Capitolo 28
Nell’oscurità
della notte, la luce proveniente dalla casetta della neo-famiglia
Cullen risplende come un faro in mezzo ad una tempesta.
All’interno, una lupa sieda accovacciata dinnanzi al camino accesso, scodinzolando di tanto in tanto la coda argentea.
L’altro lupo, Embry, nel frattempo gira tra i boschi lì vicino, in attesa di un ordine del maschio alfa, Jacob.
Quest’ultimo sembra non voler lasciar correre, stavolta, le
scappatoie della ragazza, che evita accuratamente di incrociare i suoi
occhi.
Nella stanza accanto, un vampiro si agita nell’incoscienza.
***
Anno 1918
Plick… plick…
Il rumore di alcune
gocce risuona come un eco nell’enorme stanza bianca nella quale
vi sono tante tende color panna tirate, in segno di riservatezza.
S’intravedono le sagome dei letti, dai quali provengono gemiti soffocati.
La vista è appannata, velata da una patina invisibile. Mi
stropiccio gli occhi, tentando di rimuoverla, di prendere coscienza del
luogo in cui mi trovo, ma è come scavare nel fango.
I miei ricordi sono sprazzi improvvisi di immagini, persone di cui non rammento assolutamente nulla.
Ad un tratto, come catturato da un’intuizione, volto di scatto la
testa, osservando il letto posto nell’angolo più remoto
del grande salone.
La tenda che dovrebbe difenderlo da occhi indiscreti, ironia della
sorte, non è tirata. Sul letto giace un ragazzo dai capelli
bronzei, le mani strette ai lati del letto. Sul volto, goccioline di
sudore che stanno ad indicare la temperatura corporea elevata.
Con movimenti lenti mi avvicino al letto. Il silenzio regna sovrano,
come se questi gemiti di dolore dovessero essere ascoltati fin sopra le
vette delle Montagne Rocciose.
Cerco di stringere la mano a quel ragazzo dal volto così
familiare, ma appena tento di sfiorare la sua pelle, ecco che il
contatto non avviene. Le mie dita attraversano il suo corpo, come se io
fossi un fantasma.
Schiudo le labbra per svegliarlo, ma nessun suono esce dalla mia bocca.
Porto la mano alla gola, stringendola leggermente in un gesto
automatico. Aggrotto le sopracciglia.
In che razza di posto sono capitato? Chi è questo ragazzo sofferente?
Resto al suo capezzale per non so quanto tempo, finché non odo
dei passi nel corridoio fuori la porta. Faccio per alzarmi e
nascondermi da qualche parte, anche se non capisco perché dovrei
allontanarmi alla stregua di un fuggitivo, ma mi rendo conto che
è troppo tardi.
L’uomo dai capelli biondi lucenti fissa costernato il volto del
ragazzo moribondo e, lanciando veloci occhiate alla cartella che tiene
in mano. Scuote la testa, afflitto, poggiandola sul comodino a lato del
letto e, senza degnarmi di uno sguardo, si avvicina, scostandogli
qualche ciocca ribelle.
Quest’ultimo, con grande fatica, solleva le palpebre, mostrando due occhi verdi velati.
«Come ti senti oggi, Edward?» domanda l’uomo con il camice bianco.
Probabilmente si tratta di un medico, ma ciò che mi lascia senza
fiato è la sua bellezza, il viso che sembra irradiare luce e
calore. Gli occhi sono di un oro caldo quasi innaturale, ipnotico. La
pelle è candida come la neve.
«Meglio» risponde il giovane, sorridendo e camuffando una smorfia di dolore.
Il medico gli afferra una mano, avvolgendola nella sua. Il ragazzo
rabbrividisce non appena viene a contatto con lui, ma non si allontana,
anzi, la stringe con vigore.
L’uomo sorride a sua volta, ondeggiando di poco il volto. «Stai mentendo».
Edward volta il capo dall’altro lato, sospirando pesantemente.
Tossicchia, stringendosi nelle spalle e nascondendo il viso sul cuscino.
«Quanto mi resta?»
«Poco» risponde desolato il medico.
Segue un silenzio stranamente rilassante, nel quale il dottore resta a contemplare il paesaggio esterno alla finestra.
Persino io non mi sento a disagio, nonostante entrambi non riescano a
vedermi né sentirmi. È come se stessi rivivendo questa
scena, come se quel ragazzo in realtà fosse…
Spalanco gli occhi di scatto, indietreggiando fino a toccare con le
spalle la parete opposta a quel quadretto troppo familiare, troppo
vissuto.
