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Autore: Adelhait    07/11/2011    4 recensioni
Fece scivolare il dito indice su quell’iscrizione a rilievo una. Due e tre volte. Voleva imprimerla ben bene nella mente.
Le piaceva il suono di quell’antica nenia.
La lesse ad alta voce. Una voce dolce e cristallina di una bambina di dieci anni, ancora pura e incapace di nuocere al mondo.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sangue








“Fratello combatterà Fratello
E sarà suo carnefice, sarà violato
Ogni vincolo di sangue…”.






Fece scivolare il dito indice su quell’iscrizione a rilievo una. Due e tre volte. Voleva imprimerla ben bene nella mente.
Le piaceva il suono di quell’antica nenia.
La lesse ad alta voce. Una voce dolce e cristallina di una bambina di dieci anni, ancora pura e incapace di nuocere al mondo.
Un mondo così corrotto, che lei ancora non conosceva. Era vissuta tra antiche e umide mura, protetta dal suo longevo protettore. Un Youkai.
“Fratello combatterà fratello e sarà suo carnefice…”.
Canticchiò, mentre riponeva il pesante e polveroso libro di pelle.
Non aveva ben compreso il significato di quelle parole. Una profezia di dolore.
Scese dallo sgabello di rovere e corse dal suo signore. Il rumore delle sue scarpe risuonava nelle vecchie e stanche navate, illuminate da candele. Corse felice e arrivò di fronte a una grande porta socchiusa.
Sorrise, scostò la porta ed entrò nel grande salone illuminato dal riverbero dell’immenso caminetto di marmo.
Si diresse verso una persona seduta comodamente su di una poltrona. S’inginocchiò accanto a lei e poggiò il capo bruno sul suo ginocchio destro. Una mano diafana artigliata accarezzò la testolina bruna. Le sue lunghe dita s’intrecciarono con le sue ciocche, mentre continuava a osservare il gioco di luci nel camino.
“Che cosa significa quella frase, Mio Signore?”.
Domandò, mentre si lasciava trascinare da quel dolce tocco.
“Quale?”.
Le rispose continuando ad accarezzare il capo della sua ningen. Del suo cucciolo.
“Fratello combatterà fratello e sarà suo carnefice, sarà violato ogni vincolo di sangue…”.
Lui s’irrigidì di fronte a quella frase uscita dalla bocca innocente della fanciullezza. Un lontano ricordo rifiorì dalle sabbie del tempo.
Un ragazzo.
Sangue scarlatto.
Lacrime di dolore. Di rabbia.
Urla di donna.
Allontanò la mano dal capo della bambina e lo osservò. La candida mano tremò. Assottigliò lo sguardo d’ambra, intanto le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
Perché tremare di fronte a un insulso ricordo? Chiuse veloce il pugno. I suoi artigli lacerano le carni.
Il sangue scivolò tra le dita e caddero sul roseo volto della purezza.
La piccola non si mosse. Rimase ferma ad attendere una risposta.
Il sangue corse veloce sulle labbra dell’innocenza e le macchiarono.
Sangue del peccatore. Lui chinò il capo e osservò quell’angelo.
Quell’angelo che lui aveva strappato dalle fredde mani della morte.
Scostò lo sguardo e ritornò a fissare il fuoco. La danza tribale di fiamme.
Un lampo. Lo sguardo d’odio di una donna.
Di una giovane dai capelli corvini che teneva stretta a sé, il corpo di un ragazzo.
Un ragazzo dai lunghi capelli argentei, imbrattati di sangue e fango.
Le labbra rosse ringhiose.
“Maledetto! Era tuo fratello!”.
Un sibilo nel vento. Un dardo nell’anima.
Il suo sguardo freddo era posato su quel corpo inerme. Un corpo di un uomo che aveva combattuto e aveva perduto.
La sua compagna di guerra era accanto a lui, infranta. Distrutta.
Scintille di metallo e sangue sparse per il terreno.
Lui si mosse lento verso quella donna che tremava d’odio e terrore.
“Perché?”.
Domandò singhiozzante, mentre lo vedeva avanzare. Strinse di più quel corpo che lento diventava freddo.
“Mfh”.
Sbuffò di fronte a quel perché infantile. Lei strinse di più il suo amato, forse nel vano tentativo di riscaldarlo. Di riportarlo in vita.
“Era un errore. Una macchia nera sul nostro casato”.
Lei chinò il capo e scostò una ciocca dal viso dell’uomo che amava. Sorrise dolcemente, mentre sfiorava le labbra fredde di colui che dormiva in eterno.
“Errore”.
Sussurrò tristemente.
“Il vero errore è stato questa insulsa danza di morte. Questo duello nato per questa spada”.
Afferrò quel restava di quella spada. Ancora brillava.
Poggiò delicatamente il ragazzo a terra. Lo baciò per l’ultima volta.
“Non temere non sarai mai solo. Ti amo Inu Yasha”.
Si alzò e strinse a sé quel che rimaneva di quell’arma. Allungò le braccia verso l’assassino e con voce ferma gli urlò.
