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Autore: Amomirus    01/12/2011    1 recensioni
L’aprì. Dentro, appena luccicante, stava un cerchio d’oro battuto, umile rispetto alla stessa corona d’Inghilterra. Eppure, attirò verso di lei in modo irresistibile entrambi i compagni. Jason la prese tra le mani. Una scarica leggermente più intensa lo fece rabbrividire. La sollevò sopra la sua testa e lentamente, con un groppo alla gola, s’incoronò.
Qualche recensione non dispiacerebbe, è il mio primo racconto, grazie!
Genere: Fantasy, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jason lasciò che l’aria fredda di dicembre penetrasse all’interno dell’enorme ufficio. Nonostante la pesante tunica della scuola, l’aria lo penetrò fino a tagliargli le ossa delle braccia e delle gambe. L’umidità della neve gli riempì i polmoni e lo fece quasi tossire. Inspirò a fondo e finalmente anche il suo cervello, intontito dal chiuso e dal caldo del fuoco, reagì alla temperatura ghiacciata dell’esterno. Gli parve che i pensieri gli si riordinassero senza difficoltà, gli parve persino di vederci più chiaramente. Non indossava gli occhiali in quel momento, si strofinò gli occhi scuri e le palpebre assonnate. Poteva sentire i suoi muscoli contrarsi al freddo, tra poco avrebbe iniziato a tremare. Si sistemò la tunica sulle braccia, coprendosi fino alla punta delle dita. Lasciò che lo sguardo volasse sopra il prato e gli alberi che circondavano la Scuola, fino alle prime basse e frastagliate montagne, in fondo, all’orizzonte. Sentì nostalgia della sua terra, così bella e assolata, e il mare e gli scogli bollenti al sole. Lì invece, una distesa di alberi, colline e neve. Socchiuse la finestra e tornò a concentrarsi al suo lavoro.
L’ufficio era enorme e pieno di enormi finestre: c’erano anche vetrate sul soffitto che lasciavano vedere il cielo (la neve era regolarmente rimossa) bianco e ghiacciato. La luce, debole in quelle giornate, filtrava a fatica. La porta d’entrata era dalla parte opposta di dove si trovava Jason. Di normali dimensioni, legno scuro e intarsiato con lo stemma della scuola, un’ampia maniglia di ferro colorato di rame. Da lì partiva l’ufficio con il soffitto a vetrate, poiché ogni centimetro delle pareti era occupato da alte e larghe librerie riempite di libri. Era quasi un corridoio, non molto largo e con alti muri. La luce arrivava solo dai vetri. Si apriva poi la parte in cui si trovava Jason, infatti, le pareti si allargavano e abbassavano, al centro c’era l’enorme scrivania di legno rosso con la sedia, o meglio poltrona, imbottita color rosso sangue. Sulla testiera c’era scritto, inciso senza particolari decorazioni: “Princeps”.  Jason pensava che quella scritta non descrivesse esattamente il suo ruolo di Preside, dopotutto nessuno tra studenti e insegnanti era sottomesso a lui, ma probabilmente in passato, quando ancora uomini, cavalieri e maghi si combattevano per guadagnare ognuno il proprio posto, quel trono era stato rubato da qualche reggia durante un saccheggio in onore del primo Preside, Girolamo. Da allora, semplicemente tutti i Presidi lo utilizzavano, in rispetto di chi aveva voluto onorare la Scuola e il suo fondatore. Jason ne saggiò abituato la comodità, rivolgendo lo sguardo e l’attenzione ai fogli sulla scrivania. Non gli ci volle molto per focalizzare di nuovo il problema: i ribelli avevano attraccato nelle coste all’estremo Nord della Scozia, secondo il rapporto del professor Tristi, il docente che si occupava di Strategia per i novelli cavalieri. Sapeva che secondo Tristi il problema sarebbe potuto diventare della Scuola nel caso i ribelli avessero iniziato a scendere nell’entroterra scozzese. In quel caso, secondo gli accordi con il Regno Unito, i cavalieri e i maghi sarebbero dovuti intervenire a difesa del territorio. Nella situazione estrema, schierando anche gli studenti dell’ultimo anno. Una cosa che Jason avrebbe fatto di tutto per evitare. Quei ragazzi erano sotto la sua responsabilità, quello era il suo vero compito, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerli, come prima di lui il Preside François, e prima di lui gli altri.
Raggruppò i fogli con la calligrafia minuta e disordinata di Tristi e li ripose nel primo cassetto dei tre sul lato destro della scrivania. Evitò l’altro plico, deciso a non aumentare oltre il senso di ansia che già lo tormentava dopo quella notizia. Diede un’occhiata veloce alla calligrafia, riconoscendo quella di Franz, l’insegnante di Lotta Libera. Per un attimo fu incuriosito, di solito Franz non faceva mai rapporti, era sempre molto sicuro di come dovesse occuparsi della sua materia e non aveva compito secondari come Tristi. Tuttavia rinunciò ad andare oltre.
