4. Welcome to the Jungle
“Welcome to the jungle, we got fun
'n' games
We got everything you want, honey we know the names
We are the people that you find, whatever you may need
If you got the money, honey we got your disease”
Guns N’ Roses, Welcome to the
Jungle
Nessuno
dei due era preparato a
quello che accadde una decina di minuti dopo.
Seduto
con le gambe incrociate, la
testa poggiata sulle mani, Colin si arrovellava per trovare una via
d’uscita a
quella situazione semplicemente terribile, mentre Jared, al suo fianco,
provava
a tratti a curare la ferita con quello che doveva essere una specie di
strano
rituale magico, peraltro con pochi risultati. Si maledisse per non aver
portato
con sé la spada, ma soltanto un pugnale dalla lama corta
che, per precauzione,
aveva infilato nella cintura; col senno di poi, la scelta
più saggia sarebbe
stata una balestra.
«Io
sono a posto, possiamo anche
ripartire. La gamba va un po’ meglio?»
«Sono
riuscito a far diminuire
sensibilmente il dolore, ma non a curarla. Non credo che
l’effetto del veleno
durerà ancora per molto... forse, prima dell’alba,
potrò sistemare l’osso
spezzato». Rabbrividì. Un rivolo di sudore gli
correva su una tempia,
incollando i capelli corvini alla pelle, e Colin provò una
sincera pena per lui
quando vide che a stento riusciva ad aggrapparsi alla sua casacca,
tanto era
stremato.
In
quel momento si ricordò di avere
ancora addosso la sacca con il cibo e l’acqua fresca.
«Forse
è il caso che ti copri e
mangi qualcosa...»
«Va
bene. Non credo di poter infilare
dei pantaloni, ma... hai una camicia, o qualcosa di simile?»
Sospirando,
Colin tirò fuori dalla
bisaccia una grossa camicia di canapa, ruvida e resistente; quando la
infilò a
Jared, si rese conto che – nonostante si trattasse di un
abito smesso che lui
non usava più da anni – era comunque troppo grande
per il ragazzo, e gli cadeva
da tutte le parti con un effetto quasi comico. Se non altro, lo copriva
fino
alle ginocchia.
«Non
provare a fare battute sulla
mia altezza, bifolco. Non tutti abbiamo le spalle larghe come un
dannatissimo
bisonte...» borbottò, saggiando la stoffa con
le dita «... e poi, questa roba cosa sarebbe?
Sembra fatta apposta per
rendere la pelle ruvida come il cuoio conciato».
«Non
credevo che avrei mai sentito
un’osservazione simile da qualcuno che durante il giorno
è ricoperto da squame
durissime. Su, mangia questo e smettila di lamentarti».
Gli
porse una galletta e una fetta
di carne secca, che Jared si affrettò a divorare; vedendo
quanto aveva fame,
Colin non poté fare a meno di dargliene ancora, anche se
sapeva che, se non
avessero trovato presto dell’altro cibo, uno di loro due
avrebbe dovuto
necessariamente digiunare per consentire all’altro di
sfamarsi. Non toccò
nemmeno l’acqua, permettendo all’altro di
dissetarsi – doveva averne persa
parecchia, con tutto quel sudore, ed era meglio che bevesse parecchio.
Quando Jared ebbe finito, si
tirò in piedi
sulla pietra e, datole un colpetto di tacco, esordì con l’aria
più allegra che gli riuscì:«Andiamo,
non c’è niente di cui preoccuparsi. Storgronn non
viene dipinta come un luogo
così tremendo dalle genti delle montagne, e, in fondo,
quanto può mancare
all’alba? Non molte ore, ormai...»
Quasi
l’avesse sentito, la pietra
tremò.
All’iniziò
fu una vibrazione
sottile, poco più forte di un brivido; poi, in un crescendo
sempre più veloce,
cominciò ad oscillare e sollevarsi con scatti sempre
più forti dal terreno,
finché, accompagnata dallo schianto umidiccio della cortina
di erbacce che
veniva divelta dal suolo, se ne staccò completamente.
