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Autore: Ghen    06/11/2011    6 recensioni
Adeline ama leggere di Peter Pan, e una notte, proprio rileggendo le sue gesta, una donna entra dalla sua finestra come il suo beniamino.
«Pensi che la storia comincia con Peter che entra nella finestra di tre fratelli, e Wendy, la sorella maggiore, lo vede e si scambiano il primo bacio, anche se non è proprio un bacio, quello nel libro».
«Oh, un po’ come è successo qui, eh, Miss?».
«Ma Peter è un ragazzo».
«Ma le donne sono meglio», sorrise Julienne.
I pirati che danno la caccia al suo Peter Pan sono pericolosi e reali, attratti da quel sangue color argento…
[Partecipante al "[Original Scene 1] Il Morso e... il Nastro" di Eylis]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scuro, denso, vischioso. Plic. Inesorabile, cadeva a terra goccia dopo goccia. Cadeva dalla punta del nastro di seta rosso che portava ancora stretto in quella mano; ero zuppo del suo sangue.
Si trascinava i piedi storti ma ancora camminava, ripiegata su se stessa, gobba come non lo era stata mai. Il vestito strappato, i merletti presi a morsi; la manica destra portata via quasi come il braccio, tinto di rosso. Lei ansimava, ma ce l’aveva quasi fatta, non poteva mollare, non ora.
Plic. Un’altra goccia rossa cadde a terra e dal nastro se ne formò un’altra.
Voleva gridare… gridare il suo nome, ma non poteva, non ne aveva le forze. Lo sapeva bene che stava morendo.