“Ho tutta la giornata per leggere il rapporto di Lodberg, la giornata è neppure a metà!”
Avrebbe fatto un giro per le classi, lasciandosi guidare dai corridoi freddi e poco illuminati. Si coprì con il mantello. La costruzione dove si trovava il suo ufficio comprendeva la Sala del Raccoglimento, gli altri uffici e alloggi dei professori, mentre il resto era dislocato in altre sedi. Percorse il corridoio dove si affacciavano gli altri uffici. Ogni porta di legno aveva intarsiato lo stemma della scuola e incisa la materia insegnata dal docente, che per quasi ogni materia era più di uno. Lingue Antiche, Grammatica, Magia, Retorica, Strategia, Lotta Libera, Combattimento, Pozioni, Filosofia, Strategia e Storia, Arte Suprema e Incantus Primum. Solo per quest’ultime due c’era un solo insegnante, poiché erano insegnate solo alle due classi dell’ultimo anno. Da ogni porta si entrava nell’ufficio, che a sua volta aveva una porta seminascosta che portava al piano superiore, con gli alloggi. Il corridoio era buio e deserto, tutti i professori erano impegnati in qualche lezione. Il freddo lì era più acuto e Jason si strinse di più il mantello, quasi fosse già all’aria aperta. Fece una smorfia e si affrettò a raggiungere la porta che portava all’ingresso.
Quest’ultimo era un’enorme sala di pietra, con il soffitto alto e grigio. La porta dalla quale entrava Jason era sulla sinistra. Sulla destra c’era l’enorme portone della Sala del Raccoglimento. Al centro dell’ingresso si slanciavano due statue imponenti: una maga e un cavaliere, vestiti con la divisa della scuola e il cappuccio sul volto dai lineamenti appena accennati e giovani. La maga teneva su una mano una sfera e con l’altra mostrava la pietra tonda e piatta legata al collo. Su la pietra c’erano incise delle lettere, a formare una frase che era il giuramento che ogni mago formulava una volta terminati li studi e ricevuta la pietra. L’altra figura, un maschio, reggeva la tipica spada decorata di un cavaliere, mostrando bene le mani e i polsi sui quali erano tatuate (nel caso della statua incise) due fenici, i messaggeri degli Spiriti. Entrambi i due giovani scolpiti avevano accennato un sorriso arcaico, quasi a prendersi gioco di chi non fosse come loro. Jason ricordava quando ancora trent’anni prima le vide lui quelle due statue, sentendosi canzonato da quel sorriso indecifrabile. Dieci anni dopo, quando in quello stesso ingresso aveva finalmente ammirato i propri tatuaggi fiammeggianti, si era riscoperto a condividere la stessa espressione delle statue. Una sensazione indescrivibile, ma che allora a lui era parsa naturale. Non si era mai sentito superbo o strapotente, non era questo che la Scuola insegnava, anzi, ma quel giorno si era sentito per la prima colta consapevole di ciò che quella scuola gli aveva tramandato. Una conoscenza ampia, una mente pronta e un corpo forte e sano. In quello stesso istante, illuminato dalle enormi torce alle pareti, Jason si passò le dita della mano destra sulla bocca, circondata da un breve accenno di barba, poiché si era reso conto di aver quello stesso sorriso delle due statue stampato in volto.
Fu felice di essere fuori. Non era così buio e nuvoloso come sembrava guardando dalla finestra, il sole, pallido e freddo, iniziava a mostrarsi tra le nuvole bianchissime e cariche di neve. Il freddo era sì pungente e attanagliava le ossa, ma camminando per il viale lastricato e scrollando le spalle Jason iniziò a sentirsi a suo agio. Gli venne quasi voglia di correre, l’aria che gli penetrava nel petto bruciava ma sembrava portarsi via anche il peso della stanchezza. Perché no, dopotutto? Se qualche studente l’avesse visto, avrebbe potuto solo tranne un buon esempio. Iniziò quindi a muovere le gambe più velocemente, regolò il respiro con calma, lasciando che il suo corpo si abituasse al cambio di andatura. Pian piano, gli stivali di cuoio presero a battere sulla pietra e il suo mantello ad alzarsi spinto dal vento.
