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Autore: F l a n    27/11/2011    6 recensioni
È una normalissima notte quella in cui Blaine trova una sorta di strano umanoide accasciato per terra, nel parco. Blaine ha sempre creduto nelle forme di vita extraterrestri, ma presto dovrà rendersi conto che Kurt Hummel non è semplicemente quello che lui crede "un Alieno" dalle sembianze umane.
Come farà Kurt Hummel a tornare da dov'è venuto?
E, precisamente, da dove proviene?
Un alternate Universe tendente allo sci-fi.
***
Estratto dal capitolo 2:
"Il ragazzo, o quello che era, si scostò velocemente da lui, per poi cadere nuovamente sulle ginocchia, evidentemente troppo debole per qualunque movimento.
“Chi sei?” chiese Blaine, avvicinandosi ancora a lui, ricevendo solo uno sguardo diffidente, contrariato. I suoi occhi blu brillarono.
Blaine tese una mano in avanti, ma l’altro si scostò ancora, camminando sulle ginocchia. Stranamente la sua tuta, pur essendo bianchissima, non era né sporca di terra né di erba. Blaine ne concluse che quello che stava indossando doveva essere un tessuto particolarmente speciale.
“Sei umano?” chiese ancora, accucciandosi su di lui, fino ad essere al pari del suo viso, “non voglio farti del male."
[Klaine scritta per il BigBangItalia]
Genere: Romantico, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Kurt/Blaine (Iniziale Blaine/OMC)
Avvertimenti: Sci-Fi, Slash, AU, OOC (solo iniziale, più avanti si riprendono i tratti originali dei personaggi)
Betareader: [info]naripolpetta
Note:
- Per prima cosa importante sottolineare che questa storia fa parte di un progetto più grande e che non è realmente finita qua. Sto già progettando un seguito, per cui diciamo che potete prenderla come una storia conclusa ma anche non conclusa. Di fatto ha una fine, ma una fine che lascia aperta la possibilità di un continuo (che ho progettato e che scriverò PER CERTO.)
- In secondo luogo, la storia ha dei riferimenti a telefilm di fantascienza, quali STAR TREK. In realtà i riferimenti non sono moltissimi, ma nel caso doveste legger la parola 'vulcaniano' o cose del genere, sappiate che l'ispirazione viene da lì.
- Penso sia curioso sapere, se a qualcuno interessasse, che tutta la plotline di questa fanfic è nata dalla canzone "ET" di Katy Perry, dovrei probabilmente sotterrarmi per questo ma non credo che lo farò, voglio, anzi, proporvi le canzoni che hanno ispirato la seguente fic visto che ho una specie di 'mini playlist' ben precisa.
- E.T - Katy Perry
- Alien - Take That
- Ellie Goulding - Starry Eyed
- One Republic - All The Right Moves (che ritroverete nell'ultimo capitolo della fic.)
- Derezzed - Tron Legacy Soundtracks
- Nocturne - Tron Legacy Soundtracks

- AGGIORNAMENTI: Visto che la fanfiction è completa nel mio pc e sto scrivendo il sequel, aggiornerò UNA volta a settimana, probabilmente di Domenica o Lunedì, devo ancora decidere il giorno!



1  “Shooting Star”

Nota al capitolo: In questo capitolo non appare ancora Kurt, ma dal prossimo ci sarà :)
 
Blaine Anderson era un ragazzo semplice con una vita piuttosto ordinaria; amava cantare, ballare, studiare e lo sport – anche se quest’ultimo preferiva solo guardarlo.
Blaine nella sua vita aveva dovuto attraversare diversi ostacoli, purtroppo la sua omosessualità lo aveva posto di fronte a delle vere e proprie barriere da dover abbattere e non sempre era stato facile. Dopo diversi problemi con i suoi compagni di classe al liceo pubblico che frequentava, Blaine decise di iscriversi ad un’accademia privata chiamata ‘Dalton’.
Da quel momento fu tutto più facile; certo il programma di studi era nettamente più duro e non c’era confronto con quello del liceo pubblico che frequentava prima, ma sapeva di potercela fare; tutto sommato a lui piaceva informarsi e studiare, oltre ad avere decisamente pochi problemi con l’apprendimento.
Blaine non aveva molto tempo libero durante la sua giornata; la maggior parte di essa era occupata dalle lezioni e dai vari impegni che la sua famiglia gli prenotava. Era ricco, decisamente ricco e come tale i suoi genitori si premuravano di fargli vivere una vita da nobile. Frequentava lezioni di piano, canto e chitarra acustica, ma quelle che preferiva erano indubbiamente quelle di canto.
Era bravo, sapeva di esserlo, ed il suo insegnante era un uomo in gamba, simpatico e sempre pronto a dargli una mano. Il giovane Anderson era così bravo che poco dopo la sua iscrizione alla Dalton Academy divenne capo del gruppo di canto chiamato ‘Warblers’; poteva dire, finalmente, che dopo anni di pene e bullismo era riuscito a trovare il suo ritmo, il suo posto felice. La Dalton sembrava esser fatta apposta per lui, si respirava un’aria tranquilla e lui poteva essere se stesso senza bisogno di sentirsi etichettare nel peggiore dei modi.
Ma si sa, ogni volta che tutto pare prendere una piega di strana normalità, arriva un qualche evento a stravolgerla.
 
