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Autore: ArchiviandoSogni_    12/11/2011    4 recensioni
Hanna è una ragazza che ha imparato a vivere sognando. Il suo mondo è fatto di linee sinuose e pasticciate dei suoi disegni e dalle parole rassicuranti e dolci, tratte dei suoi racconti.
Joe è totalmente diverso da lei. Un ragazzo che nella realtà ha trovato il suo unico appiglio per sopravvivere e ha fatto dell'apparenza la sua maschera preferita per evitare la sofferenza.
Uno l'opposto dell'altra, ma con la stessa voglia di amare ed essere amati.
L'indizione di un concorso letterario, li farà avvicinare e diventare i protagonisti di un tormentato e vissuto romanzo d'amore.
 
Tratto dal quarto capitolo :
 
“Joe..”
Finalmente rividi quel verde, più luminoso di prima e accompagnato da una sorriso quasi timido.
Era imbarazzato?
“Io non sono quel tipo di ragazzo.. Cioè. Oddio, mi fai imbarazzare come non mi è mai successo. Io non posso prometterti di essere il ragazzo dolce e romantico o il bello e dannato che tu pensi io sia. Non sono buono, ma non sono il male fatto a persona. Ho passioni, ma non ho doti speciali. Sono inverso, incazzoso, lunatico all’ennesima potenza. Odio le cose dolci, impazzisco per il salato. Mi piace divertirmi, ma non esagero senza il consenso degli altri. Non me ne frega della gente, ma voglio sentirmi dire le cose dalle persone che amo.. Vedi, io non penso che potrei essere quello che tu cerchi, però sono stato estremamente duro con te l’altro giorno. Non posso prometterti amore, ma non sono nessuno per impedirtelo.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inked Love - Amore d'Inchiostro'
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Cap 2.
 

Listen to your Heart







 






Qualcosa non andava.
Passavano i giorni eppure mi sentivo continuamente sotto controllo, come se qualcuno mi stesse osservando con estrema accuratezza.

Ma ovviamente, distratta com’ ero, non avevo mai dato realmente peso a quella mia continua ansia.

Ansia di essere osservata da tutti e derisa.

Non so bene perché, forse per un’infanzia ricca di battutine sulla mia vecchia forma fisica o anonima bellezza. Ho passato così la mia adolescenza e le ferite non si sono mai del tutto rimarginate.
Sono ancora là che a volte pulsano e fanno male per ricordarmi cosa ero e cosa sono ora.
Pur avendo gli occhi di un anonimo nocciola chiaro e i capelli di un castano molto luminoso, non ho mai avuto una bellezza che sbalordisce a primo impatto. Fisico normale, forme giuste ed un viso che apparentemente sembrava perfetto. Niente segni giovanili, niente pelle rovinata. Eppure non mi curavo maniacalmente, addirittura mi truccavo poco.

In pratica ero una ragazza come tante altre, con i soliti pregi e difetti. Per questo non potevo contare solamente sull’apparenza per conquistare l’attenzione delle persone.

Soprattutto di una.

A me, in quel momento, interessava solo essere considerata da Joe.

Sfortunatamente però, dopo il burrascoso incontro di poche sere prima, avevo rovinato ogni possibilità di piacergli.
Piacergli davvero, non solo per una notte e via.
Volevo innamorarmi di lui ma spiegarlo a parole, non era mai stato facile per me.
Infatti disegnavo, da sempre. Mi esprimevo disegnando perché faceva meno paura e meno male. Dopo tutto , se non ottenevo ciò che imprimevo su carta, potevo accartocciare il foglio e gettarlo via semplicemente.
Ma le parole dette, sono difficili da dimenticare e non si possono semplicemente cancellare dalla memoria.

In quel momento, nella grande e silenziosa biblioteca, avevo ripreso il tanto e amato blocco da disegno e stavo disegnando con molta cura il profilo di quel ragazzo che tanto mi aveva stregata qualche mese prima.

Come mai? Perché lui?
Me lo chiedevo ogni giorno, ma non c’era una risposta sensata. Non si può scegliere di chi innamorarsi, ad un certo punto ti ci trovi in ballo e non puoi far altro che entrare in pista e lasciarti trasportare dalla musica. Oppure puoi osservare la tua opportunità scemare con anche il tuo interesse.

