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Autore: little_Grainne    20/07/2006    0 recensioni
§*§ TERZO CAPITOLO! §*§ L'oblio non esiste che per se stesso, esso è fatto di fame vorace e insaziabile. E le sue prede lo ripugnano, ma incosciamente lo bramano. Ed esso le svuota di ogni cosa, le fa ancelle di perdizione e nefandezze. Non si può combatterlo. Semplicemente, non si vuole combatterlo...Questa storia parla proprio di lui, di come si nasconda e di come si riveli, di come sia odiato e temuto. Ma soprattuto, di come sia desiderato.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Eccomi qui con il primo capitolo. Ad una prima occhiata vi sembrerà totalmente diverso da ciò che annuncia il prologo, ma vi prego, non fermatevi alle apparenze! I primi due capitoli serviranno a far partire la storia, ma poi la trama si svilupperà sull’idea che il prologo vuole comunicare. Ah, altra cosa, non smettete di leggere solo perché la protagonista non è la solita ragazzina zuccherosa e fragile: datele una chance! In fin dei conti, questo è un racconto sull’oblio…

Buona lettura e spero che qualcuno recensirà!

 

 

´¯`°¤.¸(¯`...´¯)¸.¤°´¯` Capitolo I´¯`°¤.¸(¯`...´¯)¸.¤°´¯`

 

 

Ho dei gusti semplicissimi. Mi accontento sempre del meglio. 

-Oscar Wilde- 

La sala era splendida illuminata dalla luce soffusa delle candele e addobbata con fiori candidi e profumati. Grandi vasi dipinti stavano un po’ dovunque contenenti composizioni floreali di delicata bellezza, le finestre erano adornate con nastri dorati e bianchi, le sedie e i tavolini di noce erano stati lucidati con cura, i tappeti antichi erano stati sbattuti e le vetrate brillavano delicatamente. Un’orchestra di archi suonava arie gentili e per tutta la sala passavano in continuazione camerieri con vassoi sempre colmi di leccornie prelibate.

I nobili si aggiravano pigramente per la stanza con fare tranquillo, le donne trascinando i lunghi e pesanti abiti e gli uomini allungando gli occhi alla ricerca della possibile conquista della serata.

Sì, la festa in onore delle nuove allieve sembrava davvero riuscita, anche se il momento culminante doveva ancora arrivare…

«Forza, fanciulle, il momento è vicino!» esclamò Madame Gabrielle dalla stanza attigua riservata alla vestizione delle allieve, scorrazzando nervosa da una parte all’altra sistemando corpetti e acconciature calde di ferro.

Agnese si sistemò con noncuranza la rosellina bianca che la donna le aveva ordinato di acconciare tra i capelli, sbuffando annoiata tra uno spruzzo di profumo e l’altro.

«Agnès…» una fanciulla dai lunghi capelli neri resi ondulati dal ferro arroventato si avvicinò alla fanciulla con la rosa bianca tra i capelli che stava davanti allo specchio, camminando incerta e goffa data la mole dell’abito «…ti prego aiutami a stringere un po’ di più questo corpetto…guarda che aspetto orribile che ho! Persino Laurette sembrerà più graziosa di me…».

Agnese si spostò prontamente dallo specchio, lasciando sedere la fanciulla che stava ormai sull’orlo delle lacrime.

«Nessuna potrebbe apparire più graziosa di te, Isabelle.» le disse la fanciulla con dolcezza mentre con mano esperta e forza misurata le stringeva i nastri di seta del corpetto color crema «Sai benissimo che nessuno qui dentro può competere con i tuoi capelli d’ebano, i tuoi occhi da cerbiatta e la tua pelle liscia e candida…a parte me, ovviamente!»

Isabelle distese il viso teso in un timido sorriso, lasciandosi scappare persino una risatina e illuminando lo sguardo di una bellezza posata e ingenua.

«Hai ragione, Agnès…sono una sciocca.» mormorò piano arrossendo spontaneamente.

Agnese sorrise nel vederla tornare la tranquilla e pacata ragazza che conosceva e stimava.

