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Autore: Ziggie    14/11/2011    2 recensioni
E rieccomi qui a scrivere di nuovo del capitan Barbossa. Nei frammenti precedenti ho narrato della sua storia prendendo spunto da situazioni accennate nella sua biografia, qui invecce si cambia musica. In questa storia Hector narrerà dei propri pensieri, delle proprie sensazioni di fronte a quanto ha vissuto: morte, resurrezione e tutte le altre imprese alquanto epiche che lo hanno accerchiato nel corso della saga. Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura ;)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ehylà compari! Ecco a voi il penultimo frammento, ora non piangete! L'unica cosa che troverete concorde con il film è la presentazione del re, ttto il resto è frutto del racconto di Hector. Non voglio anticiparvi nulla, perciò vi invito alla lettura ;)                 

    12. Giocando a fare il corsaro


Ho già parlato di quanto l’invito di Sparrow, a presentarmi come commodoro Barbossa, mi fosse tornato utile per il piano che avevo architettato, perciò occorrerà parlare d’altro. I miei polmoni e il mio cervello dovevano essere bene impregnati di acqua salata, ma era solo seguendo quella via che ne sarei uscito, diciamo, indenne.

A bordo della nave che mi raccolse, il trattamento, per quello che riuscii a scorgere, non fu dei migliori: ero come una pecora nella tana del lupo, un lupo un po’ timoroso di compiere le sue mosse, un po’ troppo azzardate in alcuni momenti, un po’ troppo brusche in altri. A parer mio guidate dal timore: come se mordessi, tsè!

Fu quando arrivai a Londra che, prima del processo, diedero ordine, ad uno dei chirurghi della torre, di darmi una sistemata alla gamba: a quanto pareva, non volevano permettere alla cancrena di portarmi via, prima che un cappio potesse stringersi attorno al mio collo.

Il medico era un energumeno dalla carnagione scura e i capelli legati in un codino, il classico tipo abituato a trattare con gente dei bassi fondi, date alcune cicatrici, che portava sul collo e i propri modi di fare.

- Un pirata – commentò, mentre studiava quanto doveva fare – un lauto divertimento per damerini e popolani – osservò con tono quasi impassibile, come se non fosse interessato, prendendo le misure del moncherino per riportarle su un legno, che aveva portato con sé.

- Un capitano – mi permisi di vantarmi della mia posizione. Sapevo benissimo che non avrebbe avuto valore, ma che avevo da perdere?

Dal canto suo il chirurgo continuò il suo lavoro, per nulla toccato, come ben mi aspettavo. – Quando si divertiranno alla vista della mia esecuzione? – chiesi, tanto per mantenermi informato e avere tutto il tempo necessario a limare i dettagli del mio  piano.

- Si vocifera che ci sarà il processo tra tre giorni. In seguito a quello, sarà deciso il tutto – mi spiegò schietto.

Annuii – mi pare di capire che siete molto abile nel lavorare il legno e che, la simpatia per i signorotti inglesi che vi circondano, è piuttosto limitata, dico bene? – domandai  retorico, cercando quasi di elogiarlo, ma non appena vidi l’uomo tentare di rispondermi, fui più svelto di lui e continuai – non vorrete quindi negare ad un pirata, ad un uomo prossimo alla forca, le sue ultime volontà ?! – chiesi sempre con quella vena retorica, perché è elogiando le persone e mettendole su un piano catastrofico che, si arriva ad ottenere quanto si vuole, nella maggior parte dei casi. Gli diedi tre scellini, che trovai nella mia giacca – Concedete a questo povero vecchio di bagnarsi, in questo soggiorno infernale, le labbra con del buon rum, senza essere scorto da guardi e occhi indiscreti -.

Fu così che, nella cavità più remota della protesi di legno, ottenni una piccola riserva di rum e, se volevo gustarla, bastava che togliessi la parte più lunga del pezzo di legno: un lavoro molto ingegnoso, per soli tre scellini!