*
 
“Vuoi uscire con me?”
Raramente Blaine decideva di accettare gli inviti alle feste che si preannunciavano discretamente noiose e prive di buona musica, ma quella volta aveva accettato considerando che lo avevano invitato come cantante stesso; Blaine se ne era sentito onorato e non aveva saputo dir di no.
Sean era un suo amico del liceo pubblico, uno dei pochi che non lo bistrattava e spintonava a terra chiamandolo ‘frocio’. Erano rimasti in buoni rapporti ed ogni tanto uscivano assieme, anche solo per prendere un banale cappuccino o fare una chiacchierata; Blaine non aveva mai avuto un’opinione precisa sul suo conto, ma sicuramente si sentiva molto legato a lui, ed era uno dei motivi per cui aveva accettato di cantare alla sua festa.
“Vuoi uscire con me?”
Poi improvvisamente quella richiesta che seccò Blaine sul posto, così inaspettata e scioccante. Quel ‘vuoi uscire con me?’ non era la solita richiesta di bere un caffè insieme, era una vera e propria proposta per un appuntamento.
“Ehm io…” Blaine abbassò lo sguardo, cadendo nel panico più totale. Cosa doveva rispondere? Sean era carino, alto, occhi chiari e capelli biondicci, ma non aveva mai pensato a lui in quel modo, specialmente perché fino a quel momento lui aveva avuto soltanto ragazze, molte ragazze. Anzi, spesso faceva sfoggio delle sue abilità da Don Giovanni descrivendogli tutte le sue conquiste.
E poi se ne usciva con quella richiesta.
“Sì… mi piacerebbe,” rispose, senza aggiungere nient’altro.
In verità Blaine avrebbe voluto aggiungere un sacco di cose e probabilmente rispondere in maniera differente, tipo chiedendogli da quando era passato all’altra sponda o da quando, soprattutto, aveva sviluppato un interesse per lui. Ma non gli chiese niente di tutto questo, si limitò a sorridergli ed annuire come un’ebete, non del tutto sicuro di ciò che stava facendo.
“Domani, alle otto? Ti passo a prendere.”
“D’accordo,” aveva appena messo la firma.
 
