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Autore: orual    06/11/2011    25 recensioni
Dopo le Cronache della Seconda Guerra... arrivano quelle della vita normale: tra progetti, studi, quotidianità, amori che sbocciano e bambini che nascono, carriere intraprese e ripensate, accompagneremo i nostri eroi nell'era post-Voldemort per scoprire che la routine non richiede meno impegno del pericolo. A voi la lettura!
...Rimasero un po’ in silenzio, poi Charlie si alzò. La notte intorno a loro era fresca e limpidissima.
La tomba di Tonks brillava lieve, illuminata dalle luci fatate dei fiori.
"Magari potrei davvero cercare qualcosa da queste parti. Giù in Galles, negli allevamenti statali...
Per qualche annetto e basta, o i Gallesi Comuni diventano un po’ noiosi.
Potrei veder crescere Teddy, per un po’...
Sì, potrei."
Charlie si incamminò, le mani in tasca, giù verso i cancelli.
"Il tuo... il vostro bambino è davvero uno splendore, Tonks."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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 Prima di tutto, grazie.
Questo capitolo, anzi, questa parte di capitolo, rende Dopoguerra la storia più lunga che abbia mai pubblicato su EFP. Lo scorso aggiornamento ha ricevuto più recensioni di quante ne avesse mai ricevute un mio capitolo, almeno tutte in una volta, e la storia ha superato le cento recensioni (ed io, come una scema alla scrivania a riguardarmi quel numerino con gli occhi luccicanti...).
Al momento la storia è seguita da oltre cento persone, ed è tra le preferite di una sessantina. Non potevo sperare di meglio quando ho cominciato a pubblicarla. Quindi... grazie!
Grazie per il vostro entusiasmo, la vostra pazienza, i vostri incoraggiamenti, le vostre osservazioni.
Mi avete fatto affezionare alla storia in modo incredibile, e la continuerò fin dove deve arrivare, statene certi. Grazie a tutti!
 
Senza por tempo in mezzo, eccovi la parte finale del capitolo, quella più seria e... sentimentale.
Spero che vi piacerà quanto vi è piaciuta la prima parte, ma anche solo metà andrebbe benissimo! ;)
Ci vediamo in fondo, buona lettura!

 
Molte vittorie
(parte seconda)
 
Grifondoro festeggiò fino a notte tarda, senza che nessuno, nemmeno Hermione con la sua spilla da Caposcuola, trovasse nulla da ridire. Harry cercò di schernirsi, almeno inizialmente, ma non poté né volle evitare, alla fine, di andare in Sala Comune anche lui, e prendersi la consueta dose di attenzione e acclamazioni. In realtà, tutti pensavano soprattutto alla vittoria, e meno di quanto avrebbero fatto solitamente a lui, così il ritorno fu molto più piacevole di come lo aveva immaginato. Fu strano rientrare in quel posto così familiare. C’erano un sacco di facce nuove, gli studenti degli ultimi due anni che lui non aveva praticamente mai visto, e poi gli amici ed i conoscenti. Hermione, seduta sulla sua solita sedia, un libro in grembo, era una visione talmente familiare che quasi faceva male. Mancava Ron, che era atteso il giorno successivo.
Mentre i cori si susseguivano ininterrotti e Ginny era la vera protagonista della serata, insieme al resto della squadra, Harry poté trascorrere molto tempo a parlare con Hermione, in un angolo appena più tranquillo.
-Sono stato al Ministero... al Quartier Generale degli Auror.
-Chissà che facce hanno fatto a vederti!
-Beh, un po’ sì, in effetti. Comunque ho parlato direttamente con Kingsley, in realtà. L’ufficio del Ministro è al piano di sopra. Lui ha convocato il Direttore del Dipartimento, che al momento è Isaac Proudfoot.
-E cosa ti hanno detto? “Signor Potter, il corpo degli Auror è nelle sue mani, ne faccia ciò che vuole”?
Harry sorrise, afferrando al volo un biscotto a forma di Boccino (qualcuno ne aveva liberate varie decine per la stanza, e ronzavano attorno finché qualcuno non li acchiappava e se li mangiava):
-Più o meno... comunque ho spiegato che quest’anno non avevo frequentato Hogwarts, e chiesto cosa dovevo fare visto che il requisito minimo di ingresso è un buon MAGO in Trasfigurazione, Pozioni, Incantesimi, Difesa ed Erbologia.
-Che ti hanno detto?
-Proudfoot voleva farmi entrare già quel giorno, ha detto che quella dei requisiti era una bazzecola e... insomma, io però non ero tanto d’accordo, e Kingsley era dalla mia parte.
-E quindi cosa avete deciso?
-Passano sopra ai MAGO in quanto alla formalità del certificato, ma dovrò comunque superare i test a settembre e Kingsley mi ha fatto capire che di fatto per farcela è necessario un livello MAGO, almeno su certi argomenti e certe tecniche. In particolare, devo curare molto Trasfigurazione, è fondamentale all’Accademia... ed è la cosa su cui sono più indietro.
-Come pensi di fare?
-Ho chiesto appuntamento alla professoressa McGranitt per concordare un programma di recupero. Comunque sto studiando già adesso a casa... E magari sentirò anche Vitious e Lumacorno.
-Con Difesa non avrai problemi. Ti dirò che la sola idea mi fa ridere. Per Erbologia, senti Neville. E’ diventato incredibile.
-Beh, non sarà più bravo di te.
Hermione alzò le spalle:
-Regge il confronto tranquillamente. Harry, sono... sono contenta di sentirti così!
-Così come?
-Così... insomma, così di nuovo con dei progetti.
