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Autore: Hi Ban    04/12/2011    2 recensioni
Avrebbe voluto ridere, Hidan, proprio in quel momento e nella maniera più fragorosa, senza sosta e fino a rimanere senza fiato e voce.
Eppure c’era qualcosa che glielo impediva, come una consapevolezza che lui non voleva accettare, perché la menzogna era più dolce e più attrattiva ai suoi occhi.
Quel moccioso di Konoha aveva professato per la lui la morte, ma era evidente che si era sbagliato. Non ci era riuscito, ovviamente. Come poteva uccidere un immortale?
Voleva davvero ridere, Hidan, ma si rese conto che non sapeva dove si trovasse la sua bocca.
E nemmeno dove fossero le sue mani, le sue gambe, la sua faccia, il suo cuore, i suoi occhi per vedere in quell’oscurità che ora era divenuta opprimente, gravava su quel corpo che non riusciva a percepire realmente.

Fanculo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Avrebbe voluto ridere, Hidan, proprio in quel momento e nella maniera più fragorosa, senza sosta e fino a rimanere senza fiato e voce.
Eppure c’era qualcosa che glielo impediva, come una consapevolezza che lui non voleva accettare, perché la menzogna era più dolce e più attrattiva ai suoi occhi.
Quel moccioso di Konoha aveva professato per la lui la morte, ma era evidente che si era sbagliato. Non ci era riuscito, ovviamente. Come poteva uccidere un immortale?
Voleva davvero ridere, Hidan, ma si rese conto che non sapeva dove si trovasse la sua bocca. E nemmeno dove fossero le sue mani, le sue gambe, la sua faccia, il suo cuore, i suoi occhi per vedere in quell’oscurità che ora era divenuta opprimente, gravava su quel corpo che non riusciva a percepire realmente.
Fanculo.
Fece uno sforzo, Hidan, per provare ad aprire gli occhi, tirare su un braccio e cercare a tentoni qualcosa attorno a lui. Ma come si faceva?
Mancava qualcosa, un piccolo collegamento tra ciò che poteva e ciò che voleva fare. Ora come ora gli era rimasta solo la capacità di pensare, l’unica cosa viva, in quel momento, era la sua mente.
Avrebbe voluto urlare, ora, Hidan ma non poteva; qualcosa gli diceva che andava ben oltre il vano tentativo di quell’idiota di ucciderlo facendolo a pezzi.
«Tu non sei mai dipeso da inutili umani, Hidan.»
Quella voce gli era famigliare, ma in realtà era come se non l’avesse mai sentita realmente. Era come se l’avesse ascoltata ogni secondo della sua vita senza rendersene conto, il silenzio della sua mente sempre invaso da quel sussurro sibilante a cui aveva dato ascolto senza accorgersene.
Era davvero lì con lui o era solo nella sua mente? Non ne aveva idea, non osava ribattere, non sapeva nemmeno come fare, in verità.
Odiava non capire, era qualcosa per cui solitamente avrebbe dato di matto, fino a uccidere chiunque si fosse trovato dinnanzi a lui, ma qualcosa era cambiato. C’era qualcosa che non andava, giusto?
O forse semplicemente tutto stava andando secondo il destino che lui si era scelto.
E comprese, Hidan.
Jashin.
Voleva parlare, adesso, chiedere, urlare, riverire, ridere, costringere se stesso a spezzare quelle catene che lo tenevano immobilizzato nella sua stessa mente.
Probabilmente vedere per la prima ed unica volta il volto di colui a cui si era votato – anima e corpo.
«Parla, Hidan.»
Quella voce non poteva essere descritta, semplicemente perché non aveva aggettivi che potessero denotarne qualche peculiarità. Era solo una voce, qualcosa che c’è ma che scompare un attimo dopo, di cui non ti rimane neanche un ricordo, solo la consapevolezza che c’è stata. E si sentiva come rinato, ora, perché in quello stesso attimo aveva sentito un pesante strattone arpionarlo al suolo che ora percepiva freddo e spigoloso sotto la sua schiena nuda.
Espirò come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato e trasalì vistosamente, senza controllo.
Non aprì ancora gli occhi.
C’erano tante cose che avrebbe voluto dire, principalmente una sequela di imprecazioni degne del suo nome. Eppure non lo fece, limitandosi a rimanere immobile, con la sola consapevolezza del suo corpo e l’incapacità di dire null’altro se non emettere un lamento soffocato.
