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Autore: Noth    05/12/2011    9 recensioni
« Ce la faccio da solo, davvero. » le dissi, muovendomi con le braccia avanti verso dove avevo sentito aprirsi la porta. Trovai a tentoni una mano che mi si poggiò sul petto. Di colpo le mani divennero due e mi tastarono il viso con velocità, soffermandosi tra i miei indomabili capelli ricci e le ciglia lunghe. Mi passò due dita sulle labbra e lungo il collo, per poggiarsi infine sulle mie spalle.
« Piacere: Kurt. Anche se lo sai già amo fare le presentazioni per bene. » dalla persona dinanzi a me provenne una voce acuta, strana, con un timbro talmente particolare da essere immediatamente riconoscibile e allo stesso tempo difficile da identificare.
« Credevo che fossi un ragazzo. » esclamai, senza pensare a quanto potesse suonare offensivo ciò che avevo appena detto.
Sentii una sorta di risatina scuotere il corpo di fronte a me.
« Io sono un ragazzo, infatti. » rispose.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I wish you could see.
-Capitolo 27-








Mi sembrava di stare in mezzo a una tempesta. Mi sentivo scosso, come se fossi sott’acqua e le correnti mi sballottassero con violenza sugli scogli. L’acqua mi entrava nei polmoni e mi bruciava le vie respiratorie.

Allo stesso tempo ero intontito e non riuscivo a smettere di tremare come un ossesso. Qualcosa non andava in me.

Qualcosa stava andando terribilmente storto.

Era come se fossi una lampadina attaccata ad una fonte di elettricità intermittente.
Mi ero reso conto di non essere nella realtà, era come se fosse stato tutto sottosopra.

Il buio attorno a me lampeggiava, sentivo grida che riecheggiavano nel vuoto. Urla e strilli, poi fu come se attorno a me il nero cambiasse e assumesse la forma del mio salotto di casa.

Lo vedevo.

Era come se fossi tornato indietro di anni. Era sempre Natale e mi avevano regalato il CD dei cori natalizi cantati dai bambini. Mi guardavo come se fossi stato lontano anni luce. In salotto cantavo e ballavo, avrò avuto quattro anni o giù di lì, mentre i miei genitori mi guardavano preoccupati. La loro voce suonava disgustosamente distorta.

« Ha qualcosa che non va. »
« Robert, è solo un bambino che balla in salotto... » mi giustificò mia madre mentre mio padre scuoteva la testa.

« Ho una gran brutta sensazione a riguardo. Se fosse... »
Mamma lo prese per un braccio, l’aria tristemente seria. Un’espressione che non si addiceva al clima natalizio.
« Saremmo obbligati ad amarlo comunque. »

Papà sospirò e tutti si sciolse come se qualcuno ci avesse buttato sopra dell’acido.

Loro sospettavano già, e me lo avevano sempre detto. Era una cosa che mi aveva sempre sconvolto.
Inizialmente rifiutavo la mia condizione e non volevo che lo sapesse nessuno. In qualche modo però loro lo avevano capito prima di me.

Una sferzata di vento mi scaraventò a terra, facendomi sbattere la testa a terra.
Fu come tornare, in qualche modo, nel mio corpo, anche se ero ancora privo di conoscenza e sotto anestesia. Non percepivo, infatti, corporalmente ciò che accadeva eppure era come se fossi semplicemente lì, disteso, nudo a guardare.

I medici correvano per la stanza. Si passavano strumenti, ansimavano dietro alle loro mascherine e sentivo un ronzio di sottofondo che era quasi un fischio ininterrotto.

Era davvero fastidioso, avrei voluto poterlo spegnere.

Poi mi voltai verso il vetro dove stavano in piedi a guardare i miei genitori e Kurt. Le loro facce mi spiazzarono: mia madre stava aggrappata a mio padre e sprofondava nel suo petto mentre singhiozzava. Il volto di papà era rigido e pallido, quasi cereo.

La cosa che più mi distruggeva era Kurt: il suo viso era contratto, gli occhi rossi e le mani giunte, come a darsi sostegno e, allo stesso tempo, a pregare. Piangeva, le lacrime gli rotolavano giù dalle guance, calde ed irrefrenabili. Rimaneva immobile e sembrava così fragile che sarebbe bastata una lieve brezza a farlo cadere al suolo e a sbriciolarlo.

Cosa stava succedendo? Perchè non capivo?

Mi voltai a guardare la tabella dei miei valori generali e vidi da dove proveniva il suono acuto e continuo.
La borsa che rilevava il mio battito era immobile.

Ecco perché tutti correvano.

Stavo morendo. Perché? Avrebbe dovuto esser un’operazione così semplice...

Kurt.
Non potevo fargli questo.

Non potevo essere l’ennesima persona che se ne andava.

Mi diedi uno schiaffo. « Torna nel tuo corpo! » mi ordinai, ma rimasi ugualmente fermo lì mentre, a rallentatore, il mondo attorno a me cadeva a pezzi.

Mi avvicinai a Kurt e posai la mano sul vetro dinanzi a lui.
« Non ti farò questo. » sussurrai, fissando il suo viso ed incidendomelo nella memoria.
« Salvatemi! » gridai ai medici, che non mi sentivano.
« Salvatemi. Dio, salvami! » gridai di nuovo.

