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Autore: _camus_    05/11/2011    6 recensioni
Ogni stagione è legata all'altra, incontri e addii formano il cerchio, il sacro centro è la nostra armatura, dove tutto cambia, tutto è eguale.
[Marion Zimmer Bradley]

Un ricordo a stagione; uno per personaggio.
Memorie incancellabili fissate per sempre dallo scorrere ciclico di Primavera, Estate, Autunno e Inverno – comprese le mezze stagioni.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Mu, Gemini Saga, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Autunno

3. Autunno

  


«LIGHTNING BOLT!»

Milo sorrise: se l'aspettava. Aveva avvertito che Aiolia stava raccogliendo il cosmo necessario a lanciare il suo colpo.

Così, non gli fu difficile scansare con uno scarto il pugno intriso di scariche elettriche che andò a fendere prima l'aria, poi la dorata terra dell'Arena – a placare la frustrazione del suo possessore.

«Avanti, caro Leo, impegnati! Puoi fare di meglio!» lo prese in giro bonariamente, guardando soddisfatto il punto bruciacchiato dove si trovava appena un momento addietro; era stato molto veloce nello spostamento, considerando che non indossava l'armatura.

Le guance dell'amico, già arrossate dalla fatica e dal fievole sole del primo pomeriggio, si colorarono ulteriormente di sdegno.

«Ah sì!? Ora ti faccio vedere io, sbruffone!» dichiarò con un ruggito tonante, tendendo i muscoli, pronto a un nuovo assalto come un leone in procinto di spalancare le fauci.

«Una belva che punta la preda».

Alle volte era sorprendente quanto il suo carattere, le sue movenze, la sua stessa indole sfociassero in quelle del segno da lui incarnato – fiero, forte, coraggioso, istintivo e feroce al pari del re della Savana: così appariva e di fatto era Aiolia di Leo.

A detta di molti, comunque, non era il solo a rispecchiare le caratteristiche delle proprie stelle; anche Milo veniva spesso accostato allo scorpione per arguzia e pericolosità.

In realtà, lui non condivideva l'opinione di chi lo rimproverava di essere venefico e infido: a onor del vero, la zazzera bionda e gli occhioni colorati di mare che vedeva nella sua immagine riflessa allo specchio gli parevano tutto, fuorché minacciosi.

«Questo perché non hai mai avuto occasione di osservarti combattere» gli aveva detto poco tempo prima Aldebaran del Toro, ridendo dei suoi dubbi «Dammi retta, Milo, la sicurezza e l'espressione sadica che assumi mentre scagli lo Scarlett Needle non hanno nulla da spartire con l'aria ingenua dietro cui ti nascondi! Nella vita sei effettivamente piuttosto innocuo – nel senso buono del termine, non mi fraintendere –, ma in battaglia lasci uscire il tuo vero volto, quello della costellazione a cui appartieni».

«Giusto» gli aveva dato man forte Mu dell'Ariete «Ognuno di noi ha un fattore preponderante che lo caratterizza; per quel che ti riguarda, non ho dubbi sul fatto che sia meglio averti come amico che come nemico».

«Forse hanno ragione; sarà che, nonostante tutto, ancora mi risulta difficile pensarmi come un cavaliere di Atena».

La manifestazione del cosmo dorato già in tenera età, gli anni di durissimo addestramento e, alla fine, la tanto agognata investitura non erano stati sufficienti a convincere Milo di essere a tutti gli effetti uno dei dodici sacri guerrieri osannati in miti e leggende.

Persino l'armatura gli aveva creato qualche perplessità: la prima volta che l’aveva indossata, pur avvertendo un’istantanea e meravigliosa sensazione di completezza, era rimasto sconvolto da tutto quell'oro su di sé, quasi credesse di non meritarselo.

Per non parlare, poi, dell'appellativo acquisito insieme alle vestigia: “Milo di Scorpio”. Durante il rito di vestizione, quando il Gran Sacerdote l'aveva chiamato al suo cospetto usando tale altisonante titolo, non era riuscito a impedirsi di sobbalzare.

Un simile atteggiamento poteva sicuramente risultare infantile, ma lui non riusciva a farci nulla se, sotto la corazza, si sentiva sempre e solo Milo.