r e s t l e s s n e s s


Anno 2499. Febbraio. Regno della Francia. Lione A, Villa Le Charme.
Socchiuse la porta con delicatezza e poi le diede un piccolo tocco, per chiuderla e far scattare la serratura. La vestaglia rosa, lunga, terminava con qualche merletto, proprio ai suoi piedi scalzi. Camminò verso il paffuto tappeto dalle tinte calde e tra i grandi cuscini colorati, così prese un libro dalla spessa copertina grigia; le sue rosee labbra sorrisero mentre scorrevano le pagine fino al segno lasciato la scorsa notte. Piegando la vestaglia alle gambe prese a sedersi delicatamente sull’immenso materasso del letto a baldacchino, per poi coprirsi e sistemare bene i cuscini dietro la nuca. Accese la sua abatjour e seduta comodamente cominciò a leggere, a bassa voce.
«Feeling that Peter was on his way back, the Neverland had again-», la sua candida voce si bloccò all’imprivviso. Avvertì uno strano rumore fuori della sua finestra e spalancò gli occhi verdi; infine pensando potesse trattarsi solo del vento che sbatteva i rami dell’albero in giardino, riprese la sua lettura, verso quel mondo fantastico che le piaceva tanto. «Woke into life». Udì di nuovo il rumore. Non poteva trattarsi di semplice suggestione: i rami sbattevano proprio contro la finestra ed era impossibile si fosse messo così tanto vento nel giro di pochi istanti, non sentiva altro a parte un unico ramo. Le sue labbra rosa sorrisero pensando potesse trattarsi di qualche scoiattolo. Ripose delicatamente il segnalibro in mezzo alle pagine e richiuse il libro, prima di scendere dal letto. Corse estasiata verso la finestra e spalancò le lunghe tende, ma quando aprì, affacciandosi, non fu uno scoiattolo ciò che videro i suoi grandi occhi: una macchia nera le saltò addosso dal nulla, gettandola a terra. La sua bocca fu tappata da una mano sporca che sapeva di sangue e terra, e i suoi occhi verdi, spalancati dal terrore, incontrarono quelli scuri della persona sopra il suo corpo, che le faceva segno di tacere. Il cuore della ragazza cominciò a rallentare i suoi battiti, per calmarsi, e così il suo respiro. Quando sembrò essersi calmata abbastanza, la mano sporca la lasciò andare e quella persona si rialzò, correndo ad affacciarsi alla finestra per controllare scrupolosamente da ogni lato e così chiuderla lentamente, facendo attenzione a non far il minimo rumore.  
Lei l’osservava impietrita, spaventata. Avrebbe voluto gridare: qualcuno dei camerieri ancora sveglio di certo l’avrebbe sentita, ma non ne aveva la forza, doveva prima riprendersi dall’orribile shock subito, pensava. E ora che guardava meglio quella figura e riusciva a distinguerne le forme dalla soffusa luce della sua abatjour, capiva che si trattava d’una donna. Una donna dai capelli neri raccolti con dello spago, tutta sporca e per di più puzzolente: continuava ad esaminare. E senza dubbi, pensava, doveva provenire da Lione B, la parte povera e rozza della città. Cosa ci faceva quella da quelle parti e soprattutto perché si era introdotta in casa sua?
Stava per aprire bocca quando la donna scura si gettò nuovamente su di lei, bloccandola a terra.  
«Non gridare, non chiamare aiuto, non fare niente», l’ammonì con lo sguardo.
Il suo pessimo alito le arrivava dritto alle narici, disgustandola.
«Se è venuta per derubarci, sappia che è finita nella villa sbagliata», sussurrò lei, tentando di respirare il meno possibile. «Mio padre è un feroce vampiro e quando lo saprà andrà su tutte le furie! Non ne rimarrà una briciola di lei, chiunque sia».
Alla donna scappò un fine sorriso per poi prendere a ridere di gusto, mantenendo bassa la sua voce. «Sì, sì, conosco tuo padre… Un piccolo e ricco signore che, avendo quasi paura della sua stessa ombra, ha una guardia davanti alla sua camera da letto ogni notte».
«Co…», si sentì infangata, «Come osa dire questo di mio padre?».
«Leggo i giornali», disse semplicemente prima di rialzarsi da terra e stendere una mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi a sua volta. «Miss Adeline Isis Lemaire. Io sono Julienne Faure, piacere di conoscerla».
«Non posso dire lo stesso», lei strabuzzò gli occhi. «Non mi terrò alla sua sporca mano per alzarmi dal pavimento, se lo scordi… Mi ha già toccato e sporcato abbastanza che non deve mai più azzardarsi a toccarmi con un solo dito, sono stata chiara?!». I suoi canini bianchi risplendevano sotto le sue rosee e delicate labbra.
«Oh, come volete, Miss. Effettivamente non sono molto pulita-», si bloccò, voltandosi intorno ad osservare quella grande stanza piena di rosa e soffici tinte. «Non quanto te e la tua camera da riccona… Qui i soldi se ne vanno a puttane, vedo, la tua sola stanza è grande quanto lo era casa mia quando ero bambina». Prese d’occhio l’enorme letto e senza rivolgere altro sguardo alla ragazza cominciò ad avvicinarcisi.
Adeline fece presto, sbraitando, ad alzarsi dal pavimento per interrompere il suo cammino. «Non si avvicini al mio letto, per carità», si mise subito in mezzo ai due. «Là è dove dormo!», spalancò occhi e bocca.
«Ma non mi dire, ed io che pensavo che i vampiri dormissero per terra come i cani», strabuzzò gli occhi scuri.
«Beh, non mi stupirebbe se il suo livello intellettuale non arrivasse a fare due più due, credo sia già troppo che sappia leggere».
«E a proposito di leggere», vide il libro e spostando la ragazza con un braccio saltò sul letto, per sdraiarsi e afferrarlo, controllandone la copertina. «Peter Pan», lesse. «Mai sentito. Miss si diletta con strani racconti prima di addormentarsi», rise, cominciando a sfogliarlo.
«Non lo tocchi! Tolga subito le sue mani dal mio libro preferito, finirà per sporcarlo», sbraitò, cominciando a rotolarsi sul letto per cercare di strapparglielo dalle mani, sembrando un’impresa fin troppo ardua: quella donna era scaltra e veloce, pensava, stringendo i denti.
La donna continuò a ridere, divertita, fin quando non la gettò da un lato del grande materasso e sopra di lei la tenne bloccata, con una mano sul libro, cercando di leggerlo lontano dalle sue mani, e l’altra sulla sua spalla, tenendola ferma con il braccio. «Miss è un po’ viziata, eh? Succede quando cresci in una villa e non nelle strade. Non romperò il tuo libro. E non lo sporcherò», lo poggiò infine sul materasso accanto a lei. «Tanto non lo so leggere».
«È in inglese».
«Appunto, non lo so leggere».
Si zittirono entrambe per pochi minuti, il tempo di risistemarsi sul letto, e darsi una breve occhiata.
«Cosa fa qui, è una ladra?», chiese Adeline, riprendendo il suo libro e poggiandolo sul comodino, dopo avergli dato con cura un’occhiata, quasi per paura glielo potesse riprendere.
«Sì», disse, «Sono una ladra, chi non lo è là fuori se si vuole vivere?! Ma non sono entrata qui per derubarti, stai tranquilla, Miss». Fu quasi un sorriso quello che si intravide dalle sue labbra sporche di fango. «Me ne andrò a breve, quindi non aver paura», il suo sguardo volò verso la finestra, incantata, ma entrambe si voltarono spaventate quando udirono ad un certo punto bussare alla porta. La donna scese e si nascose dietro al letto, quando la porta scattò e si aprì. Un uomo alto e robusto entrò per primo, e dietro di lui uno più piccolino, cicciotto e in vestaglia, un po’ pelato e coi baffetti, che scrutò a destra e sinistra prima di osservare sua figlia.
«Bambina mia, Lucien dice di aver avvertito degli strani brusii provenire dalla tua camera», diede un veloce sguardo alla sua guardia del corpo. «Va tutto bene?».
Adeline restò come in attesa, senza sapere cosa dire, scrutando la ragazza dietro al letto. «Sì», disse infine, «Solo non riuscivo a dormire e mi sono messa a leggere e… è tutto», scrollò le spalle.  
L’uomo annuì e dopo un’altra breve occhiata alla camera sussurrò la buonanotte, ed entrambi uscirono, per poi richiudere la porta alle loro spalle.
«Non hai detto niente…», bisbigliò Julienne, mettendosi seduta. «Grazie».
«Non so perché l’ho fatto», disse lei con sufficienza. «Quindi non mi ringrazi. Come ha detto che si chiama?».
«Julienne Faure».
«Ottimo, Miss Julienne», sussurrò, facendo sorridere l’altra ragazza. «Ora le consiglierei di andarsene, prima che cambi idea». Deglutì poi, quando vide lo sguardo dell’altra fisso sul suo, restando zitta. «Oh… lei non è un’assassina, vero?».
Julienne fece per ridere divertita da quell’affermazione, che la lasciò senza fiato. «No, no. Hai paura che ti uccida?».
«Beh, spero di no».
«Sei buffa, direi… adorabile», disse prima di darsi lo slancio e afferrarla dietro la nuca, per arrivare alle sue labbra rosee e calde e baciarla, sotto lo sguardo attonito di lei. La lasciò andare dopo poco, godendosi lo spettacolo di quella piccola Miss rossa e imbarazzata, quasi impaurita, che tremante si portava una mano alla bocca, ad occhi spalancati. Sembrava volesse dire qualcosa ma le parole le morirono prima di arrivare a destinazione.
«Non ho resistito», le fece per un attimo la linguaccia. Si alzò dal pavimento poco dopo, dirigendosi alla finestra.
«Lei…».
Julienne si voltò, per vederla infuriata, arrivandole addosso puntando un dito.
«Lei… Lei è assolutamente la donna più spregevole che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita».
«Si vede che non ne hai conosciute abbastanza», rise l’altra.
«Non scherzo. Lei mi ha rubato il primo bacio, sa che vuol dire? È una cosa importante per me, come ha potuto?! Ed io, gentile, non ho nemmeno avvertito mio padre della sua presenza qui», continuò a parlare ininterrottamente, «Lei non ha un minimo di riconoscenza».
«Ehi, devo darti un altro bacio per farti stare zitta?».
«Non osereste?».
«Tu dici?», rise Julienne. Aprì la finestra, guardando con attenzione fuori, prima di ansimare. Lo fece appena, ma i sensi sviluppati della natura da vampiro di Adeline lo avvertirono immediatamente: quella donna era preoccupata, qualcosa la turbava molto. Con il silenzio che si era creato, la ragazza poté sentire il flusso sanguigno di quella donna scorrere molto più veloce del normale e il cuore batterle ad un ritmo crescente.
«Da cosa scappava, Miss Julienne?», sussurrò poi, facendosi seria.
L’altra socchiuse per un attimo la finestra, per guardare lei dritta negli occhi. «Da alcune persone», rispose.
«Le vogliono fare del male?».
«Adesso vado», disse poi, senza rispondere. Spalancò la finestra e, acchiappando il ramo nel quale si era arrampicata, tentò un salto. «Riguardati, Miss», sorrise.
Adeline restò affacciata alla finestra e le due si scambiarono un lungo sguardo. «Torni…», sussurrò poi, come se non potesse farne a meno. «Torni. Se ha bisogno, dico… può sempre tornare qui».
Julienne per tutta risposta sorrise e scese dall’albero. Adeline restò affacciata alla finestra finché non la vide scomparire dietro al cancello e lungo la strada buia. Quello era stato uno strano incontro del destino.
 
