Il
sole era sorto da appena tre ore, la città era nel pieno
della
propria attività quando gli occhi caldi e grandi della
piccola
fanciulla si riaprirono. Da lontano giunsero i rumori della folla che
tranquilla aveva ripreso la sua normale attività dopo il
primo
giorno di smarrimento. La corte dei Miracoli era talmente silenziosa
e vuota che qualsiasi rumore, anche la più piccola
percezione era
palpabile e udibile come se quel suono si fosse propagato solo a
pochi metri dal loro rifugio. Si alzò e si lavò
il viso con l'acqua
fredda. Era stata una nottata lunga, quasi interminabile dovuta anche
alle alte temperature e all'umidità caratteristiche del mese
di
Luglio. Il vestito, ancora quello bianco che le avevano dato in
prigione e che lei aveva tenuto anche quando era rimasta a Notre
Dame, nella stessa casa di quel vecchio prete, ora le era aderente al
corpo, bagnato. Attraversò in punta di piedi il salone,
mentre la
sua mente ripercorreva tutti gli eventi cui aveva assistito in quella
sala, non per ultimo il racconto di Pierre sull'assalto alla
cattedrale e della fine che avevano fatto gli altri zingari. Quando
arrivò alla porta, la sua mano esitò. Fuori c'era
il mondo, immenso
e crudele, che in quegli ultimi mesi non aveva fatto altro che
portarle dolore e sofferenza, che era stato cattivo nei suoi
confronti, giovane zingara spensierata, semplice e ingenua che era
uscita dal proprio bozzolo per ballare fresca e leggiadra, come una
ventata di primavera anticipata per le vie di Parigi. Già, e
proprio
danzando aveva attirato l'attenzione del suo bellissimo Febo, il suo
sole. Aveva fatto breccia nel cuore della persona che amava e che
sarebbe arrivata un giorno a portarla via; via da quella
città, da
quel paese, via da quel mondo tanto crudele che le aveva fatto male.
Sarebbero
partiti insieme per un viaggio senza meta, con l'unico scopo di
scappare, fuggire via e non far sapere più niente di loro.
Liberi di
amarsi, lontano dagli occhi di tutti, e soprattutto, lontano da quel
prete che tanto la voleva senza però amarla! Quel vecchio
prete che
aveva tentato di uccidere il suo Febo, il suo bellissimo e splendente
sole! Ah, ma il bene trionfa sempre! Il suo Febo, ferito gravemente,
era tornato e presto, molto presto, il prete avrebbe pagato per le
sue azioni. Sarebbe andata da lui, avrebbe raccontato a lui la
verità, come effettivamente erano andate le cose e avrebbero
trovato
insieme il modo di farla pagare a quel vecchiaccio della malora. E
poi... Sarebbero fuggiti in un posto dove nessuno poteva conoscerli e
lì, finalmente, avrebbero vissuto felici e contenti. Djali e
sua
madre sarebbero partiti con loro e tutti avrebbero vissuto felici e
contenti.
Prese
un respiro e aprì la porta tutta contenta. Il Sole, bello,
rotondo
giallo illuminava le strade su uno sfondo celeste. Il cielo era
limpido, senza una nuvola. E le case diroccate della Corte, che di
notte assumevano toni spaventosi e lugubri, neanche fossero le
abitazioni di qualche spirito fantasma, si mostravano nella loro vera
natura, quella di case troppo malandate per ospitare nelle ore
più
fredde della notte, soprattutto d'inverno, i suoi coraggiosi quanto
incoscienti abitanti. Per questa ragione gli accattoni tutte le notti
si ritrovavano in quella sudicia taverna, in cui restavano fino a ora
tarda. Diede ancora un ultimo sguardo alla taverna e poi
guardò il
sole. E alla fine scelse il sole. Uscì da quella
tavernaccia, e
iniziò a correre ridendo per le strade e guardando
più il cielo che
non la strada, che avrebbe potuto benissimo percorrere a occhi
chiusi, tanto la conosceva bene. Corse a più non posso
finché ebbe
forza nelle gambe, a perdifiato. Corse, allontanandosi un poco dalla
città, correndo per i campi di fiori, e di grano appena
mietuto.