C’era tanto di non detto, nell’espressione di Hermione, ma Harry si limitò a sorriderle, prima che in Sala Comune partisse un ennesimo coro di vittoria. Loro due si unirono agli altri, mentre la squadra, in piedi su alcuni tavoli, dirigeva la musica. Poi, improvvisamente, si trovarono tutti senza voce, e prima che si rendessero conto di quello che succedeva, una donna dai capelli neri raccolti in una treccia e dalle guance rosee era in mezzo a loro con le mani sui fianchi. Harry la riconobbe: era Hestia Jones, uno dei membri dell’Ordine e a quanto sapeva da Hermione e Ginny la nuova professoressa di Difesa contro le Arti Oscure. Hermione si voltò verso di lui per sussurrargli qualcosa, ma poiché tutti nella stanza erano stati silenziati, Harry poté solo leggerle sulle labbra che si trattava della nuova direttrice della Casa di Grifondoro, visto che la professoressa McGranitt era adesso la Preside. Hestia indossava un pigiama di seta turchese, ed era un’apparizione decisamente diversa dalla versione notturna della McGranitt in bigodini e vestaglia scozzese, ma il cipiglio era abbastanza simile.
-L’incantesimo Silencio è un’utile arma di difesa contro nemici particolarmente molesti- proclamò alla Sala Comune forzatamente ammutolita:
-La tentazione di rendervi edotti su questo argomento con una lezione sui pericoli del rumore e dello schiamazzo ad ore improbabili seduta stante è molto forte, ve lo garantisco. Potrebbe seguire per tutti l’ordine di consegna entro domani pomeriggio di un tema di centosettanta centimetri sull’argomento.
Tutti gli studenti strabuzzarono gli occhi, orrificati. Hestia Jones, che sembrava immensamente divertita, fece un sorrisetto.
-Sono contenta quanto voi che Grifondoro abbia vinto la Coppa, ragazzi, ma sono le due di notte. Weasley, dammela, è ora che riposi nell’ufficio del Direttore della Casa.
Tese le braccia a Ginny che, controvoglia, le porse la Coppa. Poi tornò a rivolgersi a tutti:
-Adesso, ragazzi, rimuoverò l’Incanto Silencio e voi andrete tutti a letto. Non costringetemi a tornare quassù, perchè potete scommettere cinquanta galeoni che se ritorno vi aspetteranno lezione in notturna e il suddetto tema di centosettanta centimetri. Buonanotte!- aggiunse cordialmente, prima di fare con la bacchetta un gesto che sul momento sembrò senza effetto, visto che tutti rimasero in silenzio. Poi, con un sommesso brusio, cominciarono a sciamare verso le scale dei dormitori. Molti davano cordialmente la buonanotte anche alla professoressa, che assisteva appoggiata al muro e rispondeva affabilmente. Era chiaro che la nuova Direttrice era piuttosto amata dagli studenti.
-Ciao, Harry!- gli disse quando lo notò –Odio dovertelo dire, ma non dovresti essere qui!- aggiunse poi.
-Ha ragione, professoressa, mi scusi. Sa, l’euforia... il Grifondoro...- cominciò Harry imbarazzato, senza neanche rendersi conto che non stava dando ad Hestia del tu come aveva sempre fatto le poche volte che si erano incontrati in precedenza.
-Non sei uno studente, puoi chiamarmi Hestia. Ma proprio perchè non sei uno studente...
-Hagrid mi starà aspettando, credo- si affrettò a dire Harry –Vado subito via.
-Signorina Granger...- cominciò Hestia, guardando eloquente la spilla di Caposcuola ancora attaccata alla veste di Hermione. Lei si affrettò a parlare:
-Mi scusi, professoressa. Sa, la vittoria...- cominciò vagamente.
Ginny, mentre anche gli ultimi studenti lasciavano la Sala Comune, si avvicinò al loro gruppetto:
-Weasley, nonostante l’indegna gazzarra, mi complimento per quell’ultima azione. Ottimo, davvero.
-Grazie, professoressa- sorrise storta Ginny, con un’occhiata di desiderio alla Coppa che la professoressa teneva noncurante per un manico.
-E’ stata fantastica. L’ultima azione, intendo- non poté trattenersi dal commentare Harry. Ginny lo guardò sorridendo:
-Niente male, eh? Che ne pensi?
-Penso che sia stata una partita splendida. Io...- cominciò Harry, fin troppo entusiasta di chiacchierare con Ginny, per di più di Quidditch.
-Le speculazioni sulla partita, in caso non ne abbiate ancora avuto abbastanza, domani- interruppe Hestia. Ginny fece spallucce e lo guardò:
-Domani, allora?
-Certo- rispose Harry, controllando a stento l’entusiasmo.
Hermione si sporse per dargli un bacio sulla guancia:
-Buonanotte, Harry. Buonanotte professoressa.
-Buonanotte!- risposero i due in coro. Harry sperò vagamente che Ginny seguisse l’esempio di Hermione, ma lei si limitò a fargli l’occhiolino, e raggiunse l’amica, che le passò un braccio intorno alle spalle. Harry rimase a guardare le due ragazze salire le scale del loro dormitorio, fino a che Hestia non lo riscosse dalla contemplazione.
-Harry, ora ti accompagno al portone, e ti raccomando di filare da Hagrid al più presto. Non sei uno studente, ma un tema di centosettanta centimetri sull’Incanto Silencio potrebbe essere utile per prepararsi ai test dell’Accademia Auror- disse, ammiccando.
 
La luce chiara che filtrava dalle finestre lo svegliò, sepolto sotto la pesantissima coperta patchwork che Hagrid aveva preparato per la brandina dove lo aveva fatto dormire, ai piedi del suo enorme letto. La sera prima lo aveva trovato ancora sveglio, intento a praticare buchi in delle cassette di legno per contenere i Vermicoli, e così avevano potuto chiacchierare un po’ insieme, prima di andare a dormire. Lui, già alzato, si muoveva con tutta la delicatezza che gli era possibile (anche se non era molta) per la stanza, armeggiando vicino al caminetto. Svegliarsi con Hagrid era un’esperienza strana, gli era successo soltanto un’altra volta nella vita, la mattina di quel suo fatidico undicesimo compleanno.
