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Autore: The Black Dahlia    15/11/2011    6 recensioni
The Black Dahlia, ex MrsKilljoy.
Severus Piton è un uomo solo, tormentato dalla perdita del suo unico e grande amore, Lily Evans, sulla cui tomba ha giurato che ne proteggerà il figlio, il giovane Harry Potter, a rischio della sua stessa vita. Per questo motivo accetta la folle proposta di Albus Silente: tornerà tra i Mangiamorte, nel controverso ruolo di spia doppiogiochista.
Daisy Ackerley è una strega Nata Babbana, orfana di entrambi i genitori, che vive nel piccolo villaggio magico di Godric’s Hollow dove è proprietaria di una bottega nella quale prepara pozioni diluite che rivende poi ai Babbani. Ha un rapporto tormentato con la Magia e solo in questo modo riesce a conciliare la sua natura di strega con la sensazione di essere allo stesso tempo una Babbana.
Una buia notte del giugno 1992 le loro strade si rincontrano per caso, davanti alle rovine di casa Potter.
Da quella sera entrambe le persone scoprono l’esistenza di un sentimento a loro estraneo fino a quel momento, l’amicizia.
Ma per entrambi questo si rivelerà fatale: Severus è all’apparenza un Mangiamorte e il suo rapporto con Daisy rischierà diverse volte di mettere in pericolo la sua copertura, mentre la giovane ragazza si troverà costretta a scappare per salvaguardare la sua stessa vita.
Potrà questa amicizia stravolgere il destino di Severus Piton, al punto di salvargli la vita?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Capitolo 1 - Daisy Ackerley


Stanford-Le-Hope, 13 agosto 1983

 
Daisy Ackerley aveva compiuto undici anni solo un mese prima della visita dell’anziano signore con una folta e lunga barba bianca, ma non aveva pensato che le due cose fossero collegate. Certo, era strano vedere qualcuno fare visita alla loro casa nei sobborghi di Stanford-Le Hope, non perché la sua fosse una famiglia emarginata o chissà ché, ma si erano appena trasferiti da un villaggio piccolissimo del nord dell’Inghilterra e ancora non conoscevo nessuno. I vicini conducevano vite alquanto riservate e il massimo della vita sociale e delle interazione con la popolazione di Stanford che avevano avuto erano stati nell’ordine un cenno del capo al vicino e un asettico “Buongiorno”-“Buonasera”-“Arrivederci” dall’impiegata del negozio di generi alimentari dove erano ormai soliti fare spese. Per questo motivo quella visita inaspettata l’aveva incuriosita e, nonostante fosse stata invitata dai suoi genitori ad aspettare fuori dalla sala, era rimasta con l’orecchio attaccato alla porta per origliare quella conversazione. Per poco non aveva perso l’equilibrio, rischiando di ruzzolare dentro la stanza, quando aveva sentito che l’anziano signore dal nome strambo era lì non per i suoi genitori ma bensì per lei, e che era stata iscritta in una scuola che si trovava molto lontano da lì, persino più lontano del paese dove abitata prima, dove avrebbe imparato a usare la magia.
La magia! Ma allora esisteva davvero? Allora le cose che sapeva fare, come far muovere gli oggetti semplicemente ordinandoglielo, o farsi spuntare un  naso da animale, erano cose normali? Aveva sempre tenuto nascoste quelle cose a sua madre per non spaventarla, perché pensava che l’avrebbe vista come un mostro e che l’avrebbe amata di meno. Anche lei pensava di essere uno scherzo della natura fino a pochi minuti prima. Per la prima volta nella sua vita provò l’impulso irrefrenabile di decidere della sua vita, di dire ai suoi genitori scettici che voleva davvero andare in quella scuola lontana con il nome strano. Entrò piano piano nella sala dove i suoi genitori e l’anziano signore si guardavano, i primi imbarazzati, il secondo come se si sentisse a casa sua, perfettamente a suo agio.
L’uomo con la barba disse; “Tu devi essere Daisy”. 
La bambina annuì intimorita.
 “Sai, io so che tu sei capace di fare tante cose, ma purtroppo i tuoi genitori credono che mi stia inventando tutto. Te la senti di mostrare loro quello che sai fare?” 
Daisy guardò prima suo padre e sua madre, poi il signore. “Anche lei è un mago signore?” chiese.
“Uno dei più vecchi, come potrai ben vedere dalla lunga barba bianca!” le rispose sorridendo.
Non sapeva come, ma quell’uomo aveva conquistato la sua fiducia. Guardò in direzione della mensola sopra il camino e cercò di chiamare a sé la sua foto preferita, quella dove lei e i suoi genitori posavano sorridenti accanto ad un pupazzo di neve storto ma dall’aria simpatica. Dopo pochi secondi la fotografia iniziò a tremare e a muoversi, e volò con velocità verso la sua mano, che la afferrò al volo. Sua madre si portò una mano alla bocca e gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre sorpresa, stupore e ammirazione spuntarono sul volto di suo padre.
Il mago dalla barba lunga rise e battendo le mani in un applauso ammirato disse “Bene, credo che non siano dubbi, sarò felice di averti tra i miei studenti di Hogwarts a settembre!”.
“Signore” disse Daisy trattenendolo per la lunga veste argentata, “Mi fa vedere una magia anche lei?”.
L’anziano signore sorrise ed estrasse una bacchetta dal mantello: la fece roteare per aria e subito apparve un mazzo di margherite bianche candide.
“Sai perché ho scelto le margherite?” le chiese.
La bambina scosse la testa con energia.
 “Perché, oltre ad essere il significato del tuo nome, sono semplici. E mi auguro che questa non sia una semplice coincidenza!”. E strizzandole l’occhio, con educazione, si congedò.
 
