draco continuava a guardarla, disperato come può esserlo un uomo che sta perdendo tutto e non ha nessun altro a cui dare la colpa - per la seconda volta.
“Ginny…”
La mano di lei salì a posarsi sul suo viso.
“Tutto sarebbe successo comunque…” gli sussurrò senza più voce, ripetendo le parole della veggente “…tutto.”
Le sue labbra si mossero ancora per un istante, senza più poter far uscire alcun suono, ma i suoi occhi – oro, riflesso del sole su lacrime mai versate – fissi per l’ultima volta in quelli di lui, urlavano ogni parola che non avrebbe mai potuto pronunciare: che in fondo, forse, l’aveva amato, nonostante e a causa di tutto ciò che le aveva fatto, che in quello strano mondo nebbioso in cui era vissuta lui, solo lui, era stato la sua ancora, la fune mai spezzata, una linea di luce nella nebbia argentea che ormai l’avvolgeva di nuovo. Un lieve sorriso le sfiorò le labbra ormai livide e la mano tremò sulla pelle gelida di Draco. Con un ultimo sforzo girò il capo verso il bambino biondo, dai grandi occhi grigi spalancati - terrore, tristezza, colpa, angoscia – e il sorriso si addolcì nell’espressione morbida e rassicurate che solo una madre riesce, d’istinto, a donare ad un bambino.
Poi gli occhi di Ginny si chiusero e il suo corpo riposò immobile, con la serenità sul viso di chi, per la prima volta, si addormenta nella vera coscienza di essere… viva, madre, donna. Non una ballerina di vetro, i cui occhi si chiudono, meccanici, al chiudersi del coperchio del carillon dorato…

Il grido disarticolato di Draco rimbombò nella sala vuota, quasi a volerla abbattere – mura indegne di fare da spettatrici a quel momento, indegne di ospitare l’ultimo respiro di quel corpo, di quella donna, della sua donna… l’unica che avrebbe mai potuto avere.
Gridò, gridò finchè non ebbe più voce per farlo, finchè anche i singhiozzi di Nicolaj non furono più forti dei suoni che uscivano dalla sua bocca… gridò finchè l’unica cosa da fare fu restare lì, a cullare ciò che aveva perduto, e abbracciare ciò che restava… l’ultima ragione per continuare ad esistere quando ormai l’anima era morta. Con lei.

“Quando il tempo sarà passato, e la terrà scoprirà
i nostri due scheletri abbracciati, il mondo lo saprà
che Quasimodo amò Esmeralda, la raggiunse e la strinse a sé
senza i baci da respirare, nella morte che dà la vita
all’amore che mai non muore.

Il mio corpo l’ho abbandonato, mangiatelo avvoltoi
che la morte ha già incatenato i nostri nomi e noi.
La tua anima vola via da questo piccolo mondo perso,
il mio amore sarà una scia, tra le luci dell’universo…”

da “Notre Dame de Paris”

FINE

A questo punto mi sembra abbastanza inutile rispondere alle recensioni visto che è passato tanto tempo! Un grazie enorme comunque a tutte!!
Un bacio speciale a Savannah, Euridice e Chiara, alle quali dico soltanto “pelo… ora più che mai!”.

   
 
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