Corse leggera, come se i suoi piedini di fata non toccassero il
suolo, come se ella fosse fatta di aria, o una graziosa ninfa dei
campi. Corse felice ridendo, con una leggera brezza che le
scompigliava quei capelli color dell'ebano. Corse assaporando dopo
mesi di sofferenze e dolori l'aria pura della Libertà,
così dolce e
fresca che capì perché tutti la cercassero, a
volte per tutta la
vita. Donava una carica e un'energia tale che chi la possedeva si
sentiva padrone di se stesso, e padrone del mondo. Almeno questo era
quello che molti gitani le avevano sempre detto fin da quando era
piccola, quando lei con i lacrimoni agli occhi chiedeva
perché gli
altri bambini, quelli che non era gitani, non volevano giocare con
lei e la escludevano e venivano portati via dalle madri.
“Perché
sono invidiosi di noi. Perché noi gitani siamo liberi! Non
abbiamo
fissa dimora e possiamo girare il mondo; perché la nostra
società
non deve rispettare le loro stupide etichette e soprattutto
perché
siamo tutti liberi di gestire la nostra vita come più
crediamo.
Perché non c'è legge, se non la nostra, cui
dobbiamo sottostare.
Perché anche se non siamo ricchi e non viviamo in mezzo a
tutti
quegli agi come fanno loro, noi siamo più felici di
loro.” questa
solitamente era la spiegazione dei più grandi; e anche
Clopin
gliel'aveva ripetuto queste cose.
Al
ricordo di colui che era stato suo padre, suo fratello, e il suo
migliore amico si fermò, con le lacrime agli occhi. Si
fermò e
cadde in ginocchio piangendo. L'aveva lasciata sola anche lui. Alla
fine. L'aveva lasciata quando invece le aveva promesso che le sarebbe
stata accanto finché lei avesse voluto e ne avesse avuto
bisogno.
Perché non hai mantenuto la promessa? Io mi fidavo
di te!! io ho
ancora bisogno di te, papà. Papà dove sei...
perché mi hai
abbandonata? Io sono sola al mondo... Ho ritrovato la mia mamma,
è
vero ma... non è la stessa cosa. Tu.. mi hai cresciuta, mi
hai amata
come una figlia. Sei stato l'unico a esserti preso cura di me. Cosa
ho fatto di male da farti arrabbiare? Perché mi hai
lasciato? Avevi
promesso...pensò
rimanendo
inginocchiata per terra per lungo tempo.
***
E
mentre la piccola e innocente piangeva, qualcun altro, ignaro di
ciò,
si svegliò per poter svolgere le proprie funzioni religiose.
Ripeteva a macchinetta quelle parole che ormai dopo anni di
predicazione, sapeva a memoria. La cattedrale, maestosa e silente,
trasmetteva ai fedeli, o almeno gli sembrava, poiché questa
era la
sensazione che egli percepiva, un'aura di sacralità solenne
e
incombente, accentuata dai lumi dei lampadari a candele e dei ceri
accesi dagli stessi fedeli per chiedere aiuto e soccorso per se
stessi e i propri familiari. Era un'aura che non percepiva da anni, o
che forse fino a quel momento non aveva mai percepito. Era l'aura di
una cattedrale ancora offesa per l'umiliazione subita. Umiliazione
che ancora bruciante si manifestava ai fedeli, come per renderli
colpevoli e complici di quanto era accaduto. Per non essere
intervenuti a proteggere la loro Signora che tante volte aveva
accolto le loro richieste e che era sempre stata presente e pronta ad
accogliere chi aveva bisogno del suo aiuto. Non si era mai negata a
nessuno. E cosa aveva ottenuto, a aiutare sempre il prossimo? La
più
totale indifferenza. Quei fedeli, che si erano proclamati tanto
devoti, nel momento del bisogno l'aveva abbandonata in balia del
proprio destino, di quel massacro reputato ingiusto persino
dall'arcidiacono, per quanto odiasse i “sans
papiers”. Un'empietà
commessa nella dimora di Dio! Come potevano ancora quei soldati
professarsi cristiani cattolici e entrare in chiesa con disinvoltura,
come se niente fosse successo?! Come osavano?!