Davanti
al viso di Colin, che era
rimasto congelato dalla sorpresa, si sollevò, svolgendosi
pigramente come un
serpente che allenta le sua spire, un collo lungo e sottile, coperto di
squame
viscide, simili per disposizione e consistenza a quelle di un pesce.
Alla fine,
ondeggiando lentamente a destra e sinistra, gli si presentò
quella che, per
pura e semplice deduzione logica, doveva essere una testa:
sì, perché, di primo
acchito, sembrava più una massa gelatinosa dai contorni
indistinti, segnata da
una miriade di profondissime rughe.
Poi,
improvvisamente, la massa
gelatinosa si aprì,
rivelando quattro
sezioni di pelle rosea che, come i petali di un fiore, si agitavano
attorno
all’imboccatura violacea di un enorme tubo esofageo. Il tutto
era costellato di
denti bianchissimi, piccoli e appuntiti, in numero tale che Colin non
riuscì a
determinarne con precisione la quantità.
La
cosa flesse indietro il collo ed
emise un sibilo acuto,
preparandosi ad attaccare.
Diviso
tra la paura che gli
appesantiva le viscere e l’istinto, che gli gridava di
voltarsi e scappare,
Colin si ricordò all’improvviso di Jared, ancora
seduto accanto a lui; se fosse
fuggito, quasi sicuramente quella creatura orrenda l’avrebbe
ucciso. Non poteva
esporre in quel modo al pericolo qualcuno che non aveva la minima
possibilità
di difendersi, non era codardo a tal punto.
Perciò,
mentre il mosto si gettava
sul compagno, si lanciò davanti a Jared, precedendo la
creatura di una manciata
di secondi.
Le
zanne si conficcarono nella
pelle della spalla, mancando di poco il collo.
Colin
gridò, accecato per un attimo
dal dolore: oltre la camicia strappata, oltre l’epidermide
dilaniata da
centinaia di minuscoli denti, la saliva del mostro bruciava come fuoco
vivo
nella carne, quasi la stesse corrodendo. Affondò le unghie
nella pelle
squamosa, cedevole, nel tentativo disperato di scrollarselo di dosso,
ma il
predatore non sembrò accusare il colpo.
Confusamente,
come se provenisse da
un’altra realtà, Farrell sentì la voce
di Jared che lo chiamava, innaturalmente
alta e tremante, spaventata. L’eventualità che si
stesse preoccupando per lui
era così bislacca da farlo sorridere.
Tanto,
ormai, era sicuro che
sarebbe morto lì.
Diede
un calcio al collo
flessibile, ma i suoi movimenti non facevano che aumentare i danni
causati
dalle zanne del mostro; ad ogni scossone, poi, quello serrava ancora di
più la
presa, perfettamente conscio dell’inferiorità
della preda e del fatto che, se
l’avesse tenuta ferma ancora qualche minuto, la sua saliva le
avrebbe
avvelenato il sangue, paralizzandola e rendendola definitivamente
inoffensiva.
In
quel momento, Colin udì un
sibilo secco e improvviso.
Aprì
gli occhi, che aveva serrato
per il dolore, e, dopo essersi reso conto che la bocca del mostro si
era staccata
dalla sua pelle, fece appena in tempo a vedere un dardo lungo e nero
conficcato
nel cranio gelatinoso, che scivolò giù dalla
pietra e cadde per terra, di
testa.
Si
strinse la spalla con la mano,
scivolando sulla pelle lorda di sangue, prima che il suo campo visivo
diventasse completamente nero.
***
Jared
arrancò fino al corpo di
Colin, ignorando le fitte lancinanti alla gamba destra.
Lo
afferrò per le spalle, gli tirò
uno schiaffo sul viso e lo scosse con forza, cercando di svegliarlo, ma
non funzionò:
il cavaliere sembrava quasi addormentato, con il viso rilassato e la
testa che
ciondolava mollemente a destra e a sinistra. Lo maledisse
silenziosamente per
la sua stupidità, irritato dalla bontà caparbia
di quell’idiota che era stato
capace di farsi quasi uccidere per salvargli la vita; a dargli
fastidio, più di
tutto, era la consapevolezza scomoda che lui, al posto del cavaliere,
non
avrebbe mai fatto la stessa cosa.
