3.
Autunno
Milo
sorrise:
se l'aspettava. Aveva avvertito che Aiolia stava raccogliendo il cosmo
necessario a lanciare il suo colpo.
Così,
non
gli fu difficile scansare con uno scarto il pugno intriso di scariche
elettriche che andò a fendere prima l'aria, poi la dorata terra
dell'Arena – a
placare la frustrazione del suo possessore.
«Avanti,
caro
Leo, impegnati! Puoi fare di meglio!» lo prese in giro bonariamente,
guardando soddisfatto il punto bruciacchiato dove si trovava appena un
momento
addietro; era stato molto veloce nello spostamento, considerando che
non
indossava l'armatura.
Le
guance
dell'amico, già arrossate dalla fatica e dal fievole sole del primo
pomeriggio, si colorarono ulteriormente di sdegno.
«Ah
sì!?
Ora ti faccio vedere io, sbruffone!» dichiarò con un ruggito tonante,
tendendo i muscoli, pronto a un nuovo assalto come un leone in
procinto di
spalancare le fauci.
«Una
belva
che punta la preda».
Alle
volte
era sorprendente quanto il suo carattere, le sue movenze, la sua
stessa
indole sfociassero in quelle del segno da lui incarnato – fiero,
forte,
coraggioso, istintivo e feroce al pari del re della Savana: così
appariva e di
fatto era Aiolia di Leo.
A
detta di molti, comunque, non era il solo a rispecchiare le
caratteristiche
delle proprie stelle; anche Milo veniva spesso accostato allo
scorpione per
arguzia e pericolosità.
In
realtà,
lui non condivideva l'opinione di chi lo rimproverava di essere
venefico
e infido: a onor del vero, la zazzera bionda e gli occhioni colorati
di mare
che vedeva nella sua immagine riflessa allo specchio gli parevano
tutto,
fuorché minacciosi.
«Questo
perché
non hai mai avuto occasione di osservarti combattere»
gli aveva detto poco tempo prima Aldebaran del Toro, ridendo dei suoi
dubbi «Dammi
retta, Milo, la sicurezza e l'espressione sadica che assumi mentre
scagli lo
Scarlett Needle non hanno nulla da spartire con l'aria ingenua
dietro cui ti
nascondi! Nella vita sei effettivamente piuttosto innocuo – nel
senso buono del
termine, non mi fraintendere –, ma in battaglia lasci uscire il
tuo vero volto,
quello della costellazione a cui appartieni».
«Giusto»
gli aveva dato man forte Mu dell'Ariete «Ognuno di noi ha un
fattore
preponderante che lo caratterizza; per quel che ti riguarda, non
ho dubbi sul
fatto che sia meglio averti come amico che come nemico».
«Forse
hanno
ragione; sarà che, nonostante tutto, ancora mi risulta difficile
pensarmi
come un cavaliere di Atena».
La
manifestazione
del cosmo dorato già in tenera età, gli anni di durissimo
addestramento e, alla fine, la tanto agognata investitura non erano
stati
sufficienti a convincere Milo di essere a tutti gli effetti uno dei
dodici
sacri guerrieri osannati in miti e leggende.
Persino
l'armatura
gli aveva creato qualche perplessità: la prima volta che l’aveva
indossata, pur avvertendo un’istantanea e meravigliosa sensazione di
completezza, era rimasto sconvolto da tutto quell'oro su di sé, quasi
credesse
di non meritarselo.
Per
non
parlare, poi, dell'appellativo acquisito insieme alle vestigia: “Milo
di
Scorpio”. Durante il rito di vestizione, quando il Gran Sacerdote
l'aveva
chiamato al suo cospetto usando tale altisonante titolo, non era
riuscito a
impedirsi di sobbalzare.
Un
simile
atteggiamento poteva sicuramente risultare infantile, ma lui non
riusciva a farci nulla se, sotto la corazza, si sentiva sempre e solo
Milo.
Perso
nei
suoi pensieri e completamente dimentico dello scontro in atto, si fece
cogliere di sorpresa dal secondo attacco di Aiolia che, questa volta,
lo centrò
in pieno, schiantandolo con violenza qualche metro più in là.
«Ebbene?
Ora
chi è, quello che può fare di meglio?» chiese trionfante Leo.