Quei
pensieri annebbiavano la mente dell'arcidiacono, e la rabbia era
talmente grande che quasi, per qualche strano e fortuito caso, era
riuscito a tenere lontano da lui il pensiero della bella zingara
dalla sua mente per qualche istante. Quella zingara! Riusciva a
penetrare nei suoi pensieri anche durante le funzioni! Era
incredibile! Non le bastava più presentarglisi davanti ai
suoi occhi
sotto forma di visione a tutte le ore del giorno e della notte. Lo
voleva per sé anche durante le funzioni religiose, in uno
dei
momenti più sacri della giornata. L'avrebbe davvero
distrutto se
avesse continuato a tormentarlo così. Quel disprezzo nello
sguardo
quando aveva preferito il patibolo a lui, quell'indifferenza quando
lui per l'ennesima volta le aveva confessato il proprio amore e
desiderio piangendo, inginocchiato di fronte a lei, come non aveva
mai fatto nella sua vita, quelle parole dure e taglienti che gli
aveva rivolto dopo che lui era tornato indietro per salvarla dalla
forca, perché, nonostante il dolore, lui l'amava, tutto
ciò era
ancora ben impresso nella sua mente, e bruciava, e il suo cuore era
diviso in due: da una parte l'Orgoglio ferito, che reclamava Vendetta
per l'oltraggio subìto, dall'altra parte il Cuore, che
nonostante
soffrisse per l'essere stato respinto era sempre innamorato di lei e
che voleva impedire che alla fanciulla fosse torto un capello,
perché
quella leggiadra e graziosa piccina aveva già troppo
sofferto le
ingiustizie del mondo a causa sua.
Vacillante
e con le immagini della bella donzella davanti ai propri occhi,
riuscì ad arrivare integro, almeno fisicamente, alla fine
della S.
Messa. Quando tutti i fedeli si furono allontanati, si
appoggiò
all'altare e chinò il capo. E prese dei respiri profondi.
Doveva
calmarsi. Doveva farlo. Dei non riusciva a togliersi dalla mente
quello sguardo duro che gli aveva rivolto quando si era fermata per
poi dividersi da lui definitivamente. Le faceva così tanto
orrore?
Perché? Perché aveva ferito il suo bel capitano?
Che, ne era certo,
non l'amava ma la desiderava soltanto? Perché non voleva
capire che
in realtà lui non la amava, che l'aveva desiderata soltanto.
Che
l'unica persona che l'amava davvero.. era un povero prete che si era
ritrovato a consacrare la sua anima a quella fanciulla, per la quale
provava un amore grande quanto era l'odio che lei gli riservava nei
loro incontri.
Sì,
incontri, perché di questo si trattava, di pochi, brevi e
taglienti
incontri. Si stava dannando l'anima e niente e nessuno avrebbe mai
potuto distoglierlo da quel pensiero fisso che gli stava logorando e
lacerando l'anima. Mai niente e nessuno aveva occupato così
invadentemente e prepotentemente la sua mente, fino a farlo delirare
durante le notti, nelle quali prendere sonno diventava notte dopo
notte una impresa sempre più ardua. La Religione, la
Scienza,
l'Alchimia con i loro misteri ancora da scoprire, persino loro
discipline severe e rigide, erano state più clementi di
quella
fanciulla. Persino loro avevano concesso riposo all'arcidiacono, per
permettergli di riacquistare le forze per poter tornare all'opera il
giorno seguente. Invece lei no, non gli dava tregua. Sembrava che il
tormento della sua anima fosse la forma più sublime di
divertimento
per quella bambina. Che vederlo piangere d'amore, essere il centro di
tutte quelle attenzioni, e rifiutarlo ogni volta, provocasse un
piacere talmente forte da convincerla a perseguire su quella strada.