 
I giorni passarono e Miss Adeline, ogni notte, come aspettasse il suo arrivo, lasciava aperta la finestra prima di andare a letto. Entrava un po’ di freddo ma non si poteva lamentare con la sua casa calda e le soffici coperte.
Aspettava il ritorno di Julienne, quella ragazza che, proprio come fece Peter Pan, entrò una notte dalla finestra e le portò via il primo bacio, anche se non proprio come descritto nel libro.
E infine tornò, un giorno della settimana seguente, stanca e ancora più sporca di allora, e non le mancò di regalarle un sorriso, scendendo dalla finestra trovata già aperta, a lei che la guardava posando giù il libro, seduta sul suo grande letto.
 
«Peter Pan... io penso», disse Adeline, con il libro tra le mani, «fosse uno dei primi vampiri».
Julienne rise di gusto, sistemandosi meglio il cuscino sulla testa. Era bello per lei stare sopra quelle coperte morbide e fresche, come mai aveva toccato con mano prima di intrufolarsi in quella villa. «Uno dei primi vampiri?».
«Sì, a pensarci bene… Non c’è scritto da nessuna parte, forse è un’idea solo mia, però…», portò in alto i suoi occhi verdi, pensando. «Lui resta bambino per sempre, non invecchia… anche se forse è solo il potere dell’Isola Che Non C’è, e infine sa volare. Ho letto molti libri e scorrono delle voci che dicono che i primi vampiri non potessero invecchiare e che potessero volare. Ho letto di uno che si trasformava addirittura in pipistrello!», fece stupita. «Ma questo, Peter non lo sa fare».
Julienne sorrise. «Parlami di questo Peter».
«Se vuole le leggo il libro, Miss Julienne. Lo so a memoria tante volte che l’ho letto; è bellissimo». Mosse un po’ le gambe che teneva incrociate, che cominciavano a far male. «Pensi che la storia comincia con Peter che entra nella finestra di tre fratelli, e Wendy, la sorella maggiore, lo vede e si scambiano il primo bacio, anche se non è proprio un bacio, quello nel libro».
«Oh, un po’ come è successo qui, eh, Miss?».
«Ma Peter è un ragazzo».
«Ma le donne sono meglio», sorrise Julienne.
Adeline non rispose e aprì il libro, nascondendo il suo viso tra le pagine.
Quello fu il primo dei tanti giorni a seguire che cominciò a narrare le avventure di Peter Pan a Julienne; e alla ragazza sembrava davvero che cominciasse a piacerle, o forse non era solo quel racconto a interessarla, ma l’ambiente, la sicurezza che provava stando lì ogni notte, e Adeline stessa, che candida e pura le infondeva una certa armonia.
Cominciò col venirla a trovare ogni giorno, e ogni giorno di ogni mese. Adeline iniziava veramente a fidarsi di Julienne e questa sedeva nel suo letto ogni notte, fino a coricarsi con lei per vederla addormentarsi leggendo quel libro, in una delle tante avventure. Julienne si era a suo modo affezionata a lei. Quella notte, le baciò la fronte e le rimboccò le coperte, per poi uscire dalla sua finestra come Peter Pan.
 
