Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: IlMalee    14/11/2011    3 recensioni
veri Sabbat fanno irruzione nel covo di un anziano... che non è molto contento di ricevere visite! Doveva essere un lavoretto facile e invece...
Genere: Azione, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nicola si era svegliato di soprassalto.
Aveva sentito dei rumori provenire dalla villa, ma ora attorno a lui vi era solo il silenzio. Forse era stato solo un incubo.
Gli altri suoi compagni sonnecchiavano ancora.
Fuori brillava la luna attraverso la finestra della sua stanzetta, ma lui non si sentiva tranquillo.
Per sicurezza, decise di chiamare la sorveglianza dell'ingresso.
Era Luca di turno quella sera.
Il telefono squillò tre volte, poi sentì dall'altra parte della cornetta la voce familiare del suo compagno.
"Pronto?Chi parla?"
"Sono io, Nicola."
"Chi parla?"
"Sono Nicola, dai non fare lo scemo.Volevo sapere se andava tutto bene."
"Io chi?"
"Non mi senti bene? Ho detto che sono io Nicola, ti chiamo dalla camera."
"Ah!"
"Sì ecco, volevo solo sapere se era tutto a posto, o avevi bisogno di qualcosa."
"Devi scusarmi, sono occupato sto lavorando. Cosa vuoi?"
"Ti ho già detto, volevo solo…"
"Scusami, ma adesso sto lavorando vedi di non disturbarmi più."
"Ma io…"
Luca mise giù.
Nicola era piuttosto confuso e non sapeva bene cosa pensare.
Forse quel tamarro aveva alzato troppo il gomito e ci era andato pesante con la grappa dopocena.
Ma c'era qualcosa nel tono della voce di Luca, e nelle sue parole, qualcosa che lo inquietava. Come mai non lo aveva riconosciuto? E perché non gli aveva risposto in maniera sensata?
Poi un rumore in lontananza gli fece gelare il sangue nelle vene.
Stavolta ne era certo.
Era il rumore di uno sparo.
Senza perdersi d'animo, Nicola balzò giù dal letto e tolse la sicura alla pistola.
Non aveva bisogno di cambiarsi, dormiva in tuta da ginnastica. Indossò l'impermeabile e poi diede uno scossone agli altri due che ancora dormivano.
"Che c'è?"
"Ci attaccano, ecco che c'è!!!"
"Come dici??"
"Non c'è tempo, date l'allarme muovetevi!"
Gli altri due si erano riscossi anche loro ed avevano tirato fuori le armi.
"Ne sei sicuro?"
"Sì, al cento per cento. Ora muovetevi, alla villa presto!"
Si misero a correre a perdifiato verso le luci in lontananza.
Dopo più di venti metri circa, Nicola si fermò.
C'era qualcosa per terra, o meglio qualcuno.
"Oh, merda!"
Era Carlo, uno delle guardie. Ci aveva fumato assieme la sera prima.
Non occorreva tastargli il polso, aveva la gola completamente squarciata, era in un lago di sangue.
"Cazzo!!"
"Brutti bastardi!"
"Muoviamoci, è inutile stare qui. Saranno già dentro."
Ora erano tutti furiosi, lo vedeva nei loro occhi.
Non sapeva bene perché, forse in fondo stava cominciando ad affezionarsi a loro, sapeva che condivideva un fardello in comune.Sapeva che anche loro come lui dovevano ubbidire a dei padroni.
Erano arrivati. Il portone era chiuso, e le luci al piano terra erano spente. Brutto segno.
"Ok, adesso con calma..."
"Bastardi!!!"
Uno dei due, il più giovane, un ragazzo sulla ventina, aveva spalancato la porta con un calcio.
Dentro era semibuio.
Erano entrati, e Nicola maledicendo la loro impulsività li aveva seguiti.
La stanza era in penombra, la luce della luna passava dalle finestre.
Nicola vide che vicino alla scrivania in mogano c'era un corpo.
Era Luca. O meglio, quello che rimaneva di Luca.
La testa non c'era più, al suo posto vi era una pozza di sangue con i resti sfracellati delle cervella e del cranio.
Ma Nicola non fece in tempo a compiangere i resti del suo collega.
Li vide.
Non aveva mai visto nulla di simile, ma nella sua mente emerse a chiari caratteri una parola: "demoni".
Uno di loro era enorme, altro quasi tre metri, la pelle era chiarissima, pallida, bianca come l'avorio. Era seminudo, quel poco che aveva addosso erano stracci. Aveva due enormi corna che gli spuntavano sulla testa e vari spuntoni, come gli aculei di un riccio, che spuntavano dalla schiena e dalle braccia. Gli altri erano anche loro coronati di spine e spuntoni in fronte e sulla schiena, e sul volto di ognuno brillavano un paio di lucenti occhi rossi.