Per torturarlo ancora, fargli visita nei sogni, durante gli
esperimenti di alchimia che da mesi non riusciva a concludere, come
se avesse spazzato in un attimo la conoscenza che aveva accumulato in
tutti quegli anni di studio, in cui tanto aveva primeggiato e si era
distinto dagli altri suoi coetanei. Sospirò e dopo aver
messo a
posto, se ne tornò nella sua torre. A finire gli esperimenti
che il
giorno prima aveva interrotto per la troppa stanchezza.
Sospirò e si
mise all'opera, senza arrivare, ovviamente, ad alcun risultato.
***
Non
seppe da quanto era lì in quel campo a piangere, ma quando
alzò
nuovamente lo sguardo verso il cielo, si accorse che era passato
comunque troppo tempo. Sua madre si sarebbe preoccupata per lei,
doveva assolutamente tornare a casa prima che calasse il sole.
Mancava ancora qualche ora al tramonto. E visto che non sapeva dove
fosse, non avendo badato alla strada che aveva percorso quel mattino,
presa da un momento di liberazione. Da tutte quelle angosce, paure,
da quelle mura che avevano tenuto imprigionata la sua anima e il suo
corpo in un luogo tetro e lugubre come doveva essere la morte. Quella
morte che aveva evitato per un soffio, proprio grazie all'intervento
di quel vecchio prete che l'aveva accusata di stregoneria. Quell'uomo
che l'aveva posta di fronte a una scelta. O il patibolo, o lui, o la
morte o l'amore. E che amore! “L'amore di un
dannato!” aveva
detto lui. E quello era. Niente di più niente di meno. Non
sapeva
molto sulla religione delle Chiese, chi era quel Dio che il buon
popolo di Parigi, come quello delle molte altre città che
lei nella
sua breve vita da zingara aveva visitato, tanto osannava. L'unica
cosa che sapeva era che i pastori, così si facevano anche
chiamare i
preti, l'aveva scoperto la sera precedente, non potevano sposarsi
né
amare nessuno che non fosse il loro Dio. Ne ignorava la ragione ma
tanto bastava per far nascere nel palpitante cuore della zingarella
nuovo odio e disprezzo nei confronti di quell'uomo tutto vestito di
nero che tanto la desiderava. Si alzò da quel suolo dove
aveva
riposato per ore, pensando a tutti i tristi eventi che avevano
caratterizzato quegli ultimi mesi. Si alzò e scosse la terra
che
aveva macchiato il suo misero abito. E poi iniziò a vagare
cercando
di ripercorrere la strada che aveva percorsa all'andata.
Iniziò a
camminare con passo sempre più spedito mentre il cielo
diveniva
sempre più scuro e il sole si avviava sempre più
verso il momento
del tramonto, colorandosi di toni sempre più accesi, fino al
rosso
sangue. La povera bambina, sola, lontana dalla città,
lontana da
tutto e da tutti, senza alcuna possibilità di incontrare
nessuno e
di essere dunque portata a casa. Era lontana da sua madre, dall'unica
persona della sua famiglia che le fosse rimasta e che potesse
prendersi cura di lei. Corse a perdifiato verso il Sole, sperando di
intravedere i primi casolari della città, mentre lucenti e
cocenti
lacrime le solcavano il viso. Non era mai stata da sola lontano da
casa per più di qualche ora, né mai si era
allontanata, né ne
aveva avuto il desiderio. In seguito però a quella serie di
eventi
che si erano susseguiti, e a quel perenne essere circondata da mura,
e fredde pareti di pietra, la tentazione di evadere, di liberarsi da
tutte quelle costrizioni, non adeguate al proprio animo libero, era
stato troppo forte e non aveva saputo resistere.
Corse
e camminò a fasi alternate, quando i polmoni bruciavano per
lo
sforzo cui la giovane fanciulla li sottoponeva. Infine la notte
calò,
e il Sole, anche quel giorno, andò a salutare l'altra parte
del
mondo, nascondendosi agli occhi della gitana, che man mano la notte
si faceva sempre più nera, si sentiva sempre più
spersa. E a poco
valeva la presenza delle stelle luminose in una notte come quella.
