La mia
gabbia dorata: dolore
Dedicata tutti quelli che mi hanno
detto di non voler avere a che fare con me perché mi hanno ricordato che è
inutile cercare qualcuno che ti apprezza se sai di avere più difetti che pregi.
La felicità la puoi trovare solo se pensi a te stesso, cosa che io dovrei aver imparato,
dato che nessuno ha avuto la forza di stare ad ascoltarmi e di parlarmi per più
di qualche ora: è ora che io finisca di combattere una battaglia già persa, sto
nuotando controcorrente, è ora che mi fermi e mi lasci trascinare dal mondo.
Mi trovavo in una gabbia, mi ero costruita
una gabbia dorata in cui dovevo scontare l'ergastolo in una cella d'isolamento
dove non c'era possibilità di buona condotta*.
Era una gabbia dove non mancava niente, ma dove
scorrevano le mie lacrime, lacrime frutto di rifiuti, di parole mascherate da
una buon sorriso, quanti “senza offesa, davvero” avrei dovuto sopportare? Avrei
POTUTO sopportare? Quante volte dovevo sentire le lacrime appannarmi la vista? Quanto
volte avrei dovuto singhiozzare in silenzio? Senza far sentire al mondo il mio
dolore, che avrebbe soltanto attirato una compassione e una pietà che non volevo?
Ero piccola, appena poco più di un decennio alle spalle ma già sentivo il cuore
appesantirsi di emozioni troppo negative troppo presenti, anche più di quelle
gioiose e fanciullesche che dovrebbero caratterizzare la mia età.
Volete che vi dica il vero? Io non ho mai
avuto la mia età, così responsabile, solitaria, non voglio nessuno al mio
fianco che non sia frutto della mia mente adulta, capace di elaborare
informazioni e fatti. La morte non mi toccava, succede, non bisogna affidarsi a
qualcuno che si crede “stia più in alto di noi” perché se non riesci ad
affrontare da solo qualcosa come la morte vuol dire che sei debole e che non
vale la pena di starti vicino. Il dolore non va affidato ad un essere celeste,
va elaborato, bisogna farsene una ragione.
Sentirti dire da qualcuno che non ha voglia
di parlare con te fa venire una grande rabbia, io ho provato tanta rabbia nel
corso della mia breve vita, rabbia verso tutto e tutti, verso il mondo intero: “come
sei pessimista”, direte voi, io non mi scuso, sono pessimista, lo dite sempre
con tono pietoso e compassionevole, ogni volta che mi succede mi viene voglia
di bruciare all’inferno, nessuno chiede la vostra pietà, a seconda della vita
cambia il modo di vedere il mondo; questa è la mia visione del mondo.
La felicità a quanto pare mi è stata negata perché
quel poco di felicità che ho provato mi è sempre stato portato via, non voglio
morire, è assurdo, ma non voglio vivere così, forse è per questo che leggo
tanto e ascolto tanta musica, mi nutro delle emozioni che il libro e la musica
mi danno, ed è una sensazione magnifica.
Io sono il pazzo che non può guarire, il
cuore che non batte, sono l’alfa e l’omega, sono amore e odio, sono l’inizio e
la fine, perché tutto, tutto, porta un po’ di dolore con sé, il dolore mi ama e
non mi lascia mai, io che sono la sua sposa, la sua sposa bambina, che non ride
e non gioca ma che piange e che urla.
Note dell’autrice:
mi
è venuta fuori da un momento di tristezza incredibile (data: 06/12/2011), prima
di tutto le precisazioni sul racconto:
*Grazie
Carlotta per la tua frase scritta su fb, ti devo l’idea, e grazie Nicola per
avermi dato l’animo e il sentimento giusto, questa fanfic la dedico a voi, ognuno
in una sponda di quel fiume che è la mia anima.
Questa
storia non ha alcun senso e non è inserita in alcun contesto, esiste solo per
raccontare uno stato d’animo che era da un po’ che mi opprimeva.