“Sesshoumaru combatti contro di me! Contro questa insulsa ningen che ha amato un Hanyou. Un errore! Come lo definisci tu! Ma il vero errore è il tuo insano odio! Ti maledico Youkai! Anche tu proverai il dolore della perdita! Arriverà il giorno dove, incontrerai e salverai un angelo che ti porterà alla rovina…sarà la tua caduta. Il sangue del tuo adorato casato finirà!”.
Lui non si scompose di fronte a quella maledizione. Attese.
Lasciò che fosse lei a lanciarsi contro di lui.
Incosciente.
Stupida come quell’errore.
Quell’ibrido nato dall’unione di un essere supremo con la feccia.
Lei si lanciò verso di lui.
Sesshoumaru mosse il polso e con eleganza trafisse il corpo di quella donna.
“Stupida Kagome, speravi di uccidermi? Di porre fine alla mia vita con la tua debole forza?”.
Lei sorrise ironicamente, mentre staccava dal suo ventre la spada del suo assassino.
“No, ma almeno ci ho provato…Sesshoumaru…provo pena per te…perché so che anche tu proverai questo mio dolore…”.
Poggiò la mano sinistra sul ventre sanguinate e si voltò.  Si voltò verso il suo unico amore.
Cadde inginocchio.
“A…am…ore…mio…sto…ven…endo…da…te…”.
Biascicò, mentre si trascinava verso di lui. Poggiò il capo sul suo freddo petto e chiuse gli occhi, mentre le sue labbra erano piegate in un innocente sorriso.
Sesshoumaru, pulì la sua spada con uno straccio, ma le macchie sull’elsa non si levarono.
Piccole stelle scarlatte che adornavano la candida elsa.
Il suo stesso sangue versato nell’odio di una vecchia faida.
Si voltò, mentre nella mente risuonavano le parole di quella donna.
Parole di una sua imminente disfatta.
Chinò il capo, mentre quell’immagine svaniva nel fuoco, e lo posò su quel piccolo scricciolo inginocchiato accanto a sé.
“Mio Signore cosa significano?”.
Continuò a domandare, ma lui non rispose. Che cosa poteva dire? Che cosa?
Silenzio.
Poggiò la sua mano sul bracciolo e restò immobile a fissare il fuoco.
Lo scoppiettio riempiva la stanza, come anche il placido respiro della bambina.
Socchiuse gli occhi, mentre quelle parole ritornavano prepotenti nella sua mente.
La maledizione di una donna morente.
D’un tratto sentì una fitta nel petto.
Un dolore lancinante.
Aprì gli occhi di scatto.
Mai avrebbe creduto a ciò che vedeva.
Colei che aveva salvato e protetto era di fronte a lui e in mano teneva una spada spezzata.
Una vecchia spada che ben conosceva ora imbrattata di sangue…del suo sangue.
La sua piccola ningen l’aveva pugnalato al cuore.
Lei era in piedi di fronte a lui e lo guardava freddamente, come lui tempo fa, quando aveva ucciso suo fratello e la sua compagna.
Sentì un profondo dolore, peggiore di quello fisico.
La perdita di una persona cara.
Strinse gli occhi, intanto piegava le labbra in un sorriso beffardo.
Lui, un essere supremo, era stato sconfitto. Un angelo l’aveva ferito a morte.
Il suo orribile errore era stato punito.
“Il mio orgoglio di onnipotenza è stato punito. Ho ucciso un essere che ho creduto inferiore. L’ho deriso…era mio fratello…il mio sangue che io ho versato per colpa del mio insano orgoglio. Morirò per mano di colei che ho salvato…la sua maledizione si è avverata…”.
Socchiuse gli occhi e chinò il capo. Lenta la vita lo abbandonava, ma infondo non gli dispiaceva morire.
Sentiva dentro di sé, un senso libertà. Sì, era libero.
Libero da quell’errore commesso contro il suo sangue.
Emise l’ultimo respiro e si addormentò in eterno.
La piccola rimase in piedi di fronte a lui e restò a fissarlo. A guardare la bellezza della morte.
Lasciò scivolare a terra la spada spezzata, mentre continuava a guardare il suo signore.
Sorrise. Si porse verso di lui e baciò il tiepido e pallido volto.
Si scostò e uscì dalla stanza, mentre canticchiava.
“Il carnefice ha espiato la sua colpa con il suo stesso sangue…”.




Fine



________________________
Era una storiella nata per Halloween, ma ho avuto un piccolo problema tecnico. In parole spicciole non riuscivo a tornare mai a casa presto ç_ç.
Maledetto lavoro e studio è_é. Comunque sia, l’ho postata lo stesso. La frase iniziale non mi appartiene, ma l’ho presa gentilmente da una rivista al lavoro che parlava sull’imminente fine del mondo. Una di quelle riviste un po’ dark, diciamo catastrofistiche che fanno un po’ sorridere. Mi piaceva e da lì è nata questa piccola one shot.
Un bacione a chi leggerà, ma anche a chi recensirà.
Ciao.

   
 
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