Corro verso la porta, ringraziando chiunque l’abbia lasciata
aperta. Attraverso il corridoio senza fermarmi un attimo, finché
non arrivo nei pressi di un locale igienico. L’odore di
medicinali e disinfettante aleggia nell’aria, mentre tremante mi
avvicino allo specchio incassato a muro sopra il lavabo.
Stringo i pugni mentre mi appoggio ad esso con entrambe le mani. Non
oso guardare per paura di cosa lo specchio rifletterà, eppure
devo farlo, devo capire.
Sollevo lentamente il capo, notando con orrore che quel ragazzo ed io
abbiamo lo stesso volto, gli stessi capelli, ma un colorito differente.
La mia pelle è lattea, proprio come quella del dottore, ma i miei occhi…
Porto due dita vicino ad un uno di essi, credendo che si tratti di uno
scherzo, di un trucco di quello specchio diabolico, ma non è
così.
Sono dannatamente rossi, come il sangue. A quella parola, qualcosa si
scuote dentro di me, facendomi accasciare sulle ginocchia. Una morsa
improvvisa mi fa gemere dal dolore, dei crampi mi colpiscono simili a
schegge di vetro acuminate.
Un ruggito profondo e gutturale fuoriesce dalle mie labbra. A tentoni,
cerco di rimettermi in piedi e, appena fisso nuovamente la mia immagine
riflessa, i miei occhi si sono trasformati in due pozze nere
d’ossidiana.
Un vuoto freddo si scorge dietro essi.
Inorridito dal mio aspetto cupo e tenebroso, corro con una
velocità sovrumana in direzione del dottore e di Edward, il
ragazzo gemello.
Appena varco l’uscio, un urlo straziante si espande
nell’aria, congelandomi sul posto. A pochi metri da me, il medico
biondo è chino sul ragazzo, al quale ha afferrato il collo,
cercando di tenerlo fermo. Appena si allontana da Edward, sul viso di
entrambi la sofferenza appare evidente, ma c’è qualcosa di
strano.
Dalle labbra sottili dell’uomo scorre un rivolo di sangue,
così come dal collo del ragazzo, sul quale spuntano adesso due
piccoli forellini.
Come un lampo, nella mia mente compaiono immagini di altri come il medico, altri vampiri.
Una donna dai capelli color caramello, che sorride dolce nella mia
direzione, e che nasconde un dolore che le strazia l’anima da
sempre.
Una ragazza della mia età circa, con una cascata di capelli
biondo oro, lucenti e con uno sguardo perennemente scocciato. Pozze di
sangue la seguono come un’ombra, mani imbrattate di
quell’elisir denso e delizioso.
Un ragazzo enorme, con il fisico di un lottatore, che viene trascinato
dalla ragazza bionda, il petto squarciato da graffi profondi e
terrificanti.
E poi altri due volti, stavolta senza ferite, ma con vestiti sporchi,
sudici. Lui ci guarda sospettoso e diffidente, mentre lei sorride
radiosa e saltella nel bosco come un piccolo folletto.
Sono i Cullen, Edward Anthony Masen. Coloro che ti daranno ciò di cui hai bisogno, ciò che hai perso.
Questa voce…
dove l’ho già sentita? Perché mi sembra di
conoscerla ancor meglio di quei volti, di quelli che si fanno chiamare
Cullen?
Perché quel ragazzo disteso sul letto sta soffrendo allo stesso modo mio?
Perché tu
sei quell’Edward che adesso giace in un letto che trasuda di
morte, in attesa che la trasformazione lo cambi per sempre.
Chiudo gli occhi, stringendo tra le mani alcune ciocche di capelli e scivolando sul pavimento, gemendo disperato.
«Basta! Smettila, non posso sopportare più questo dolore.
Uccidimi, Carlisle!» grida quel ragazzo che altri non è
che me, sicuramente prima della trasformazione. La sua richiesta mi
arriva come un colpo di cannone, insieme a ricordi sepolti che nemmeno
pensavo di custodire.
Ma il nome di quel medico mi riporta ancor più indietro nel tempo, a qualche settimana prima del ricovero in ospedale.
Davanti ai miei occhi, si erge una villetta a due piani, con un
grazioso giardino sul davanti, ben curato. Il viale su cui è
affacciata la casa, è ben pulito, con tanto di aiuole decorative
ogni dieci metri. Lampioni grigi e alti fanno bella mostra di
sé, insieme a grandi alberi da cui filtrano alcuni raggi solari,
nonostante le nuvole siano molto dense attorno ad esso, segno
dell’arrivo di un temporale con i fiocchi.