«Forse solo un po’…» le disse sedendosi senza tanti complimenti sopra una poltroncina lì accanto «Non capisco perché ti fai prendere dall’ansia per ogni evento mondano cui siamo costrette partecipare. Tanto sai che è sempre la stessa storia: entriamo, veniamo tutte guardate e soppesate, io e te risultiamo sempre le più belle, ci buttiamo tra la folla e poi usciamo all’ora appropriata per la nostra età. Questa serata è uguale a tutte le altre, Isabelle. Pensala così e andrà tutto bene.»

Agnese storse la piccola bocca lasciata al naturale in una buffa smorfia di disgusto e si lisciò pigramente le pieghe della gonna color rubino. Alcune ragazze dentro la stanza le scoccarono occhiate tra il risentito e l’ammirato, scorrazzando di qua e di là come trottole in preda all’agitazione pre-festa che lei sembrava non accusare.

«Sempre modesta, Agnès!» esclamò Isabelle severamente alzandosi dalla postazione davanti allo specchio per far risedere l’amica.

Agnese sbuffò ritrovandosi a guardare nuovamente la sua immagine riflessa e distolse lo sguardo, spazientita. Ma rimase lì, con l’amica che le sorrideva alle spalle.

«Certo che lo sono, Isabelle. Devo esserlo.» disse con serietà fissando l’amica dritta negli occhi per un attimo con un’espressione severa, ma subito tornando a sorridere «Guarda come corrono tutte, queste sciocche. Sembrano galline pazze che si preparano tutte per una stesso gallo!» esclamò poi ridacchiando sottovoce e guardandosi intorno divertita.

La stanza era di modeste dimensioni ma al momento sembrava incredibilmente piccola e soffocante. Ogni centimetro di parete era nascosto da specchiere e poltrone dove nervose fanciulle si contemplavano continuamente aggiungendo e ritoccando continuamente qualcosa dal volto, altre fanciulle si cambiavano gli abiti in modo ossessivo davanti grandi specchi a piantana, altre ancora sostavano intorno alle parrucchiere per farsi sistemare le acconciature. E maestosa in mezzo a tutto questo caos silenzioso stava lei, Madame Gabrielle: la matrona, la responsabile dell’evento, fulgida ed enorme nel suo abito color prugna che le comprimeva le molli membra cercando di donarle un aspetto aggraziato che per natura non possedeva.

«Non dire così, Agnès!» la rimproverò Isabelle, mentre con le dolci mani le sistemava i capelli «Sai che per molte di noi questa è un’occasione importante…solo tu fingi indifferenza!»

«Oh no, Isabelle, ti sbagli: io ne sono indifferente!» riprese subito la fanciulla seduta davanti allo specchio con un tono tra il divertito e il disperato.

«Certo, certo…vuoi dirmi che non ti tocca minimamente il fatto che tra dieci minuti verremo presentate davanti a tutte la più alta società di Parigi non come semplici fanciulle ma come allieve della più famosa e prestigiosa scuola femminile dell’Europa?» chiese interrogativamente subito l’altra, scettica nonostante i suoi occhi ridessero.

«Ehm…fammi pensare…norispose Agnese ridacchiando sarcastica e fissando con piacere l’espressione  stupita e affranta dell’amica.

«Capisco…» mormorò Isabelle fingendo indulgenza «Per te, con questo viso incantevole, certo non deve essere motivo di apprensione quello che sta per avvenire…ma sii clemente con le altre!»

Agnese annuii stizzita tornando a guardarsi allo specchio. Due grandissimi occhi azzurri e profondi dove pagliuzze blu ballavano in modo diverso a secondo del suo stato d’animo la fissavano in un’espressione imbronciata incastonati su un volto ovale, diafano e perfetto, dove labbra vermiglie brillavano in un ghigno divertito e un nasino grazioso troneggiava prepotente nella sua bellezza. I capelli biondo scuro, di una tonalità insolita e ondulati per natura, erano stati parzialmente raccolti e fermati sulla testa con pettini di avori, mentre altre ciocche erano state legate con nastri rossi o intrecciate con fiorellini bianchi. Isabelle era brava, quando ci si metteva.

«Lo sarò, se ci tiene tanto, ma chère.» borbottò Agnese rivolta all’amica, scoccandole un’occhiata tra il risentito e l’annoiato.