-Buongiorno- mormorò, emergendo con difficoltà da sotto la pesantissima coperta.
-Harry, ben svegliato, ci ho qui la colazione- fece Hagrid, lasciando perdere quello di cui si stava occupando e togliendo un vassoio enorme da suo posto in un canto del camino, dove lo stava tenendo in caldo. C’era un delizioso odore di bacon, e dalla cuccuma Hagrid versò abbondante acqua bollente nella teiera, dove diventò un tè forte e scurissimo come era sempre il tè preparato da Hagrid.
-Che ore sono?- chiese Harry, grattandosi i capelli più scompigliati che mai e sedendosi ad una delle gigantesche seggiole di legno della tavola.
-Le dieci passate, ma stanotte abbiamo fatto le ore piccole, eh, Harry?
-Già... le dieci? Accidenti, devo andare a parlare con la professoressa McGranitt!
-Fai colazione, che tanto non è che va da nessuna parte, la Preside- commentò Hagrid versando il tè in una tazza che sembrava più un boccale. Gli occhi gli brillavano, come la sera precedente, per il piacere di avere Harry ospite.
-E’ bello vederti, Harry, non ci credevo che venivi, dopo tanto tempo!- commentò, sedendosi sul suo grande letto a guardarlo mangiare a quattro palmenti, mentre legava insieme fascette di tralci fioriti che pescava da un cestone tra le sue gambe:
-Roba per stasera- disse, seguendo lo sguardo curioso di Harry –Per la celebrazione e la festa. Vedrai, sono speciali, li ho raccolti in un posto della Foresta che... sono piaciuti anche al tuo amico Neville.
-Non ne dubito!- disse Harry, spingendo in bocca un altro boccone di bacon. I fiori azzurri e scarlatti continuavano a fiorire, nonostante i tralci fossero recisi.
Si alzò, afferrò i vestiti lasciati su una sedia la sera prima e si affrettò ad uscire per lavarsi al vecchio abbeveratoio dietro la casa, nell’orto delle zucche. L’aria della mattina era ancora pungente, nonostante il cielo limpido.
-Torni per pranzo, eh?- lo apostrofò Hagrid quando rientrò frettolosamente per prendere lo zaino, prima di uscire alla volta del castello –Viene anche Ron, ha scritto stamani presto!
-Certo!
 
Al castello c’era un certo fervore di preparativi, che ricordava ad Harry l’atmosfera del Natale. Quel giorno le lezioni erano state sospese, e molti, fra insegnanti e studenti, andavano in giro con aria indaffarata, soprattutto tra la Sala d’Ingresso e la Sala Grande, dove si sarebbe tenuto il festeggiamento di quella sera. Chiese della professoressa McGranitt e fu indirizzato al lago, dove la trovò intenta a dirigere l’installazione di lunghe file di sedie nei pressi di quello che era diventato una specie di piccolo, glorioso cimitero di Hogwarts. Le sedie collocate a fronteggiare le lapidi bianche gli ricordarono con un brivido sgradevole il funerale celebrato esattamente un anno prima.
La professoressa, vista da vicino, gli sembrò invecchiata, anche se all’apparenza non era cambiata affatto: indossava una severa veste verde scuro ed aveva i capelli striati di grigio raccolti in uno stretto chignon. Stava apostrofando in tono piuttosto aspro un ragazzo grosso e goffo, che Harry ricordava vagamente appartenere a Tassorosso e che aveva appena fatto cadere un’intera pila di sedie. Aveva l’aria di desiderare ardentemente di non trovarsi lì in quel momento.
-...la terza volta che succede, Jeeves! Sta diventando ridicolo!
Harry, incerto se fosse il momento giusto per attirare la sua attenzione, rimase fermo dove si trovava fino a che la professoressa non lo notò e si affrettò ad avvicinarglisi.
-Harry, è un piacere vederti. Andiamo nel mio ufficio, penso... cioè, spero che qui le cose procederanno tranquillamente- disse, lanciando un’occhiata dubbiosa al gruppetto intento all’opera.
Seguendola a passo svelto, Harry riattraversò con lei il parco e l’ingresso al castello, poi i corridoi, dove incrociò parecchie persone che lo salutarono, inclusa Hermione che marciava verso la biblioteca con una gran pila di libri da restituire e che gli fece segno che si sarebbero visti più tardi.
L’ufficio del Preside di Hogwarts si trovava sempre allo stesso posto. Harry, che conosceva come le sue tasche il vecchio ufficio della professoressa, trovò straniante varcare la soglia sorvegliata dai gargoyle di pietra e ritrovare al posto sbagliato le vecchie cose: le sedie con lo schienale di legno duro, la scatola di biscotti decorata con un motivo scozzese sulla scrivania ed i libri. I ritratti dei presidi precedenti occhieggiavano però dal muro come al tempo di Silente: dal suo quadro l’anziano professore lo salutò allegramente e si accomodò sulla morbida poltrona dipinta come per ascoltare meglio. Con un certo timore, Harry cercò il ritratto di Piton, e lo identificò per la targhetta in quello immediatamente a destra di Silente. La cornice, però, in quel momento era vuota.
-Dimmi pure, Potter- cominciò la professoressa, sedendosi stancamente alla scrivania e facendogli cenno perchè si accomodasse davanti a lei.