Non era nuovo per me, comunque. Con gli altri miei ex era stato solo per fortuna, o meglio per altrui volontà. Io non mi sono mai innamorata, erano gli altri a farlo per me.
Mi capitava di apparire attraente per una piccola percentuale di uomini, loro semplicemente si presentavano a me ed io accettavo.

Perché lo facevo?

Purtroppo non ho mai trovato nemmeno questa risposta. Mi dispiaceva dire un semplice No e poi pensavo semplicemente che tutto faceva esperienza e che ogni lasciata era persa.

Ripensandoci, ero cambiata molto in quegli anni. Avevo ormai 22 anni eppure mi sentivo molto più vecchia e molto più matura.
Avevo semplicemente smesso di uscire con un ragazzo per gentilezza o per fare esperienza.
Avevo smesso di idealizzarli e pensare che ogni ragazzo potesse diventare un ipotetico principe azzurro anche se non mi piacevano davvero.

Così mi ritrovavo in quell’ambiente a me familiare e invece di pensare a prepararmi a dovere per l’imminente esame di letteratura, distruggevo il mio unico neurone per colpa di quel ragazzo che mi aveva destabilizzato l’intero equilibrio creato da una vita.

Mentre ripassavo gli occhi con il carboncino, non potevo non essere così pensierosa. Quegli occhi stessi erano perennemente velati da pensieri probabilmente infelici.
Quanto avrei voluto vederli sorridere. Quanto avrei voluto essere io a farli illuminare di vita.

Ma purtroppo non sono mai stata un eroina da fumetti Marvel e tanto meno una crocerossina pronta a soccorrere tutti.

Lascia velocemente il carboncino per cercare una penna nella borsa. Avevo in mente delle frasi da imprimere vicino a quel disegno. Ero usuale farlo. Oltre a disegnare ciò che vedevo o provavo, scrivevo per completare questo mio strano modo di comunicare. Il disegno era il corpo e la scrittura l’anima. Uno strano mix che a volte, come quella, mi richiedeva molto tempo e decisamente altrettanta energia.
Concluso quel mini paragrafo; chiusi stremata il blocco, massaggiandomi poi le tempie energicamente.

Non potevo continuare di quel passo, dovevo muovermi a fare qualcosa.
Forse l’idea di dichiararmi non era poi così male. Solo che avevo paura.

Non potevo semplicemente mostrargli un disegno e usarlo come tacita dichiarazione?

Improvvisamente una mano si posò vicino alla mia, derubandomi del mio fedele amico.
Non ci voleva mica un genio per capire chi fosse.
Spostai lo sguardo senza posarlo su nulla in particolare, semplicemente evitavo di guardare verso la sua direzione.

“Vedo che le verginelle sono anche delle assidue studiose. Sai che sei proprio triste?”

Perché io invece di odiarlo, in quel momento non volevo fare niente se non sfioragli la mano con la mia?
Alzai poi lo sguardo vedendolo ghignare per la sua finta ironia. Percepivo che voleva solo provocarmi e farmi fare una figura pessima nel mio luogo sacro, nel mio tempio di pensieri e riflessioni.

“Per lo meno evito di essere patetica; Verginella ma non stupida. Mi spiace Joseph.”
Abbandonai così il mio intento di studiare e mi diressi fuori dall’edificio.
Ci vollero diversi pesanti secondi prima che sentissi il ragazzo raggiungermi, senza correre, ma incalzando un passo dietro l’altro come se fossi io quella a dover aspettare lui.
Stavo cominciando a ricredermi. Io odiavo quel tipo di persone, odiavo chi si atteggiava come se fosse un Dio dell’Olimpio. Eppure, diamine. Lui non lo odiavo, non riuscivo.
L’odio prima di arrivare nei miei sensi, si trasformava in pura adorazione.

“Ottima uscita di scena, non posso non concederti una piccola vittoria. Eppure l’altra sera mi sembravi così dispiaciuta che non fossi tu la donna tra le mia braccia.. Sono qui per rimediare.”

