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Autore: Amomirus    01/12/2011    0 recensioni
L’aprì. Dentro, appena luccicante, stava un cerchio d’oro battuto, umile rispetto alla stessa corona d’Inghilterra. Eppure, attirò verso di lei in modo irresistibile entrambi i compagni. Jason la prese tra le mani. Una scarica leggermente più intensa lo fece rabbrividire. La sollevò sopra la sua testa e lentamente, con un groppo alla gola, s’incoronò.
Qualche recensione non dispiacerebbe, è il mio primo racconto, grazie!
Genere: Fantasy, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il pomeriggio passò, ghiacciato e lento. Mirus finì di leggere i rapporti, per fortuna non preoccupanti come quello di Tristi, per poi dedicarsi al primo abbozzo degli esami di fine anno. Non era troppo presto per occuparsene, contando il numero di classi e studenti della scuola. In genere i primi esami erano già ad Aprile, poiché ogni studente non solo aveva un esame scritto per ogni materia, pratico per Lotta Libera e Arte Suprema, ma anche un orale, che per i neo maghi significava anche dimostrare di saper controllare alla perfezione l’Incantus Primum. Contando che c’erano almeno sessanta studenti per ogni anno scolastico, il numero di esami da preparare diventava enorme ed era un compito totalmente riservato al Preside.
Il sole si ritirò già alle quattro di pomeriggio. Per le sette, quando finalmente Jason poté appoggiare la penna sul tavolo e stirarsi le braccia doloranti, l’oscurità regnava nei domini della scuola. Si alzò per sgranchirsi le gambe e attizzò il fuoco. Camminò per l’ufficio, perdendosi tra i titoli dei libri sugli scaffali. Lì si trovava di tutto, gli argomenti sembravano infiniti. Jason avrebbe voluto avere il tempo di leggerli tutti ma era un’impresa irrealizzabile.
“Anche perché è già tanto che io abbia il tempo di respirare, certi giorni!”
Per la prima volta, dopo settimane, si rese conto di essere stato così impegnato dai suoi doveri, che non aveva mai pensato a Karin. Lei era una maga e viveva a Londra. Non la vedeva dall’inizio della scuola, poiché lei non era un’insegnante e lui non aveva ancora avuto la possibilità di andare a trovarla. Non che all’interno della scuola fosse proibito avere rapporti di questo genere, non era insolito che nascessero, ma non era consentito che chi non fosse insegnante, o studente, o custodi o inservienti alloggiasse all’interno del perimetro scolastico. Segretamente Jason ringraziava per l’esistenza di questa regola. L’idea che Karin gli fosse sempre attorno lo imbarazzava e innervosiva. Cercò di pensare a lei con dolcezza, ai suoi capelli chiari e ricci, ma le uniche cose che gli vennero in mente furono le sue occhiate fredde e indifferenti, che usava solo per mascherare ciò che davvero pensava. Era una cosa che di lei non aveva mai sopportato ma all’inizio ci era passato sopra, troppo preso da lei. Ora invece, non riusciva neppure a ricordarsi perché gli piacesse così tanto.
L’ultima volta che si erano visti era stato a fine agosto, la sera prima che Jason lasciasse Londra per dirigersi in Scozia, prima a Edimburgo e poi alla scuola. Lei era stata così distaccata non appena si era accorta che lui era di cattivo umore, peggiorando solo le cose e offendendosi, quasi pensasse che lui lo facesse apposta! A pensarci, Jason ebbe un moto di stizza e diede un colpetto allo scaffale che in quel momento aveva affianco. Si morse il labbro, ricordandosi di controllare la sua forza e di non lasciarsi andare a simili rancori. Per ora erano distanti e magari questo avrebbe giovato a entrambi. O forse no? Che la distanza non facesse altro che rendere chiara l’inevitabile rottura del rapporto? Su questo, l’opinione di Jason tentennò. L’amava ancora? L’aveva mai davvero amata? Chissà lei, dietro quella finta maschera d’indifferenza, che cosa pensava. In quel preciso istante Jason avvertiva la sua mancanza? L’avrebbe voluta lì con lui?