«Tutto ciò che sei l’ho deciso io, tu hai solo la capacità di obbedirmi.»
Erano parole che Hidan già conosceva, come se fossero state impresse da tempo sul fondo della sua coscienza, ma che non aveva mai osato portare in superficie.
Era di Jashin, quel collegamento che fino a poco prima non era riuscito a trovare in se stesso. La sua volontà non c’entrava nulla, il suo corpo era solo un simulacro vuoto, ciò che poteva fare stava semplicemente in ciò che il suo Dio gli permetteva e gli ordinava di fare.
Ma tutto quello non lo aveva forse scelto lui?
Stava iniziando a comprendere, Hidan, più di quanto avrebbe realmente voluto.
Per anni si era nascosto dietro la cieca obbedienza verso un Dio che gli aveva dato l’immortalità e solo perché non voleva ammettere a se stesso che in realtà era già morto.
Respirava, camminava, parlava, urlava, viveva, uccideva, ma tutto quello lo faceva solo in vece del suo Dio.
Lui non era nessuno, non glielo aveva forse appena detto?
Aprì gli occhi, finalmente, ma non perché fosse lui a volerlo. La sua mente era l’unica cosa che gli era rimasta, le sue azioni però non erano soggette al suo volere, non più.
Nessun volto.
Vide l’oscurità più nera, ecco cosa scorsero i suoi occhi chiari. Il tutto e il nulla, la disperazione più totale in un mare di abbandono. In qualunque luogo si trovasse, in verità, davanti ai suoi occhi non vi era altro che un buio pesto e opprimente, ma quello era ciò che vedevano gli occhi mortali.
Quelli di un immortale vedevano ben altro, quelli di Hidan vedevano ciò che Jashin aveva progettato per lui.
«Io non mento mai, Hidan.»
E senza preavviso, alle sue orecchie giunsero urla e strazianti grida che per lungo tempo aveva ascoltato quasi fossero linfa vitale per il suo corpo e la sua anima.
Ora era solo fitte di dolore che laceravano il suo corpo come fossero reali lame.
Senza preavviso, ancora disteso a terra, iniziò a ridere convulsamente, Hidan.
«Mi hai procurato più volte questa dolce sinfonia, Hidan.»
Si sentiva spezzato in tanti piccoli frammenti, ma non era il suo corpo a sentire quello strazio, era la sua anima.
Era come se il suo corpo continuasse ad urtare violentemente contro rocce acuminate che lo ferivano. Era in balia di un inarrestabile dolore che semplicemente era trascendentale alla sua consapevolezza.
Non capiva.
Eppure Hidan continuava a ridere con quella sua risata folle, il ghigno distorto sulle labbra, gli occhi spalancati come a voler scorgere in quel mare nero qualcosa che, ovviamente, non avrebbe mai trovato.
«Mi hai fatto godere spesso del suono della distruzione umana.»
La voce di Jashin era solo come una ventata di aria rovente che alimentava il dolore che già provava.
Bruciava come se si fosse buttato tra le fiamme ardenti, ma attorno a lui non scorgeva il minimo bagliore di una fiamma. C’era solo troppo calore e lo straziante suono di qualcosa che si contorceva brutalmente.
Ma continuava ad essere la sua anima a dolere, il suo corpo restava integro, solo scosso dalle violente risate.
«Per me hai bruciato parecchie vite.»
Con brevi frasi riassumeva quella che era stata la vita di Hidan, quella di un’anima incatenata che non può fare altro che obbedire.
Rise più forte, Hidan, fino a tramutare quelle risate in urla prive di ironia, prive di tutto; risate mortali, inutili e sciocche.
Si dimenava e teneva gli occhi spalancati, mentre sentiva la sua anima distruggersi.
E lui voleva solo che quello strazio finisse; la voce gli lacerava la gola, la mascella spalancata ormai era divenuta insensibile.
Doveva finire, prima o poi, no?
Doveva, doveva, doveva…
«Hai infierito consapevolmente sui tuoi sacrifici per me.»
Mentre il calore gli lacerava una pelle che però non ne risentiva, Hidan sentiva il contrasto di lacrime gelate che solcavano le sue guance senza che lui potesse impedirlo.
Continuava a ridere, a piangere, a urlare, senza un ordine preciso, senza l’intenzione di smetterla.
«Io non mento mai, Hidan.»
Lo ripeté come se dovesse cogliervi un altro significato dietro, oltre la semplice constatazione della sua impeccabile condotta morale.