Non sapeva bene dove andare, le sedi delle classi erano lontane, la sede più vicina era quella con la biblioteca e la sala studio. Il territorio della scuola si estendeva per molti chilometri, fino alle prime colline boscose a Nord e al fiume impetuoso a Sud. Da Est a Ovest gli studenti erano liberi di vagare per le praterie desolate fino ai confini con la città di Edimburgo da una parte e il castello di un’antica famiglia, della quale però Jason non ricordava il nome, dall’altra. Negli anni in cui aveva insegnato, prima di diventare Preside, aveva imparato ad apprezzare la disponibilità di tanto spazio aperto. Gli studenti aveva bisogno di confrontarsi in spazi insoliti, che non fossero le classi. Inoltre all’aperto era difficile che danneggiassero le strutture con gli incantesimi. Spesso vedeva i ragazzi allenarsi all’esterno durante l’estate e a imparare a costruire accampamenti il più velocemente possibile durante i mesi invernali.
Jason ora correva a ritmo lento ma sostenuto, con falcate poco più ampie del normale. Si stava allontanando dal centro dei terreni scolastici, le strade lastricate erano, infatti, state sostituite da semplici sentieri battuti, ghiacciati dal freddo. Dovette stare attento a non scivolare, ma non fu difficile: conosceva ogni pezzo di quei sentieri a memoria, stampati nella mente da più di vent’anni di frequentazione. Arrivò nei pressi di una collina, che man mano s’innalzava ricoprendosi di alti alberi. Doveva essersi diretto verso Nord, era passato diverso tempo da quando aveva iniziato a correre; avvolto nel suo respiro sempre più affannoso e dal pulsare del sangue alle tempie, si era lasciato guidare dal ritmo del corpo, liberando lo spirito e la mente, riuscendo a percepire gli Spiriti che attorno al mondo formavano una luce argentea e dorata, simile a polvere luminosa. Come tutti i maghi e i cavalieri, percepiva quelle entità ma non sarebbe mai riuscito a capirle, a coglierne la vera natura. Erano perfezione e la perfezione non era cosa di questo mondo. Con questa consapevolezza, salì i primi metri della collina, penetrando il primo tratto d bosco. Da lì, poteva intravedere le distese di prati tutt’intorno alla scuola, la neve alta che nascondeva in parte gli edifici, puntini scuri e fumosi. Il cielo bianco si confondeva con la terra, il vento gelido levigava le colline e la neve, rendendo ogni cosa piatta e il suo contorno smussato. Poteva ancora immaginarsi il fischiare del vento contro le finestre e le vetrate del suo ufficio. Accaldato, non sentiva il freddo e lasciava che il viso e le mani accogliessero il vento pungente. Era meglio muoversi, comunque. Tra poco avrebbe ripreso a respirare normalmente e forse sarebbe stato troppo stanco per correre come prima, rischiando di rimanere troppo esposto alla temperatura quasi glaciale. Scese, attento a non sprofondare nella neve, dalla collina e ritrovò il sentiero. Di nuovo, involontariamente, perse lo sguardo nell’infinita distesa di neve. Scrollò le spalle e allungò le braccia e le gambe; riprese a correre, dirigendosi più a Sud, verso un’altra sede della scuola.
Quest’altro edificio era di enormi dimensioni, alto e largo, con le pareti possenti. C’erano le palestre, una per ogni piano, più gli spogliatoi e le docce nel sotterraneo. Ogni palestra era attrezzata e tenuta costantemente sotto manutenzione. Tuttavia, non c’erano i nuovi strumenti tecnologici che spesso gli umani avevano cercato di vender loro. Non era semplice attività fisica, quella che era insegnata lì, nessuno degli studenti aveva bisogno di quegli assurdi tapiroulant nei volantini pubblicitari. Vide che il fumo del riscaldamento usciva copioso da entrambi i camini della costruzione. Probabilmente erano occupate tutte e tre le palestre, quindi anche quella adoperata unicamente per le lezioni di Arte Suprema, l’arte del combattimento che era insegnata all’ultimo anno per i cavalieri. Decise che sarebbe entrato a dare un’occhiata, dopotutto non era insolito che lo facesse. Gli piaceva osservare quei ragazzi al lavoro, vedere come anno dopo anno prendevano consapevolezza di loro stessi e delle loro capacità. Sapeva benissimo quanto la scuola chiedesse a ognuno di loro ma sapeva anche quanta soddisfazione alla fine si aveva. Aveva rallentato l’andatura a pochi metri dall’edificio, ora camminava, lasciando che il respiro si regolasse con il suo passo. I muscoli delle gambe iniziavano a indurirsi ma non erano un problema, ne era abituato e sarebbe presto passato anche quel fastidio.