«’Lia,
accidenti
a te! Per forza mi hai colpito, non ti stavo prestando attenzione!»
sbottò lui, offeso e un po’ stizzito per aver fatto magra figura.
«Colpa
tua:
con uno come me, non ci si possono permettere distrazioni» sorrise
l'altro, tendendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Borioso».
«Smidollato».
«Smidollato?!»
Al
che,
abbandonata ogni convenzione formale e civile da tenere in un duello
alla
pari, presero a darsele di santa ragione, rotolandosi e ridendo come
ragazzini.
«Ma
che
state facendo voi due? Smettetela subito, recuperate un po’ di
dignità!»
disse una voce divertita da un punto imprecisato sopra di loro.
«Vuoi
partecipare
anche tu? C'è posto!» fu il gentile invito di Aiolia, che non alzò
neanche la testa per guardare chi avesse parlato.
«Idiota,
ma
che vai cianciando?! É Aldebaran!»
«Per
carità,
non dicevo sul serio!» si rimangiò tutto Leo, cessando di tirare
gomitate a destra e a manca.
«Oh,
non
pensavo di essere così spaventoso!» ammiccò Taurus, l'ampio petto
scosso da
risate trattenute a stento.
«La
nostra
non è paura, caro mio! Si chiama “istinto di sopravvivenza” e
corrisponde all'innato impulso di rifuggire situazioni svantaggiose –
tipo un
corpo a corpo contro un avversario grosso il doppio di noi!» spiegò
Milo, nel
tentativo di difendere il loro onore.
«Esatto:
non
ci tengo proprio a farmi stritolare o schiacciare da un armadio
vivente.
Senza offesa, Al» aggiunse Leo «E a te, biondino, proporrei una
tregua: sento
che mi si sta già gonfiando il naso».
«Accordata.
Le
mie costole chiedono pietà».
Scrollatisi
la
polvere di dosso, i tre amici si sedettero negli spalti più vicini,
continuando a chiacchierare allegramente; si erano ricongiunti da poco
tempo e
avevano ancora tante cose da raccontarsi.
Scorpio
amava
parlare, ma non era un grande ascoltatore; dunque, se rimaneva in
silenzio troppo a lungo, tendeva a distrarsi.
Così,
mentre
Aldebaran narrava di foreste tropicali ed enormi serpenti, egli prese
a
fantasticare osservando il pallido cielo autunnale finalmente sgombro
di
nuvole.
Ottobre
era
passato in un turbinio di pioggia e un freddo prematuro aveva già
privato
gli alberi del loro colorato fogliame – fogliame che ora giaceva a
terra,
agitato dal vento in tante piroette gialle, rosse e arancioni.
L'arrivo
di
novembre aveva portato inaspettate schiarite e un nuovo innalzamento
della
temperatura, tanto che sembrava di essere tornati agli inizi di
giugno, quando
pare già di sentire la sensazione dell'acqua salata sulla pelle e i
vestiti
pesanti sono da riporre in un angolo dell'armadio.
Death
Mask,
che era cresciuto in Italia, la chiamava “l'estate dei morti” e Milo,
dal
canto suo, la trovava una definizione quanto mai azzeccata: solo un
osservatore
poco attento sarebbe potuto cadere in quella sorta di beffa
stagionale.
Non
era
necessario essere poi così sensibili per avvertire che il sole,
l'aria, la
luce e i colori stessi non avevano nulla della sgargiante e rumorosa
vitalità
estiva; che, anzi, essi andavano sbiadendosi in maniera lenta e
inesorabile,
fino al momento in cui sarebbero arrivati a fondersi nel niveo e
ovattato
candore invernale.
Da
bravo
mediterraneo, lui aveva quasi in odio il freddo e il buio dei mesi che
stavano per giungere; gli trasmettevano uno strano senso di vuoto
simile a
morte e, alla morte, egli non voleva pensare – «Quando tocca,
tocca» si
era sempre detto, nel corso della sua breve esistenza.
Ma
dove
collocare l'autunno?
L'autunno,
infatti,
stava nel mezzo; in mezzo fra il caldo e il freddo, fra il chiarore e
le tenebre – fra la vita e la morte.
L'autunno
era
la stagione dei colori brillanti e degli alberi spogli, delle giornate
terse e di quelle fitte di nebbia: tutto stava nel decidere se
apprezzare o
meno le mezze misure.