 
«Perché non resta ad abitare con me?».
Julienne la fissò con gli occhi scuri spalancati, per poi storcere il naso, in quella calda notte di Luglio. «Cosa, Miss?».
Adeline era una creatura innocente e pura, tuttavia non era nella sua natura passare per sciocca. I giorni passavano, i mesi passavano, e Julienne non volle mai parlare da ciò cui scappava, ma Adeline lo sapeva che man mano il tempo passava la sua paura cresceva. Le persone da cui si nascondeva la stavano mettendo alle strette, pensava. Miss Adeline non si lasciava sfuggire nulla ai suoi sensi sviluppati: Julienne era un’umana e il suo corpo non mentiva, quando il sudore le scorreva freddo sulla pelle, quando il cuore pompava nuovo sangue a ritmi pericolosamente forti, agitata, tentava di fingere con un sorriso. Ma non era un sorriso sincero, poiché i lati della sua bocca mentivano; Adeline aveva intuito che più il tempo passava e più quella forte ansia aumentava, quel turbamento. Era forse una data precisa quella che le faceva paura? Si chiese.
«Mi domandavo… se lei non potesse restare ad abitare qui con me, Miss Julienne… Non le piacerebbe? Parlerò con mio padre e la farò entrare nella mia famiglia».
«No», scosse subito la testa. «Lascia perdere, Miss».
«Perché no?». Dispiaciuta chinò la testa, per poi scrutarla con quelli immensi occhi verdi. «A me non importa se è la classe… È vero che lei viene da Lione B ma non mi interessa più, anzi non mi è mai importato».
Julienne la fissò in brevi attimi di silenzio, prima di accostarsi, alzandole il viso roseo con una mano sul mento, per fissarsi negli occhi. «Lo so», sussurrò, «E so anche cosa stai tentando di fare, Miss. Ma non ti devi preoccupare per me, so badare a me stessa», sorrise appena.
Anche quello era un sorriso che attraversava una pallida luce nei suoi occhi, si disse Adeline. E quel cuore… il suo cuore minacciava di scoppiarle nel petto, lo sentiva battere sulle sue orecchie come martelli, ma non glielo disse. Adeline non le disse tante cose. Non le disse di aver capito i suoi sentimenti per lei… ma forse Julienne lo sapeva, per un vampiro dotato di buona padronanza dei suoi sensi certe cose sono di facile intuizione, e lei sapeva che Adeline lo era.
Quella notte fu difficile per Miss Adeline vederla andare via.
 