Il caldo lo colpì in pieno. Si tolse il mantello, si slacciò la parte sopra della tunica, quella più pesante, e arrotolandosi le maniche fino ai polsi. L’ingresso era costituito dall’entrata della prima palestra, una scala che portava ai piani superiori e a quelli inferiori, la parete occupata dalla porta d’ingresso e una terza parete interamente occupata da un affresco dello stemma della scuola, che non era altro che la ripresa delle due statue di studenti, una maga e un cavaliere. Dalla porta della prima palestra proveniva la voce forte ma fredda del professor Lodberg. Scese e come immaginava anche quella palestra era occupata. Gli spogliatoi, ampissimi, erano del tutto occupati dai vestiti degli studenti. Jason ci diede un’occhiata veloce, anche per assicurarsi che non ci fossero studenti che saltassero le lezioni. Deserti.
Risalì le scale, arrivando alla terza palestra. La porta era chiusa, segno che la palestra era occupata ma da essa non provenivano molti rumori, né voci concitate. L’Arte Suprema, soprattutto nella prima parte dell’insegnamento aveva poco a che fare con l’attività fisica, Jason lo ricordava bene, era piuttosto dedicata alla meditazione e alla presa coscienza di ogni minimo muscolo del proprio corpo. Non era il caso di disturbare quella lezione, ovviamente quella meditazione richiedeva la massima concentrazione e la sua presenza avrebbe sicuramente distratto gli studenti. Immaginò dovesse essere la professoressa Carline a tenere la lezione di Arte Suprema, poiché nelle altre due palestre aveva potuto riconoscere le voci maschili degli altri due professori, Lodberg e Grennor.
Rimase in mezzo alle scale per un attimo, chiedendosi se fosse comunque il caso di entrare in una delle palestre. Sarebbe potuto andare a vedere una lezione in una classe, ma questo avrebbe significato uscire di nuovo al freddo e Jason non era proprio sicuro di essere di nuovo pronto ad affrontare la temperatura sotto zero di quella giornata. Decise sarebbe andato da Lodberg, dopotutto gli aveva anche consegnato un rapporto, avrebbe potuto domandarne direttamente al professore il motivo.
- Forza lì in fondo, finite di arrampicarvi e poi calate le funi ai vostri compagni!
Nel momento in cui il Preside entrava, il professor Lodberg, di origine austriaca stava urlando dietro al gruppo più in fondo alla palestra, alle prese con la parete artificiale di arrampicata. I ragazzi a quanto pare trovavano difficoltà con l’ultimo passaggio finale della via.
Jason avrebbe voluto mettersi in disparte, aspettando almeno qualche minuto prima di parlare, ma Lodberg si accorse di lui subito dopo aver incitato i ragazzi a muoversi. Gli andò in contro, la divisa della scuola leggermente aperta, i capelli bruni sudati e spettinati.
- Preside Mirus! Non mi aspettavo una sua visita. Ora chiamo gli studenti.
Si voltò verso il gruppo più vicino e urlò:
- Il Preside è qui! Chiamate gli altri.
In meno di venti secondi, tutti i ragazzi, circa una trentina, era disposti in una fila composta davanti a Jason Mirus. Le divise, ovviamente quelle adatte a Lotta Libera, erano sporche di sudore segno che i ragazzi, divisi quasi equamente tra maschi e femmine, erano ormai da più di un’ora sotto sforzi fisici. A giudicare dalle espressioni e dall’altezza, dovevano essere una delle due classi del penultimo anno. Jason poteva quasi percepire la loro impazienza per riprendere l’esercizio lasciato in sospeso. Non li tenne, infatti, fermi a lungo, li diede solo una rapida occhiata benevola e poi con un cenno li lasciò andare.
Pochi secondi dopo, la palestra era tornata piena di voci e rumori. Jason fece un cenno a Lodberg, perché capisse che era lì per parlargli. Il professore fece un cenno a uno degli studenti affinché controllasse i compagni.
- Franz, ti vedo impegnato!
L’uomo sorrise e rispose:
- Ci sono molti ragazzi che hanno buone capacità per essere introdotti all’Arte Suprema, ma alcuni di loro sono troppo impazienti; spero che per la fine dell’anno riescano a regolarsi.
- Pensi quindi che la maggior parte sia destinata alle fenici?
Lodberg si grattò la testa, vagando con lo sguardo gli studenti. L’anno scorso era stato proprio Franz l’insegnate di Arte Suprema e aveva ancora l’occhio allenato, tuttavia non rispose subito. Li osservò per qualche istante in silenzio, poi disse:
- Devo ammettere che quest’anno è difficile fare previsioni. L’anno scorso è stato più facile. Credo si debba aspettare la fine dell’anno… - non finì la frase, ma cambiò discorso: - Immagino però tu non sia venuto qua solo per questo. C’è qualcosa che devi dirmi?