A
lui piacevano? E agli scorpioni?
Cavolo,
non
lo sapeva.
«A
voi
piacciono le vie di mezzo?» intervenne improvvisamente, dando voce
alle sue
cogitazioni.
«Eh?
Che
c'entra, adesso?» gli risposero Aldebaran e Aiolia, rivolgendogli uno
sguardo vacuo non dissimile a quello che si riserva ai pazzi.
«No,
niente,
lasciate perdere: devo aver battuto la testa da qualche parte»
sdrammatizzò lui, cercando di liquidare in fretta la questione.
«In
fondo,
che importanza può avere? Una stagione, bella o brutta che sia, è
solo
testimonianza del tempo che passa, nulla di più».
«Insomma,
Scorpio,
datti una svegliata! É già la seconda volta che ti incanti, non è da
te!» lo rimproverò Aiolia.
«Suvvia,
Aiolia,
non essere così severo!» lo difese Taurus «Comunque, se ti interessa,
stavamo parlando degli ultimi arrivi. Che impressione ti ha fatto il
novello
cavaliere dei Pesci?»
«Che
impressione
mi ha fatto, chiedi. Ebbene, penso che sia una donna travestita da
maschio. Posso capire tante cose, ma il rossetto è veramente troppo –
e non si
accontenta del lucidalabbra trasparente, no, lui lo mette rosa!»
La
considerazione
indignata fece sghignazzare i suoi compari, che evidentemente
condividevano con lui lo stesso sospetto.
«Ahah,
oh
cielo» esclamò Leo, ripresosi dall'effetto della ridarella collettiva
«Basta, su! Non sta bene spettegolare come vecchie comari: se è
diventato
cavaliere d'oro, di sicuro anche lui avrà le sue qualità – tendenze
sessuali a
parte».
«A
proposito
di novità,» disse Aldebaran, a sua volta tornato serio «venendo qui
ho notato un po’ di trambusto all'ingresso del Santuario –
presumibilmente dovuto alla comparsa di un
ragazzo con una fitta chioma rossa che mi pare di aver già visto. Deve
trattarsi del cavaliere mancante… Aquarius, se non erro».
«Come?!
Cioè,
fammi capire bene: tu sapevi che Camus era qui e non hai detto niente
fino a ora?!»
«Da
quando
in qua ti interessano così tanto i nostri compagni d'arme, Milo?»
«Ma
lui
non è uno qualsiasi! Lui è Camus!»
«E
allora?
Di lui mi sono rimasti impressi solo il colore dei capelli e
l'antipatia. Ricordo perfettamente di aver pensato che, al suo
confronto,
persino il nostro amico illuminato fosse un gran burlone» commentò
Aiolia,
scettico «Non afferro il perché entusiasmarsi tanto per un soggetto
del
genere».
Già,
perché?
Ecco un'altra cosa che ignorava.
Milo
era
rimasto straordinariamente colpito da quel bambino schivo, giunto
dalla –
si diceva – bella Parigi, che al suo arrivo non spiccicava una sillaba
di
greco.
Aveva,
nei
gesti e nei movimenti, dei modi naturalmente eleganti, talmente sobri
e
composti rispetto a quelli della maggior parte di loro da sembrare un
nobiluomo
capitato per sbaglio in una riunione di popolani.
E
poi i suoi capelli erano così rossi – tanto rossi da ferire lo
sguardo.
Tanto brillanti da sembrare vivi.
«Accidenti,
‘Lia,
come sei critico! Non si può essere socievoli tutti allo stesso modo!»
tentò di mediare il Custode della Seconda Casa.
«Socievoli?!
Quello
non sapeva nemmeno cosa fosse, la socialità. Parlava giusto con te – e
solo per zittirti –, Milò».
“Milò”
era
il nomignolo affibbiatogli involontariamente da Camus, che poi gli
altri
avevano adottato a loro volta per sbeffeggiarlo; da piccolo Scorpio
aveva
adorato quel suo storpiare lievemente le parole per via dell'accento
francese –
che, secondo lui, rendeva più aggraziata qualsiasi espressione.
Milo
l'aveva
pensato spesso, durante quegli anni di lontananza: chissà come era
diventato. Chissà se si ricordava di lui.