Non gli ci volle poi molto per rispondersi. Non le mancava, in quei quattro mesi non le era mai mancata. Sospirò e in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Con un gesto stanco della mano, senza spostarsi dallo scaffale su cui era appoggiato, face aprire la porta. Il colore scarlatto della divisa della studentessa brillò assieme allo stemma dorato una volta che fu illuminato dalla luce allegra del fuoco. La ragazza aveva ancora il mantello e tremava dal freddo.
- Vale, princeps! Sono Renée Grison. Mi è stato riferito che mi cercava…
Jason, nello stesso istante in qui la vide, si riscosse dai suoi pensieri. Se n’era quasi dimenticato di quella ragazza. Maledì la sua vita complicata ed esclamò:
- Vieni pure avanti, Renée. Chiudi la porta e scaldati pure qualche minuto, quando starai meglio parleremo.
- Ho fatto qualcosa di male?
Jason cercò di sorriderle ma era ancora per metà immerso nei suoi pensieri. Si limitò a dirle:
- No, tranquilla.
Renée si accostò al fuoco, togliendosi il mantello e appoggiandolo sopra quello di Jason. Ora che non era distante, e ora che Jason aveva indosso gli occhiali, poté guardare davvero la studentessa. Non era alta, ma aveva un fisico asciutto e slanciato. La carnagione era pallida, in contrasto con i capelli castani scuri, quasi neri, che teneva raccolti sulla nuca. Portava anche lei gli occhiali che le evidenziavano il viso magro e gli occhi castani chiari. Non le ci volle molto per scaldarsi e si mosse nervosa verso la scrivania. Jason era già seduto e l’aspettava assorto. Ci fu un attimo di silenzio. I suoi occhi scuri incontrarono i suoi chiari, che inspiegabilmente gli ricordavano l’Italia assolata che aveva visitato con suo padre. In quel momento si accorse del suo nervosismo e si riscosse:
- Dunque, come ti ho detto prima non ha nulla da temere, anzi. Ho saputo che i tuoi voti nelle ultime lezioni sono migliorati molto.
Era ancora insicura, ma concesse un sorriso. Jason continuò:
- Bene, come tu sai, ogni anno sono tenuto a scegliere uno studente, o una studentessa, possibilmente del penultimo anno, come assistente. L’hanno scorso ho scelto Carlo Bonasti ma quest’anno lui finirà il suo soggiorno alla Scuola. Avevo pensato a te come sua sostituta. Potresti esserne interessata?
La ragazza sembrò incerta, forse credeva davvero che Jason l’avesse chiamata per punirla. Aspettò che rispondesse:
- Preside, io sono molto sorpresa, ci sono studenti migliori di me.
- Non vuoi?
Questa volta Renée parve agitarsi e si affrettò a rispondere:
- No, accetto volentieri! Sono molto sorpresa, ecco tutto. – arrossì violentemente quando Jason si allungò verso di lei per prendere un foglio bianco. Fece finta di non notare nulla, ma dentro di se ne rimase sorpreso. Franz gli aveva parlato di una ragazza tenace e determinata, non insicura e timida.
- Allora, da domani ogni sera verrai qua e la mattina prima delle lezioni dovrai consegnare i rapporti che ti avrò consegnato la sera prima. Potrà capitare che ti debba chiamare anche durante le lezioni, ma cercherò di far in modo che accada il meno possibile. Carlo potrà assicurarti che non uccido in genere i miei assistenti, – la ragazza si lasciò un po’ andare e sorrise – quindi non hai nulla da temere.
Finì di scrivere, poi le consegnò il foglio:
- Questa è la giustificazione per non aver potuto svolgere i compiti per domani. Non preoccuparti, gli insegnanti saranno comprensivi quando non riuscirai a portare totalmente a termine i compiti da un giorno all’altro. Ti prego però di non sentirti obbligata, sei libera di non diventare mia assistente.