Improvvisamente,
udì un rumore
piuttosto forte di rami spezzati, e vide le felci del sottobosco
agitarsi,
pochi metri davanti a lui. Raccolse le ultime energie rimaste e le
convogliò
nel palmo della mano, dove esplose un piccolo globo di fuoco bianco,
poi,
sempre tenendo d’occhio il punto in cui le piante si erano
mosse, avanzò fino a
coprire con i proprio corpo quello di Colin.
Se
non era in grado di salvargli la
vita, poteva almeno restituire il favore.
«Chi
sei?» Gridò, quasi digrignando
i denti «Fatti vedere, se non vuoi finire
incenerito!»
«Dubito
che tu abbia abbastanza
forza per bruciarmi... comunque, come preferisci».
Pochi
secondi dopo, dalla cortina
di felci emerse un uomo alto e ben piazzato. Jared, che già
sentendone la voce
era rimasto sorpreso – si aspettava tutt’altro, a
dir la verità, guardandolo
non poté che tirare un sospiro di sollievo: era un comune
uomo mortale, dai
lineamenti morbidi e marcati, che lo fissava con una luce divertita nei
profondi occhi castani. Portava i capelli corti, ma poco curati: irti
come un
cespuglio di spine, gli circondavano il viso di ciuffi corvini, e gli
conferivano un’aria selvatica che veniva accentuata ancor di
più dalla barba
sfatta.
Gli
abiti, al contrario, sembravano
puliti e in ordine, anche se lisi; di stoffa ruvida, con colori
tendenti al
marrone e al verdognolo, parevano uscire indenni dal contatto con i
rovi e i
rami appuntiti del sottobosco.
«Voi
chi siete? Non fate parte del
loro popolo, vero?»
«No,
infatti. Dovresti sapere che
non ammettono quelli come noi, giusto? Sono un semplice ospite nei loro
territori, e ci vivo da talmente tanto tempo che ormai chiudono un
occhio sulla
mia presenza».
«Vi
ringrazio per averlo salvato...
sarebbe morto senza la vostra freccia. Posso chiedervi qual
è il vostro nome?»
«Sii
meno formale e meno grato,
ragazzo. Non ho mai amato questo tipo di smancerie, sono un tipo troppo
provinciale per apprezzare i manierismi da corte dorata... mi presento:
il mio
nome è Robert Downey Junior, Primo Conquistatore di Mørktsted
e Marchese della Terra
Boschiva...»
«Titoli
che non ho mai sentito nominare prima». Osservò
Jared, sorridendo.
«Be’,
in effetti non sono propriamente riconosciuti
dall’autorità reale d’Oriente, ma
sono il primo umano che giunge in queste terre dall’Est e vi
si stabilisce,
ergo tutto ciò su cui posi lo sguardo mi appartiene.
È una legge che i grandi
uomini di mondo amavano applicare, quando ero ancora giovane... ricordo
guerre
sanguinose combattute per questo motivo. Comunque, non siamo qui per
parlare di
questo, o sbaglio? Il tuo amico ha bisogno di aiuto...»
«E
io non posso certo darglielo...» Jared si indicò
la gamba, su cui spiccava il
gonfiore illividito della frattura. Robert sollevò le
sopracciglia in un moto
di sorpresa, poi scosse la testa.
«Siete
fortunati ad essere ancora vivi. La foresta non accoglie bene i nuovi
arrivi,
sapete...» volse la testa verso gli alberi alle sua spalle,
aggrottando le
sopracciglia «... e loro avrebbero potuto trovarvi prima di
me. Allora sì, che
non avreste avuto scampo».
«Sono
qui intorno, non è vero?»
«Sì,
ma non attaccheranno. Il loro capo mi è legato da un vincolo
di profonda
amicizia, e non vi toccherà se sa che sono stato io a
trovarvi per primo».
«Questo
non mi consola...»
«Forse
non ti fidi di me? Ah, la gioventù di oggi
è davvero incredibile...
aibhilin,
Galiza!»