Dalla casa arrivano alcuni rumori, come i gemiti soffocati dei suoi
abitanti. Come niente fosse, mi ritrovo nel salotto buio, le tende che
oscurano la vista ai passanti curiosi.
«È in pericolo anche lui, William» sussurra una voce femminile dal piano di sopra.
«C’è ancora tempo. La febbre spagnola ha appena
intaccato il suo organismo» le fa notare una voce maschile,
sicuramente quel William a cui ha accennato poco prima la donna.
Senza far rumore, mi dirigo verso le scale, aggirandomi silenzioso,
come se la mia presenza potesse essere percepita. So che non può
avvenire, che a quanto pare è come rivivere attimi del passato,
ma il terrore inspiegabile che possano scoprirmi prende il sopravvento,
inducendomi a camminare con cautela.
«Mi dispiace, non l’ho saputo prevedere» mormora con voce incrinata la donna.
«Non caricarti di colpe futili, Misha. La natura si è
dimostrata più furba e veloce di noi» le dice con tono
rassicurante William.
Ora che sono arrivato al piano superiore, percorro il breve corridoio,
trovandomi dinnanzi ad una porta socchiusa. Dallo spiraglio della porta
intravedo due figure abbracciate, un uomo e una donna stretti
l’uno all’altro, come se cercassero conforto di fronte ad
una sciagura avvenuta.
L’uomo, William, mi da le spalle, i capelli sono castani,
abbastanza lunghi, un taglio comune. È alto, le spalle sono
larghe e possenti, emana un potere incredibile. Persino stando fermo
così riesce a incutere una strana sensazione di disagio,
ammirazione forse, non saprei affermarlo con certezza.
Anche la donna ha un colore simile di capelli, ma più scuro,
mogano direi. Gli arrivano fino alla vita, con morbide onde a coprirle
la schiena minuta. Il corpo di lei, a confronto con quello del
compagno, sembrerebbe appartenere ad una bambina.
Misha si scosta di poco, mostrandomi il suo sguardo affranto. Sulle guance, due scie umide scendono dagli occhi socchiusi.
«Come ci comportiamo adesso? Vuoi trasformarlo ora tu?» gli chiese lei speranzosa.
Si avvicina al letto che è alle sue spalle, sedendovisi sopra e accarezzando la fronte di qualcuno con i capelli ramati.
Sgrano gli occhi, constatando che si tratta proprio di me. Subito
capisco dove mi trovo: questa è stata la casa in cui ho vissuto
da umano con i miei genitori.
Ma allora chi sono questi due?
Dalla pelle chiara, direi che sono vampiri, proprio come il medico, ma
hanno qualcosa di strano. Sono blu, intensi e ipnotici, al contrario di
quelli di Carlisle, color del grano, e molto più inquietanti.
Deglutisco a vuoto, cercando di trattenere la sete che mi divora. Anche
se volessi, non potrei bere il sangue di nessuno nelle mie condizioni.
Troppo debole anche solo per affondarvi i denti.
William scuote il capo, accogliendo la mano dell’amata tra le sue e baciandone il palmo.
«No, ci penserà Carlisle a trasformarlo in uno di noi».
«E se qualcosa dovesse andare per il verso sbagliato?» domanda ancora lei, timorosa.
Lui inclina il viso di lato. «Ti ho mai delusa, mia cara?»
A giudicare dal tono di voce ironico, direi che il tizio sta sorridendo
in direzione della compagna, che ricambia ancor più radiosa.
«No, ma c’è sempre una prima volta, razza di vampiro arrogante e presuntuoso».
William porta entrambe le braccia sui fianchi. «Ehi!
Cos’è questo tono irrispettoso?», il tono falsamente
indignato.
Misha balza in piedi e allaccia le braccia al collo del suo uomo,
sfiorando con delicatezza quelle di lui. «Quello che si addice ad
un uomo come te».
William fa scivolare le braccia dai suoi fianchi a quelli di lei,
avvolgendola in un abbraccio soffocante e coinvolgendola in un bacio
molto focoso. È evidente che si amano, quei due, e
quell’intimità così forte mi costringe a
distogliere lo sguardo.
Se potessi, arrossirei per l’imbarazzo.
Faccio per arretrare, ma un piccolo movimento di William mi fa desistere dall’intento.
«Cosa è stato?» domanda, volgendosi per la prima volta verso di me.
In quel momento, al suo viso, al suo ricordo, tantissimi aghi mi perforano il cranio, facendomi accasciare al suolo, esanime.