*
 
L’indomani, Blaine si svegliò con un forte mal di testa ed un discreto malumore ingiustificato. Essendo domenica non c’era scuola per sua fortuna, per cui poteva crogiolarsi ad oltranza nel suo nervosismo senza dare spiegazioni a nessuno.
Solo dopo esser sceso nell’immenso salotto di casa sua si ricordò che la sera prima il suo vecchio compagno di classe, Sean, gli aveva chiesto un appuntamento.
Un fottutissimo appuntamento. Blaine si morse le labbra indeciso se esser felice o disperato per la cosa; optò per la seconda, trovando quindi anche la ragione del suo malumore. Non aveva mai ricevuto una simile richiesta, non da parte di un ragazzo e non sapeva come prenderla; il che era strano, considerando che la Dalton era un’accademia di soli maschi, ma evidentemente nessuno si era fatto avanti o lui non era abbastanza carino – o più semplicemente non c’erano gay disponibili.
Blaine passò la giornata a fissare il soffitto di camera sua, sperando che diventasse più interessante o che illuminasse d’immenso la sua mente con qualche suggerimento su come comportarsi. Si ricordò di aver letto qualche giornaletto stupido riguardo alle relazioni interpersonali perché il fatto che avesse diciassette anni e nessuno gli chiedesse mai di uscire a volte gli dava da pensare; nonostante potesse apparire come una persona discretamente forte da un punto di vista morale, Blaine era piuttosto insicuro di sé, del suo aspetto e del suo essere. Fin da quando aveva capito di essere gay non aveva mai visto ciò come una maledizione – a differenza di suo padre, che gliene faceva una croce dannatamente pesante da sopportare – ma aveva comunque influito in diversi modi sullo scorrere della sua vita. In realtà, in quel momento stava vivendo piuttosto bene sotto ogni punto di vista, quindi era quasi normale che qualcosa venisse a scombussolare la sua normale routine.
Non riusciva a capire perché non fosse felice di quell’evento, insomma, ogni persona normale sarebbe saltata dalla gioia; era un suo buon amico, carino, gentile, perché deprimersi tanto? Blaine non sapeva spiegarselo realmente.
Si addormentò sul letto senza accorgersene e si risvegliò giusto in tempo per prepararsi.
Una doccia veloce, una camicia, un paio di jeans attillati ed era pronto. Osservava ad alternanza, con un certo nervosismo, il cellulare e l’orologio.
Si portò le mani al viso, seppellendolo in esse con disperazione; sicuramente avrebbe fatto qualche cazzata che avrebbe rovinato la serata, sicuramente sarebbe riuscito a mettersi in ridicolo. Ma perché tutte quelle insicurezze in un momento del genere? Si morse il labbro inferiore dando un altro sguardo all’orologio. Le venti e quindici.
E se non fosse venuto? L’ansia di Blaine cominciò a crescere a dismisura, aveva sinceramente paura che gli desse buca, magari ci aveva ripensato, magari la sera prima era ubriaco – Blaine sapeva perfettamente che non era ubriaco, ma in quel momento gli sembrò una scusa quasi plausibile.
Alle venti e trenta, finalmente, il suo cellulare squillò.
“Sean!”
“Scusami, sto facendo ritardo, ma sono da te tra cinque minuti. Aspettami sotto casa.”
Blaine chiuse la chiamata con il cuore colmo di imbarazzo e scese velocemente le scale, salutando di sfuggita sua madre e ringraziando il cielo che suo padre non fosse in casa.
Come promesso, qualche minuto dopo Sean si fece trovare davanti al vialetto di casa sua, su una bella macchina sportiva e gli occhiali da sole sulla testa; Blaine sbuffò un attimo, era così meraviglioso ma al tempo stesso… non era ciò che sentiva di desiderare in quel momento.
Salì sulla macchina e salutò Sean, il cuore sembrava volergli uscire dal petto, ma più per l’ansia che per l’emozione.
“Scusa per il ritardo, ma questa è la macchina di mio padre ed ha fatto tardi a rientrare dal lavoro.”
“F-figurati, ero solo un po’ in ansia,” Blaine strinse le mani sulle ginocchia dopo essersi allacciato la cintura di sicurezza.
“Dove vuoi che ti porti? Hai qualcosa in mente?”
Blaine si irrigidì, non sapeva mai cosa rispondere quando qualcuno gli chiedeva cose del genere e sperava vivamente che fosse Sean a prendere l’iniziativa perché, davvero, lui non ci riusciva.
“Beh, decidi pure tu, non ho preferenze.”
Sean gli rivolse uno sguardo indeciso per poi guardare davanti a sé e l’orologio.
“Magari andiamo a mangiare qualcosa in un ristorante orientale, ti va? In fondo loro hanno sempre tavoli disponibili. Ti avrei portato da qualche parte più lussuosa ma… a quest’ora non so chi potrebbe aver un tavolo libero.”