- Sì, in effetti. Ho visto che mi hai scritto un rapporto. Non l’ho ancora letto e ho pensato di venire personalmente a chiederti stamattina. Non avevo voglia di stare in ufficio, ho ricevuto anche brutte notizie da Filippo circa i ribelli…
- Sì, il professor Tristi ne ha parlato anche con me, ieri sera a cena. Temo che presto ti toccherà prendere qualche decisione spiacevole. Tuttavia, dici di essere venuto qua per il mio rapporto. Ebbene, non so se sia così importante, ma ho notato una studentessa, proprio di questa classe, e volevo sapere cosa ne pensassi.
- Una studentessa?
- Sì, nelle ultime tre lezioni non solo ha eccelso nella mia materia, ma informandomi con gli altri professori ho scoperto che nell’ultimo mese le sue capacità si sono improvvisamente sviluppate.
- Improvvisamente?
- Molto improvvisamente. Non che prima non fosse brava, ma era nella norma, brava come tutti gli altri. Nelle ultime lezioni però… ha qualcosa di diverso, non solo nella tenacia nell’applicarsi alle materie ma credo abbia maturato una parte del suo carattere. Forse però… - l’insegnate parve esitare un attimo – temo però possa diventare un aspetto del suo carattere dannoso.
- Credo di aver capito. Ha sviluppato un principio di ribellione, non è così?
- Non proprio, però diciamo di sì. È come se s’impegnasse perché non ce la fa più. Non è come gli altri studenti che sono impazienti di arrivare a capire la loro vera natura, maghi o cavalieri. Lei è solo determinata a uscire da qui per compiere qualcosa là fuori.
Jason rimase in silenzio. A sua volta, come poco prima Franz, osservò gli studenti che completavano l’ultimo ciclo di esercizi. I gruppi erano perfettamente coordinati, segno che gli studenti tra loro si conoscevano e avevano instaurato un saldo equilibrio di compiti e doveri.
- Non riesci a capire chi sia, vero? – Lodberg interrupe i suoi pensieri.
- Sì e questo mi preoccupa. Significa che sa bene come nascondersi.
- Esatto. Non penso l’avrei notata neppure io se non avessi fatto nelle ultime tre lezioni un torneo individuale di lotta grecoromana. La ragazza si è dimostrata una vera macchina da guerra, davvero impressionante.
- Indicamela.
- E’ quella nel gruppo che ora sta scalando la parete. Quella che sta salendo per prima.
- Quella con i capelli castani e lunghi?
- Sì esatto! Si chiama Renée Grison. Credo sia dalle parti di Nizza, probabilmente la sua famiglia ha origini italiane.
In quello stesso istante la studentessa aveva raggiunto la sommità della parete a una velocità impressionante. Con abilità assicurò la corda e si fece calare. La distanza impedì a Jason di coglierne i tratti, poi la ragazza sparì in mezzo al gruppo.
- Interessante. Credo anche di aver trovato il modo per tenerla d’occhio senza che perda reputazione tra i compagni. La nominerò mia assistente. Per quest’anno non l’ho ancora scelto e Carlo, il ragazzo dell’anno scorso quest’anno è all’ultimo anno e non posso rubargli tempo allo studio.
- Direi che hanno fatto bene a sceglierti come preside al posto della professoressa Carline, tre anni fa.
La risata dei due uomini fece girare a guardarli alcuni studenti più vicini. Jason sapeva bene che tra Carline e Lodberg non c’erano mai stati buoni rapporti, malgrado insegnassero la stessa materia e al tempo della scuola erano pure stati nella stessa classe, poiché coetanei. Erano usciti entrambi cavalieri, ma non potevano sopportarsi troppo a lungo, questo Jason l’aveva notato ancora quand’era insegnante. Ufficialmente lui non aveva mai mostrato alcuna preferenza tra i due, ma personalmente preferiva i modi di fare di Lodberg, mentre Carline gli appariva spesso ambigua e sempre con qualcosa da nascondere.
- Immagino che anche lei avrebbe fatto la mia stessa scelta, è l’unica soluzione che non comporti situazioni imbarazzanti. Dille di venire nel mio ufficio stasera dopo la fine di tutte le lezioni. Le farò un esonero per i compiti assegnateli per domani, so bene che la prima serata come mia assistente le sarà fin troppo faticosa!
Lodberg l’ascoltava ma allo stesso tempo osservava i ragazzi, ritto e con le braccia incrociate. Incombeva persino su Jason, che di statura non era alto, ma piuttosto robusto. Franz però non solo era alto ma aveva anche spalle ampie ed era muscoloso almeno quanto Jason. Un vero e proprio colosso.
“Non può essere altro che un cavaliere.”
I due si congedarono, poiché la lezione stava ormai finendo e Jason doveva tornare nel suo ufficio. Ora però aveva un lavoro in meno da fare, avendo parlato con Franz. Si sentì più leggero pensando a questo, mentre si riallacciava il mantello e si preparava ad affrontare il freddo invernale.