Chiamò poi, a voce alta,
prima di emettere un alto fischio stridulo. Dopo pochi secondi, dalla
boscaglia
sbucò, gracchiando, una creatura bizzarra, quale Jared non
ne aveva mai viste:
aveva testa e pelle identiche a quella di una lucertola, il corpo lungo
e
affusolato e camminava sulle zampe posteriori, scostando rami e altri
ostacoli
con quelle anteriori, corte e munite di poderosi artigli. La coda era
lunga e
sottile come una frusta, decorata da un disegno tigrato che proseguiva
quasi
fino al lunghissimo collo dell’animale; sulla pelle
spuntavano, in ciuffi radi
ed estremamente colorati, piume corte e iridescenti, che si rizzavano o
aderivano al corpo a seconda del momento.
«Oonagh».
Disse Robert, notando la sua faccia sorpresa «Sono difficili
da addomesticare,
ma ottime cavalcature, veloci e resistenti come poche altre. Anche gli
abitanti
del luogo le usano... sono loro che mi hanno regalato questa».
Scosse con la mandritta la bardatura, una sorta di rete
sottilissima di striscioline nere che ricoprivano per intero la testa e
il
torace dell’animale, adattandosi perfettamente alle sue
forme. Quasi fosse una
semplice cavezza, poi, non aveva morso né redini, ma
soltanto un pomello sul
garrese a cui aggrapparsi durante la corsa; similmente, la sella era
appena
abbozzata: giusto una coperta di stoffa pesante, legata con una cinghia
a cui
si collegavano le staffe, proteggeva la schiena profondamente convessa
dell’animale.
«Come
fa a cavalcare senza redini?»
«Non
ne ho bisogno. Se impari il loro linguaggio, puoi dire dove vuoi andare
e ti ci
porteranno».
Detto
questo, senza ulteriori cerimonie, si avvicinò a Colin e,
con una forza che
sorprese Jared, lo sollevò di peso e lo collocò
delicatamente sulla groppa di
Galiza, che pure si trovava all’altezza delle sue spalle.
«Mi
dispiace per la tua gamba, ma ho bisogno che lo tieni fermo mentre
andiamo.
Posso chiedere a Galiza di andare con calma, ma non si
tratterà comunque di una
passeggiata al chiaro di luna...»
«Non
c’è problema».
Si
lasciò mettere sulla sella, afferrandosi istantaneamente
all’arcione con la
mandritta e tirandosi contro Colin con la
sinistra, poi aspettò che Robert, compiuta una mossa agile e
aggraziata,
prendesse posto alle sue spalle.
«Non
sarà comodo,» annunciò «ma
almeno stanotte nessuno banchetterà con la vostra
carne. Alùn, Galiza,
alùn».
Jared
si aggrappò con forza alla sella e socchiuse gli occhi.
Quando
Galiza partì, slanciandosi in avanti con una mossa fluida e
velocissima, il
verde che scorgeva oltre la cortina opaca delle ciglia finì
per mescolarsi e
diventare un’unica massa fluida, indistinta. I rami
schizzavano via a pochi
centimetri dal suo corpo, ma non lo graffiarono mai; sentiva il cuore
della
creatura battere come un velocissimo tamburo sotto la pelle fredda, e i
richiami che Robert, una manciata di centimetri dietro di lui, gli
lanciava per
aggiustare la direzione. Non capiva cosa dicesse, eppure quei suoni gli
suonavano stranamente familiari.
Cominciarono
a risalire un pendio via via più ripido, ma sempre ricoperto
uniformemente di
alberi; solo quando furono giunti in cima Galiza di fermò, e
Jared poté
finalmente constatare che, anche a Mørktsted, esistevano
zone prive di piante
ad alto fusto.
Si
trovavano sulla cima rocciosa di una collinetta rialzata di forse cento
piedi
rispetto al mare di verde circostante. Per uno spazio circolare di
circa
quaranta metri quadrati, illuminato dalla luce vivida di una trentina
di torce,
dal terreno non spuntava un solo filo d’erba, delineando un
cerchio tanto
preciso che il ragazzo faticò a credere si trattasse di una
semplice coincidenza.