“A me va benissimo,” annuì Blaine, osservando nervosamente la macchina del ragazzo e fuori dal finestrino. Perché il suo stomaco non si decideva a dargli una tregua? sbuffò, rassegnandosi. Che diamine stava facendo? Non era così che aveva immaginato il suo primo appuntamento; o meglio, Sean era perfetto, ma non lo amava, non provava neanche un vago interesse per lui e quindi… perché lo stava facendo? Blaine non fece altro che darsi mentalmente dello stupido per tutta la durata del viaggio.
Arrivarono finalmente al ristorante cinese più famoso della città, dopo un viaggio fatto di imbarazzanti silenzi e domande che Blaine si poneva nella mente ma non riusciva ad esternare. Si sentiva discretamente stupido, a dire il vero.
Quando uscirono dalla macchina, la mano di Sean si allungò verso il suo braccio ma Blaine si scostò prontamente; non ci pensava nemmeno a farsi prendere sotto braccio.
Era così strano ed era così brutto sapere di star per rovinare l’unica amicizia salda che aveva. Magari avrebbe potuto dare un’opportunità a Sean, provare ad ascoltarlo davvero, provare a lasciarsi andare con lui. Ma Blaine sapeva che non era la sua via, sapeva che non era la persona che stava aspettando.
“Un tavolo per due,” disse Sean alla cameriera, che indicò il tavolo alla loro destra.
Il ragazzo come un vero gentiluomo scostò la sedia per Blaine, aspettando che si sedesse. il Warbler riuscì soltanto ad annuire.
“Ti vedo teso, Blaine. È solo… un appuntamento, come i tanti che abbiamo avuto davanti ad un semplice caffè,” disse, Sean, scuotendo la testa un po’ rattristato.
“Sì beh, è che non ci sono abituato e poi… e poi io e te siamo amici da anni, è così strano tutto ciò… cerca di capirmi.”
L’altro annuì prendendo i due menù e porgendogliene uno.
“Ora scegli i piatti, magari con una bella mangiata riuscirai a scioglierti,” gli disse, con un sorriso ben evidente sulle labbra.
Sean sorrideva sempre, ma Blaine non riusciva a rispondere allo stesso modo; si sforzava, ma qualcosa pareva bloccare le sue guance. Eppure Blaine non era una persona particolarmente triste, anzi; si ritrovava spesso a sorridere per delle stupidaggini. Entrambi fecero il loro ordine, passando una serata, a giudizio di Blaine, piuttosto imbarazzante e colmo di silenzi e domande piuttosto strane da parte di Sean. Blaine voleva spararsi o quantomeno fuggire da lì.
La serata sembrò interminabile e si concluse come Blaine sperava vivamente non si concludesse. Sean lo riaccompagnò a casa, sulla sua macchina sportiva, scese dall’auto e lo seguì a piedi fino alla porta di casa sua.
“Direi che beh… ci… ci vediamo,” disse Blaine, abbassando lo sguardo, sicuro che ciò che stava per temere stava esattamente per succedere.
Il suo primo bacio fu rubato così, senza troppe scuse, spacciato per un innocuo bacio sulla guancia leggermente deviato. Blaine non sapeva cosa fare, come muoversi, cosa pensare – che cazzo era quello? E perché la lingua di quel tizio che riteneva un amico aveva invaso la sua bocca? Blaine sapeva soltanto che non poteva ritrarsi e che probabilmente era giusto così. Corrispose come poteva, sentendosi un vero schifo e tremando appena sotto le sue labbra.
Il suo primo bacio, il suo primo fottuto bacio.
Sean lo abbracciò alla fine di quel contatto, lo tenne stretto, disse qualche parola che non riuscì a ricordare più tardi e poi lo lasciò andare in casa, sperando di vederlo di nuovo.
Blaine salì le scale di corsa, pronto a rinchiudersi in camera, sicuro che quella notte non avrebbe chiuso occhio per l’ansia, perché si sentiva come se qualcosa gli fosse stato brutalmente strappato via dal petto, qualcosa che avrebbe voluto donare solo alla persona da lui scelta, non dal primo carino – seppur amico – che passava.
Quella notte Blaine non dormì, si piazzò davanti alla finestra a rimirare le stelle. Non sapeva per quale motivo, ma ogni volta che si sentiva malinconico aveva questa strana abitudine di fissare il cielo.
A volte succedono delle rarità, e Blaine era sicuro che quella che aveva appena visto fosse davvero una rarità.
Non si vedevano molte stelle cadenti nel cielo dalla sua città, eppure, quella sera, con gli occhi appannati dalle lacrime era sicuro di averne vista una. Unì velocemente le mani, esprimendo un desiderio, il primo che gli venne in mente.
“Voglio provare un sentimento puro, di vero amore.”
Non era del tutto sicuro di aver espresso il desiderio giusto e non era neanche sicuro che la ‘stella cadente’ lo avesse ascoltato – fu davvero, davvero molto rapida nel rimescolarsi nel blu della notte – tuttavia, per quanto si sentisse un bambino, sentiva di dover fare quel gesto e che non era stato del tutto inutile.
Si sdraiò sul letto e fissò il soffitto, accoccolandosi sotto le coperte, riuscendo finalmente a prendere sonno.
Aveva visto una stella cadente.
 
 
   
 
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