Isabelle finì di sistemare i capelli della bella fanciulla con un sorriso entusiasta, certa che la sua opera avrebbe contribuito in modo dominante a rendere la bellezza innata di Agnese ancora più matura e affascinante. Anche questa dovette accorgersene perché rivolse all’amica un raro sorriso di sincera gratitudine, così spontaneo e semplice che riuscì a illuminarle se possibile ancora di più lo sguardo, solitamente una maschera dove sostava un’espressione cocciuta e altezzosa.

«Forza, mademoiselle!» la voce di Madame Gabrielle arrivò acuta e isterica alle loro orecchie come una sferzata facendole sobbalzare e ridacchiare «E’ arrivato il momento…su, su…tutte in piedi…avete il ventaglio?…brave…adesso mettetevi in fila…così, per due, come abbiamo provato…dov’è Agnès?…»

Agnese si alzò dal poltroncina e, eretta e fiera nel portamento nonostante continuasse a dire che quelle manifestazione l’annoiavano, raggiunse la donna.

«Agnès, mia cara, tu starai in fondo alla fila…come abbiamo provato…sì, dietro a Isabelle e Madeline…» la donna sembrava sul punto di una crisi di nervi tanto saltellava e parlava in modo sempre più acuto. «Sai che è il posto d’onore…sì?…bene, quindi sai cosa devi fare…»

Agnese annuì tranquilla verso la donna, portandosi in fondo alla fila con passi piccoli e graziosi. Arrivata davanti ad Isabelle, le sorrise beffarda e le si mise dietro, sola.

Non era vero che proprio non le importava l’esito di quella serata, diciamo che ci dava un minimo di importanza rispetto all’interesse che dimostrava per qualsiasi altra serata di gala. Questa volta non era solo un festa e nemmeno le interessava il fatto che fosse la serata in cui la maggior parte delle fanciulle avrebbe dimostrato chi sarebbe stata nella sua vita…in quella serata li avrebbe visti, tutti quanti.

Si sentì avvampare al pensiero di cosa avrebbero pensato vedendola così, truccata e vestita come una vera nobildonna. Lei, la piccola Agnesina combina-guai, quella che si rotolava nel fango con i mocciosi del paese, che lanciava insulti indistintamente a chiunque non stesse a genio con i suoi principi, che aveva una lingua da scaricatore di porto e che odiava mettersi le gonne.

“Oddio, ma cosa ci faccio qui?” pensò con un brivido mentre la lenta processione si avviava fuori dalla porta, all’interno della sala dove tutti l’avrebbero riconosciuta.

Se un anno prima le avessero predetto che sarebbe stata presentata alla società di Parigi con addosso chili di abiti preziosi e i capelli pettinati, perdipiù in coda alla fila come rappresentante ufficiale della scuola, avrebbe deriso l’indovino e se ne sarebbe scappata via a cavalcare con il suo Nemesis.

“E invece sono qui…guarda un po’ che fato simpatico!”

Non le dispiaceva entrare in società come allieva del Collège du Bergnac, il posto che aveva sempre sognato quale meta della sua insaziabile curiosità intellettuale, ma doversi acconciare in quella maniera, a suo dire ridicola, la irritava leggermente.

“Lo faccio solo perché ne sono costretta…diciamo che è il rovescio della medaglia per aver voluto entrare nella più facoltosa Università europea. Ma se penso a cosa diranno tutti…”

La luce della sala si avvicinava inesorabilmente, un inquietante buco oltre il quale il suo destino sarebbe stato per sempre segnato.

“Avanti, Agnese, smettila di lagnarti, testa alta, sguardo dritto…andrà tutto bene.

Sentì il vociare ammirato delle persone che accoglievano l’ingresso delle fanciulle, la fievole e dolce sonata dei violini che accarezzava l’aria, il profumo di gelsomini che fluiva verso le sue narici. Inesorabilmente la fila andava avanti, vedeva davanti a sé l’esile busto di Isabelle ondeggiare per poi sparire nel buco…ecco, ora sarebbe toccato a lei…

«Contessa Agnese Ristori!»

Agnese prese un lungo respiro, aprì il ventaglio e con fierezza entrò nella luce della festa.

 

  
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