«Quale
magia hai usato per evitare che la foresta putrida invadesse questo
spazio?»
«Magia
nanesca... saprai quanto poco amino il verde, immagino. Nulla che sia
nato a
Mørktsted più entrare nel mio cerchio, eccetto
Galiza». Robert picchiettò con
il palmo su un fianco dell’animale, e Jared vi
notò un segno che assomigliava
ad una sorta di runa marchiata a fuoco nella carne.
Al
centro della spianata stava una roccia enorme, scavata su un fianco, in
cui una
mano evidentemente abile aveva inciso una serie di simboli complicati,
che
richiamavano alle scritture di mille lingue diverse;
nell’enorme nicchia alla
base, invece, si potevano scorgere un pagliericcio ed una gran
quantità di
vasellame in terracotta, che emanava un odore balsamico –
anche se piuttosto
pungente – a diversi metri di distanza. Jared
inspirò l’aria, notando come
sembrasse stranamente più pulita e leggera di quella che si
trovava pochi metri
più in basso.
«Perdonami,
ma quelle lingue...»
«Non
più di dieci anni fa, a ventisei anni, abitavo alla corte
della regina di
Ademar ed ero un linguista famoso. Studiavo le culture dei popoli occidentali, e ovviamente
i loro idiomi...
questo, finché non facemmo una spedizione in questa foresta,
alla ricerca di
prove tangibili sui suoi abitanti, di cui per lungo tempo nel mio reame
si era
udito favoleggiare dagli zigani. Ho inciso quelle parole sul mio
rifugio per
non dimenticare mai quello che ero... nella speranza di poter tornare a
casa,
un giorno».
«Vi
perdeste nella foresta?» Domandò Jared, mentre
Robert, tirato Colin giù da
Galiza, lo stendeva sul pagliericcio; aiutò anche lui a
scendere e sedersi con
la schiena contro la roccia, prima di rispondere.
«Non
è corretto dire che ci perdemmo. Fu la stessa
Mørktsted ad inghiottirci,
riversandoci contro i suoi peggiori malefici. A quell’epoca
ero troppo giovane
e inesperto... fu una fortuna se riuscii a sopravvivere».
«Loro non ti uccisero?»
«Per
una serie di fortunate coincidenze, avevo appreso un poco della loro
lingua su
dei testi antichissimi, nella biblioteca di Ademar, che
all’epoca si riteneva
narrassero semplici favole. Tra loro, però,
c’è anche chi parla un po’ di
lingua corrente dell’ovest... ne hanno bisogno, almeno una
volta l’anno.
Comunque, il reale motivo per sono ancora vivo è che, senza
saperlo, salvai la
vita alla loro regina, quando era ancora una ragazzina.... aveva undici
anni, e
una creatura non molto diversa da quella che vi ha attaccati stava per
divorare
anche lei».
«Non
credevo che fossero capaci di tanta gratitudine».
«Infatti,
credo che il mio caso sia unico nella storia del mondo. Non temere,
comunque:
come ti ho detto, non vi torceranno un capello finché siete
con me».
Robert
aprì un vaso dall’odore particolarmente forte,
infossato per metà nel terreno;
con le dita ne tirò fuori una sostanza vischiosa, di un
verde iridescente che
virava a tratti verso il viola, e la spalmò abbondantemente
sulla ferita di
Colin, senza però fasciarla. Quando ebbe finito,
coprì il cavaliere con una
coperta fino al bacino e gli si sedette accanto.
«Quando
si sveglierà bisognerà che mangi molto.
L’unguento disinfetterà la ferita e
farà sì che si cicatrizzi velocemente, ma
l’energia necessaria per questo
processo verrà tolta tutta al suo corpo. Per quanto riguarda
te...» accennò a
Jared con la mano sinistra, mentre, con la destra, tirava fuori una
pipa di
legno dai pantaloni «... non credo che tu abbia bisogno del
mio aiuto per
curarti, dico bene?»
Jared
sgranò gli occhi, sorpreso.
«E
tu come fai...»