Mi aveva affiancato, sventolando in continuazione il mio piccolo tesoro.

Non si rendeva conto cosa rappresentasse per me quel blocco? Eppure non mi spiegavo la mia continua voglia di farmi del male.

Perché mi ero così fissata su di lui?

“Senti.” Mi fermai per guardarlo meglio in viso. “ Non sono dell’umore giusto per fare la simpatica con te. Restituiscimi il mio blocco e facciamola finita.”
Mi guardò forse per la prima volta. Posò il suo sguardo in maniera diversa dal solito. Non c’era accusa, né rabbia o semplicemente malizia.
“Perché dovrei? Credo che tu sia diventata il mio nuovo giocattolo. Che ne dici? Andiamo in camera mia?”
Sorrisi sfacciatamente perché era facile mascherare l’amarezza che mi stava crescendo nel petto.
“Smettila. Restituiscimi ciò che mi appartiene e lasciami in pace.” Mi allungai sulle punte dei piedi per arrivare a prendere il libro, lui lo spostò volutamente da una parte all’altra per evitare che io lo recuperassi.
“No, no, no; dolcezza! Credo proprio che me lo terrò io, ho visto prima che espressione avevi quando ci scrivevi dentro. Ho per caso preso il tuo piccolo diario segreto?”

Mi si gelò il sangue.
Voleva vedermi arrabbiata? Voleva sentirsi insultare?

“Senti : Vaffanculo.”

Si, lo dissi davvero e me ne andai senza troppi giri di parole.
Lo lascia li, nel cortile dell’università che divideva il dormitorio dal plesso universitario.
Mi sentivo così contraddittoria, Dio. Sentivo che ogni mia idea non era per niente supportata a dovere.

Joe mi piaceva, altro che se mi piaceva.
Adoravo il suo sguardo perennemente misterioso e in qualche modo triste.
Adoravo le sue labbra così visibilmente morbide e non potevo far a meno di ammirare quel fisico da modello mancato.

Ma mi stavo rendendo conto che era solo il lato fisico che mi attraeva. Appena mi ci ritrovavo di fronte, smettevo di vederlo con quegli occhi a cuoricino da perenne adolescente in crisi ormonale.
Iniziavo a capire che forse non era un innamoramento platonico il mio, era pura e semplice attrazione.
Ma era così forte quel legame che avevo creato da sola, così dannatamente reale ai miei occhi.
La semplice attrazione era in grado di far nascere tutte quelle sensazioni che sguazzavano allegramente nel mio cervello incasinato?

Sbuffai come solevo fare,mentre ritornavo nella mia camera al dormitorio.
Per fortuna Cat era ancora al lavoro e non dovevo subirmi un suo spietato interrogatorio con tanto di sentenza finale.
Mi avrebbe dato della rincoglionita, decerebrata e senza spina dorsale.
Eppure non ero così prima, nessun ragazzo mi aveva mai ridotta così.

Accesi lo stereo lasciando come sottofondo Ironic di Alanis Morisette. Si era davvero tutto ironico. Guardandomi allo specchio, stentavo a riconoscere quel rossore sulle guance. Ero ancora totalmente in collera con me stessa per non avergli risposto a dovere. Però, sorrisi nel pensarlo, la vecchia me non si sarebbe fatta molti problemi.
Molti insulti e magari anche schiaffi.
Ero davvero tremenda una volta; una piccola Gangster.
Dopo il periodo infantile ricco di frecciatine sul mio fisico; con l’arrivo dello sviluppo, cambiai radicalmente. Non solo il fisico si formò e diventò molto più femminile ed attraente, anche il carattere schivo e timido si trasformò in ribelle ed esuberante. Avevo così ottenuto tante piccole vendette e vittorie verso coloro che si erano approfittati della mia precedente innocente bontà. Poi, finita anche la fase adolescenziale, venne finalmente plasmata la me stessa di oggi. Esuberante e colloquiale con gli amici, schiva e timida con gli sconosciuti. Un mix un po’ strambo ma per il momento abbastanza funzionale.