 
Uscendo circa mezz’ora dopo, Harry si rese conto di assomigliare ad Hermione così come l’aveva incrociata poco tempo prima: aveva le braccia cariche di libri. La professoressa aveva nascosto a stento dietro il suo abituale atteggiamento austero la soddisfazione di sentirsi chiedere aiuto nello studio da Harry. Harry del resto non aveva dimenticato la promessa che aveva sbraitato al suo quinto anno, di fronte alla Umbridge: “Ti aiuterò a diventare Auror, Potter, fosse l’ultima cosa che faccio!”. Nemmeno lei pareva averlo dimenticato, ma era stata chiara sulla difficoltà dei test per l’Accademia. Harry doveva studiare, e studiare sodo, ed esercitarsi continuamente, e non presumere troppo sulle sue capacità in Trasfigurazione, e doveva mandarle regolarmente dei gufi con le perplessità e le difficoltà che avrebbe trovato. E doveva leggere questo, e quello, e... già, adesso che ci pensava meglio che aggiungesse anche Trasfigurazione nei Duelli, tutti e quattro i volumi, e quello, ed anche quello...
Barcollando sotto il peso dei libri che non era riuscito a ficcare nel suo zaino, quasi andò a sbattere contro Ginny, che risaliva a passo svelto le scale diretta alla Torre di Grifondoro. I libri finirono a terra. Uno si aprì su una pagina la cui intestazione recitava “Metamorfosi Orride nei Combattimenti: una Prospettiva”.
-Ma che... oh, Harry, sei tu! Cos’è tutta questa roba?- chiese Ginny, fissando i volumi sparsi attorno a sé.
-Me li ha dati la McGranitt... stavo cercando di portarli a casa di Hagrid. Mi ha invitato a pranzo.
-Lo so, c’è anche Ron.
Parve esitare un attimo, poi scrollò le spalle.
-Ti do una mano. Oggi non so bene come sarà servito il pranzo a noialtri, visto che la Sala Grande è occupata per i preparativi di stasera.
Raccolse i tomi più vicini a lei. Harry si affrettò a fare altrettanto, ed insieme si avviarono per le scale ed i corridoi.
-Come mai la McGranitt ti ha dato tutta questa roba?
-Credo di essermela cercata. Le ho chiesto aiuto per... insomma, i test di settembre. Per entrare all’Accademia Auror.
-Avevo sentito Hermione che ne parlava. Allora... ti fanno entrare anche senza MAGO?
Non c’era ostilità nella domanda. Harry, un po’ imbarazzato, rispose:
-Beh, sì. Ma devo comunque superare i test e...
-Spero che non ti serva la Trasfigurazione Umana Avenzata, quella roba è impossibile.
Harry alzò un po’ impensierito le spalle:
-Credo proprio di sì.
-Hermione ci è riuscita in un giorno. Roba da pazzi. Io mi scervello da due settimane, e ancora nulla. Ma forse sono stata un po’ troppo presa dal Quidditch.
-E’ stata mitica quella picchiata- disse Harry, sinceramente entusiasta, -il Bolide però deve aver fatto male. Non mi ricordavo che quella Battitrice di Corvonero fosse così brava.
-La Austen... beh, è forte. E’ un tipo a posto, poi mi ha anche chiesto scusa per la botta. Comunque Madama Chips me l’ha sistemata quasi subito.
-E il vostro nuovo portiere, Callahan... me lo ricordo, due anni fa era al primo anno... a dire il vero non pensavo che ne venisse fuori un giocatore.
-Paddy? Due anni fa era solo grasso, poi invece è diventato grosso e... beh, hai visto. Non ne fa passare una, o quasi. Comunque vola davvero veloce, per la sua mole.
-Sono d’accordo.
Parlare di Quidditch con Ginny era facile come respirare, come lo era stato due anni prima. Come se il tempo non fosse trascorso e loro fossero soltanto amici di lunga data. Ma per Harry, e forse anche per lei (la sbirciò di sottecchi) non era facile dimenticare che si erano messi insieme proprio in occasione della precedente vittoria della Coppa, due anni prima.
Insieme uscirono dal portone principale del castello, e cominciarono ad attraversare i prati diretti alla capanna di Hagrid.
Ginny era... qualcosa di diverso. Di diverso da tutto. Il modo in cui avvertiva la mancanza di lei non era quello in cui in passato aveva avvertito la mancanza di Ron ed Hermione, che a volte lo sorprendeva anche nelle sue serate solitarie a Grimmauld, quando ricordava i tempi della scuola (eppure era stato proprio lui a non voler tornare!). Hermione e Ron erano come parti di se stesso, prolungamenti di sé diversi da sé, con i quali era possibile costruire ed affrontare ogni cosa. Erano suo fratello e sua sorella, ma più di suo fratello e sua sorella. Quando Ron li aveva abbandonati, l’inverno di quell’anno tremendo, era stato seriamente come aver perso una gamba, ed essere furibondo per la mutilazione. Non voleva parlare di lui, non voleva ricordarlo, come ad un mutilato di recente fa ribrezzo il proprio moncherino. Il pianto di Hermione lo esasperava perchè continuava a far prudere il moncone mentre lui voleva solo far finta che non esistesse.