"Oh, oh mio Dio."
Uno degli altri aveva fatto fuoco.
Anche Nicola si era messo a sparare, così, istintivamente.
Ma le pallottole non sembravano avere alcun effetto su quei mostri.
Uno di loro, quello più alto e grosso, scoppiò a ridere.
"Divertenti. Venite, giochiamo assieme."
La voce era gelida, aliena, distaccata come quella di un robot.
Avevano sparato altri colpi, indietreggiando sempre di più.
Le pallottole sembravano rimbalzare sul corpo biancastro del colosso,  a malapena lo rallentavano.
Poi, con un balzo, l'abominio aveva afferrato uno dei suoi due compagni, Giovanni, e lo aveva perforato al petto con uno dei suoi artigli.
"Aaaah!!!"
Il sangue cominciò a sgorgare dal petto del poveretto sollevato a mezz'aria e Nicola sentì la paura paralizzargli ogni muscolo.
Con uno sforzo sovrumano si costrinse a muoversi e riuscì a mettere una gamba in avanti, prima un passo, poi un altro. Cominciò a correre.
Dietro di sè sentiva le urla del suo compagno e gli spari.
Poi ad un certo punto i colpi smisero e, dopo pochi istanti, anche le urla.
Non si voltò. Sapeva dove andare.
Il capanno degli attrezzi.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma avrebbe almeno dovuto provarci.
Proprio mentre tentava di aprire la pesante porta di legno incrostata, vide un pugnale conficcarsi a qualche centimetro dalla serratura.
Non era un pugnale, sembrava… Era un osso umano. Affilatissimo.
Si voltò e vide avanzare a passi lenti il colosso fatto d'ossa, perché ora riusciva  a vederlo bene al chiaro di luna, e capì che tutto quel candore e quegli spuntoni non erano altro che ossa umane, deformi e abnormi, ma comunque ossa.
"Non preoccuparti, entrerai a far parte della mia collezione. Vedrai, ci divertiremo un mondo."
"Nooo!!"
Con un calcio, riuscì finalmente a smuovere la porta, strappando l'impermeabile Nicola entrò dentro.
Era buio. Accese l'accendino, doveva sbrigarsi.
"Scappa, nasconditi pure. Altrimenti mi stufo subito e ti uccido."
La porta era andata in pezzi.
Ma a Nicola non importava: aveva trovato quello che gli interessava.
Un tanica di benzina, nascosta sotto il tavolo da falegnameria, tra i vari attrezzi.
Con le mani che gli tremavano, tolse il tappo e spruzzò il liquido addosso al mostro.
"Muori!"
Gli aveva scagliato contro l'accendino zippo acceso.
Tra sè e sè benedisse di aver ricominciato a fumare.
Il bestione aveva preso fuoco, le fiamme gli lambivano il braccio destro col quale si era riparato e parte del volto.
"Lurida vacca del cazzo, ti farò a pezzi vedrai!!" il mostro stava urlando, ma non riusciva più nè a vedere nè a muoversi bene. Era caduto in ginocchio sull'erba, fuori dal capanno, e si stava dimenando come un ossesso, in preda ad atroci dolori.
Poi Nicola vide a terra, inflizato in un pezzo della porta, l'osso di prima.
Allora gli vennero alla mente le parole di Riccardo.
"Mira al cuore".
Come preso da una furia improvvisa, afferrò l'osso affilato e lo tirò fuori dal legno.
L'osso si tinse di rosso.
Si era tagliato la mano nel farlo, ma non gli importava.
Gridando, si era avventato sul mostro bianco, e lo aveva colpito con tutte le sue forze, mirando dove supponeva si trovasse il cuore.
Sentì un rumore secco,come il suono di qualcosa che si spezzasse, poi l'osso sprofondò nel corpo del mostro.
"Oooohhh…"
L'essere aveva emesso una specie di sibilo prolungato e  si era accasciato del tutto al suolo.
Nicola invece dovette ritrarsi subito perché si era quasi ustionato, le fiamme avevano preso a lambirgli il cappotto.
Quando riuscì a spegnere il fuoco si sedette, ansimando.
Era esausto.
Davanti a lui, l'enorme corpo trafitto non si muoveva più, e a poco a poco il fuoco lo stava consumando.