 
Era una notte di freddo ottobre per Lione A. Questa volta, Julienne scavalcò con fatica il cancello di Villa Le Charme e ancora con più fatica riuscì ad arrampicarsi all’albero per poter arrivare a quella finestra. Si gettò con enorme difficoltà sul pavimento una volta oltrepassata la finestra già aperta, spaventando la povera Adeline che si era addormentata da poco, facendola sussultare. Credeva non venisse quest’oggi, era in ritardo.
«Miss Julienne!», esclamò. «Tutto bene?». Presto si liberò dalle pesanti coperte e corse coi piedi nudi verso la ragazza a terra.
«Sì, tutto a posto». Si rimise su con fatica: le gambe e le braccia le vibravano e Adeline notò lo sforzo.
«Tutto a posto un accidente, se permette», disse infuriata. «Cosa le è successo?».
«Sono solo un po’ stanca», rise Julienne. Notava con piacere che Miss Adeline arrabbiata era sempre molto buffa; faceva scaturire qualcosa in lei.
Adeline chiuse la finestra e l’aiuto a sdraiarsi sul materasso; veloce prese a coricarsi al suo fianco, sistemando le coperte addosso ad entrambe. Julienne chiuse gli occhi, tentando di riposarsi.
Il cuore di Julienne sembrò essersi calmato e Adeline tirò un sospiro di sollievo. Si mise su un fianco, per osservarla come meglio poteva. Era meno sporca del solito e notava con felicità che era sempre
meno sporca: doveva lavarsi più spesso da quando andava a trovarla, forse per fare bella figura. Il suo viso era più sereno ora, prima provato da un grande sforzo. Le curve del suo viso riflesse dalla luce della Luna che penetravano dalla finestra le davano una certa nobiltà che fino a quel momento non aveva mai notato.
«Miss Julienne», la chiamò, «Ha lottato contro dei pirati, quest’oggi?».
Rise appena, aprendo gli occhi. Ora si sentiva molto meglio, le forze le tornavano rigogliose… ora che era al sicuro. «Sì, mia Wendy», si voltò a lei. «Ho lottato contro molti pirati, ma sono riuscita a sfuggirgli».
«Sfugge da tanto, Miss Julienne», replicò, cominciando a passare un dito lungo il braccio della donna, fino a bloccarsi in un punto, un graffio, e Adeline spalancò per un attimo gli occhi verdi.
Julienne a quel punto si rimise seduta, spostando le coperte, allontanando il suo braccio.
Adeline lo risentiva, quel sangue scorrere a ritmi troppo veloci, il cuore agitato, il respiro affannoso: paura.
«Miss Julienne».
«L’hai visto?».
«Sangue argento…», sussurrò Adeline, «Miss Julienne, lei è una delle rare umane col sangue argento?».
Julienne sperava di aver totalmente tolto il sangue sulla sua ferita. Non doveva vederlo. Lei e nessuno doveva. Quel sangue…
«Il sangue argento, ho letto, dona vita immortale a chi se ne nutre… ed è un’ottima cura». I loro occhi restarono a fissarsi a lungo prima che Adeline si muovesse per prima, alzando la sua mano destra e poi l’altra. Di netto cominciò a tagliarsi il palmo della mano destra con l’unghia del pollice sinistro e il sangue denso, di un rosso scurissimo, cominciò ad affluire, sotto lo sguardo terrorizzato di Julienne e quello provato dal dolore di Adeline. «Vede, Miss Julienne», tentò un sorriso, dopotutto, «non è poi così diverso… Solo… risplende di un altro colore alla luce».
Aveva capito quanto Julienne avesse paura del suo sangue argento, e quanta paura le avesse fatto farle scoprire questo segreto. Era un segreto che le portava solo guai da quando era nata. Il sangue argento era una disgrazia. Adeline voleva tranquillizzarla e Julienne deglutì, osservando quel sangue di un altro colore.
Si voltò indietro, senza proferire parola, seguita dallo sguardo interrogatorio di Miss Adeline. Vide le tende alla finestra e corse ad afferrare il nastro rosso che le teneva legate. Tornando indietro, prese la mano sanguinante e, dopo un bacio alla ferita che sapeva di sangue, le passò intorno il nastro, finendo con un bel fiocco, tenendo la mano stretta alla sua. «Non fare… mai più una cosa del genere», la fissò ai grandi occhi verdi, «Tu sei una ragazza pura e delicata, non devi mai più sporcarti le mani per me. Questo nastro è ciò che ti si addice: perfetto e candido come lo sei tu», ci passò sopra le dita della mano sinistra, mentre la destra si accostava al suo viso, che delicata le carezzò una guancia. Il viso di Julienne si stava avvicinando al suo quando Adeline si scostò un poco, timidamente, e lei tornò indietro; gli occhi verdi fissarono i suoi e stavolta fu Adeline ad accostarsi, Julienne non mancò di socchiudere i suoi occhi scuri e baciarla.
Questo, pensava Adeline, era il suo primo bacio d’amore.
Si fissarono per un lungo istante ancora vicine l’una all’altra, quando Julienne spostò la mano destra dall’accarezzarle il viso su una spalla e delicatamente spingerla al materasso. Le loro labbra s’incontrarono anche allora; le loro mani ancora strette, con in mezzo quel nastro rosso.
Adeline allungò la mano sinistra libera ai capelli scuri di Julienne e tirando lo spago che li teneva legati li sciolse, lunghi e crespi le scendevano alle spalle, come poche altre volte li aveva visti.
«Ricordo», disse Julienne, «di mesi fa, quando ci incontrammo la prima volta: mi dicesti che non ti avrei mai più dovuta toccare con un solo dito», sorrise, continuando a carezzarle una guancia con l'indice destro, leggera.
Adeline deglutì. Talmente era agitata in quel momento, non riusciva più a sentir le vibrazioni che emanava il corpo dell’altra. Non le era mai successo di esser tanto tesa. Le sue rosee labbra si spalancarono per poi richiudersi e stringersi. Julienne non si lasciava sfuggire un solo particolare della tenerezza emanata dalla ragazza. Le guance di Miss Adeline ben presto si colorarono a vista d’occhio. «No…», cominciò sussurrando, presa dall’imbarazzo; tentando di scostare i suoi occhi verdi dal viso della donna. «Adesso le cose sono cambiate, Miss Julienne». L’altra sorrise. «Io… desidero essere toccata da lei. Lo desidero… più d’ogni altra cosa».
L’indice della mano destra delineò ancora una volta quel viso delicato per poi scendere al collo, con la stessa dolcezza, facendo scorrere dei brividi lungo la schiena della ragazza. Julienne lì si fermò, per cominciare a sbottonarle la vestaglia. Dovette lasciare la stretta alla mano ferita per concentrarsi sui bottoni e Adeline al contempo cominciò a tirare su la maglia stracciata che portava indosso Julienne. Sbottonata, intravedendo il sodo seno nudo di Adeline, Julienne si mise seduta facendo in modo di finire di togliere la sua maglia e gettarla da un lato del letto, mostrando il seno tenuto stretto da alcune bende, prendendo poi a baciarle il petto con delicatezza, lungo linee immaginarie. Adeline ansimò appena per quel contatto ma l’altra non si fermò, anzi andò più a fondo, cominciando a succhiare.
«Mi-Miss Julienne».
«Miss?».
«I-Io…», si nascose il viso con la mano destra, per un attimo, con il nastro che le scendeva lungo il naso. «Non so… ma credo di amarla, Miss Julienne».
Julienne sorrise, finendo per baciarla con delicatezza al centro del petto, per poi sussurrarle con le labbra poggiate «Anch’io… credo di amarti. Credo di averlo sempre fatto».
Julienne finì per toglierle con delicatezza la vestaglia e si sfilò lei stessa le bende dal suo seno, lasciandolo nudo. Adeline si mise seduta davanti a lei e cominciò a leccarle il petto, mentre Julienne la teneva stretta a sé: il profumo di quei capelli freschi e puliti era inebriante, l’avrebbe voluto sentire per sempre. Ma ancora più eccitante era il profumo di pesca che emanava il corpo della giovane vampira. Ed era così morbida, delicata e pura proprio come aveva sempre saputo; avrebbe voluto tenerla stretta a sé così ogni notte della sua vita.
Julienne la invitò a sdraiarsi di nuovo sul materasso caldo mentre lei finiva di togliersi i pantaloni divenuti ingombranti, e le scarpe rotte.  Le loro labbra s’incontrarono ancora e ancora. Adeline toccava il corpo della donna con cautela, tastandone le forme e carezzandole con le unghie.
Le mani di Julienne sfilarono le mutandine in pizzo di Adeline e quest’ultima allungò le mani per sfilare le sue. Completamente nude si accarezzavano e baciavano lungo i corpi, abbracciate, ne gustavano i sapori.
«E anche io… sai», bisbigliò Julienne sulle sue labbra. «Anche io lo desidero, e davvero tanto».
Con le labbra scese lungo il suo corpo, continuando a baciarla ed accarezzarla, e con le mani seguendo linee immaginarie ne disegnava quello stesso desiderio. Sistemandosi tra le gambe di Adeline continuò a baciare e la ragazza, tesa, cominciò a stringere le lenzuola e ad ansimare. La mano destra di Julienne seguì la sua bocca e lentamente le entrò dentro, assaporando quel momento.
Quella notte fu la più lunga per entrambe, e non ci fu Peter Pan a far loro compagnia. Il loro gesto d’amore durò per ore, fin quando l’alba minacciava di giungere e Julienne recuperò veloce i suoi vestiti, baciando appassionatamente Adeline prima di andare via. Miss Adeline sapeva che non sarebbe riuscita a fermarla neanche implorando.
 