Dentro di sé si chiese soltanto quando sarebbe terminato, perché non era tanto stupido da chiedersi ancora cosa stesse succedendo, dove, quando oppure perché.
Era tutto reale, ma era tutto in relazione solo alla sua realtà, quella di un immortale che è al servizio di un Dio di cui, alla fine, non è riuscito nemmeno a vedere il volto.
«Alla fine» disse non troppo distintamente, mentre si dimenava, il fuoco lo ardeva, la sua anima si sgretolava sotto colpi perpetui e le urla altrui arrivavano quasi a coprire le sue.
«Non è il termine giusto.»
La sua voce, nonostante tutto, continuava a sentirla distinta nella sua mente, come se andasse ben oltre tutto quello che Hidan stava subendo.
No, la sua morte non sarebbe stata causata da un inutile ninja di Konoha, per una mortale vendetta, gli sarebbe stata inflitta per mano di Jashin, era così che sarebbero andate le cose.
Si ritrovò ad accettare quel destino, Hidan, perché ci sarebbe stata una fine, prima o poi…
«Ho detto che non mento mai, Hidan.»
Glielo fece presente ancora e il ragazzo si sentì sommergere da qualcosa che andava oltre la sua comprensione. Era forse… paura?
Hidan non poteva avere paura, provare timore, lui…
Si trovò a urlare più forte, Hidan, trascinato da risate convulse e lacrime che gli scorrevano sulle labbra, fino a giungere sulla lingua, con il loro sapore salato, ma che a lui sapeva di morte e sangue.
«Per me hai versato molto sangue, esattamente come ti ho ordinato.»
Prima o poi dovrò morire, si disse con una convinzione che venne spazzata via da quella folata di aria rovente che era la voce del suo Dio.
«Io non mento mai, Hidan, non mi riprendo mai i miei doni.»
E mentre annegava in un mare di sangue, di fiamme, di un dolore incomprensibile, di urla e grida strazianti e di eterna sofferenza, si sforzò almeno di chiudere gli occhi. Invano.
No, Jashin non mentiva mai.
Le urla che aveva fatto emettere avrebbero continuato a distruggere la sua mente.
Le fiamme di distruzione che aveva nell’animo quando uccideva ora lo avrebbe accompagnato.
Il sangue che aveva fatto sgorgare con sadica euforia lo avrebbe sommerso, annegandolo.
Il dolore della falce che dilaniava la carne di innocenti sarebbe aumentato ad ogni battito del suo cuore.
Gli occhi con cui aveva osservato la morte altrui sarebbero rimasti aperti per vedere il proprio tormento.

Per sempre. Perpetuamente. In eterno.
E questo perché Jashin non mentiva mai.
Lui dilaniava, distruggeva, massacrava e Hidan non era altro che un adepto votato a lui che ora non serviva più. Gli sarebbe toccata la sorte di chiunque si avvicinava a lui, saggiava il suo potere e poi falliva.
Perché lui non mentiva mai.
«Io non mento mai.»
Lo avrebbe ripetuto in eterno.
Perché eterna è la vita di un immortale e non dipende dal volere mortale.
Hidan dipende da Jashin, la sua anima gli è vincolata a vita. La morte umana non poteva raggiungerlo, le ferite potevano martoriarlo senza sosta, ma non sarebbe mai realmente morto.
A venire distrutto, infatti, non era il corpo di Hidan, ma la sua anima e sarebbe stato così per sempre.
Perché non si può uccidere un immortale.



L’unica spiegazione che posso darvi per questa striminzita shot è il mio totale rifiuto alla fine che Kishimoto ha fatto fare ad Hidan. Cioè, lo ha fatto lui immortale e poi lo ha ucciso!O____O
Scusate, è che la cosa mi suona un pochino sconvolgente, sapete com’è…
È vagamente nonsense, ma forse nemmeno troppo, come mi è stato fatto notare; alla fine Jashin è il Dio della distruzione, Hidan è solo un'altra persona da distruggere, tutto lì. Immortale per gli umani, infatti il suo corpo è andato distrutto quando Shikamaru lo ha sotterrato tra lo sterco di cervo, ma la sua anima è immortale ed è legata a Jashin.
Spiegazione particolarmente contorta, ma dettagli!u__ù
Per Hidan, che ha avuto una fine anche troppo ingiusta e discretamente insensata.
  
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