Renée prese il foglio, ringraziandolo.
- Posso andare, ora?
Jason stava per dirle di sì, ma poi, guardando fuori nel buio pece, sentì una morsa allo stomaco. Pensò anche ai ribelli che nelle coste attaccavano e distruggevano. Guardò la sua assistente e le sembrò incredibilmente fragile. Le rispose:
- Ti accompagno.
Lei sgranò gli occhi:
- No, non serve, signore! Vado benissimo da sola.
- Non si discute, accompagnavo anche Carlo molto spesso – mentì lui spudoratamente, ma lei non se ne accorse e chinò la testa.
- La ringrazio, Preside.
In silenzio s’infilarono i rispettivi mantelli e uscirono. Non c’era anima viva e fuori la temperatura era incredibilmente ghiacciata che ad entrambi mancò il respiro. Tutti, alunni e insegnanti, si erano rintanati nel caldo delle proprie camere. Le strade erano completamente gelate.
Senza rompere quel silenzio, camminarono per almeno cinque minuti in silenzio. Renée aveva l’alloggio dalla parte opposta, il che significava quasi un quarto d’ora di camminata nella più completa oscurità.
- Credo sarà necessario illuminare in qualche modo almeno le strade più usate, durante la notte o gli studenti nuovi rischiano di perdersi. – Jason lo pensò ad alta voce e sentì affianco a lui la ragazza respirare a fondo per scaldare l’aria che inspirava. Non rispose alla sua considerazione, e Jason si accorse di quanto si stesse sforzando per non tremare dal freddo.
Stava per chiederle se fosse tutto apposto, quando la vide scivolare e cadere malamente lunga distesa sulla strada lastricata. Non emise un gemito ma Jason intravide il suo viso contratto dal dolore.
- Renée! Dove ti sei fatta male?
Lei scattò quasi subito in piedi, puntellando il piede sinistro.
- Sto bene, Preside! È solo una storta… - era diventata ancora più pallida. Appoggiò il piede ma lo rialzò subito. Tremava sempre di più.
- Sta ferma.
Prima che potesse opporsi di nuovo, la prese in braccio. Non era troppo pesante, non fosse stato per il mantello. La strinse a se per scaldarla.
- Preside, io…
- Silenzio. Per fortuna volevi andare da sola, eh? Non voglio più sentire storie. Ho il dovere di assicurarmi che voi tutti studenti stiate bene, a costo di portarvi uno per uno in braccio! Ora pensiamo ad arrivare al tuo alloggio, lì vedremo di sistemare la caviglia e domani mattina andrai subito all’infermeria. Senza discutere, è un ordine, chiaro? – si sorprese del suo tono severo e allo stesso tempo preoccupato. La ragazza non rispose ma sentì la sua testa contro il suo petto annuire.
Riprese a camminare quasi a passo normale. Aveva fatto sforzi ben peggiori con quelle braccia. In più, averla vicino scaldava anche lui. La sentì rilassarsi mano a mano che lui prendeva un ritmo di camminata sempre più costante. Arrivarono presto al suo alloggio. Qua e là c’erano luci accese e un leggero vociare. Nulla di anormale per i quartieri degli studenti.
- E’ questo qui, Preside.
Si fece dare la chiave ed entrarono. Attraversarono la cucina e l’adagiò sul letto. Concentrò degli atomi sulla stufa della stanza fino a produrre una scintilla che in pochi istanti prese ad ardere allegramente. Si tolse il mantello e si fece dare il suo. Li sistemò sulla sedia. Intanto lei si tolse gli stivali.
Il piede sinistro era gonfio e sanguinante. La parte di rinforzo dello stivale si era spaccata tagliandole la pelle. Il gonfiore era dovuto alla storta.
In meno di venti minuti la disinfettò e fasciò la caviglia.
- Hai qualche antidolorifico qui?
- Sì, in cucina, sullo sportello sopra il frigo.
