Non so perché certe cose inizino.
D’altra parte non so nemmeno come fanno a finire, accade un giorno che ti
svegli e la parola fine è scritta sul tuo cuscino del buongiorno. Credo che una
fine, ogni fine, sia anticipata da qualcosa che ci
avverte come un rumore diverso, una parola, un gesto. Nel mio caso fu una
canzone, l’avevo già sentita altre volte ma non aveva
suscitato in me grande interesse. Succede che la suddetta canzone ti passa
accanto, ti entra nel petto e se ne esce così..
lasciandoti il freddo dentro e quella vaga sensazione di panico iniziale che tu
limiti ad associare ad un’emozione del momento. Come quando
hai i brividi freddi che ti lacerano la schiena e le braccia. Succede
che sei in questo negozio pieno di televisioni con gli schermi enormi, succede
che lui sta scegliendo quella giusta, succede mentre
sei qualche metro più in là che quella melodia ti fischia nelle orecchie una
domanda a cui hai paura a rispondere. Succede che lì, in mezzo al corridoio,
proprio nell’esatto momento in cui si volta e ti sorride in mezzo a cento volti
tutti uguali, in quell’ istante si ferma tutto, cessa anche il respiro. Ti passano
mille fotogrammi di fronte. Non so come
in un giorno qualsiasi, in una pasticceria qualsiasi e
ad un’ora qualsiasi, mentre ti rigiri la tua pasta fra le mani, alzando lo
sguardo, ti rendi conto sarà l’ultima volta. Non so perché tenti di aggrapparti
a quel momento con tutte le tue forze mentre conti tutte le linee sulla sua fronte assorta,
nell’atto di leggere un articolo di giornale. E non ci
saranno più notti, non ci saranno più pasti, non ci saranno più promesse, non
ci saranno più farfalle o aquiloni. Non ci sarà più vento. Non ci saranno più
mura a circondare questi due corpi e a tenerli uniti, a rifletterne le ombre e
i passi scalzi sul pavimento del corridoio la sera tardi.
Quei sogni che avevi ripiegato con cura dentro alla valigia
che avevi poi disfatto in un momento presa dall’euforia del ritorno, li avevi
aperti davanti ad un paio di occhi dolci, eri entusiasta della tua calligrafia,
della scelta delle parole. In quegli slanci spontanei, in quella
voglia di entrare in un’altra persona e rimanerci impigliata per sempre, in
quei passi incerti e lunghi. L’ingenuità del pensiero stesso ti preme contro la
schiena e tenta di portarti via con lui. Ce n’erano troppi di
quegli abbracci la mattina presto, ti avevano scoperta ancora sveglia e
intorpidita con i piedi gelati. Un sorriso nel buio. Quel
profumo familiare che ti entrava nelle narici e non usciva più. Un
giorno di primavera che sapeva di autunno. Ti ritrovi
ancora tu a muoverti nell’aria umida, fra coperte pesanti e capelli sparsi
nella tua faccia per disegnare speranze brillanti. Ti
ritrovi in una giornata di autunno, di un anno avanti,
immersa nelle ombre della tua camera, a
far compagnia alla sera con i capelli ancora spettinati.