***
 
Non era affatto come aveva immaginato. Quella scuola, quella Hogwarts, era troppo diversa dal suo mondo e troppo lontana dalla sua casa reale. Non le importava un fico secco della magia, di tutti quei prodigi e delle cose fantastiche che accadevano nelle aule che frequentava: semplicemente non era il suo mondo. Credeva che una volta arrivata lì avrebbe brillato, e invece aveva scoperto di essere una dei pochissimi studenti figli di “babbani”, e di conseguenza era l’ultima in tutte le materie. Non sapeva nulla sulle abitudini dei maghi e delle streghe e nonostante avesse scoperto che i due mondi quasi vivessero l’uno dentro l’altro non potevano essere più diversi. Non aveva più rivisto il signore dalla lunga barba grigia che aveva incontrato nella sua casa, se non la prima sera durante il banchetto di benvenuto ai nuovi arrivati: non l’aveva degnata neanche di uno sguardo e si era sentita più sola che mai. Ad essere onesti, quel luogo le faceva un po’ paura, con tutti quei dipinti animati e i fantasmi che si aggiravano nei corridoi del castello.
Aveva conosciuto pochissime persone, anche perché a detta di tutti quell’anno si erano viste meno ragazze che in tutta la storia di Hogwarts, e i maschi della sua casa sembravano tutti felici, emozionati e così indipendenti da non accorgersi di quanto fosse spaesata e di quanto lei avesse bisogno di una mano amica. L’unico che ogni tanto si mostrava gentile verso di lei era un ragazzo che frequentava il secondo anno, con l’espressione curiosa, il naso pieno di lentiggini e una cascata di capelli rossi sempre spettinati: Bill Weasley aveva il carisma del leader e il buon cuore delle persone nate nelle famiglie semplici, ma il primo molto spesso gli impediva di accorgersi di chi aveva bisogno del secondo. Dopo un’iniziale pacca sulle spalle e un “Complimenti!” urlatole quando la prima sera il Cappello Parlante aveva destinato Daisy nei Grifondoro, c’erano stati pochi episodi per scambiare qualche parola di più. D’altronde Daisy occupava tutto il suo tempo a recuperare le lacune che si portava dietro dalla nascita e neanche lei creava molte occasioni per socializzare.
Ma quella sera era diverso, quella sera Daisy aveva deciso che avrebbe lasciato Hogwarts e che sarebbe tornata a casa dai suoi genitori, frequentato una scuola babbana e che avrebbe dimenticato per sempre l’esistenza della magia e tutti gli annessi e connessi. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato un gufo ricevuto quella mattina, dove i suoi genitori le comunicavano che sua nonna era caduta e si era fratturata una gamba, di conseguenza stavano partendo per l’Irlanda, dove viveva la donna,  e sarebbe stato meglio per Daisy se avesse passato il Natale nella nuova scuola, dove erano sicuri si trovava benissimo e si era già fatta un sacco di amici.
Ma lei amici non ne aveva, non si trovava bene e sentiva la mancanza dei suoi genitori. Per questo dopo aver meditato a lungo sul da farsi per tutta la giornata, dopo cena era uscita di nascosto dalla sala comune dei Grifondoro per andare alla ricerca del preside Silente per chiederle di rimandarla a casa.