Non se lo fece ripetere. Lo trovò facilmente e sciolse in acqua la pastiglia. Tornò in camera, Renée si era distesa completamente. Gli occhi esprimevano tutta la sua stanchezza. Le porse il bicchiere e lei bevve con una smorfia la medicina amara.
- Avrei potuto curarti con la magia, ma non mi fido molto delle mie capacità curative. – Jason si accarezzò lievemente i polsi. Durante un’operazione di difesa, negli anni subito dopo la scuola, era stato ferito ad una gamba e aveva cercato di ricucirsela da solo. Aveva quasi rischiato di rimetterci tutto l’arto giacché il suo intervento non era valso a nulla e il taglio si era infettato.
La ragazza fece un sorriso tirato, poi chiuse gli occhi. Istintivamente Jason le accarezzò la fronte. Scottava leggermente. Temendo che quel suo gesto la imbarazzasse si scostò subito e rimase ad osservarla. Quella ragazza non stava bene neppure prima che si facesse male.
- La prossima volta che scopro che non ti riposi quando stai male giuro che ti metterò in punizione.
Questo le fece aprire gli occhi, l’espressione era sorpresa e mortificata:
- Preside, mi scusi ma oggi avevo…
Lui la interruppe alzando la mano e lei lasciò morire la frase senza terminarla.
- Ora dormi. Domani sarai esonerata dalle lezioni. Chiederò al custode di portarti in infermeria, intesi?
- Sì, Preside.
- Buonanotte.
- Buonanotte anche a lei.
Uscendo, le spense la luce.
Fuori, qualche luce qua e là era ancora accesa. Vide un’ombra uscire da uno degli alloggi più in fondo e dirigersi verso di lui, che rimase seminascosto per non farsi riconoscere. La figura lo superò e imboccò la stessa strada che portava alla sede degli insegnati. Riconobbe la sagoma del professor Grennor, alta e magra.
Jason sorrise, immaginando che Hugh non si trovasse lì per qualche lezione fuori orario. Non era insolito che gli insegnati avessero relazioni con gli studenti, anche se ovviamente non potevano essere che dell’ultimo o penultimo anno. Dopo dieci anni a stretto contatto, era plausibile che si creassero legami particolari tra le persone. Alla Scuola non erano proibiti, ma ovviamente l’insegnante era tenuto a non fare favoritismi per quanto riguardasse l’ambito scolastico. Era abbastanza scontato e non c’erano mai stati problemi di nessun tipo.
Seguendo l’esempio del collega si incamminò a sua volta verso il suo alloggio. Era stanco e infreddolito. Stava già pregustandosi le coperte calde e il meritato riposo quando, infilando la mano dentro la tasca della felpa, sentì la consistenza di un foglio. Dovette trattenersi dal non prendersi a schiaffi da solo: il messaggio di Filippo!
“Era meglio se non avessi perso troppo tempo a preoccuparmi di Karin, prima. Mi sono distratto dai miei doveri.”
Lì, in mezzo alla strada deserta e buia, sotto un cielo incredibilmente scuro e nuvoloso, Mirus decise di fermarsi. Corrugò la fronte e si concentrò. Ci mise quasi un minuto, ma finalmente riuscì a concentrare delle particelle luminose davanti a lui, all’altezza degli occhi che gli permisero di distinguere la strada lastricata dalla neve. Riusciva anche a vedere i contorni degli edifici, prima un ammasso irregolare soltanto più scuro del cielo. Tirò fuori il messaggio, deciso a non perdere altro tempo. La scrittura era a lui sconosciuta ma chiara e dai tratti decisi.