Non riusciva a tranquillizzarla niente. Solo la presenza del suo bel
capitano avrebbe potuto alleviare quella tetra notte, nera come nera
era la veste di quell'uomo del demonio. E questo la terrorizzava, la
rendeva ancora più insicura di quanto già non
fosse. Dei... che
cosa le era saltato in testa di uscire da sola senza neanche Djali
con se e non badare alla strada che percorreva. Era sola in un posto
che non conosceva. E non sapeva quali brutti e spaventosi ceffi si
potessero nascondere nell'oscurità della notte. Notte nera
senza
Luna, oltretutto. Con tante stelle, sì, ma senza luna.
Iniziò a
pregare la sua famiglia, Clopin e la sua anima che l'accompagnasse e
l'assistesse. Che non l'abbandonasse proprio quella notte. Che
tornasse a casa sana e salva. Pregò camminando
finché le gambe non
cedettero e lei dovette arrestare la sua camminata. Forse
è
meglio fermarmi. So quello che ho visto ma non quello che
vedrò. Se
andassi avanti probabilmente potrei fare brutti incontri, e ora come
ora è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Qualcuno mi
verrà a
cercare... Almeno spero. Pensò la fanciulla.
***
E
non aveva tutti i torti. Più di una persona, sua madre e
Gringoire,
si erano messi a cercarla, non avendola vista tutto il giorno. Con il
cuore in affanno aveva girato quelle vie per tutto il giorno
cercandola, con il terrore di averla persa nuovamente, proprio quando
l'aveva ritrovata dopo quindici lunghi anni lontana da lei. A lei si
era unita subito la capretta, seguita a ruota dal giovane poeta,
timoroso egli di perdere la capretta, nonché la sua migliore
allieva. L'avevano cercata in lungo e in largo azzardando persino
qualche via vicino alle porte di Parigi, senza però
inoltrarsi più
del necessario nella città.
-La
mia bambina, la mia bambina... Hai trovato la mia bambina, la mia
piccola Agnes, Pierre, dimmi di sì!- ripeteva ormai come una
cantilena ogni volta che lo incontrava in un punto di ritrovo che
decidevano di volta in volta, per evitare di non perdersi, almeno
loro. E ogni volta il poeta dissentiva.
All'ennesimo
incontro, Pierre sorrise e propose:
-Sentite,
signora, e se andassimo a chiedere al monsignore della Cattedrale?
È
un mio amico e sono certo che se gli chiederemo aiuto per trovare la
nostra giovine rondine, non ce lo negherà.- fece sorridendo
al
ricordo del suo amico che qualche giorno prima, proprio con lui,
aveva ammesso di pensare a quella fanciulla. Inutile dire che la
donna accolse con entusiasmo la proposta. Poi parve riflettere bene
un attimo sull'idea.
-E
se ci vedessero le guardie?- chiese lei timorosa. -L'arcidiacono ci
ha detto di non farci vedere in città per un po'.- disse
ricordando
le parole del prete.
-Andremo
non appena il sole sarà tramontato. Stanotte è
una notte senza
luna.- disse lui. La donna rincuorata sorrise.
-Ottimo,
allora.- rispose lei anche se l'idea di non fare nulla fino al
tramonto non la tranquillizzava per niente. Guardò il cielo
e
rivolse alla sua bambina un pensiero di conforto, come se potesse
sentirla. E poi ritornò al rifugio accompagnata dalla
capretta e dal
poeta.
***
Il
sole era tramontato da tre ore, la notte era buia e nei vicoli poco
lontano dalla cattedrale si stava già animando la notte cui
partecipavano tutti i malviventi della città. Ladri,
tagliaborse,
prostitute, allibratori, soldatacci da taverna animavano quella
città
dalla duplice natura, sostituendo la ricca borghesia benpensante di
Parigi. Si sentiva già il vociare della feccia della
città, così
l'arcidiacono di Josas definiva quelle anime perse e senza morale e
dignità da fare del proprio corpo e dei vizi capitali la
loro
principale fonte di guadagno.