Mi legai in una coda alta i capelli castano chiari, per poter essere più libera. Infilai dei pantaloni della tuta ed una maglietta larga per distendermi poi sul grande letto. Era davvero strano quanto preferissi starmene per i fatti miei invece che mescolarmi alla moltitudine di ragazzi dell’università.

Effettivamente non dovevo nemmeno accettare di andare a quella festa. Quella sera sarei stata tutto il tempo a disagio, senza subbio. Mi sarei chiusa in me stessa e aspettato invano il taglio della torta, per poter terminare quell’insopportabile tortura.
Nessuno ovviamente mi obbligava, ma avevo radicato dentro di me un profondo senso del dovere. Non era perché gli altri si comportavano male con me io dovevo farlo di conseguenza.
Ah, brutta cosa la consapevolezza. Avrei voluto ostentare meno maturità a volte, per utilizzare l’ignoranza come scudo protettivo.

La musica sovrastava tutto ed anche i miei pensieri così turbolenti lasciarono spazio alla progressiva calma che si insinuò tramite quel dolce suono di chitarra e dall’energica voce della Morisette.
Mi ritrovai distesa sul mio letto a cantare a squarcia gola, urlando più del dovuto ed estraniando il dolore che mi riempiva il cuore.

La vita era stata molto crudele con me rendendomi una ragazza perennemente insoddisfatta di quello che facevo e con pochi sogni da realizzare . Forse era solamente uno il più grande, il più nascosto e il più agognato : diventare una disegnatrice.

Lo sentivo, sentivo quando prendevo la matita in mano che le figure prendevano possesso della carta con estrema naturalezza. Sembravo quasi posseduta dalla voglia compulsiva di esprimere ciò che a parole non mi era mai stato possibile fare . Volevo essere me stessa senza girare lo sguardo o esibire parole crude come difesa personale.
Volevo far vedere al mondo che Hanna, era molto di più che una ragazza pensierosa e sempre seria.
Era divertente, era libera, era spontanea, era anticonformista.

Volevo sventolarglielo in faccia con sfacciataggine.
Soprattutto a loro, i miei genitori.
Scappai di casa pur di non dovere più sopportare i loro continui litigi e le loro idee bigotte.
Per loro, dovevo diventare un’abile dottoressa, come tutte le femmine della mia famiglia da generazioni. Come mia madre. Quel diavolo dal viso angelico, quella donna bellissima che aveva sempre cercato di rendermi come lei.
Snob, bigotta, falsa, montata.
Ma l’ho sempre ignorata e i risultati sono stati i seguenti : fuori di casa dall’età di 18 anni.
Per fortuna avevo trovato un università adatta a me e beh.. Anche un alloggio all’interno compreso nella rata. Ironia della sorte, dopo pochi mesi, i miei amati genitori erano ritornati sui loro passi pregandomi di ritornare a casa. Gli ignorai completamente e avevo così preferito dare ripetizioni a qualche studente e lavorare nella libreria in centro per pagarmi tutto.
Matite, acquarelli, tempere, pennelli e libri.
Compravo anche molto altro, ma principalmente l’arte era nei miei bisogni primari.
Sentivo che un rosso accesso di un colore ad olio mi comprendeva più di un suntuoso completo di Victoria’s Secret; non che detestassi comunque concedermi uno dei suoi deliziosi completino ogni tanto.

E mentre la canzone cambiava e le prima note di Listen to your heart si diffondevano con estrema lentezza nella stanza, qualcuno bussò.

Leggermente infastidita mi alzai, ma appena ritrovai quegli occhi velati di infinita tristezza a guardarmi, ogni mio singolo movimento si congelò ed anche l’arrabbiatura precedente svanì come sabbia nel vento.

“Joe?”
“Hanna.”

Aveva letto il mio blocco, dannazione. Ora non solo sapeva il mio nome, ma conosceva i miei segreti più nascosti, la paure più terribili e le passioni più folgoranti. Per questo odiavo che la gente si intromettesse nella mia vita.
E quel quaderno, per me, era una parte stessa della mia anima. Era tutto ciò che le parole non sono mai riuscite a dire, che i gesti semplicemente banalizzavano.
E quelle frasi, concetti, riflessioni che appuntavo insieme ai disegni; creavano ciò che per anni ho definito il mio unico modo di sopravvivere.