Ginny era diversa. Non era parte di lui. Mentre la guardava di sottecchi camminare nella luce piena di un bel giorno di maggio, il golfino dell’uniforme con le toppe sui gomiti perchè certo era appartenuto a qualche fratello, le braccia cariche di libri, i capelli (gli piacevano i suoi capelli, lisci e così splendenti da catturare ogni riflesso del sole, come d’oro rosso), gli occhi indecifrabili, pensò che anzi, non esisteva persona più aliena da lui di Ginny, in un certo senso. Erano cresciuti a fianco, spesso sotto lo stesso tetto, ma non insieme. Sapeva cosa le piaceva, cosa amava, cosa odiava, riusciva qualche volta a prevedere le sue reazioni, ma non sapeva mai davvero a cosa stava pensando. Il suo sguardo castano, limpido e duro, era sempre rimasto indecifrabile per lui. I due mesi passati insieme non erano stati nemmeno lontanamente sufficienti a capire Ginny. E allora perchè la voleva tanto, perchè anche allora l’aveva voluta? Cosa c’era in lei... lei che parlava di formazioni d’attacco Testa di Falco e di come preferiva posizionarsi a destra quando la realizzava con Demelza e Dean sul campo, concentrata come se stesse vedendo l’azione di gioco in quel momento... da dove veniva la volontà di stare con lei, anzi, di averla per sé? Ginny era semplice, coraggiosa, abituata ad avere poco eppure esigente negli affetti, quasi incapace di piangere dopo l’esperienza con il diario di Riddle, ma niente affatto immune al dolore. Era affezionata alla sua famiglia, alle persone che amava, eppure spesso sembrava sentirsene soffocata, lottava contro i limiti che l’età e l’inesperienza le imponevano con foga, aveva paura dell’impotenza (anche questo un lascito del suo rapporto con Voldemort). E le piaceva il Quidditch, pensò Harry, sorridendo, e immediatamente dopo quasi barcollò rendendosi conto di quanto in realtà Ginny gli somigliasse. Tutto quello che aveva pensato di lei, poteva dirsi anche di lui, in fondo, realizzò in un attimo, mentre imboccavano il vialetto che conduceva alla capanna di Hagrid. Per questo si era innamorato di lei? Perchè, anche se non la capiva, intuiva oscuramente che lei era l’unica a poter capire lui?
-Grazie, Ginny!- mormorò, quando arrivarono alla soglia di casa. Oltre la porta sentiva la voce di Ron che parlava con Hagrid, e capì che era già arrivato, ma non spinse il battente.
-Figurati- ribatté lei, fissandolo in silenzio.
Era bella. Era bellissima.
-Ginny...- cominciò roco, come se le parole neanche venissero da lui stesso, ma fosse qualcun altro a muovergli le labbra. Lei sgranò gli occhi, che per una volta furono del tutto comprensibili, e dicevano “no”. Ma se fosse un “no, mai” o un “non adesso, c’è mio fratello dietro la porta”, Harry non lo sapeva.
-Ci vediamo oggi pomeriggio, Harry- disse, piano. Si chinò a posare i libri che trasportava sul gradino di pietra della soglia, e fece per andarsene quando Ron aprì la porta:
-...controllo se sta... ah, è qui! Ehi, Harry!
Harry abbracciò l’amico, che gli prese i libri tra le mani.
-Cos’è questa roba? Oh, ciao, Ginny!
Lui e la sorella non si vedevano da settimane, e Ron l’abbracciò prima di chiederle:
-Cosa ci fai qui?- ed immediatamente dopo fece saettare lo sguardo ad Harry, che raccoglieva i libri appoggiati a terra da Ginny e li posava sul tavolo di Hagrid, già apparecchiato per tre con le rozze stoviglie del guardiacaccia. Tipico di Ron.
-Harry aveva bisogno di una mano con quei libri.
-Sì, la McGranitt mi ha riempito di roba da consultare per i test dell’Accademia.
Ron, che al contrario della sorella era quasi sempre un libro aperto, fece per dire qualcosa, qualcosa che di certo sarebbe suonato come “Perchè non hai usato un incantesimo di levitazione?”. Ma chiuse la bocca ed alzò le spalle, e certo Hermione aveva ragione a dire che era maturato tanto.
-Ci vediamo oggi pomeriggio, allora- concluse Ginny –Ciao, Hagrid.
Non aggiunse altro, volse le spalle e se ne andò su verso il castello.
Hagrid aveva arrostito un enorme tacchino.
 
Verso le cinque e mezza del pomeriggio, quando i preparativi erano stati completati da circa un’ora, Ginny lasciò il castello insieme agli altri studenti, diretta al lago. Non ricordava molto del funerale dell’anno precedente. Tutto si confondeva nella sensazione del corpo di sua madre da sostenere tra le braccia mentre camminavano verso le loro sedie, pesante come quello di un morto, e nella nebbia del dolore per Fred, una bruma accecante che non le permetteva di mettere a fuoco con chiarezza nulla. Al dolore si mescolava il sollievo per l’oscura sensazione che tutto fosse “finito”, ma era un sollievo che non dava gioia e prosciugava energie, come  un’immensa stanchezza.
Ed ora era passato un anno, un anno intero. Era finita da un anno, Voldemort era morto da un anno, Fred era morto da un anno. Camminando accanto ad Hermione, che come lei vestiva l’uniforme come aveva richiesto la preside, vide, avvicinandosi alle file di sedie, che molte persone erano già là. I suoi genitori si riconoscevano da lontano, anche a causa della differenza di altezza tra loro. Suo padre teneva un braccio sulla schiena di sua madre, attirandola e tenendola stretta a sé. La mamma indossava il cappello blu intenso con le stelle che i gemelli le avevano regalato qualche Natale prima, ed era elegante più del solito. Sapeva che si erano entrambi fatti forza per festeggiare la gioia di quel giorno. Sarebbe stato più facile quando fosse finito quel momento terribile eppure necessario e voluto, del ricordo. Si rese conto che entrambi i suoi genitori erano quasi completamente ingrigiti, e che suo padre si era davvero incurvato. Il dolore aveva inciso sul loro corpo in profondità. E lei? Lei era cambiata? Lo specchio sembrava dirle di no, ma gli altri la vedevano come prima? O la guardavano in modo diverso? E Harry? Per Harry sembrava che non fosse cambiato nulla da prima della guerra. Ancora quel pomeriggio l’aveva guardata con occhi che gridavano quanto la volesse. Ma un anno prima era stato impossibile accettare che qualsiasi cosa fosse rimasta la stessa. Forse perchè tutto era diverso. Voldemort era morto, Dobby, Lupin, Tonks, Fred (Fred!) erano morti, Geroge era un relitto, casa sua un luogo privo di calore, Ron ed Hermione stavano insieme. Tutto era diverso, ed Harry pretendeva che fosse tutto uguale.