Vagare di notte per il castello, con i fantasmi che sbucavano dagli angoli meno probabili, non fece che aumentare l’ansia che Daisy provava: l’enormità dell’edificio, il labirinto di corridoi e le luci soffuse la mandarono in confusione e dopo aver avuto l’impressione di esser ripassata per lo stesso identico punto per almeno tre volte si arrese davanti una grande porta di legno, in cima a quella che presumibilmente era la torre ovest del castello. Aprì la porta e tutta la sua frustrazione esplose non appena si rese conto di essere nella Guferia, ovvero il luogo che ospitava i gufi degli studenti e quelli del castello. Non capì come, ma la sensazione di essere sola al mondo la investì come un treno in corsa, e in panico scoppiò in lacrime, riuscendo solo a farfugliare le parole “mamma” e “casa” indistintamente tra un singhiozzo e l’altro. Non le importava di sembrare ridicola, nessuno l’avrebbe vista in quel momento di debolezza, e anche se l’avessero vista entro pochi giorni lei sarebbe tornata a casa e dopo qualche settimana si sarebbero dimenticati di lei. Mentre dava sfogo alle sue lacrime e alla sua disperazione, qualcosa nella luce soffusa della Guferia si mosse, unito al frusciare di una veste: per un attimo Daisy sperò che si trattasse del professor Silente, ma quando vide chi si celava dietro quell’ombra scusa quasi non raggelò. Avrebbe riconosciuto quel vestito nero con tanto di mantello ovunque, per non parlare di quello sguardo severo e di quei capelli neri come la pece che ornavano il viso duro come se fossero due macabre tende: il professor Piton, insegnate di Pozioni, una delle materie in cui Daisy riusciva a dare il peggio di sé, era davanti a lei, con un piccolo foglio di pergamena in mano, e la guardava come se fosse il più raccapricciante spettacolo sul mondo.
“Signorina Ackerley” disse con voce piatta “Sarebbe così gentile da spiegarmi cosa ci fa in giro a quest’ora di notte per il castello nonostante sia ben consapevole del fatto che sia proibito per tutti gli studenti uscire dalle proprie sale comuni dopo la cena’?”. Aveva parlato senza respirare, il che contribuì a renderlo per certi verso ancora più sgradevole, se mai fosse stato possibile.
Daisy era letteralmente paralizzata del terrore, nonostante tutto riuscì a reprimere un singhiozzo e tirando su col naso rispose: “Mi sono persa, signore!” 
“Lo vedo, il mio acume è decisamente più brillante del suo! Mi vedo costretto a comunicarle che la prossima infrazione verrà severamente punita con l’espulsione dalla scuola, mentre per il momento dieci punti in meno a Grifondoro potrebbero essere sufficienti per farle capire la lezione. Mi sbaglio?”
La bambina scosse la testa con energia ma non riuscì a fermare le lacrime che le scorrevano sul viso. Piton storse la bocca in una smorfia di disprezzo.
“Lei può farlo davvero, signore?” chiese Daisy d’un soffio.
“Che cosa?”
“Espellermi. Mandarmi a casa, signore!”
Quella risposta doveva aver scatenato la curiosità dell’insegnante che improvvisamente si chinò per guardare la bambina negli occhi, che però erano sfuggenti e sembravano trovare il fazzoletto che stringeva tra le mani estremamente interessante.
“Mette forse in dubbio la mia autorità, signorina Ackerley?”
“No signore!” si sbrigò a ripondere.
“Allora che significa?”
Daisy sollevò lo sguardo e con gli occhi colmi di lacrime rispose: “Vorrei lasciare Hogwarts, signore”,
Quelle parole appena sussurrate dovevano averlo turbato, ma l'insegnate sgranò gli occhi come se stesse chiedendo al suo cervello conferma di quanto avesse appena udito. “Ho sentito bene? Vorrebbe abbandonare la scuola? E per quale motivo vorrebbe gettare alle ortiche l’opportunità migliore che forse l’è mai capitata nella vita?” 