Io sopravvivevo con la carta che mi nascondeva e l’inchiostro che comunicava per me.
Ma in quel momento, in quell’istante; tutta quella certezza vacillava.
Perché mi continuava a guardare senza colmare quel muto silenzio?
Perché semplicemente non mi lasciava il quaderno tra le mani e non spariva dalla mia vista già contaminata dall’imbarazzo?

Non parlavo nemmeno io, a dirla tutta. La vergogna mi ostruiva i polmoni e l’aria faticava a seguire il suo normale compito. Per questo ad un tratto indietreggiai fino a sedermi ai piedi del mio letto.

“L’hai letto?”

Sentii la porta chiudersi e pochi secondi dopo un leggero movimento del materasso mi fece capire che si era seduto accanto a me.

Listen to your heart urlava la cantante della canzone, ma io avevo paura di seguire quel consiglio indiretto. Non potevo ascoltare semplicemente il mio cuore perché in quel momento avrei voluto approfittare della situazione. Farmi avanti, fargli capire cosa provavo davvero.
Ma ero una codarda, avevo paura dei miei stessi desideri.

“Sì.”
“Uomo di tante parole. Posso riavere indietro ciò che mi appartiene?”

Sulle mie ginocchia si appoggiò con delicatezza il mio amato quaderno e il sollievo che aspettavo mi colpisse; non arrivò.

La tensione, l’inquietudine e la vergogna, pulsavano terribilmente partendo dalle mie tempie fino ai polsi. Il sangue stesso ribolliva per la pressione emotiva a cui mi ero auto esposta.

“Senti, penso che tu ti sia fatta un’idea sbagliata di me.”

Bang. Primo colpo al ventricolo destro.

“Nessuno ti ha dato il diritto di leggere e di vedere ciò che c’è in questo quaderno. Non mi interessa se ho un’ idea sbagliata e stereotipata di te.”

Sentii una mano scivolare sul mio braccio finché il mio viso, voltandosi , si ritrovò a pochi centimetri da quello di Joe.

“Odio le ragazzine come te. Quelle che stanno al loro posto, sedute ad aspettare che la fortuna le baci e il principe azzurro le prendi con disinvoltura in braccio per portarle nel castello delle fiabe. Pensi che grazie alla lettura di quelle parole, vedere quei bei disegni, io possa innamorarmi improvvisamente di te?”

Beh, potevo aspettarmi di tutto, di tutto davvero. Ma di essere rifiutata in quel modo così incivile, così poco delicato : no.
Non me lo meritavo, non ero una stupida ragazzina che aspettava l’intervento del fato tacitamente.
Mi scansai così da quella mano che fece fatica a lasciare la mia pelle.
Se io ero la ragazzina che sperava, anche lui non era da meno. Poteva anche usare quelle parole da stronzo, ma i suoi gesti e i suoi occhi; non mentivano. Mi implorava, implorava che io non smettessi di farlo. Eppure quelle parole crude furono più veloci del mio cervello che cercava di farmi vedere la realtà che mi circondava non ciò che Joe volesse farmi credere.
Anche il mio cuore mi stava dicendo di non mollare, che la realtà non era come l’apparenza me la facesse vedere.
Ma non riuscivo. Anche guardalo negli occhi mi risultava difficile. Il mio cervello aveva sempre avuto fin troppo controllo sui miei pensieri, sulle mie sensazioni ed io non riuscivo a buttarmi semplicemente tra quelle braccia che agognavo e baciarlo infine con trasporto, come nei film.

“Io odio chi si nasconde. Sarò anche una sognatrice da quattro soldi che vive di inchiostro indelebile e di comune carta, però non fingo. Non ho mai mentito a me stessa.”
Lui abbassò il suo sguardo verso di me, incatenandomi in quel turbine di inquietudine che lui stesso mascherava quasi eccellentemente.