No, non gli aveva detto di no perchè lui l’aveva lasciata, pensò mentre prendevano posto silenziosi e composti insieme al resto della scuola. Non era una stupida. Sapeva benissimo perchè l’aveva fatto.  Ma quell’anno lei aveva combattuto da sola la sua battaglia, ad Hogwarts. In nome di Harry, certo, ma non con lui, e qualcosa si era spezzato, forse anche prima che Fred morisse, e lei, poi, non aveva più avuto la forza di cedere a qualcun altro nemmeno una briciola di sé. Temeva di sgretolarsi tutta, di morirne. E invece voleva vivere. Voleva vivere, proprio perchè Fred era morto.
C’erano tutti, adesso. Gli studenti in uniforme contrastavano stranamente con l’eterogeneo resto della folla. La professoressa McGranitt era davanti a tutti, la voce un po’ amplificata, ma non troppo, il tono sommesso, una lunga pergamena in mano.
Cominciò a leggere la lunga lista di nomi, e ad ognuno c’era qualcuno, nella folla dei presenti, che incurvava le spalle come per un colpo ricevuto, o singhiozzava piano. Eccoli insieme, i vivi ed i morti.
“Albus Silente”
Lui era il primo della lista. Era sembrato ragionevole inserire anche le molte vittime morte precedentemente alla battaglia, insieme al sacrificio più illustre.
“Sam Boot”
“Susan Bones”
“Colin Canon”
“Dirk Cresswell”
 “Alistair Crawle”
“Dobby”
Bill e Fleur, che si tenevano per mano, ed il loro amore sembrava ripararli anche dal dolore. Era venuta la famiglia di Fleur, Gabrielle molto più grande di come la ricordava, scambiavano condoglianze con i suoi.
“Angela Finsbury”
“Bernice Gowan”
“Galathea Grinsbetterley”
George, accompagnato da Ron che era andato a prenderlo poco prima dell’inizio della cerimonia. Sedevano molto in fondo, come in un compromesso con George che chiaramente non avrebbe voluto essere lì. Ron aveva l’aria di un cane bastonato, perchè probabilmente George gli aveva urlato contro. Cosa c’era nell’animo di Ron perchè fosse sempre così fedele a tutti, sempre costantemente a guardare il fianco di qualcuno senza che nessuno guardasse il suo, solo qualche malumore e qualche cedimento ogni tanto e per il resto sempre in secondo piano, a fare la sua parte, che spesso era una parte priva di qualsiasi gloria, come il suo sgobbare per il negozio in quei mesi?
“Theoderic Ivern”
“Silvanus Kettleburn”
“Remus Lupin”
Percy, accompagnato da Audrey, gli occhiali appannati dal pianto. Anche altri intorno a loro piangevano, mano a mano che la voce della Preside pronunciava i nomi amati.
“Sturgis Podmore”
“Rachael Prescott”
Hagrid, una sedia più grande, la schiena che parava la visuale ad almeno una dozzina di persone, ed un grande fazzoletto a coprirgli il viso.
“Ninfadora Tonks”
Charlie, arrivato il giorno prima dalla Romania, il viso impietrito. Ricordò quanto fosse disperato l’anno precedente: era crollato subito, come George, e sembrava strano visto quanto era sempre stato indipendente. Adesso non piangeva, ma nei suoi occhi c’era qualcosa che assomigliava alla disperazione.
“Ted Tonks”
Andromeda, accompagnata da Harry che teneva Teddy in braccio. Si erano seduti vicinissimi a Ginny, Luna e Neville, schierati per farsi forza come avevano fatto tutto l’anno passato. Con Hermione in più, naturalmente. Teddy, nervoso ed inquieto, blaterava, ed Harry faceva fatica a tenerlo buono. Aveva compiuto un anno due settimane prima. Ginny ricordava benissimo quando Remus, dopo essere stato a Villa Conchiglia, aveva fatto irruzione anche da zia Muriel, per dir loro che era nato. Ricordava le prime foto. Fred aveva osservato quanto somigliasse a Tonks. Charlie, che proprio in quei giorni li aveva raggiunti, troppo angosciato per restare in Romania dopo la loro entrata in clandestinità, aveva guardato quelle due o tre istantanee per ore. Charlie conosceva bene Tonks, ricordò Ginny: aveva frequentato la scuola con lei. Erano poi rimaste le uniche foto della famiglia tutta intera.
Teddy si mise a piangere mentre l’elenco volgeva al termine. Harry lo ninnò energicamente, cercando di calmarlo, ed incontrò lo sguardo di Ginny. Erano gli occhi verdissimi di sempre, ed aveva mani delicate, mani di babbo con quel bimbo, e l’aria più sola che mai.
“Fred Weasley”
E la lista finì improvvisa, sul nome di suo fratello, che continuava ad echeggiare nell’aria, pronunciato dalla voce stanca della McGranitt, come se Fred non avesse fatto altro che continuare a morire ogni giorno, ora e secondo, nell’ultimo anno. Sembrava impossibile, in quel momento, aver ricominciato a vivere.
 Sulle lapidi sbocciarono per magia rose bianche, distinguibili dal marmo candido grazie al loro splendore incantato.
Tutti si alzarono, per osservare il silenzio richiesto dalla professoressa McGranitt in memoria delle vittime. Molti piangevano, con singhiozzi sommessi. Solo il pianto di Teddy si alzava chiaramente distinguibile, acuto contro il cielo, così azzurro e così quieto sopra i vivi ed i morti.