Nonostante ormai il sole fosse altro nel cielo, le nuvole basse impedivano che il calore giungesse completamente a scaldare la terra e il vento gelido sembrava essere aumentato rispetto a qualche ora prima. Con le mani nell’ampia e calda tasca della tunica si diresse velocemente verso un edificio lungo e scuro, con diversi piccoli camini, uno per ogni alloggio. Ricordò di aver lasciato acceso il fuoco, e ormai il suo ufficio sarebbe stato un forno. Quell’idea non gli fece poi così schifo, poiché iniziava a battere i denti dal freddo.
La corsa di prima gli aveva fatto bene, ma il sudore si era ghiacciato tra i tessuti e le gambe erano dure come legno. Persino respirare quell’aria, che di solito lo aiutava a schiarirsi le idee, in quel momento gli creava solo un fastidioso bruciore alla gola. Tossì due o tre volte prima di arrivare all’ingresso, che tuttavia non era poi così caldo come si immaginava. Lì, in effetti, il calore arrivava indirettamente attraverso i muri, non da un caminetto come nelle altre stanze. Si diresse in fretta nel suo ufficio. Come immaginava, era caldissimo lì dentro. Il fuoco ardeva ancora vivace, poiché prima di uscire aveva appena messo altra legna sul fuoco. Si tolse il mantello e lo mise al solito posto, appeso vicino al camino per asciugarlo. Non perse tempo alla scrivania, consapevole che infreddolito com’era non avrebbe terminato un bel niente. Aprì una piccola porta sulla parete sinistra laterale. Salì la scala e aprì la porta in cima a esse. Lì arrivava il caldo intenso del camino nell’ufficio, e in più Jason accese con un gesto rapido della mano il piccolo caminetto della stanza. Sentì la familiare sensazione degli atomi che piegavano alla sua volontà, reagendo tra loro per formare una scintilla sui pezzi di legno già posti nel camino, poi una volta che la fiamma fu accesa, ne regolò l’intensità, affinché non bruciasse il pavimento di legno. Il letto era ampio, con una pesante coperta rossa sopra. Un armadio a due ante occupava parte della parete in cui c’era anche la porta. Affianco al letto un comodino. Un’altra porta portava al bagno, e affianco a questa una libreria conteneva gli effetti personali di Jason, e cioè per la maggior parte libri.
Entrò nel bagno, si spogliò e lasciò che l’acqua si riscaldasse in modo naturale, preparandosi i vestiti per dopo. Tutti, all’interno della scuola, indossavano lo stesso tipo di divisa. Una maglia rossa scuro con lo stemma della scuola d’orato, dei pantaloni neri e comodi. Ovviamente c’era la tenuta invernale, una felpa rossa con lo stemma d’oro, una maglia nera con lo stemma bianco ricamato all’altezza del cuore, dei pantaloni neri felpati, un paio di stretti e robusti stivali che arrivavano fino a metà polpaccio. Anche le ragazze portavano i pantaloni, più per comodità che per una regola. Per l’estate era la stessa cosa, solo con dei pantaloncini corti fino al ginocchio, simili a quelli che utilizzavano in palestra. Tutti vestivano uguali, gli insegnanti era facile riconoscerli per il nome ricamato sulla maglia. Per le occasioni speciali tutti erano tenuti a indossare un’altra divisa, usata solo per quelle occasioni, e cioè un’unica tunica nera con un mantello rosso. Jason l’aveva indossata a ogni fine e inizio anno, e cioè quando ai ragazzi dell’ultimo anno erano consegnate o le collane di pietra o tatuate le fenici ai polsi o quando nella Sala del Raccoglimento tutti gli studenti erano accolti.
Si rilassò nell’acqua bollente, massaggiandosi i muscoli delle gambe ancora doloranti. Si bagnò i capelli scuri e corti. Decise di tagliarsi la barba, concentrò dell’energia sulla mano destra e se la passò delicatamente sul viso, poi si sciacquò. Non seppe di preciso quanto stette, quando sentì l’acqua raffreddarsi liberò la vasca e si asciugò. Indossò gli abiti che aveva preparato e uscì dalla stanza, scendendo nell’ufficio.
Avrebbe potuto riprendere subito il lavoro, ma ormai era l’ora del pranzo e si era ripromesso che l’avrebbe trascorso alla mensa. Prese di nuovo il mantello, ora asciutto, e uscì dall’edificio a passi veloci.