Daisy sentì nuovamente le lacrime uscire prepotentemente dagli occhi, ma cercò di ricacciarle per darsi un minimo di contegno, una parvenza di dignità.
“Perché non sono capace signore. Non mi trovo bene e credo di non piacere a nessuno. Non sono come tutti gli altri. E’ difficile, non sono portata…” e diventando rossa dall’imbarazzo con un sussurro aggiunse “… e mi manca la mia casa!”
Il professor Piton si portò in posizione eretta e diede le spalle alla piccola Daisy, iniziando a camminare in silenzio avanti e indietro, come se stesse pensando al da farsi. Poi, improvvisamente parlò con duro e aspro, e furono delle parole che Daisy non avrebbe mai pensato di poter udire proprio dal professor Piton.
“Signorina Ackerley, potrei rimandarla a casa in questo preciso istante se solo fossi convinto che sarebbe la soluzione migliore per lei. Sono però spiacente di informarla che non sempre nella vita si è padroni di scegliere ciò che si vuole, per tanto è necessario adattarsi agli eventi. Buttare l’opportunità coltivare il dono che ha è decisamente l’idea più stupida che potesse venirle in mente. So che è troppo giovane per rendersene conto, ma dovrebbe ringraziare il fato che ha fatto si che lei avesse i suoi poteri e che le ha dato l’opportunità di conoscere un mondo che la maggior parte dei babbani neanche sospetta. D’altro canto, se lei pensa di non essere forte abbastanza perché ‘non piace a nessuno’ o perché vuole ‘tornare a casa’, non penso che tornare alla ‘normalità’, alla sua vita precedente, potrebbe essere utile: potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione anche in una comunità priva di poteri magici. A questo punto, dato che sempre nella vita dovrà lottare per ottenere qualcosa, mi permetta di porgerle un quesito: preferisce lottare fuori, per le cose comuni, semplici e banali, o preferisce lottare dimostrando a sé stessa che può migliorare e incrementare le sue doti fuori dal comune?”.
Daisy non rispose: guardava a bocca aperta il suo insegnante di pozioni, che in quel momento le dava le spalle, mentre imprimeva nella sua mente ogni singola parola. In fondo aveva ragione, e se una volta tornata a casa si fosse ritrovata nella stessa situazione? O peggio, e se un giorno si fosse pentita di quella stupida idea? Mentalemente decise che se il suo destino era quello di diventare una strega era quello che avrebbe fatto.
Severus Piton si voltò a guardarla e senza attendere una risposta alla sua domanda chiese: “Sa come tornare al suo dormitorio, signorina Ackerley?”
“No signore!” rispose Daisy con decisione.
“Allora le farò strada, sperando che questa le rimanga bene impressa nella mente. Anche se mi auguro di non vederla mai più vagare per il castello di notte, siamo bene intesi?”
“Si signore!”
“E un’ultima cosa…” aggiunse “Non creda che le motivazione che mi ha dato o il fatto che lei stesse piangendo mi tratterranno dal togliere dieci punti alla sua casa. La vita può essere molto ingiusta a volte, ed è ora che lei lo capisca.”
Daisy annuì con decisione, ma non le importava. Mentre usciva dalla guferia al fianco del professor Piton, giurò di averlo visto sorridere mentre chiudeva alle sue spalle la pesante porta di legno. ‘Devi essertelo proprio sognato…!’ pensò fra sé.