 
Per quanto sembrasse assurdo, un’ora dopo, spostatisi in Sala Grande, stavano festeggiando. Certo, erano festeggiamenti per nulla sguaiati, niente affatto simili all’euforia per la finale del Quidditch, soltanto il giorno prima. La Sala era decorata meravigliosamente con quei tralci di fiori che sbocciavano in continuazione, procurati da Hagrid, come a ricordare che Voldemort non era riuscito a sconfiggere la vita e l’amore. I paramenti delle quattro Case, sontuosi nella profusione di seta, addobbavano le pareti. I tavoli erano pieni di cibo, per chi voleva mangiare. E c’era tanta gente felice, davvero felice, tutti quelli che erano stati così fortunati da non perdere un parente o un amico stretto, e che festeggiavano la Vittoria come una vittoria del genere meritava di essere festeggiata: ridendo, abbracciandosi, godendo degli amici, della bontà del cibo, della bellezza di Hogwarts risorta dalla rovina cui era stata ridotta l’anno precedente e dalla magnificenza della serata che era sfumata in un tramonto dorato, glorioso ancor più di quello dell’anno passato, e poi in un crepuscolo limpido nel quale le stelle, sul soffitto della Sala come fuori, brillavano come gemme.
I signori Weasley erano seduti in un angolo a parlare fitto con Andromeda. Ginny si era accorta, ora che le ultime vicende li avevano molto avvicinati, che in realtà avevano riesumato un’amicizia molto vecchia, di cui i suoi, per qualche motivo, non le avevano mai parlato. Teddy era in braccio a sua madre, adesso, e lei lo teneva esperta e compiaciuta. Aveva smesso di piangere.
Sotto un’intera arcata di fiori sboccianti, Neville, Luna, Hannah, Ernie e qualche altro amico legato all’ES chiacchieravano tranquillamente, pescando del cibo da un paio di vassoi che avevano spostato lì vicino. Sapeva che stavano ricordando Susan e gli altri, perchè Hannah un po’ sorrideva e un po’ piangeva. Susan mancava anche a lei. L’anno passato era stata un’alleata fedele nella loro lotta contro il regime dei Carrow.
-Ginny, hai mangiato qualcosa?
Hermione si avvicinava con Ron, una fetta di torta in mano. Stavano vicinissimi. Quell’anno si erano potuti vedere molto poco.
Senza alzarsi dal suo posto, quasi nascosto dalla profusione di fiori, Ginny le sorrise, mentre si sedevano vicino a lei:
-Non ho molta fame.
Ron sospirò:
-A dire il vero neanche io. Mi è passata dopo la Commemorazione.
Sedettero vicino a lei.
-La professoressa è stata così brava a riuscire a far festeggiare tutti senza offendere la memoria dei morti, vero?- commentò Hermione quieta. E davvero, aveva ragione. Non festeggiare sarebbe stata darla vinta a Voldemort, ma non urtare i sentimenti di... tutti loro non era stato facile. Annuì, e restarono per un po’ in silenzio.
-Fred a volte mi manca così tanto che non riesco a respirare- disse, breve. Ron annuì:
-Gia. Come una fitta nello stomaco.
-I... i primi tempi... guardavo George sperando di vedere la faccia di Fred. Mi sono sentita male quando me ne sono accorta.
-Credo che lo abbiamo fatto tutti. Io, almeno...- mormorò Ron, lo sguardo perso sul quieto andirivieni della Sala. Ginny sospirò prima di proseguire. Parlava in un tono casuale, che neanche lei avrebbe saputo dire da dove le venisse fuori.
-A volte non ci credo che sia... morto. Continuo a pensare che mi arriverà un gufo con una lettera da lui, come l’anno scorso o che entrerò in una stanza e lo troverò lì. Così potrò dire “visto che ti eri immaginata tutto”?
Non sapeva come mai stesse parlando a quel modo. Hermione, le lacrime agli occhi, era zitta come sempre quando cercava di non intromettersi in quello che continuava a considerare un lutto privato sul quale lei non poteva avanzare alcun diritto. Ron, gli occhi celesti incupiti, si limitò a fissarla ed a stringere più forte la mano di Hermione
-Dov’è adesso George?
-E’ rimasto alle lapidi, penso- disse Ron a disagio, voltandosi verso l’ingresso della sala –Forse dovrei...
Ron era diventato un po’ il custode di George, quell’anno, ma non era giusto che si accollasse lui tutto il peso.
-Vado io- disse Ginny alzandosi.
 
La serata era tiepida, e la luna illuminava i prati quasi a giorno, al punto che verso la Riva delle Lapidi si vedevano scintillare il marmo dei tumuli ed i fiori incantati. Era un luogo pieno di pace e per nulla inquietante: sembrava che i morti facessero loro compagnia.
George non era lì, però. Per lo meno, non più. Forse, incapace di ulteriore contatto con la gente se ne era tornato a casa per conto suo. Forse era rientrato al castello e non si erano incrociati. Disorientata, Ginny esitò, guardandosi intorno nella notte precocemente tiepida. Seduto sulla tomba più vicina alla riva, quella di Colin, c’era qualcuno.
Harry si voltò quando la sentì arrivare a passi leggeri lungo il vialetto che separava due file di lapidi, e le fece un sorrisetto.
-Cercavo George- disse Ginny, a mo’ di spiegazione. Harry annuì:
-Era qui quando sono arrivato, ma è andato via qualche minuto fa. Credo sia tornato a casa.
-Volevamo solo assicurarci che.. stesse bene.
-Penso di sì.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Harry disse:
-Resti?
Ginny esitò, prima di sedersi a sua volta sulla lapide di Colin, i gomiti appoggiati alle ginocchia.
-Colin mi manca. Era un tipo buffo, ma eravamo amici dal primo anno- mormorò -L’anno scorso, quando ci siamo rivisti alla Battaglia, non mi è venuto in mente di fermarlo mentre entrava... come facevo, anche io volevo rimanere al castello, e anche io ero minorenne...
-Ginny, non ti starai dando la colpa di qualcosa, vero?
-A dire il vero, quella è una tua specialità.
Harry guardò tristemente le lievi increspature del lago, appena visibili alla chiara luce lunare, mentre riverberavano il soffuso bagliore dei fiori incantati sulle lapidi.
-E’ morta un sacco di gente per proteggermi, è difficile non provare sensi di colpa.