Nicola vide chiaramente quel corpo sbriciolarsi, scoppiettando come un legno ardente mano a mano che le fiamme lo avvolgevano, fino a che dell'enorme mostro non rimasero che un mucchio di ceneri.
Sentiva il cuore scoppiargli in gola, e i muscoli tutti doloranti.
Ma era vivo.
Era vivo, cazzo.
E aveva appena fatto il culo a uno di quegli esseri… di quei… Mostri.
Si sentiva un eroe.
Come quelli delle leggende, spada alla mano, che andavano affrontando draghi in epiche battaglie. Aveva vinto.
La consapevolezza di poter reagire, di non essere più impotente davanti a quegli esseri lo colpì, e gli diede la forza di rialzarsi.
Doveva finire il lavoro.
Doveva vendicare i suoi compagni.
Ma la benzina era finita, stava bruciando sull'erba e la tanica ormai era quasi vuota, si era sparsa sul terreno.
L'accendino si era sciolto, bruciato assieme a quel mostro.
Sconfortato e piuttosto allarmato, Nicola vide che gli era rimasto soltanto un caricatore per la desert eagle.
Rientrò nel capanno degli attrezzi, cercando qualcosa che lo avrebbe aiutato a combattere quei bastardi.
Poi la vide, in un angolo. Enorme, grigia, scintillava nel buio, illuminata dalle fiamme di fuori.
La sollevò.
Era piuttosto pesante, ma ce l'avrebbe fatta a trasportarla fino alla villa.
Lo fece.
Si fermò solo quando fu davanti a una delle finestre.Guardò dentro e li vide.
Erano tutti chini sui corpi degli altri, nelle ombre.
Chini sui resti di Luca, di Giovanni.
Sapeva cosa stavano facendo, stavano banchettando sui corpi dei suoi compagni.
Con un altro impeto di rabbia, sollevò la pesante bombola del gas e la scagliò dentro la stanza.
I vetri della finestra andarono in mille pezzi e la bombola  rotolò fino al centro del tappeto.
Quelli alzarono gli occhi rossi, e lo scrutarono nel buio con uno  sguardo carico di odio.
Vide che avevano ancora le fauci lorde di sangue.
"Vedete di succhiare questo, bastardi!!!"
Non sapeva nemmeno lui perché si era messo ad urlare.
Mentre si gettava a terra, mirando con la pistola al contenitore di ferro, si rese conto che forse aveva commesso un errore.
L'esplosione avrebbe potuto ucciderlo, era troppo vicino.
Non gli passò tutta la vita davanti, come tutti dicono accada in momenti del genere.
Tutto quello che i suoi sensi percepirono fu lo sparo, aveva fatto fuoco.
Poi un lampo, accecante, e un dolore incredibile.Perse conoscenza.

Si svegliò parecchio tempo dopo, o almeno così gli sembrava.
In realtà potevano essere passati pochi minuti così come delle ore, non lo sapeva.
Sapeva solo che la testa gli girava in maniera incredibile.
Vide il cielo stellato sopra di sè, era ancora notte.
Le orecchie gli fischiavano.
Per qualche minuto non riuscì nemmeno a rialzarsi in piedi, si sentiva tutto dolorante e allo stremo delle forze.
Doveva concentrarsi.
Cominciò a tossire, i polmoni gli bruciavano. Doveva aver respirato un bel po' di fumo.
Dopo un po' di tentativi, riuscì finalmente a sedersi.
Si tastò e fu lieto di constatare che, a parte molti tagli superficiali e varie bruciature, non sembrava aver subito danni ingenti.
Era un miracolo.
Istintivamente, si fece il segno della croce.
Non si ricordava nemmeno una delle preghiere che gli avevano insegnato da bambino, eppure aveva anche fatto il chierichetto.
Si ricordò di sua nonna che gli insegnava le preghiere prima di andare a letto e gliele faceva ripetere.
Fece spallucce.
Il Padreterno, se davvero c'era, avrebbe capito.
"Giuro che se ne esco vivo ricomincio ad andare a messa."
Si rialzò, ma poi ricadde a terra: le gambe non sembravano voler collaborare.
Vide che aveva fatto un bel volo, si trovava ad almeno dieci metri di distanza dalla villa.
Dalle finestre del primo piano usciva del fumo e l'ingresso era del tutto distrutto, alcune colonne erano state spazzate via.
Riprovò ad alzarsi, e stavolta ci riuscì.
Camminava lentissimo, si sentiva un vecchio dolorante.
Ogni passo gli costava una fatica enorme. Sapeva che avrebbe potuto andarsene, anzi, che avrebbe dovuto farlo.
Ma non poteva, non ancora.