Perso nei suoi pensieri e completamente dimentico dello scontro in atto, si fece cogliere di sorpresa dal secondo attacco di Aiolia che, questa volta, lo centrò in pieno, schiantandolo con violenza qualche metro più in là.

«Ebbene? Ora chi è, quello che può fare di meglio?» chiese trionfante Leo.

«’Lia, accidenti a te! Per forza mi hai colpito, non ti stavo prestando attenzione!» sbottò lui, offeso e un po’ stizzito per aver fatto magra figura.

«Colpa tua: con uno come me, non ci si possono permettere distrazioni» sorrise l'altro, tendendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi.

«Borioso».

«Smidollato».

«Smidollato?!»

Al che, abbandonata ogni convenzione formale e civile da tenere in un duello alla pari, presero a darsele di santa ragione, rotolandosi e ridendo come ragazzini.

«Ma che state facendo voi due? Smettetela subito, recuperate un po’ di dignità!» disse una voce divertita da un punto imprecisato sopra di loro.

«Vuoi partecipare anche tu? C'è posto!» fu il gentile invito di Aiolia, che non alzò neanche la testa per guardare chi avesse parlato.

«Idiota, ma che vai cianciando?! É Aldebaran!»

«Per carità, non dicevo sul serio!» si rimangiò tutto Leo, cessando di tirare gomitate a destra e a manca.

«Oh, non pensavo di essere così spaventoso!» ammiccò Taurus, l'ampio petto scosso da risate trattenute a stento.

«La nostra non è paura, caro mio! Si chiama “istinto di sopravvivenza” e corrisponde all'innato impulso di rifuggire situazioni svantaggiose – tipo un corpo a corpo contro un avversario grosso il doppio di noi!» spiegò Milo, nel tentativo di difendere il loro onore.

«Esatto: non ci tengo proprio a farmi stritolare o schiacciare da un armadio vivente. Senza offesa, Al» aggiunse Leo «E a te, biondino, proporrei una tregua: sento che mi si sta già gonfiando il naso».

«Accordata. Le mie costole chiedono pietà».

Scrollatisi la polvere di dosso, i tre amici si sedettero negli spalti più vicini, continuando a chiacchierare allegramente; si erano ricongiunti da poco tempo e avevano ancora tante cose da raccontarsi.

Scorpio amava parlare, ma non era un grande ascoltatore; dunque, se rimaneva in silenzio troppo a lungo, tendeva a distrarsi.

Così, mentre Aldebaran narrava di foreste tropicali ed enormi serpenti, egli prese a fantasticare osservando il pallido cielo autunnale finalmente sgombro di nuvole.

Ottobre era passato in un turbinio di pioggia e un freddo prematuro aveva già privato gli alberi del loro colorato fogliame – fogliame che ora giaceva a terra, agitato dal vento in tante piroette gialle, rosse e arancioni.

L'arrivo di novembre aveva portato inaspettate schiarite e un nuovo innalzamento della temperatura, tanto che sembrava di essere tornati agli inizi di giugno, quando pare già di sentire la sensazione dell'acqua salata sulla pelle e i vestiti pesanti sono da riporre in un angolo dell'armadio.

Death Mask, che era cresciuto in Italia, la chiamava “l'estate dei morti” e Milo, dal canto suo, la trovava una definizione quanto mai azzeccata: solo un osservatore poco attento sarebbe potuto cadere in quella sorta di beffa stagionale.

Non era necessario essere poi così sensibili per avvertire che il sole, l'aria, la luce e i colori stessi non avevano nulla della sgargiante e rumorosa vitalità estiva; che, anzi, essi andavano sbiadendosi in maniera lenta e inesorabile, fino al momento in cui sarebbero arrivati a fondersi nel niveo e ovattato candore invernale.

Da bravo mediterraneo, lui aveva quasi in odio il freddo e il buio dei mesi che stavano per giungere; gli trasmettevano uno strano senso di vuoto simile a morte e, alla morte, egli non voleva pensare – «Quando tocca, tocca» si era sempre detto, nel corso della sua breve esistenza.

Ma dove collocare l'autunno?