La
notte era senza luna, solo le stelle illuminavano una notte che
altrimenti sarebbe stata nera. Sulla città, già
ampiamente
oscurata, si stagliava l'immensa figura dell'imponente cattedrale.
Era nera come la notte e le sculture, i Gargoyle e gli altri mostri
incombevano nella loro mostruosità e repellenza sulla
popolazione
parigina. Solo una luce testimoniava la presenza di una persona
vivente all'interno di quell'architettura gotica. La luce flebile di
una candela, tanto forte da sembrare un fuoco infernale per la gente
ignorante, illuminava, nella torre di destra di Notre Dame, una
scrivania di legno cosparsa di fogli e pergamene, alcune scritte e
altre vuote, e un volume di alchimia aperto sopra tutto il resto.
Chino su di esso, Claude Frollo vergava con nero inchiostro appunti,
parole scritte nella speranza di scoprire finalmente il segreto della
pietra filosofale, e riuscire a trovarla. Stava scrivendo
meccanicamente, senza soffermarsi realmente sull'esatto significato
delle parole, tanto era concentrato dal seguire la linea d'ombra che
si andava creando sulla pergamena a mano a mano che il pennino
rilasciava l'inchiostro nero. Nero come la notte, come la sua tonaca
che mai avrebbe potuto togliere e disconoscere, quella stessa tunica
per il quale era tanto odiato dalla sua bella Esmeralda. Nero come
l'ebano, il colore dei suoi capelli, ricci. Ancora lei! Dannazione
non è possibile che mi torturi così anche ora!
Lasciò cadere
stanco il pennino sulla scrivania e si appoggiò stancamente
sulla
sedia, passandosi stancamente la mano sugli occhi e sul viso. Forse
avrebbe dovuto dormire un po'. Stava per alzarsi e andare a dormire
quando sentì bussare alla porta.
-Avanti.-
disse lui stancamente.
-So
che è tardi, Arcidiacono. Mi dispiace disturbarvi. Posso?-
chiese il
poeta aprendo la porta.
-Non
stavo facendo niente di particolare: in cosa posso aiutarti?- chiese
sorridendo.
-Non
è me che dovresti aiutare, ma una donna.- fece lui per poi
voltarsi
verso l'uscio, dove Paquette restava timorosa. Erano anni che non
entrava nella dimora di un uomo di Chiesa e i ricordi ora
riaffioravano prepotentemente alla memoria. -Non avere paura,
Paquette, vieni pure.- fece il poeta sorridendo. La donna prese un
sospiro ed entrò. Rimanendo stupita quando vide Claude, e
tirò un
sospiro di sollievo. Claude a sua volta la guardò
preoccupato. Era
la madre della sua piccina, perché venire se non per...
-È
successo qualcosa a Esmeralda?- chiese tradendo leggermente il tono
preoccupato della sua voce.
-Non
la trovo più. È tutto il giorno che la cerco, che
la cerchiamo, ma
non la troviamo. L'abbiamo cercata ovunque. Potete aiutarci?- chiese
lei con le lacrime agli occhi. Tutte uguali le donne. Quando hanno
bisogno non esitano a fare gli occhi dolci e pietosi e una volta che
ottengono ciò che desiderano, si voltano dall'altra parte e
ti
disprezzano.
-E
perché chiedete a me? Sono certo che non ha alcuna
intenzione di
farsi trovare da me.-
-Vi
scongiuro, monsignore.- fece lei piangendo. La guardò per
qualche
istante. Prese il mantello e mentre spegneva la luce della candela,
iniziò a scendere le scale seguito dai due per poi uscire
fuori
all'aria fresca della notte in piazza. In quella piazza che aspettava
fremente di poter mettere fine alla vita della piccola rondine.
-Avete
cercato anche in città?-chiese lui.
-No
ma non vedo perché avrebbe dovuto allontanarsi da sola
così tanto.-
fece la madre. I due uomini si guardarono.