«Dopo
dieci anni passati in un luogo permeato da infinite forme di magia,
posso
percepire quella che ti circonda come se avesse
forma e colore visibili. Non è di un tipo
particolarmente puro, non è
così?»
«È
una lunga storia...»
«Lungi
da me costringerti a raccontarla. Tieni, prova questo... ti
restituirà le
forze».
Spezzettò
nella pipa degli strani petali gialli, anche quelli presi da un vasetto
sigillato, poi l’accese e la porse a Jared. Il ragazzo la
afferrò con
un’espressione insospettita sul viso, e
l’annusò a lungo prima di infilarne in bocca
un’estremità e inspirare profondamente.
Il
fumo che gli riempì i polmoni aveva l’odore di un
bosco in primavera e la
freschezza corroborante di un sorso d’acqua pura.
Boccheggiò, quasi intontito
da una sensazione così piacevole, e sorrise quando
sentì che, come un fiume in
piena i cui argini si siano definitivamente rotti, le forze
cominciavano a
tornagli, rianimandolo.
«Che
cos’è?»
«Erbe
che provengono dal cuore di Mørktsted. Piacevoli trastulli
per il tempo libero,
ottimi tonici quando si deve fare qualcosa di particolarmente
impegnativo».
Jared
annuì, restituendo la pipa a Robert. Poi poggiò
le dita sulla gamba fratturata,
prese un bel respiro e, dopo qualche secondo di concentrazione,
cominciò a
recitare quelle antiche formule di guarigione che i suoi genitori gli
avevano
insegnato sin da ragazzo, affinché potesse essere
autosufficiente in qualsiasi
battaglia.
Rispetto
alla lingua orientale sembravano quasi unicamente sibili privi di
significato,
ma custodivano, nel loro significato intellegibile, un sapere antico
che
affondava le proprie radici nei flutti del tempo.
Un’intensa
luce bianca sgorgò dalle sue dita, diramandosi sulla pelle
arrossata e
penetrandovi in profondità, illuminandola quasi; la carne si
deformò, cambiando
e guarendo, e, quando finì, la gamba aveva un aspetto
perfettamente sano,
identica a com’era stata prima dell’incidente.
Spossato, Jared si abbandonò
contro la roccia, il respiro accelerato.
«Nascondi
segreti notevoli, ragazzo».
«Non
sono uno sprovveduto, a differenza di ciò che il mio aspetto
suggerisce. Lui,
piuttosto, non fa che combinare disastri». E
accennò a Colin, che riposava
tranquillo sul pagliericcio.
«Ma
ti ha salvato. Quel mostro poteva ucciderti».
«Poteva
uccidere anche lui ».
«Ed
è proprio per questo che dovresti essergli grato».
«Gliene
sono infinitamente grato, infatti. È solo che...»
«Solo
che?»
«Avrei
preferito che non lo facesse. Vederlo sotto le zanne di quel mostro
è stato... brutto».
Robert
sorrise.
***
Mancava
poco all’alba, quando Colin si svegliò.
Aprì
gli occhi, combattendo contro la stanchezza, che lo spingeva ad
abbassare le
palpebre, e si ritrovò a fissare, con somma sorpresa, il
tetto di pietra di una
minuscola grotta. Si tirò seduto, ignorando una fitta alla
spalla, e la prima
cosa che vide furono gli occhi di Jared, brillanti nel buio, che lo
fissavano
con un’espressione quasi contenta.
«Ti
sei svegliato, finalmente». La sua sagoma buia si mosse,
sullo sfondo un cielo
già chiaro e ancora trapunto di stelle. Gli porse un piatto
pieno di oggetti
tondeggianti, e
Colin, senza pensarci
troppo, ne afferrò uno e se lo ficcò in bocca;
scoprì di star mangiando un
frutto – succoso, con la buccia piacevolmente morbida e
cedevole e il sapore
dolce – e lo inghiottì quasi intero.
«Hai
fame, eh?»
«Sì,
ma,» boccheggiò, rischiando di strozzarsi
«in che posto siamo? È un riparo che
hai trovato tu? E poi, aspetta un attimo...» si
toccò la spalla, dove, a parte
la pelle stranamente liscia, non c’era niente di anomalo. In
altre parole, la
ferita era sparita.