L'autunno, infatti, stava nel mezzo; in mezzo fra il caldo e il freddo, fra il chiarore e le tenebre – fra la vita e la morte.

L'autunno era la stagione dei colori brillanti e degli alberi spogli, delle giornate terse e di quelle fitte di nebbia: tutto stava nel decidere se apprezzare o meno le mezze misure.

A lui piacevano? E agli scorpioni?

Cavolo, non lo sapeva.

«A voi piacciono le vie di mezzo?» intervenne improvvisamente, dando voce alle sue cogitazioni.

«Eh? Che c'entra, adesso?» gli risposero Aldebaran e Aiolia, rivolgendogli uno sguardo vacuo non dissimile a quello che si riserva ai pazzi.

«No, niente, lasciate perdere: devo aver battuto la testa da qualche parte» sdrammatizzò lui, cercando di liquidare in fretta la questione.

«In fondo, che importanza può avere? Una stagione, bella o brutta che sia, è solo testimonianza del tempo che passa, nulla di più».

«Insomma, Scorpio, datti una svegliata! É già la seconda volta che ti incanti, non è da te!» lo rimproverò Aiolia.

«Suvvia, Aiolia, non essere così severo!» lo difese Taurus «Comunque, se ti interessa, stavamo parlando degli ultimi arrivi. Che impressione ti ha fatto il novello cavaliere dei Pesci?»

«Che impressione mi ha fatto, chiedi. Ebbene, penso che sia una donna travestita da maschio. Posso capire tante cose, ma il rossetto è veramente troppo – e non si accontenta del lucidalabbra trasparente, no, lui lo mette rosa

La considerazione indignata fece sghignazzare i suoi compari, che evidentemente condividevano con lui lo stesso sospetto.

«Ahah, oh cielo» esclamò Leo, ripresosi dall'effetto della ridarella collettiva «Basta, su! Non sta bene spettegolare come vecchie comari: se è diventato cavaliere d'oro, di sicuro anche lui avrà le sue qualità – tendenze sessuali a parte».

«A proposito di novità,» disse Aldebaran, a sua volta tornato serio «venendo qui ho notato un po’ di trambusto all'ingresso del Santuario  – presumibilmente dovuto alla comparsa di un ragazzo con una fitta chioma rossa che mi pare di aver già visto. Deve trattarsi del cavaliere mancante… Aquarius, se non erro».

«Come?! Cioè, fammi capire bene: tu sapevi che Camus era qui e non hai detto niente fino a ora?!»

«Da quando in qua ti interessano così tanto i nostri compagni d'arme, Milo?»

«Ma lui non è uno qualsiasi! Lui è Camus

«E allora? Di lui mi sono rimasti impressi solo il colore dei capelli e l'antipatia. Ricordo perfettamente di aver pensato che, al suo confronto, persino il nostro amico illuminato fosse un gran burlone» commentò Aiolia, scettico «Non afferro il perché entusiasmarsi tanto per un soggetto del genere».

Già, perché? Ecco un'altra cosa che ignorava.

Milo era rimasto straordinariamente colpito da quel bambino schivo, giunto dalla – si diceva – bella Parigi, che al suo arrivo non spiccicava una sillaba di greco.

Aveva, nei gesti e nei movimenti, dei modi naturalmente eleganti, talmente sobri e composti rispetto a quelli della maggior parte di loro da sembrare un nobiluomo capitato per sbaglio in una riunione di popolani.

E poi i suoi capelli erano così rossi – tanto rossi da ferire lo sguardo. Tanto brillanti da sembrare vivi.

«Accidenti, ‘Lia, come sei critico! Non si può essere socievoli tutti allo stesso modo!» tentò di mediare il Custode della Seconda Casa.

«Socievoli?! Quello non sapeva nemmeno cosa fosse, la socialità. Parlava giusto con te – e solo per zittirti –, Milò».

“Milò” era il nomignolo affibbiatogli involontariamente da Camus, che poi gli altri avevano adottato a loro volta per sbeffeggiarlo; da piccolo Scorpio aveva adorato quel suo storpiare lievemente le parole per via dell'accento francese – che, secondo lui, rendeva più aggraziata qualsiasi espressione.