-Per
andare dal suo bel capitano.- fece lui. E iniziò a dirigersi
verso
la casa della giovane ricca borghese. Le luci erano ancora accese e
il palafreno di quel soldato c'era. Se era qui, non poteva esserci la
zingarella: avrebbe passato il tempo nelle segrete a interrogarla e
processarla, magari anche torturarla. Trasalì a quel
pensiero mentre
gli tornavano in mente le grida della sua piccina mentre la
torturavano e lui non poteva fare niente per evitarle tutta quella
sofferenza.
Sospirò
e riprese a cercare in città fino a spingersi fuori
città, oltre le
porte di Parigi, lanciando più volte occhiate al cielo,
sempre più
nero. Il tempo passava, la visibilità sempre più
scarsa. Si spinse
fino ad allontanarsi dalla città totalmente e iniziare a
camminare
per i campi, chiamandola per nome con tutto il fiato che aveva in
gola. Sia per trovarla, sia per poter gridare al mondo il nome della
sua amata, trovando un certo sollievo nel poter dire quel nome tanto
dolce ad alta voce. La chiamò mentre il suo cuore esplodeva
dalla
gioia nel gridare quel nome.
***
La
notte era sempre più buia, fredda e non riusciva
più a tenere il
corpo fermo, che tremava dal freddo. Era rimasta ferma per ore, senza
mai muoversi per quanto il suo corpo lo desiderasse. Presto era
arrivato il formicolio ai piedi, poi alle gambe. E ora muovere ogni
minimo arto la infastidiva fortemente. Il viso nascosto tra le
ginocchia era perennemente bagnato da lacrime di terrore, paura
solitudine e disperazione. Voleva il suo sole, il suo amore. Voleva
il giorno, il suo Febo. Quella notte la spaventava. Le ricordava quel
prete di cui non sapeva neanche il nome. Tutta quella sofferenza,
quel dolore! Voleva solo dimenticare lui e tutto quello che era
successo.
Vieni
a portarmi via! Portami via sui monti dell'Andalusia! Ti scongiuro.
Questa è una città cattiva, che mi ha fatto
soffrire tanto. Non
voglio più vederla questa città. Mai
più nella mia vita! Pensò
lei. Voleva andarsene, voltare pagina, farsi una nuova vita lontano
da quel mondo pieno di violenza. Voleva scappare lontano da quel
vecchio prete che la desiderava e che non perdeva occasione di
riconfermare il suo amore.
Pianse
fino a non avere più lacrime da versare. Proprio in quel
momento
sentì l'erba accanto a sé frusciare. E una figura
avvicinarsi.
-Chi..
Chi è?- chiese spaventata strozzando un urlo in gola, pronta
a
urlare nel caso ce ne fosse stato bisogno; intanto la nera figura
avvolta in un mantello si avvicinava a passo sicuro verso di lei,
come se fosse lei, proprio lei che voleva.
***
L'aveva
cercata per ore e ore, nel freddo della notte. Chiamandola
continuamente. Finché non sentì dei sussulti. E
dei singhiozzi. Si
avvicinò titubante finché
nell'oscurità non vide una sagoma
rannicchiata. La schiena scossa da sussulti, mentre si raggomitolava
per i brividi sempre di più.
Si
avvicinò sempre di più e quando la fanciulla
alzò gli occhi neri,
i capelli ricci di ugual colore, il suo cuore perse dei battiti.
Iniziò a battere sempre più forte. Più
forte di un tamburo. Si
avvicinò a passo sempre più sicuro, mentre la
fanciulla arretrava,
o almeno ci provava sempre di più. Quella graziosa ninfa,
quella
piccola leggiadra rondine danzante, intimorita ora, era poco distante
da lui, a pochi passi. Quel corpo da dea, che aveva sognato per notti
intere, giovane, caldo, era lì. E ora che erano soli... No!
La
desiderava moltissimo.. ma non l'avrebbe mai presa senza la sua
volontà. Per quanto la desiderasse non si sarebbe mai
comportato
come quel soldataccio che lei amava tanto. Perché se i ruoli
fossero
stati invertiti, lui ne avrebbe approfittato di certo.