Lì dentro c'erano altri, altri suoi compagni. Forse avevano bisogno di lui. Forse erano ancora vivi.
Dalla villa proveniva un odore  di fumo e carne bruciata, era disgustoso.
Entrò nell'ingresso.
Le scale erano ridotte a un cumulo di macerie, si dovette quasi arrampicare.
Dentro era tutto invaso dal fumo e dal calore delle fiamme, non restava quasi nulla del tappeto. Si coprì il volto con un pezzo del suo impermeabile.
Non riusciva a vederci ma sapeva che era inutile controllare la stanza dove aveva fatto esplodere la bombola.
Salì al piano di sopra, anche se a gran fatica.
La porta era aperta, o meglio divelta.
Il fumo era meno intenso, e copriva solo il lato superiore della stanza.
Ciò che vide però lo lasciò sgomento.
La stanza era ridotta a un vero e proprio disastro, i mobili erano in pezzi, crivellati di proiettili o divelti, i divanetti ridotti a brandelli. A terra vi erano i corpi di molte persone, e tra di loro riconobbe anche il volto di molti dei suoi  compagni.
"Oh, no, merda…"
Sentì  un conato salirgli, ma lo ricacciò in gola.
Erano tutti morti. Vide che nella stanza c'erano anche degli sconosciuti. Vide il Macellaio, morto.
Erano tutti immersi in un bagno di sangue e budella.
Poi vide Lei.
Era vicino alla porta dall'altra parte della stanza.
Si avvicinò, incerto.
Era proprio Lei.
Aveva lo sguardo fisso, vitreo.
Qualcuno la aveva trafitta con dei pugnali.
Le lame la tenevano infilzata al suolo, inoltre Nicola vide che aveva anche un pezzo di legno conficcato nel petto, in corrispondenza del cuore.
Non sapeva come comportarsi.
In fondo in fondo al cuore sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa di molto simile alla rabbia, alla gioia della rivincita e della rivalsa.
Ma non riuscì a gioire.
Anzi, l'immagine di quella vampira, impalettata, crocifissa a terra, gli faceva pena.
Provava pena per quella creatura, così potente e crudele con lui, e così debole e indifesa adesso, immersa nel suo stesso sangue.
Le si avvicinò.
Con un sussulto, sentì che Cecilia gli stava parlando.
Era solo un sussurro, le sue labbra si muovevano a malapena.
Si avvicinò per sentire meglio.
"A…Aiuta…Aiutami…"
Non appena udì quelle parole, nuovamente provò quel sentimento di amore, o sudditanza, che in qualche modo quella donna era riuscito a imprimergli nel cuore.
Rimase fermo, paralizzato dalle contraddizioni e dai sentimenti contrastanti che crescevano dentro di lui.
Poi lei parlò di nuovo.
"Te…Te lo ordino…"
Quelle parole misero a tacere tutti gli altri pensieri, e Nicola sentì il suo cuore chiudersi in una morsa di crudeltà.
Sorrise.
"E se non lo facessi?"
Si era alzato in piedi, era sopra di lei.
"Come vedi, ora la situazione è piuttosto cambiata."
"C-c--c- come osi?"
"Oso eccome, credo che sia arrivato il momento di salutarci."
"Cosa?"
Nicola si abbassò, negli occhi aveva dipinta un'espressione selvaggia. Cominciò a leccare sul tappeto, lappando il sangue della sua padrona impotente. Non si fermò fino a quando quasi tutta la chiazza di liquido rosso non fu prosciugata.
Gli girò la testa e sentì nuovo vigore scorrergli nelle membra, e i dolori di prima erano del tutto spariti.
"C-cosa fai?"
"Niente, mi prendo semplicemente ciò che mi spetta."
"T-tu…"
Nicola vide che le fiamme avevano raggiunto anche il piano superiore. Le tende dell'ingresso stavano prendendo fuoco, presto anche quella stanza sarebbe stata invasa dalle fiamme.
Guardò giù, fuori dalla finestra in frantumi.
Era un balzo niente male, saranno stati almeno sei metri.
"I-idiota, io posso… posso salvarci… tutti e due…"
Si voltò a fissarla, gelido.
"Preferisco crepare piuttosto che continuare ad essere il tuo schiavo."
"Fermo! Io…" il corpo della sua padrona aveva avuto  un sussulto, e il sibilo della voce si era fatto più acuto "Io… Ti amo."
"Sì, certo. Questo almeno è quello che dici."
Aveva inspirato a fondo e poi si era gettato fuori dalla finestra, nel buio della notte, finalmente libero.











  
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