 
«Vorrei che restasse con me sempre». Quei suoi occhi verdi la fissarono attentamente, seri, dopo essersi scambiate un lungo bacio.
Julienne sembrò sbuffare appena. «No. Pensavo di aver già toccato l’argomento».
Adeline questa volta sembrò portare un’espressione sul volto mai vista prima, e stringendo i suoi occhi e spalancando le narici si scostò dalla donna, afferrando il libro e mettendosi a leggere per conto proprio dall’altro lato del letto, con la mente e non a voce com’era abituata a fare. Julienne la fissò senza proferire parola, finché sbuffando ancora e storcendo la bocca si avvicinò a lei. «Cosa c’è che non va?».
A quelle parole, Adeline le alzò lo sguardo infuriato, poggiando con violenza il libro sul materasso. «Non mi permette di aiutarla». Sbraitò, tentando ad ogni modo di mantenere la calma per non far allarmare Lucien, la guardia di suo padre. «E non faccia finta di non capire, Miss Julienne, adesso basta! Io non conto nulla per lei? Il suo sangue argento: è per questo che la cercano? E chi, mi domando? Vorrei aiutarla».
Julienne abbassò lo sguardo, afflitta, e lentamente poggiò la sua testa fra le gambe della ragazza, osservandola dritta negli occhi. «Mi dispiace…», sorrise, «Miss ha ragione… Io volevo solo evitare di crearti inutili guai», le passò la mano sul viso, in una carezza. «Io non ho famiglia, ho perso mia madre quando ero ancora bambina. Mi sono facilmente affezionata a te, mi sono innamorata… non voglio perderti a causa del mio sangue».
«Neanche io voglio perderla, però, Miss Julienne… E così mi fa stare in pena… Ogni mattina quando se ne va dalla mia finestra, io-».
«Ho capito, ti chiedo perdono». Le prese la mano destra nelle sue, carezzando ancora quel nastro che la legava, per poi baciarlo. Non l’aveva ancora tolto da allora. «È davvero passato tanto tempo da quando l’ultima persona si è preoccupata per me, che non sapevo più come comportarmi. Sì, è colpa del mio sangue che un gruppo di persone malvagie mi insegue, dall’inizio di quest’anno tento di sfuggirgli, ma sanno dove rientro, non ho più una casa», finalmente cominciò a raccontare e Adeline sentiva il cuore della donna di nuovo frenetico. «Vogliono… mangiarmi», disse. Il cuore ancora più forte. «Ho paura…», ammise, «Uno di loro mi scoprì, una notte di fine febbraio, mentre scappai da un negozio di alimentari a Lione B: avevo appena rubato qualcosa da mangiare ma uno dei negozianti mi ferì di striscio a una mano con un rastrello. Mi nascosi in un angolo della città, credevo di essere sola, tentavo di ripulirmi la ferita, ma quello passò per di lì e mi vide. Vide il mio sangue argento. Da quel giorno mi danno la caccia. Pensavo che rifugiandomi a Lione A avrebbe fatto perdere le mie tracce, invece mi trovano ovunque… Probabilmente hanno spie un po’ dappertutto», prese fiato. Adeline la guardava immobile, ascoltando la paura che provava anche solo a parlarne attraverso il suo corpo. «Hanno deciso», riprese, continuando ad accarezzare la mano con il nastro rosso, «di portarmi viva al loro rifugio, ad est di qui, verso le fabbriche. Hanno una cella frigorifera, dove sperano di mettermi fino al giorno giusto. Il giorno giusto è capodanno. A mezzanotte hanno deciso che mi mangeranno e otterranno vita eterna». Si bloccò. Si mise da un lato e Adeline cominciò ad accarezzarle la testa, in segno di protezione. «Mi hanno già portata laggiù, la volta che mi hanno ferita. Sono scappata ancora non so come… Ho paura».
«Tutto questo non accadrà», sussurrò Miss Adeline, seria. I suoi occhi verdi si fecero di ghiaccio. «Lasci che mi prenda cura di lei, la prego».
«Cosa pensi di fare, Miss? Sono solo una poveraccia nata e cresciuta a Lione B, nessuno si prenderebbe la briga di farmi entrare in famiglia, nemmeno tuo padre, e appena scopriranno che posseggo il sangue argento mi venderanno o mangeranno loro stessi».
«Non lo dica neanche per scherzo!», alzò il tono di voce, infuriata. «Mio padre non oserebbe fare una cosa del genere. Lui ed io la proteggeremo, Miss Julienne. A costo della nostra vita».
Julienne osservò per un attimo gli occhi verdi colmi di determinazione e sorrise fiera. «Peter Pan è così che farebbe?».
«Sì», annuì, «Lui non lascia indietro nessuno, aiuta tutti, anche se a volte ha paura e non lo ammette».
 