Fuori, ingobbiti dalla borsa con i libri e avvolti nei mantelli, gruppi di studenti si dirigevano verso la mensa. Anche nei loro alloggi c’era la possibilità di cucinare, ma tutti preferivano per il pranzo il refettorio poiché il pomeriggio avrebbero dovuto frequentare le lezioni. Solo la sera quasi nessuno restava nei luoghi comuni per le ore dei pasti, rintanandosi al caldo delle proprie abitazioni. Gli alloggi degli studenti erano piccoli appartamenti a schiera su due piani. Una cucina e una camera con bagno. Avevano massima libertà (alcuni studenti era anche fumatori) per quanto riguardasse il loro spazio personale. Ognuno di loro, persino i primini, non perdeva troppo tempo a capire come funzionassero le regole della scuola: massima libertà con eccellenti risultati. Alla Scuola, e quindi a Jason, bastava che i ragazzi mantenessero la media dei voti alta, non trasgredissero alle più basilari regole di convivenza e non cercassero di usare le conoscenze a loro trasmesse per scopi malvagi. All’ingresso della scuola, nell’imponente cancello di ferro scuro, era, infatti, incisa la seguente frase: “Insegnamo a essere eroi, non conquistatori.”
Il Preside si era spesso chiesto quanti tra i suoi studenti avessero davvero colto quella frase. Erano costantemente tenuti d’occhio sotto quest’aspetto e al minimo sospetto c’era l’espulsione dalla scuola. Jason osservò un gruppo di ragazzi del quarto anno chiacchierare tranquilli mentre aprivano la porta dell’edificio con la mensa. Solo l’ultimo di loro si accorse di lui e bisbigliando qualcosa anche agli altri, gli tennero la porta aperta lasciandolo passare avanti.
- Vale, princeps!
Jason fece un senno di saluto e batté la mano sulla spalla dello studente che gli teneva aperta la porta. La sede del refettorio era un’antica costruzione precedente all’intera scuola. In mattoni scuri, riscaldata durante quei lunghi giorni invernali da numerosi camini, era costituita da un’unica sala spaziosa con il tetto di legno. Anticamente doveva esser stata il granaio di un villaggio o una stalla per i cavalli dell’esercito. Diversi lunghi tavoloni di legno erano accostati alle pareti e allineati al centro, erano muniti di panche ampie e imbottite. Sul muro opposto all’entrata c’era il tavolo degli insegnanti, diverso da quelli degli studenti perché leggermente rialzato. I posti non erano stabiliti ma era usanza che il Preside si sedesse al centro del tavolo, in modo da poter dominare con lo sguardo l’intera sala. La sala era già piena, tutti avevano quel giorno deciso di pranzare nel refettorio e Jason con passi lunghi raggiunse il suo posto. A fianco a lui sedette il professor Tristi, infreddolito e con ancora addosso il mantello che Jason aveva invece adagiato sotto la panca.
Venne il personale a servire e tutti presero a mangiare. Per qualche istante ci fu quasi un silenzio assoluto, poi pian piano il brusio riprese a crescere.
- Immagino abbia letto il mio rapporto, Preside.
- Certo! Devo ammettere che quello che ha scritto mi ha leggermente preoccupato. Se mai i ribelli dovessero scendere nell’entroterra … non voglio pensarci! Noi maghi e cavalieri centriamo solo in parte con loro, forse potremo anche fare a meno di partecipare alla guerra.
- Temo, Preside, che non tutti i maghi e i cavalieri siano d’accordo con lei. Molti dei genitori degli studenti stanno già attivamente partecipando aiutando la nazione in cui vivono a contrastare i ribelli. Riterrebbero inopportuno che gli insegnati dei loro figli dicessero il contrario... personalmente però, condivido ciò che dice lei ma per una ragione in più: rischieremo di mettere in pericolo l’anonimato dei Tre Sigilli se partecipassimo a questa guerra.
Jason sentì un brivido lungo la schiena. I Tre Sigilli. Le Due Guerre di Dominio e le rispettive stragi d’innocenti.
- Perché dice questo? Gli uomini sanno che non possono avere i Tre Sigilli. Ci hanno già provato due volte in passato e dopo la Pace degli Dei questa storia sarebbe dovuta finire.
Filippo Tristi si passò una mano tra i folti capelli castani, che scompigliati gli incorniciavano il viso scarno e scuro. Rispose:
- Si ricorda di quando mi chiese di captare informazioni dall’esterno? – qui il suo sguardo si fece più eloquente e Jason non ci mise molto a capire cose intendesse: all’inizio di quell’anno, aveva chiesto a Tristi di procurarsi degli informatori all’esterno della scuola, oltre che a occuparsi delle solite ricognizioni, per potersi orientare sulle reali intenzioni dei capi di governo umani.
- Mi ricordo – disse, infatti, - vada avanti.