«Non avverto nulla. Tu hai sentito qualcosa?» gli chiede
Misha, mettendo in allerta tutti i sensi e osservando con circospezione
la stanza, soffermandosi sulla finestra aperta alla sua destra, come se
da un momento all’altro dovesse entrare qualcuno o qualcosa.
Socchiudo gli occhi, raggomitolandomi sul pavimento. Ad un tratto, la
figura di quel vampiro si trova sull’uscio della porta, la mano
sul pomello. Guarda nel corridoio, concentrandosi sulle scale, e mi
rendo conto che anche lui, nonostante il suo istinto gli indichi la mia
presenza, non riesce a vedermi, né a sentirmi.
Un silenzio cala su di noi, soltanto i lamenti e il respiro soffocato dell’altro me riecheggiano nella casa.
«Mmh…»
«Sicuro di non esserti sbagliato?»
William aggrotta le sopracciglia, ma resta fermo sul posto, non convinto.
«No, non mi sono sbagliato. Per un attimo ho davvero avvertito la
presenza di qualcuno» afferma, sciogliendo la presa dal pomello
della porta e indietreggiando verso il centro della stanza.
Misha scrolla le spalle esili. «Magari era la madre che si è svegliata» suppone.
Sul viso del vampiro si dipinge una smorfia, per poi rispondere con voce bassa: «non un umano, cara. Uno di noi».
Lei scuote il capo vigorosamente, sorridendo gentile.
«Impossibile, l’avrei visto, non ti pare?», e si
picchietta la tempia con un dito.
«Sì, forse hai ragione» conviene lui a quelle parole, mentre in me sorge un dubbio.
Perché lei lo avrebbe visto? Perché ha indicato con un dito la testa? Forse un qualche potere mentale?
Possibile che quella vampira così minuta nasconda un potere talmente potente da rintracciare i vampiri?
Con fatica, poggio i gomiti a terra e cerco di sollevarmi,
aggrappandomi allo stipite della porta. La sete mi sta consumando, mi
sta letteralmente rubando via ogni briciola di forza rimasta.
Mentre i due vampiri si voltano di nuovo verso l’altro me ancora
umano, io mi accascio su una sedia vicino. Restare in piedi mi costa
energie che non ho più.
«Comunque non possiamo lasciarlo qui a casa. Anche se la natura
ha agito prima di noi su di lui, il nostro veleno dimostrerà
ancora una volta chi è il vero vincitore» conclude
William, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi alla parete,
vicino al comodino de letto.
«Almeno questa malattia gioca a nostro favore. Senza di essa, lui
sarebbe partito per la guerra, tornando qualche mese dopo dentro una
bara, freddo e senza vita» mormora lei, accarezzando la mano
dell’altro me.
«Sciocchezze. Avrei falsificato il suo certificato medico,
rendendolo non idoneo per l’esercito e sarebbe stato costretto a
rimanere qui in America», chiude gli occhi per un secondo,
riaprendoli e gettando un’occhiata fuori dalla finestra,
«non avrei mai permesso che Edward gettasse la sua vita
così. La felicità di Isabella è troppo importante
per me. Se lo tengo in vita, è perché non voglio veder
spegnere quella luce che illumina il suo sguardo».
Cosa?
Lui mi avrebbe impedito a qualsiasi costo di coronare il mio sogno di portare onore alla mia patria?
Se il mio sguardo fosse un’arma, lui sarebbe già finito incenerito sul pavimento.
Come si permette di decidere della mia vita, di tutto ciò in cui
credo, del mio sogno di diventare un grande soldato ricordato da tutti?!
E soprattutto… chi è questa Isabella, che tiene talmente
tanto a me, da mettere la mia vita nelle mani di questo vampiro?
Non l’ho mai incontrata nei miei miseri diciassette anni!
Cerco nuovamente di alzarmi, di concentrare tutte le mie forze su
quelle gambe che sembrano essere diventate dei blocchi di cemento, e
stranamente riesco ad avvicinarmi a loro, soprattutto a quel William.
Sto per sfiorargli il colletto della camicia bianca, al di sotto del
lungo cappotto scuro, quando la voce di Misha, o meglio la frase
successiva, mi gela sul posto.
«Già, la sua amata sposa. Colei per cui lui ha sacrificato la vita…»
A quelle parole, mi volto lentamente verso di lei, tentando
d’incrociare i suoi occhi, invece assisto ad una scena
inverosimile.