“Vedi? Credi già di conoscermi solo perché mi osservi da mesi. Ha già creato la trama della tua storia, il protagonista bello e dannato e la classica sfigata che entra magicamente nelle sue grazie. Per favore, non voglio essere protagonista di un tuo sogno ad occhi aperti.”
Si alzò e mise le proprie mani in tasca, come se il contatto con la mia pelle fosse diventando proibito.

Perché i suoi gesti mi sembravano così chiari da interpretare? Mi stavo davvero creando un mondo tutto mio per paura del suo rifiuto?

Dio, che mal di testa. Eccolo che ritornava più forte che mai.

“Va bene, va bene. Ma visto che io non conosco te, tu non conosci nemmeno me. Quindi puoi semplicemente far finta di non aver letto niente, di non aver visto le mie cavolate e girare l’angolo.
Prego, la porta è aperta.”

La indicai con la mano mantenendo la mia posa immobile. Le ginocchia in quel momento tenevano in custodia il colpevole di tutta quella situazione e sicuramente non erano in grado di alzarsi senza vacillare.
In realtà, non ero preparata a tutto quello. Cavolo, non avevo minimamente preso in considerazione il fatto che lui potesse leggere i miei pensieri e le miei inquietudini interiori. Era anche difficile simulare tenacia in quella occasione.

Avrei voluto urlare quanto la cantante di quella canzone che adesso mi stava facendo innervosire.

Ascoltare il cuore?
Neanche per idea. Per colpa sua stavo per rovinarmi anche il piccolo mondo che mi ero creata da anni e con ligia precisione.

Joe nel frattempo si era avvicinato alla porta mostrandomi le sue spalle, mettendo così ancora più distanza tra di noi di quanta già ce ne fosse.

“Me ne vado e spero che tu smetta di crearti mondi che non esistono. La realtà farà anche male ma è l’unica cosa che ci appartiene davvero.”

“Non ci credi nemmeno tu a quello che dici.” Sussurrai, ma purtroppo quando lui si voltò, capii che non era stato solo un semplice sussurro.

“Non mi CONOSCI. Smettila sei irritante.”
Si rigirò così, senza darmi opportunità di replica.

“Addio Hanna, buona continuazione. Ah comunque…” Si rivoltò per l’ennesima volta, prendendo con una mano la maniglia. “ Canti da fare schifo.”

E senza aspettare altro, se ne andò sbattendo la porta più del dovuto.

Ero frastornata.
Ma che era successo?
Perché improvvisamente quei mesi spesi a guardarlo in silenzio a cercare di conoscerlo solo attraverso i gesti e le sue abitudini, mi sembravano essere stati semplicemente buttati nel gabinetto?

Rabbia, la rabbia cresceva dentro il mio petto insieme alla delusione.
Finiva sempre così. Complicare la vita era una delle cose che mi usciva meglio.
Mi alzai e camminai nervosamente tra quelle pareti bordeaux e quel parquet rovinato. I pensieri mi inondarono di nuovo, il cervello mi fece capire che ormai il danno era bello che fatto.
Ma non avrei pianto, non era da me. Piuttosto avrei pestato il muro, urlato a più non posso, preso una penna e scritto.

Scrivere.

Presi quel quaderno e girai le pagine fino a quando ritrovai il disegno di quel pomeriggio e una parte del racconto che avevo iniziato a scrivere su di lui.

Quegli occhi erano diventati il mio personale traduttore per capire i suoi comportamenti. Era lunatico, cambiava idea ogni volta che il vento cambiava direzione e se prima mi stava parlando con allegria, ora era ritornato il solito lupo solitario. Quegli occhi guardavano il cielo, come l’animale guardava la luna. E io volevo diventare quel cielo per insegnare a J. l’esistenza dell’amore; a crederci almeno quanto ci credessi io..
Volevo essere la sua stella guida, il suo percorso più facile per la Luna. Il suo pass esclusivo per la felicità.

“Scema, scema e stra scema!” Mi rimproverai ad alta voce.