«Beh,
ragazzi,
io vado a salutarlo. Venite con me?»
«Sì,
dai.
Ho proprio voglia di scoprire se, in tutto questo tempo, ha finalmente
imparato a parlar-»
«Tu
avviati,
magari ti raggiungiamo più tardi» proruppe invece il Toro, lanciando
ad Aiolia un'occhiata che non ammetteva repliche.
«Siete
sicuri?»
chiese Scorpio, insospettito da quella inaspettata presa di posizione.
«Sì,
certo:
sicurissimi! Va’ pure» annuì quello, convinto.
«D'accordo.
Allora
ci vediamo dopo».
Mentre
si
allontanava, udì chiaramente la voce di Aiolia esclamare infastidita:
«Ma
che ti è preso? Per quale motivo non sei voluto andare insieme a
lui?!»
«Perché
sarebbe
stato indelicato rovinare un incontro tanto particolare. Hai fatto
caso
a come gli si è illuminato lo sguardo, quando ho detto di aver visto
Camus?»
«Temo
di
non capire».
«Non
fa
niente: vedremo poi, se ho avuto ragione».
Nel
constatare
che Al non era pienamente in torto, le labbra di Milo si tesero in
un lieve sorriso imbarazzato.
Lasciatosi
alle
spalle l'Arena, non si soffermò a pensare dove potesse essere
l'Acquario;
per come se lo ricordava, era scontato che fosse andato a rintanarsi
nelle proprie
stanze.
Si
diresse
dunque a passo spedito verso l’Undicesimo Tempio, scambiando un veloce
cenno di saluto con i Custodi delle Case precedenti.
Tuttavia,
arrivato
all'entrata della Sacra Anfora, si bloccò – l'impazienza scordata
tutto d’un colpo.
«E
se
non mi riconoscesse? Se mi ritenesse un invadente per questa visita
non
richiesta o, peggio ancora, un ficcanaso?»
Del
resto,
avevano passato anni senza ricevere notizie l'uno dell'altro, e quelle
poche settimane trascorse insieme non autorizzavano Milo a dire di
averlo
conosciuto bene – o semplicemente di averlo conosciuto e basta.
Erano
divenuti
adulti in continenti diversi, in modi diversi, con persone diverse,
magari soffrendo in diversa maniera; chi gli assicurava che le fatiche
e le
crude esperienze dell'addestramento non l'avessero cambiato nel
profondo?
A
lui non era accaduto, ma come poteva conoscere quale sorte fosse
toccata a
Camus?
Improvvisamente,
dietro
di lui, si levò una voce – la sua.
«Ciao,
Milò».
Milo
si
voltò lentamente – quasi temesse di spaventarlo – e, nel ritrovarselo
dinanzi, il cuore gli mancò di un battito.
Due
occhi
più grandi di come se li ricordava lo studiarono a loro volta,
discreti
eppure curiosi.
Il
tempo
e la crescita avevano lasciato segni evidenti su di lui, mantenendo
però
intatta quella grazia che emanava già da fanciullo; i tratti del volto
gli si
erano affinati e il fisico, pur rimanendo esile, appariva tonico e
asciutto.
«Un
pregiato
blocco di marmo che, grazie all'opera di un artista abile e
paziente,
è divenuto splendida statua».
I
capelli, adesso, gli arrivavano alla vita ed erano sempre così rossi.
Le
foglie
cadute che il vento gli faceva vorticare ai piedi parevano scaturire
da
quella chioma dal colore sanguigno e i tiepidi raggi di sole,
finendogli negli
occhi, accrescevano la luminosità delle sue iridi dorate – un essere
intessuto
di giallo e rosso.
Un
essere,
bellissimo, intessuto d'autunno.
Valeva
la
pena di amare le mezze misure, se queste somigliavano tutte a lui.
«Ciao,
Camus».
Note
dell’autore
Riconosco
che la parte significativa del
capitolo potrebbe apparire eccessivamente breve, rispetto a quella con
funzione
di “contorno”.
Ebbene,
la cosa è frutto di una scelta
ponderata: era mio interesse sottolineare l'importanza dell'attimo, la
forza
dell'impressione – anche se dubito fortemente di esserci riuscita. Spero
gradiate comunque.
Alla
prossima!