Edward, l’altro me stesso umano, è sveglio e sorride alla
vampira, accarezzandole una guancia rigata da una lacrima.
«Non piangere, Misha» sussurra lui.
Lei sobbalza, abbracciandolo stretto. «Allora ricordi?»
«Ogni singolo istante della mia lunga esistenza» risponde con tono stanco, ma incrinato da una strana emozione.
Un’emozione che ho sentito solo nello scambio di parole tra i
miei genitori. Un amore sconfinato che hanno riversato in me.
«Ne sono felice, e ti dirò: dovrai aspettare ancora un bel
po’ di tempo prima di ricongiungerti a lei» gli rivela con
malinconia e sofferenza lei.
Edward chiude gli occhi, continuando a sorridere beato nonostante il dolore lo fiacchi nel corpo.
«Attenderò persino lo stesso arco di tempo vissuto, pur di
incontrarla di nuovo e non lasciarla più andare via».
«Sei stato tu a lasciarla, morendo per mano dei rinnegati»
gli fa notare con tono ironico William e sollevando un angolo della
bocca, in una sorta di sorriso obliquo.
«Tu che avresti fatto al posto mio?»
William chiude gli occhi, come se stesse rivivendo quella scena, e una ruga profonda gli solca la fronte.
«Ciò che hai fatto tu, Edward, ed è anche per
questo che sono qui», con una leggera spinta, si stacca dalla
parete e si inginocchia dinnanzi a lui, sfiorando con le labbra la
fronte imperlata di sudore dell’altro me, «ti sono
debitore, figliolo, e non riesco a credere di esser riuscito a trovare
una guida come quel medico. Segui Carlisle, abbi fiducia in lui, come
lui l’avrà in te».
«Nigel» bisbiglia Misha, e subito dopo compare un vampiro
con una barba corta, il pizzetto nero, capelli scuri corti. Il volto
è spigoloso, la corporatura smilza, ma i muscoli che si
intravedono, indicano un fisico forte e scattante.
«Ditemi».
«È giunto il momento. Rimuovi ogni traccia di noi, di lei»
pronuncia solenne il comando William all’altro vampiro che,
inchinandosi, si avvicina al ragazzo e tocca la sua mano.
D’un tratto vengo riportato davanti allo specchio del bagno
angusto dell’ospedale in cui sono stato ricoverato, poi il mio
corpo viene teletrasportato nella stanza bianca dove giace
l’altro me stesso in via di trasformazione, ed infine comincio a
fluttuare a mezz’aria, fino a svanire.
Riprendo conoscenza su un letto morbido, alcune candele illuminano la stanza.
Porto una mano alla gola, rendendomi conto che la sete non è
affatto svanita, proprio come prima, solo che stavolta sento di
trovarmi in un posto diverso, nuovo ma altrettanto conosciuto.
Mi alzo, riflettendomi allo specchio nella parete di destra.
Da dietro la porta arrivano chiare e forti due voci: una di un ragazzo
e l’altra è di una ragazza. Uno di loro emana un odore
nauseabondo, l’altro è una fragranza leggera, delicata.
Un odore che richiama quello del sangue.
Le zanne cominciano a dolermi, il veleno m’impasta la bocca, i miei occhi sono neri.
La bestia ruggisce, annullando l’ultima briciola di razionalità.
Solo un comando: porre fine al mio tormento.
Angolo autrice:
Eccomi di nuovo qui a rompervi le scatole! xD
Se siete arrivate alla fine, significa che in qualche modo il mal di
testa non vi ha impedito di chiudere la pagina. Per chi non avesse
capito, ho anche messo la data, ma lo spiego comunque in poche parole.
Edward l’abbiamo lasciato nel letto in stato di incoscienza,
durante il quale fa uno strano sogno, o forse no. Ritorna nel passato,
nel momento che precede la trasformazione, e successivamente qualche
giorno prima del ricovero. Dopo la scena della casa, ritorna per
pochissimo tempo nel bagno ed infine di nuovo al capezzale
dell’altro se stesso umano in via di trasformazione.
Dopo questo viaggio rivelatore, ritorniamo al presente, dove ad attenderlo ci sono Renesmee, Jacob e gli altri due lupi.
Ringrazio Meredhit89 per la sua disponibilità nel leggere il
capitolo per prima, perché senza il suo benestare, senza il suo
appoggio, non sarei arrivata fin dove sono adesso.
Credo che il prossimo aggiornamento non arriverà prima di giorno
19, per via di un esame che devo sostenere, perciò ho postato
prima. Spero che vi sia piaciuto questo capitolo.