-Esmeralda,
piccina mia, sono io. Non avere paura.- disse lui dolcemente.
***
Nel
vedere quella figura, lei si ritraeva. Le mani a terra arretrava
mentre le gambe trovavano di nuovo la loro vitalità e si
sottraevano
a quella figura spaventosa e inquietante. Quella voce...
-No!
Va via prete maledetto! Va via! Io voglio il mio Febo!- fece lei
mentre sentiva le lacrime salire nuovamente. -Lui mi ama.
Perché non
c'è? Che ne hai fatto?!- e mentre le lacrime sgorgavano
mentre la
sua mente ricordava quella terrificante notte.
Lui
la guardò e la prese per i polsi, mentre lei si ribellava
dimenandosi come una furia. Lui la fece girare e la strinse
fortemente a sé, con la sua schiena contro il proprio petto.
-lasciami! Lasciami!- fece lei gridando e piangendo.
***
La
stava tenendo stretta a sé, ancora non gli sembrava ancora
vero. La
sua pelle giovane e morbida, ambrata, era separata dal suo corpo solo
da qualche strato di vestiti. Lei che si dimenava, versava lacrime,
desiderando di essere salvata da una persona che non la voleva e non
la amava.
-Sht,
tesoro, non piangere. Va tutto bene... Tua madre è venuta a
cercarti, con Pierre. Ma tuo marito non è stato abbastanza
bravo da
trovarti.- disse mentre le sue dita accarezzavano i suoi capelli e il
suo collo. Il corpo ora era rigido, come se aspettasse da un momento
all'altro la colpisse.
-Perché?
Perché non mi lasciate in pace? Perché non mi
lasciate andare dal
mio Febo.- chiese lei.
-Perché
ti amo e lui no. Perché IO sono qui. IO sono venuto a
cercarti. IO e
non lui. IO ti amo. Io, lo capisci?- chiese lui voltandola verso di
sé, tenendola per le braccia. Lei si divincolò.
-Non
toccatemi, vecchio prete. So che lui mi ama. E io amo lui. Lui e non
te, prete infernale. Non toccarmi mai più.- fece lei. Claude
la
lasciò andare, senza cercare di afferrarla.
In
quel momento arrivarono la madre e il marito della ragazza.
***
-Mamma!-
fece vedendo la figura femminile dietro quell'uomo nero. Lo
superò
come se non ci fosse e corse tra le braccia della madre piangendo
felice.
-Tesoro!!
Ma dove eri finita! Non farlo mai più. Mai più
mai più tesoro mio!
Sono stata così tanto in pena...- fece lei piangendo a sua
volta.
-Scusa,
mamma, non accadrà più. Volevo... allontanarmi,
dimenticare tutto
ciò che era successo quest'anno e poi... ho perso la strada
del
ritorno. Perdonami mamma, non lo farò mai più.-
fece stringendosi a
lei, ricambiata.
-Non
importa. L'importante è che tu ora stia bene. Dai, torniamo
a casa.-
disse la madre dolcemente. E dopo aver ringraziato ancora i due
uomini, tornò con la sua bambina alla Corte dei Miracoli.
Angolo Autrice: chiedo perdono per il ritardo con cui ho postato il capitolo ma sono state due settimane piene e questo è l'ultimo anno di liceo.. però questa storia la sto scrivendo con tanta partecipazione e credo che sarà la prima che finirò.... XD magari potrei postare un capitolo a settimana... così aggiornerei regolarmente per la mia e la vostra felicità!!! (spero!! XD). Ringrazio ancora tantissimo Minimelania per aver recensito e aver aggiunto la la storia tra i preferiti. Ringrazio ancora Claudio Frollo e x_LucyLilSytherin per aver aggiunto la storia tra i preferiti. e chiunque sia passato di qui a leggere. per qualunque consiglio o critica eventuale... Sono pronta ad ascoltarvi!!!!! Al prossimo capitolo un bacio a tutti!!
Lady N.