 
Era una scura sera di fine novembre, il giorno dopo dell’avvenuta discussione. Adeline si era messa indosso uno degli abiti più eleganti che possedeva, sui toni del rosso, pieno di merletti e teneri pizzi, e si era legata indietro i capelli con un fine nastrino. Le sue delicate labbra rosa sorrisero risistemandosi meglio il nastro di seta rosso sulla mano destra, sopra quello che era ormai un piccolo graffio. Ci teneva ad essere il più elegante possibile quest’oggi, poiché avrebbero avuto un ospite a cena: Julienne Faure. Aveva chiesto a suo padre di riceverla, di invitarla a cenare in famiglia in modo che potessero conoscersi, per chiedergli espressamente il favore di farla entrare nel loro cerchio famigliare. Non era un vampiro, glielo aveva detto, ma un’umana di gran cuore e pura quanto loro. Si specchiò ancora per qualche attimo e poi uscì dalla sua stanza, scendendo le scale per ritrovarsi nel gran salone di villa Le Charme. Suo padre seduto sul divano centrale sfogliava un giornale, mentre Lucien, che non lo abbandonava mai, ne sfogliava un altro su di una poltrona.
L’uomo si voltò e sorrise, per poi concentrarsi sul suo orologio da tasca. «Bellissima come sempre, bambina mia», disse orgoglioso. «Tua madre e tua sorella arriveranno a momenti… L’ospite invece, a che ora hai detto che sarebbe arrivata?».
Adeline si voltò ad osservare il grande orologio a pendolo accanto ad un tavolino, e a sua volta sorrise al gentile padre. «Tra una decina di minuti dovrebbe essere qui».
Si diresse alla tavola già apparecchiata dove i camerieri e le cameriere finivano di sistemare i fiori e gli addobbi e lei stessa si assicurò che tutto fosse perfetto, a cominciare dai tovagliolini. Poi afferrò un giornale e si accomodò accanto al padre, scambiandosi una breve occhiata sorridente, per mettersi a leggere al suo fianco. Le prime pagine riguardavano solo cene di gala e sfarzosi ricevimenti, solo le ultime parlavano degli orrori che ogni giorno si commettevano a Lione B o nelle altre parti del mondo. Persone ricche e famose stavano in prima pagina, la gente che moriva si poteva trovare negli ultimi trafiletti, quella povera, quella cui a Lione A nessuno importa. I suoi occhi verdi si spostarono velocemente all’orologio a pendolo: ancora cinque minuti all’appuntamento. Turbata, ripose il giornale nel tavolino al centro e, tra gli altri, si mise a cercarne uno di suo gradimento; ben presto si accorse che erano tutti uguali se non per una faccia diversa in copertina.
«Tieni, Adeline», disse suo padre, «Prendi il mio se non ne trovi un altro che ti interessi, ho appena finito di leggerlo».
«Grazie, padre», sorrise, afferrando il giornale.
L’uomo ne prese un altro e la ragazza si risedette sul divano, dando una nuova occhiata all’orologio a pendolo: quattro minuti all’appuntamento. Era passato appena un minuto, Adeline non riusciva a distrarsi, si sentiva sulle spine. Il suo cuore batteva forte: era troppo agitata. Cosa le prendeva? Presto Julienne sarebbe arrivata e sarebbe entrata a far parte della sua famiglia, così avrebbe potuto proteggerla. Avrebbero abitato insieme, per sempre. Lei l’amava; avrebbe fatto qualunque cosa per proteggere Julienne.
I suoi occhi verdi restarono immobili a quella copertina, uguale alle tante altre, senza guardarla davvero. Non si era neppure resa conto di essersi completamente isolata nei suoi pensieri. I suoi occhi si mossero e guardò il nastro rosso sulla sua mano destra: il nodo si era allentato, così lo sistemò. All’improvviso si alzò in piedi: c’era qualcosa che non andava. Rimise il giornale sul tavolino e sia suo padre che Lucien le diedero appena uno sguardo.
«Bambina mia, tutto a posto? Qualcosa ti turba, forse?», l’uomo posò il giornale sulle sue ginocchia, fissando quello strano comportamento.
Miss Adeline fissò di nuovo l’orologio. Le lancette avevano appena segnato le otto e mezza, l’ora dell’appuntamento, e come un lampo a cielo sereno le ritornò alla testa il sorriso di Julienne. I suoi occhi verdi si spalancarono e presto si mise a correre verso la porta di casa.
«Adeline!», suo padre gridò, alzandosi dal divano seguito da Lucien, che fissando prima l’uno e poi l’altra non sapeva come doveva comportarsi, aspettando ordini. «Dove stai andando?».
Ma Adeline tacque, non sapeva nemmeno lei cosa dire, e corse, corse e basta. Aprì il portone, ritrovandosi ad un palmo dal naso dell’autista di famiglia e dietro di lui sua madre e sua sorella maggiore, che stavano rientrando a casa. Inutili furono i tentativi della donna di fermare sua figlia, che aprì il cancello di villa Le Charme e corse ancora.
 
Ancora e ancora, la sua folle corsa verso quel presentimento di un qualcosa di terribile. Gettò via le sue scarpette quando ancora era vicina alla villa, per poter correre più veloce. Non c’era tempo da perdere, verso est, verso le fabbriche. La strada buia non le faceva paura. Il cielo buio non le faceva paura. Quelli che avrebbero cercato di ucciderla, una volta arrivata là, non le facevano paura. Strinse i denti, mostrando i canini bianchi alla luce dei lampioni. E strinse gli occhi, colando le prima lacrime. Miss Adeline in quel momento pensò proprio che Peter Pan mentisse: non era che non volesse ammettere di aver paura, orgoglioso e imprudente, tentava solo di convincere se stesso, o non avrebbe mai affrontato i pirati.
 