Milo l'aveva pensato spesso, durante quegli anni di lontananza: chissà come era diventato. Chissà se si ricordava di lui.

«Beh, ragazzi, io vado a salutarlo. Venite con me?»

«Sì, dai. Ho proprio voglia di scoprire se, in tutto questo tempo, ha finalmente imparato a parlar-»

«Tu avviati, magari ti raggiungiamo più tardi» proruppe invece il Toro, lanciando ad Aiolia un'occhiata che non ammetteva repliche.

«Siete sicuri?» chiese Scorpio, insospettito da quella inaspettata presa di posizione.

«Sì, certo: sicurissimi! Va’ pure» annuì quello, convinto.

«D'accordo. Allora ci vediamo dopo».

Mentre si allontanava, udì chiaramente la voce di Aiolia esclamare infastidita: «Ma che ti è preso? Per quale motivo non sei voluto andare insieme a lui?!»

«Perché sarebbe stato indelicato rovinare un incontro tanto particolare. Hai fatto caso a come gli si è illuminato lo sguardo, quando ho detto di aver visto Camus?»

«Temo di non capire».

«Non fa niente: vedremo poi, se ho avuto ragione».

Nel constatare che Al non era pienamente in torto, le labbra di Milo si tesero in un lieve sorriso imbarazzato.

Lasciatosi alle spalle l'Arena, non si soffermò a pensare dove potesse essere l'Acquario; per come se lo ricordava, era scontato che fosse andato a rintanarsi nelle proprie stanze.

Si diresse dunque a passo spedito verso l’Undicesimo Tempio, scambiando un veloce cenno di saluto con i Custodi delle Case precedenti.

Tuttavia, arrivato all'entrata della Sacra Anfora, si bloccò – l'impazienza scordata tutto d’un colpo.

«E se non mi riconoscesse? Se mi ritenesse un invadente per questa visita non richiesta o, peggio ancora, un ficcanaso?»

Del resto, avevano passato anni senza ricevere notizie l'uno dell'altro, e quelle poche settimane trascorse insieme non autorizzavano Milo a dire di averlo conosciuto bene – o semplicemente di averlo conosciuto e basta.

Erano divenuti adulti in continenti diversi, in modi diversi, con persone diverse, magari soffrendo in diversa maniera; chi gli assicurava che le fatiche e le crude esperienze dell'addestramento non l'avessero cambiato nel profondo?

A lui non era accaduto, ma come poteva conoscere quale sorte fosse toccata a Camus?

Improvvisamente, dietro di lui, si levò una voce – la sua.

«Ciao, Milò».

Milo si voltò lentamente – quasi temesse di spaventarlo – e, nel ritrovarselo dinanzi, il cuore gli mancò di un battito.

Due occhi più grandi di come se li ricordava lo studiarono a loro volta, discreti eppure curiosi.

Il tempo e la crescita avevano lasciato segni evidenti su di lui, mantenendo però intatta quella grazia che emanava già da fanciullo; i tratti del volto gli si erano affinati e il fisico, pur rimanendo esile, appariva tonico e asciutto.

«Un pregiato blocco di marmo che, grazie all'opera di un artista abile e paziente, è divenuto splendida statua».

I capelli, adesso, gli arrivavano alla vita ed erano sempre così rossi.

Le foglie cadute che il vento gli faceva vorticare ai piedi parevano scaturire da quella chioma dal colore sanguigno e i tiepidi raggi di sole, finendogli negli occhi, accrescevano la luminosità delle sue iridi dorate – un essere intessuto di giallo e rosso.

Un essere, bellissimo, intessuto d'autunno.

Valeva la pena di amare le mezze misure, se queste somigliavano tutte a lui.

 «Ciao, Camus».



 

. 



Note dell’autore

Ecco a voi la terza stagione!

Riconosco che la parte significativa del capitolo potrebbe apparire eccessivamente breve, rispetto a quella con funzione di “contorno”.

Ebbene, la cosa è frutto di una scelta ponderata: era mio interesse sottolineare l'importanza dell'attimo, la forza dell'impressione – anche se dubito fortemente di esserci riuscita. Spero gradiate comunque.

Alla prossima! 

 

   
 
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