Capo, come chiesto da lei, sono riuscito a chiedere notizie circa gli sviluppi dei rapporti internazionali. I capi di governo tedeschi, russi, turchi, egiziani e statunitensi premono affinché i governi italiani e inglesi si mettano alla caccia degli eletti dei Tre Sigilli. McBannon, il presidente degli Stati Uniti ha inviato delle truppe offensive in Canada come provocazione. Come giustificazione sostengono che i Tre Sigilli possano definitivamente metter fine alla minaccia dei ribelli. La regina non si è ancora espressa, ma all’interno del parlamento ci sono delle pressioni per schierarsi con chi minaccia l’incolumità degli eletti. L’Italia ha posto un netto rifiuto e anche la Grecia si è schierata dalla sua parte, ma è comprensibile: non si sono dimenticati la lezione dell’ultima guerra.
Il mio collega Nuvola è riuscito ad arruolarsi come guardia reale sotto il falso nome di August Johanson. Non gli sarà più possibile comunicare con lei direttamente, qualsiasi disposizione per Nuvola la dica a me che gliela riferirò il prima possibile. I Francesi si sono dichiarati neutrali ma secondo alcuni collegamenti che ho in Francia sembrano più inclini a schierarsi con l’Italia, il Regno Unito, il Canada e la Grecia.
I ribelli stanno diventando un problema non indifferente e temo che anche noi prima o poi ne saremo coinvolti. Vogliono i Tre Sigilli anche loro, temo. Dica a chi di dovere nella Scuola di tenere d’occhio chiunque, potrebbero nascondersi lì gli eredi dei Sigilli e/o patteggiatori per i nemici.
Vale.
 
Jason, sebbene avesse finito di leggere, non si mosse e lasciò che implacabile il freddo lo facesse rabbrividire. Tutta la stanchezza si era dissolta in pochi istanti, sostituita da un generale senso d’allerta e di adrenalina. Rilesse in breve il messaggio. Lo rilesse ancora. Tutto quello che era scritto sembrava pesare tonnellate.
“I ribelli arriveranno qua. Pensano di trovare qui gli eredi! È assurdo, non possono davvero pensare che ci arrenderemo facilmente. Inoltre, nessuno sa chi siano gli eletti…” ma sapeva benissimo che avrebbero potuto scoprirlo. C’era un modo: attraverso la meditazione maghi e cavalieri potevano percepire l’energia che gli Spiriti avevano accumulato nei Tre Sigilli e calcolarne la posizione più o meno precisa. “Ma solo noi sappiamo farlo, non si possono percepirli senza le conoscenze dell’Arte Suprema o dell’Incantus Primum.” La sua mente si annebbiò un attimo. Un traditore. Qualcuno, mago o cavaliere, aveva tradito. Per allearsi con chi? Con i Paesi interessati ai Sigilli o con i ribelli? Perché poi, avrebbe dovuto tradire? Cosa gli, o le, avevano offerto per tradire il suo popolo?
Battendo i denti, scosse la testa, rimise il foglio piegato nella tasca e ritornò all’alloggio. Troppi pensieri gli si accavallavano e nessuno di questi gli sembrava ottimista.
Quella notte, nevicò di nuovo. La neve scese lenta e triste, coprendo ogni cosa. Non ci fu quello spettacolo bello e malinconico di quando nevica durante la notte. Quella neve ricordò a Jason la morte, il pericolo imminente. Dormì male e fece sogni allucinanti. Sognò gli occhi freddi di Karin inghiottirlo fino a soffocarlo, poi sognò la battaglia in cui aveva visto morire sua sorella e poi ancora sognò un umbra, vagante per la Scuola, entrare e scrutare chiunque, in cerca degli eredi. Cercavano anche lui, Jason Mirus, volevano farlo prigioniero e assieme al traditore c’era anche una figura vestita con la divisa scolastica, rideva fredda. Jason cercava di capire chi fosse ma non poteva muoversi e più la figura e l’ombra ridevano più lui sentiva dolore e urla.
Altre due persone fecero un sogno simile, un’ombra vagava per Scuola e cercava, scrutava i volti di insegnanti e studenti con le dita gelide di morte. Poi arrivava a loro e quegli artigli li ghermivano i cuori, sussurrando implacabile di averli imprigionati.
 
  
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