-Sono morti per tutti noi. Sapevano che sacrificarsi per permetterti di portare a termine la tua missione era necessario.
Harry sollevò lo sguardo verso di lei, e lei aggiunse, a denti stretti:
-Anche io lo sapevo. Lo sapevo benissimo.
-Ginny, avevo troppa paura di renderti un bersaglio, per questo ti ho lasciata!- sparò lui tutto di un fiato, come se avesse raccolto le forze fino a quel momento per affrontare l’argomento.
-Lo so.
L’anno precedente a scuola l’avevano insultata e maltrattata in continuazione come la “ragazza di Potter”, nonostante tutto. Era meglio che Harry non sapesse che il suo piano geniale non era servito poi tanto su quell’aspetto, ma visto che era anche stata interrogata illegalmente col Veritaserum da Alecto Carrow per scoprire dove si trovava Harry, in fondo era stato un bene che lui fosse sparito così completamente dalla sua vita e lei non avesse potuto dire nulla neanche costretta. Rabbrividì al ricordo del terrore che aveva provato al pensiero che le chiedessero qualcosa di Ron, perchè su quello sapeva, non avrebbe potuto mentire ed avrebbe fatto saltare la copertura della Spruzzolosi. La Carrow, però, non era interessata a Ron dopo la visita degli impiegati ministeriali a cui era stato mostrato il ghoul, in settembre.
-Io volevo... avrei voluto... voglio dire, Ron ed Hermione sono venuti con te ed io...
-Ginny non è che non mi fidassi di te, ma avevi ancora addosso la Traccia, e per di più... quello che abbiamo passato l’anno scorso non lo augurerei a nessuno.
Contrasse la faccia, come fronteggiando ricordi orribili. Ginny scosse le spalle
-Forse sono arrabbiata perchè non riuscirò mai ad essere così vicina a te come Ron ed Hermione.
-Io non voglio che tu mi sia vicina come Ron ed Hermione- esclamò Harry di rimando. La guardò, poi inspirò profondamente, come se stesse per tuffarsi nel lago:
-Io voglio che tu sia la mia ragazza, non mia sorella.
Si guardarono, poi Harry aggiunse:
-Però non voglio insistere su questo argomento. L’ho capito, quando l’estate scorsa mi hai detto che volevi stare sola. Solo che... tu... insomma, tu mi piaci tantissimo, Ginny. Non certo meno di Ron o Hermione. E’ solo diverso. Pensavo fosse chiaro.
Ginny sospirò. Non lo guardava più, adesso. Aveva gli occhi fissi sul lago.
-Anche tu mi piaci tanto, Harry. Da sempre, lo sai.
-E allora perchè...- insorse Harry, incapace di trattenersi.
-Ho... avevo... bisogno di ricominciare... da sola. Se tu fossi stato ad Hogwarts l’anno scorso lo capiresti, Harry. Voi... voi tre eravate il nostro chiodo fisso, non pensavamo ad altro, io, Neville, tutti. E per me era anche peggio, visto quello che c’era... che c’è stato tra noi. Non mi aggrappavo ad altro che al pensiero che eri da qualche parte a lottare per me e che dovevo stringere i denti per questo nelle punizioni e tutto il resto.
-Tutto il resto?- intervenne Harry ansioso. Ginny lo ignorò:
-Poi, quando tutto è finito... non è solo che era morto Fred. Ero... svuotata. Non avevo idea di cosa fare di... di tutto. Per la verità, non ho le idee molto chiare nemmeno ora- aggiunse amaramente, pensando all’incertezza del suo futuro dopo Hogwarts.
-Harry, tu sei sempre stato l’eroe di tutti, e non è facile dividere il proprio eroe personale con tutto il resto del mondo magico.
-L’eroe di tutti!- sbottò rabbioso Harry –L’eroe di tutti quando faceva comodo a tutti. Sono stato anche il pazzoide esibizionista ed il pubblico esempio di adolescente disturbato, ti ricordo!
Ginny lo guardò:
-Non per me.
-Appunto! Che vuoi che me ne importi di essere l’eroe di frotte di gente a cui basterebbe un articolo del Profeta per pensare che in realtà sono un mitomane esaltato e che sconfiggere Voldemort non è stata poi questa gran fatica, se non posso avere la ragazza che amo?
Non le aveva mai detto che la amava, prima. Erano stati insieme troppo poco tempo perchè un tipo impacciato come lui ci arrivasse. Suonava strano e struggente, in quel momento.
-Harry...- Ginny lo guardava, trattenendo come sempre le lacrime perchè non uscissero, ed i suoi lunghi capelli brillavano dei riflessi della luce fatata dei fiori sulla tomba di Colin.
-Sai... avevi ragione a dire che non può essere come se non fosse successo nulla. Ricominciamo da capo, allora- riprese lui. Ginny notò che stringeva i pugni come per trattenersi.
Guardò la fisionomia così familiare di Harry, famosa eppure in fondo ordinaria, gli occhi verdi miopi dietro le lenti ed i capelli spettinati. Ed il modo semplice con cui l’eroe la stava pregando di tornare con lui, come se per lui non esistesse nessun’altro al mondo, le strappò un sorriso:
-Sei davvero un bravo ragazzo, Harry Potter- mormorò, pensando quanto furiosamente fosse innamorata di lui.
-Sono pur sempre il Prescelto- fece lui di rimando, prendendole il viso tra le mani, chinandosi verso di lei e baciandola come se la sua vita ne dipendesse.
E forse era così.
 
Anticipo che il prossimo capitolo sarà una sorta di special, visto che in un certo senso ripercorrerà lo stesso episodio dal punto di vista di altri personaggi, fra cui Ron ed Hermione. Ho dovuto farlo perchè, per non rendere prolisso questo capitolo, ho scartato una marea di materiale che rielaborerò in un modo diverso.
A presto ed un bacione!

 

   
 
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