Arrivata alle fabbriche cominciò a cercare quella giusta: il suo olfatto sentiva una traccia di sangue, anzi erano varie, capì, e questo la turbava un po’. Camminò lungo quell’unica scia di sangue di più persone e la portò dietro ad una fabbrica ancora in costruzione, in un piccolo edificio giallo e la porta bianca. Ora sentiva chiaramente il profumo della pelle di Julienne: era stata qui poco tempo fa; il suo presentimento era infine giusto. Strinse i denti, ringhiando.
Quattro uomini erano intorno ad un tavolino, giocavano a carte e tracannavano direttamente da grandi bottiglie; sembravano in fermento, festosi, che nessuno si accorse minimamente dell’ombra che stava davanti alla loro porta bianca, davanti al vetro, finché un uomo, arrivando dietro ad una porta, non la indicò e prese l’attenzione del gruppo. Tutti si alzarono improvvisamente dalle loro sedie, poggiando sigarette, birre e carte, mentre uno di loro si avvicinava ad aprire.
Scoppiarono tutti in una fragorosa risata quando videro che alla loro porta era una signorina ben vestita e di buona famiglia, che li aveva fatti spaventare per niente. Adeline si accostò ed entrò nella camera, osservando tutti, sentendo vari odori tra i quali fumo, piscio e sangue, vide che due di loro portavano delle bende. Sentiva l’odore del corpo di Julienne, e del suo sangue argento ancora fresco nell’aria. I suoi occhi verdi si fecero piccoli e i suoi canini più lunghi, ricominciando a ringhiare.
L’uomo più vicino le vide i denti e continuando a ridere le portò su il labbro superiore con un dito, esclamando divertito agli amici. «Guardate, è una vampira! Una bella, piccola vampira di buona famiglia…», si rivolse poi a lei. «Cosa ti porta fin qui, piccolina?».
Il sangue argento di Julienne… I suoi occhi verdi divennero piccoli come fessure. Lui l’aveva addosso. Con un ringhio gli saltò addosso, furente, e con un morso gli strappò via il braccio, per poi morderlo al collo e sgozzarlo. Si voltò agli altri con il sangue e la pelle che gli colavano dalla bocca e loro, terrorizzati, si armarono subito di fucili e pale, pronti per colpirla. Adeline spalancò la bocca e saltò, mentre uno di loro diede fuoco al suo fucile.
 
 
L’ultimo uomo teneva il suo collo con entrambe le mani, e stringeva sempre più forte. Di Miss Adeline non ne restava più niente: il vestito era uno straccio di sangue, tra il suo e quello degli uomini che aveva ucciso uno dopo l’altro senza pietà, e non aveva quasi più forze. Si sarebbe lasciata morire lì, sarebbe stato più facile, ma non senza aver protetto Julienne come aveva giurato di fare. Alzò le sue braccia penzolanti di sangue e strinse quelle dell’uomo con la forza che ormai non aveva più, perforando le carni con le sue unghie, costringendolo a lasciare la presa. Cadde a terra come un pesante sacco ma si rialzò con i piedi storti e, balzandogli addosso, l’uomo non fece in tempo a gridare ancora che i suoi canini gli arrivarono in gola e gliela strappò con forza, sputando a terra in una tosse sofferente.
Si guardò per un attimo la mano destra, risistemandosi il fiocco zuppo di sangue, aprendo e chiudendo la mano. Si accorse di vedere doppio. Le sue labbra non più rosee sorrisero, prima di sputare sangue sul pavimento. Si rialzò con fatica, dondolando, prendendo a camminare. Plic. Il suo sangue colava inesorabile. Dopo un’estenuante camminata trovò il portone della cella frigorifera e ci mise tutte le forze che non aveva più per aprirlo. Infine, la rivide.
Julienne era accovacciata a terra, semiaddormentata; la sua ferita al braccio pullulava di tante piccole perle di ghiaccio argenteo. Si voltò e la vide, in un bagno di sangue, mentre tentava di sorriderle. Miss Adeline era felice: l’aveva trovata; l’aveva salvata. Cadde a terra in un pesante tonfo e Julienne subito la soccorse, voltandola verso di lei. Non sapeva cosa dire, ma le lacrime che le scendevano lungo il viso parlavano per lei.
«Le chiedo scusa… Miss Julienne», sussurrò con fatica la ragazza. «Mi sono di nuovo… sporcata le mani… per lei…», si fissò per un attimo la mano con il nastro di seta rosso, ricoperto del suo sangue. «Come se non bastasse», riprese fiato, guardandola dritta negli occhi, «non potremmo abitare insieme… Mi sarebbe piaciuto tanto». Adeline sorrise.
Non si riuscirono ad intuire bene i pensieri che potevano passare per la testa di Julienne in quel preciso istante. Una moltitudine, o forse uno solo, ma pesante. La ragazza che amava le stava morendo tra le braccia e fin quando quegli occhi verdi non si chiusero davanti ai suoi spalancati e ricoperti di lacrime, Julienne non pensò più e agì e basta. Lasciò andare Adeline e osservando il suo polso destro vide affluire il sangue, il sangue argento che ogni ferita poteva guarire e che immortale faceva diventare chi se ne nutriva. Chiuse gli occhi e lo fece, lasciando da parte la paura e il dolore, quando si morse con violenza e il sangue argento cominciò a colare denso. Gridò come mai aveva fatto ma proseguì nella sua opera, stringendolo per farne cadere quanto più ne poteva alla bocca di Adeline. Glielo mise infine davanti alle labbra, in supplica. «Bevi… Bevi il sangue, adesso! Ingoia».
Gli occhi della ragazza si spalancarono all’improvviso ma divennero piccoli e rossi, e con foga cominciò a bere quel nettare argento di un sapore sublime, tenendo stretto quel polso con le mani in prossimità della sua bocca. 
Julienne gridava dal dolore ma non arrivava alle orecchie di Adeline, non era più in lei, come quando uccise quegli uomini, era solo la bestia vampiro in lei che si era risvegliata. Ma non succhiò ancora a lungo: gli occhi di Adeline si richiusero poco dopo e a Julienne restò solo il pianto, finché non vide che quelle mani ricoperte di sangue afferrarono di nuovo il suo polso.
Adeline, con i suoi occhi meravigliosamente verdi, la fissava ancora una volta, e leccò la ferita al polso. Julienne strinse i denti, ma passò in fretta.
Quel dramma era finito.
Julienne le passò una mano al viso candido, anche se ricoperto di sangue, ed entrambe sorrisero. «Ehi, Wendy… Benvenuta all’Isola Che Non C’è».
Adeline era immortale ora: proprio come Peter Pan, sarebbe rimasta ragazza per sempre. La sua dolce e candida creatura così per l’eternità.
 
 











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Rivista e corretta il 19/01/2015


   
 
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