Il suolo si mosse e fu come se fossi stato dentro a una di quelle palle di vetro da scuotere dalle quali cade la neve.

Caddi e sbattei la testa contro uno degli angoli del tavolino degli attrezzi chirurgici e non vi fu più niente, se non un canto lontano.

Una voce limpida.
“Silent night, holy night, all it’s cold and all it’s bright...”
Il silenzio.

 
 
***

 
 
Il rumore del chiacchiericcio generale e delle persone che si abbracciavano e sorridevano mi ronzava nelle orecchie.
Il suono dell’acqua che correva nei tubi dei termosifoni e dei lettini che venivano spinti dagli infermieri rimaneva ininterrotto ed era tutto ciò che sentivo.

Non riuscivo a muovermi. Ero morto?

« Si è svegliato? » chiese una dolce voce anziana.
Qualcuno scosse animatamente la testa.

« No, ma lo farà. » disse Kurt. Il cuore iniziò a battermi freneticamente nel petto e cercai di muovere le mani, invano.
« Non ti preoccupare, è la vigilia di Natale, tutto può succedere. »

Kurt tirò sul col naso.
« Lo so. » rispose e dei passi si allontanarono irregolari.

Una mano passò accanto alla mia e me la sfiorò, intrecciandosi ad essa con lenta dolcezza ed un tremolio straziante. Kurt iniziò a parlare.

« Se ne sono andati tutti, domani è Natale. Non me ne vado nemmeno in Istituto. Non avrebbe senso un’altra vigilia senza di te e... »

« Kurt, stai qua tu questa notte? Sicuro che... che non vuoi andare? » sbucò la voce di mia madre dal nulla, come se fosse dalla porta.
« Andare dove? Non saprei proprio dove... Posso... posso restare qui? » chiese, umilmente, Kurt. Il suo tono di voce mi spezzò il cuore.

Se fossi stato capace di muovermi avrei singhiozzato.

« Va bene... allora a domani. Buon Natale. » disse mia madre, avvicinandosi al lettino e schioccandomi un bacio sulla fronte prima di sparire.

Kurt sospirò.

« Buon Natale, Blaine. » sussurrò Kurt, ed una lacrima mi si infranse sulla mano.

Tornò tutto buio, come se fosse stato interrotto un collegamento.
Come se fosse stato tutto un sogno.
 

 
***

 
 
Gli occhi sembravano cuciti con del filo spesso, ma riuscii a spalancarli con fatica.

La luce mi sferzò gli occhi e vidi le lampade a neon del soffitto dell’ospedale. Sbattei le palpebre più volte e l’immagine non svanì. Spostai lo sguardo verso le mie coperte e vidi Kurt, gli occhi ancora umidi, appoggiato scomodamente sulle lenzuola, la bocca semi aperta e gli occhi serrati. Dormiva come un sasso, ed era terribilmente bello.

I miei occhi funzionavano. Tutto era pieno di luce, di colori, di forme, di vita.

Sorrisi, ero felice. Ero vivo, vedevo, ed ero con Kurt. Non avrei dovuto svegliarlo, dormiva così bene, ma dovevo condividere quel momento di felicità assoluta con lui. Poi volevo sapere che diamine era successo, volevo capire che mi fosse capitato ma, più di tutto, volevo vedere i suoi occhi. Fissarli a tempo indeterminato finchè non fossi stato stanco.

« Kurt... » gracchiai, la gola secca e la bocca impastata. Quanto tempo era passato dalla mia operazione? Se era la vigilia... quasi quattro giorni.

« Ehi, Kurt... » ripetei e lui si mosse appena, scattando quasi subito sull’attenti.

« Cos... chi... »
« Sono Blaine. Sono... sveglio. » mormorai.

Sul suo viso prima si fece largo la sorpresa, poi la notizia penetrò più a fondo e sorrise, ridendo istericamente mentre le lacrime gli inondavano per la millesima volta il viso. Non si preoccupò nemmeno di fermarle mentre rideva e piangeva e mi saltava al collo, singhiozzando e bagnandomi la clavicola ed il collo.

Lo strinsi a me, nonostante fossi terribilmente intorpidito e stranamente esausto.

« Buon Natale... » mormorai tra i suoi capelli.
Lui rise più forte, tanto che accorse un’infermiera.

« Che succede... oh, il paziente 1301 si è svegliato, avviso il medico! » squittì la donna bassa e mingherlina,
entusiasta.

« Spero... spero proprio che non sia un sogno perché non potrei avere un regalo di Natale migliore. » rispose, col tono di voce che si usa per le preghiere.




















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Spazio Autrice:
Mi dispiace avvisarvi che ci stiamo avviando verso l'epilogo. Purtroppo siamo QUASI giunti alla fine.
Non sarà il prossimo capitolo, però vi avviso che il tempo è limitato.

Vi ringrazio per avermi seguito fino a qui, sono felice di aver passato del tempo in vostra compagnia e spero che i miei personaggi vi abbiano accompagnato come hanno fatto con me.

Siete state tutte speciali.

Tutte fondamentali.
TUTTI.

Grazie di cuore, spero che continuerete a leggere.
In ogni caso ho cominciato un'altra long fic Klaine chiamata Don't you remember, per chiunque sia curioso di leggerla o gli sia piaciuto il mio modo di scrivere.

Grazie, vi voglio bene,
vostra
{Noth
   
 
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