***
 
Col passare dei mesi e degli anni, Daisy ripensò spesso a quella notte nella guferia. Chissà se avesse incontrato Silente le cose sarebbero andate diversamente? L’incontro con Piton aveva decisamente cambiato il suo atteggiamento nei confronti della sua permanenza a scuola e dell’impegno nello studio. Era migliorata tanto fino ad essere la migliore del suo corso, e se prima i suoi compagni la ignoravano, adesso la evitavano perché la trovavano saccente e ‘secchiona’, ma poco le importava.
Era rimasta un animale solitario, con poche e superficiali conoscenze. Le piaceva passare il poco tempo libero che si ritagliava tra una lezione e una seduta in biblioteca, ad esercitarsi. Fin da piccola era capace di farsi spuntare strane orecchie pelose, dei lunghi e sottili baffi neri, e una volta addirittura una coda, ma non era mai riuscita a trasformarsi in un animale completo. Sapeva cosa fosse un Animagus e dentro di sé sperava avesse le capacità per trasformarsi completamente, ma non ci era mai riuscita. Era faticoso, e a volte molto doloroso, ma nonostante su tutti i libri sull’argomento che era riuscita a trovare in biblioteca era riportato che la trasformazione per un principiante poteva essere molto pericolosa, Daisy era sempre riuscita a far sparire eventuali baffi, orecchie o code con estrema facilità. Rimaneva davanti allo specchio del dormitorio femminile studiando il suo corpo,  cercando anche il più minimo cambiamento, ma oltre alle piccole trasformazioni di cui era gia’ capace, a parte il cambiamento dei suoi capelli e dei peli delle braccia da biondo intenso a rossiccio, non era riuscita a fare altro. Era tentata di chiedere consiglio alla professoressa McGranitt, ma d’altra parte sapeva che se davvero fosse diventata un Animagus si sarebbe dovuta registrare presso il Ministero della Magia, e per un motivo che neanche Daisy era in grado di spiegare, questa idea non le piaceva affatto.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva iniziato ad ammirare l’atteggiamento del professor Piton e fece di lui il suo mentore segreto. Ne imitava l’atteggiamento e la serietà, l’attaccamento al dovere, ma questo non le permetteva comunque di eccellere in Pozioni. Era più forte di lei: il miscuglio di erbe, interiora, polveri ed estratti non era il suo forte, ma ogni tanto notava dietro l’aspetto burbero e disinteressato del suo maestro un aiuto, un consiglio velato che la portava per lo meno a non creare miscele esplosive, nonostante appartenesse ad una casa che non ricadeva propriamente nelle grazie dell’insegnante. Oppure era frutto della sua immaginazione? Dentro di sé nutriva la speranza che non fosse così, che anche lui dopo quella notte alla Guferia avesse capito che lei aveva solo bisogno di incoraggiamento e perché no, un qualche suggerimento, per riuscire nella sua strada. Che poi, quale fosse la sua strada ancora non lo sapeva. Cercava di fare il suo meglio per eccellere, ma si sentiva sempre fortemente legata al mondo babbano, alle sue origini, e di conseguenza più passava il tempo e mentre i suoi compagni decidevano il loro corso di studi per intraprendere una chissà quale carriera all’interno del Ministero della Magia, lei organizzava il suo piano di studi in modo da non abbandonare le lezioni di Pozioni. Quello che ne sarebbe stato della sua vita l’avrebbe deciso la vita stessa; nel frattempo sperava che il momento di lasciare Hogwarts tardasse ad arrivare il più possibile.

 ***

 
Ciao a tutte! Eccomi qui col secondo capitolo. Sono stata veloce eh? Vi dirò, sono talmente presa da questa storia che scriverei in continuazione! Voglio ringraziare tutte colore che hanno letto, hanno lasciato una recensione, e hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite… vi giuro che non mi aspettavo così tanto seguito!!! Grazie, grazie, grazie a tutte, specie a TheGhostOfYou che mi incoraggia così tanto!!!
In questo capitolo torniamo un po’ indietro nel tempo e iniziamo a scoprire questo misterioso personaggio femminile: la regressione era d’obbligo per presentarvi la misteriosa ragazza e il legame che in seguito si instaurerà con Voi-Avete-Capito-Chi (no, non parlo di Lord Voldy, mhuahuah!!!). Spero vi piaccia.
Per chiudere vi informo che ho una pagina Facebook e se vi va potete seguirmi semplicemente cliccando QUI.
 Nel frattempo vi saluto con un abbraccio!
Xoxo Dahlia


 
   
 
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