Il processo avvenne di lì a tre giorni; in gattabuia avevo sentito dei compari parlare della fonte della giovinezza e che gli spagnoli erano riusciti a trovarvi la rotta: la mia conoscenza poteva rivelarsi un’ottima moneta di scambio.

- Ritieniti fortunato, pirata – esclamò burbero il carceriere quando venne a prendermi per condurmi alla sala processi – alla tua disfatta sarà presente anche re Giorgio -.
Sorrisi ghignante. Di bene in meglio, proprio quello che faceva al caso mio.

Venni condotto, con modi bruschi, alla sala grande del tribunale e qui, chiuso nel banco degli imputati, in piedi, nonostante avessi poco equilibrio. In sala vi erano signorotti e popolani, distinti nelle classi sociali, ma uniti in un solo grido: - appendetelo! -

Davanti a me un’ampia cattedra con due giudici seduti ai lati e, al centro, un’ampia sedia, a quanto pare, destinata al re. Non avevo armi con me, ma le carte di Sao Feng erano ancora nella tasca interna della mia giacca, se mai sarebbero dovute tornarmi utili.

- Hector Barbossa, vi trovate alla presenza della corte regia – iniziò uno dei due giudici.

- Lo vedo, vostra grazia – risposi, senza farmi impressionare troppo da quelle parole, anche perché, non ve ne era motivo.

Di lì a qualche istante la porta sul fondo, dietro all’ampia cattedra, si aprì e vi entrarono diverse figure, una più imparruccata e in ghingheri dell’altra, al centro, colui che doveva essere il re: un uomo basso, grasso, flaccido, che, ben poco sapeva cosa fosse il movimento, a parer mio.
Si accomodò e il suo araldo mi fornì le generalità del sovrano: - siete alla presenza di Giorgio Augusto, duca di Brunswick Lione Borgacci, tesoriere, principe elettore del Sacro Romano Impero, re di Gran Bretagna e d’Irlanda e re vostro -. Alzai un sopracciglio a quella caterba di nomi e incrocia le braccia al petto.

- Non vorrei sembrare scortese, altezza, ma è il sottoscritto l’unico sovrano di sé stesso – un’esclamazione che suscitò clamore tra le fila dei ricchi.

- Sono qui per giudicarvi in quanto pirata, Barbossa – prese la parola il re – ma si dia il caso che, alla marina inglese, occorrano uomini che ben conoscano le rotte caraibiche -.

- La marina britannica dispone di quegli uomini, sire – feci notare con un ghigno – non vorrete dirmi che, io e i miei compari, vi abbiamo eliminato i migliori? – chiesi ironico. Non c’era nulla da fare, mi divertiva giocare con il fuoco.

- Lurido insolente – ringhiò un sottoposto del panzone, ma questi gli fece segno di zittirsi. Lo vedevo molto propenso a ritrarre la mia condanna.

- Gli Spagnoli sono sulle tracce della fonte della giovinezza, mi occorre un uomo che la raggiunga prima di loro, che sappia ben governare una nave e una ciurma, e che ben conosca le rotte caraibiche -.

- Non mi condannate alla forca, ma mi condannate alla fonte, quindi? – convenni io – In ogni modo, ci guadagnate voi: perdere un pirata non è come perdere un ammiraglio, dico bene? – chiesi profondamente offeso. La posta in gioco era alta, il viaggio pericoloso e ricco d’insidie, perché, quindi, non alzare la posta? Il sovrano sospirò e mi mostrò delle lettere di marca.

- Manca solo il vostro nome e la mia firma …. Capitano – grugnì appena, un po’ contrariato.

Ghignai soddisfatto, era tempo di iniziare a giocare a fare il corsaro, con quella nave e quelle lettere avevo compiuto il primo passo verso il mio progetto vendicativo: uomo del re, si, ma giusto per comodità. 
  
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