Ma non potevo continuare in eterno ad esasperarmi per niente. Lui rifiutava di aprirsi? Affari suoi.
Non potevo ridurmi davvero a livelli così catastrofici per colpa di un ragazzo esibizionista, viziato e per niente maturo. Avevo bisogno di un uomo al mio fianco.. Un uomo. Un uomo come.. Joe.
Mi diedi per l’ennesima volta della cretina e presi a disegnare convulsamente come sempre.
Il disegno non era armonioso. Comparivano degli occhi glaciali, un volto in ombra e un ghigno malvagio che mi intimoriva solo a guardarlo. Mi vennero così in mente, le parole adatte ad accompagnare quello strano accostamento monocromatico.

Odioso e adorabile. Ombra in una giornata di luce sorprendete. Lacrima su un volto gioioso. J. racchiudeva in se stesso gli opposti della natura. Gli elementi antagonisti si univano con incredibile disordine in lui, creando una personificazione perfetta del Caos. Era il Caos. Il Caos in cui volevo perdermi. Perdermi per l’eternità.

Quando Cat entrò in camera, smisi di scrivere. Mi sentivo libera e decisamente più calma dopo quella scarica di energia dovuta all’inchiostro e al carboncino. Appena i nostri sguardi si incrociarono, lei disse semplicemente “ Joe” ed io annuii gettandomi all’indietro sul letto.

Lei mi si avvicinò accarezzandomi un braccio, mentre cercavo di coprirmi il viso.
Odiavo che la gente mi guardasse negli occhi quando ero emotivamente distrutta. Bastava poco per farmi crollare e non volevo. Non volevo mai mostrarmi agli altri per quello che ero.

Terribilmente instabile.

“Cosa ha fatto questa volta?”
“Niente.” Mi girai dall’altra parte per porre fine alla questione.
Ma quando si parla di Cat, niente è prevedibile e soprattutto niente va come tu vuoi che vada.
“Ah.. Non me ne frega un cazzo se sei in fase depressiva-incazzosa. Sono tua amica, la migliore a dirla tutta, e quindi voglio sapere cosa ti turba. Smettila di fare l’eroina e spara la bomba. Tanto non mi muovo da qui.”

Le lanciai il cuscino in faccia scoppiando a ridere poco dopo.
Cat era davvero la migliore.

“Ma sei impazzita?”
“E’ colpa tua. Io sono depressa e cominci a fare la stronza di turno? “
“Uhm.. Dai, io non sempre così; anche quando sei felice. Ora, cambiamo argomento per un momento? Non voglio incavolarmi ulteriormente e sparare insulti a random verso quel dolce e benpensante ragazzo.”
Quegli aggettivi erano intinsi dell’ acido più corrosivo esistente al mondo. E Cat aveva ragione, dannazione! Ero io a dovermi incavolare e sbraitare. Dovevo insultarlo, maledirlo e comprare un set completo per le bambole voodoo. Ma in amore si è stupidi ed incoerenti.
Un po’ come ero io in quel momento.

“Devi andarci.”
“Dove?”
“Alla festa! Ora più che mai! Stasera ti dai alla pazza gioia, bella mia.”
Mossi la testa convulsamente in segno di protesta.
“Ma proprio no! Sei pazza? Con il mio stato emotivo disastroso, se toccassi un goccio di alcool, finirei direttamente a ballare sui tavoli con tanto di spogliarellisti attaccati al sedere! No, no e no. Scordatelo.”
La mia cara amica mi guardava con un ghigno spaventoso. La sua mente diabolica stava elaborando qualcosa.. qualcosa di orribile.

“Vieni con me. Stasera ti vestirai come dico io. Ti truccherai e ti profumeria quanto la regina di Inghilterra! Ti voglio come Jessica Rabbit, capito? Muoviti, abbiamo del lavoro da fare.”

E con ormai la desolazione nell’animo, mi feci condurre da quelle mani maledette verso il bagno.

Ed era solo l’inizio, pensai esasperata prima di chiudermi la porta alle spalle.

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Eccomi di nuovo qui!
Che ne pensate? Pian piano la storia sta prendendo la sua strada. Spero che vi sia piaciuta!
Io sono abbastanza soddisfatta della trama e dei protagonisti. Se ci fossero eventuali errori, li correggerò il prima possibile!
Grazie mille per la vostra gentile attenzione e buona giornata!

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A presto ;)

   
 
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