- Bene, non ci misi molto a farlo, trovai subito qualcuno disposto a raccogliere informazioni. L’altro giorno, subito dopo averle consegnato il rapporto, per questo non feci in tempo a scriverglielo direttamente lì, uno dei miei collaboratori mi fece arrivare questo messaggio.
Tirò fuori dalla tasca della felpa un foglio arrotolato e lo porse a Jason che con rapidità lo intascò a sua volta.
- In quel foglio troverà scritto il motivo della mia preoccupazione. Lo legga e domani mi faccia sapere, così da dare nuove disposizioni ai miei informatori.
Jason, che ancora teneva il foglio nella mano, lo strinse leggermente prima di tirare fuori la mano di nuovo. Il chiacchiericcio attorno a loro era in toni squillanti. Jason poteva quasi vedere come tra gli studenti non aleggiasse nessun tipo di preoccupazione e questo aumentò la sua per la loro incolumità. Inspirò forte e disse:
- Ottimo lavoro, Tristi. C’è altro?
Il professore parve esitare e i suoi occhi incredibilmente chiari per la sua carnagione scintillarono.
- Mi chiedo se… - si schiarì la gola – mi chiedo se lei sappia chi siano i tre eletti.
Jason sapeva perché fosse così esitante, dopotutto un’informazione simile era delicata. Tuttavia rispose sinceramente:
- No, non lo so. Non so chi siano quelli attuali, né i futuri eredi. Capisco anche perché vogliano tenersi nascosti. L’ultima volta si è quasi corso il rischio che venissero tutti e tre uccisi senza la possibilità di avere un erede. Immagino abbiano paura e li comprendo benissimo.
- Già, - Tristi sembrava più rilassato ora – dopotutto il loro compito non è di rivelarsi e utilizzare i Sigilli, ma di preservarli. E inoltre, dopo che avrà letto il foglio, capirà quanto sia meglio per loro restare nell’anonimato.
Jason sorrise:
- Così mi mette curiosità! Mi sono ripromesso di non leggerlo fino a stasera, non so se ci riuscirò visto come ne parla.
Anche il professore smise di essere preoccupato e si rilassò sulla panca:
- Sia mai! Faccia prima il lavoro per cui è qui, e cioè mantenere alto il prestigio di questa scuola poi pensi al resto.
Entrambi continuarono a conversare tra loro e gli altri insegnanti. La sala stava iniziando a svuotarsi e mezz’ora dopo sarebbero riprese le lezioni. Tristi aveva lezione quindi si affrettò a finire il suo pranzo. Si alzò facendo in cenno a Jason e agli altri insegnanti.
Una volta ch’ebbe finito anche lui di mangiare, non lasciò subito la mensa, ma si trattenne con la professoressa Loral di Lingue Antiche. Lei, come Tristi, era una maga e la pietra le brillava sopra la divisa rosso scuro. Scoprì che tra gli insegnanti si era già diffusa la notizia dei ribelli e che tutti tra loro erano impazienti di sentire ciò che Jason avrebbe deciso. Jennifer Loral cercò di insistere nel farsi dare qualche anticipazione ma lui riuscì, con la scusa di doversi rimettere al lavoro, a sviare e terminare la conversazione.
“E’ bene anche che mi metta seriamente a lavoro, ormai tutto gli studenti sono già andati via.”
All’uscita dalla mensa trovò Carlo Bonasti, lo studente dell’ultimo hanno che era stato il suo assistente, che lo trattenne brevemente:
- Princeps, mi scusi solo un secondo. Ha già scelto il nuovo assistente?
- Bonasti! Stasera stessa comunicherò la mia decisione alla diretta interessata. È una ragazza del nono anno. Forse la conosci.
- Milara Guarnì?
- No, si chiama Renée.
Lo studente annuì e rispose:
- Sì, Renée. Un’amica di Milara, la conosco di vista ma non c’ho mai parlato. Beh, le dica pure che se le serve qualcosa, può venire a chiedermi!
- Certamente, ora però vai o arriverai in ritardo alla lezione!
Carlo sorrise e scosse la testa biondo scuro. Salutò Jason, si scostò di qualche passo, pronunciò a mezza voce un incantesimo e sparì senza lasciare traccia.
Jason si era quasi dimenticato che agli studenti destinati a essere maghi, l’ultimo anno, era insegnato anche come spostarsi alla velocità della luce. Tuttavia, non si aspettava che Carlo fosse già in grado si padroneggiare un incantesimo simile. Altri ragazzi però attorno a lui comparvero e scomparvero come nulla fosse e lo stesso fece Loral non appena uscita dalla mensa.
A passo sostenuto, il tempo non era migliorato da prima, rientrò nel suo ufficio, provando una leggera invidia per i maghi che potevano spostarsi comodamente senza per forza esporsi al freddo.
 
  
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