«Siamo
stati salvati da uno strano tipo che vive in questo posto da tanti,
tantissimi
anni». La voce di Jared tradiva una certa nostalgia
– di cosa, il cavaliere non
seppe stabilirlo «Ad ogni modo, dobbiamo andarcene prima
dell’alba. Sbandierare
in giro il mio segreto non è una mossa molto furba, anche se
non credo che, in
ogni caso, quel tipo potrà mai scappare da questa
foresta».
«Da
quanto tempo è qui?»
«Dieci
anni, da quello che racconta lui. Ma potrebbe anche essere di
più... deve
essere difficile mantenere il senso del tempo, in un posto come
questo».
Colin
smise improvvisamente di mangiare, e lanciò a Jared
un’occhiata penetrante.
Anche se erano quasi del tutto al buio, fatta eccezione per la luce
tremolante
di alcune torce piuttosto distanti, era sicuro che l’aveva
visto benissimo.
«Vuole
tornare a casa?»
«Chi
non vorrebbe?»
«Allora
portiamolo con noi».
Gli
occhi di Jared divennero simili a mezzelune.
«Come?Non possiamo tirarci dietro
un'altra persona! Sarebbe troppo rischioso per noi e per lui, senza
contare che
dovremmo provvedere ai viveri e...»
«È
stato lui a curarmi, giusto? Abbiamo bisogno di qualcuno che si intenda
di
medicina tradizionale, quando non possiamo contare su di te. E non
credo che
sia uno stupido, se è riuscito a sopravvivere per dieci anni
da solo qui
dentro. Portarlo con noi ci farebbe solo comodo. A proposito... adesso
dov’è?»
«A
caccia. Pare che qualcosa di commestibile ci sia, in questa
foresta».
«Intendi
andartene prima che torni, non è così?»
«Mi
dispiace, Colin».
Fece
per allungare una mano e toccarlo, ma il cavaliere gli
afferrò il polso prima
che potesse anche solo sfiorarlo.
«Oh,
andiamo, tu quel tipo nemmeno l’hai mai visto...»
«Mi dispiace, Jared».
Gli
sferrò un pugno sul volto con tutta la forza che aveva.
Jared
emise un singulto, poi si afflosciò su sé stesso.
Colin lo afferrò prima che
potesse cadere per terra, poi se lo tirò contro e lo distese
accanto a sé, sul
pagliericcio; doveva soltanto sperare che il padrone di casa tornasse
prima del
risveglio della principessina.
Come
a rispondere al suo pensiero, in quel momento una figura alta,
mascolina, si
affacciò sulla soglia della nicchia. Per quel poco che il
cavaliere riuscì a
vedere, era un uomo di una bellezza semplice,
dall’espressione dolce e
simpatica, con due profondi occhi scuri che lo scrutavano con una certa
apprensione.
Tutto
il contrario di Jared, insomma.
«Tutto
a posto qui?» Colin notò che nella mano stringeva
due conigli, rigidi come
pezzi di legno ma grassi e ben torniti. Sì, quel tipo gli
stava decisamente
simpatico.
«Avrei
un
paio di cose da dirti, prima che questo qui si svegli».
_Angolo
del Fancazzismo_
Che
dire, sono come al solito in ritardo colossale.
BTW,
spero che questo capitolo vi
sia piaciuto (direi “come i precedenti”, ma non
sono poi così sicura che
i precedenti vi siano piaciuti). Gli eventi cominciano a velocizzarsi
un
pochino, che dite? Siamo ancora all’inizio, e non vedo
l’ora di inserire tutte
le ideuzze che mi sono venute in mente per i prossimi capitoli...
Vi
linko la canzone che ho
ascoltato, praticamente in loop, durante la stesura. E dei Two Steps
From Hell,
un duo norvegese che fa colonne sonore per trailer di film
(sì, detto così
sembra una gran cavolata) e che io trovo a dir poco f a n t a s t i c o.
Questo
è il link: http://www.youtube.com/watch?v=cSH-_ScN6G0
Spero
vi piaccia... alla prossima!
See
you soon,
Roby