Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Roberta87    06/12/2011    12 recensioni
Salve! mi chiamo Roberta e questa è la mia prima FF! La storia è un'alternativa a Twilight,e vede il suo inizio in una Forks dove Bella risiede da tre anni ed i Cullen non sono ancora arrivati. Troverete il resto della trama nel capitolo "trama ed introduzione". Spero che la mia storia vi coinvolga tanto quanto sta coinvolgendo me!
ESTRATTO DAL CAPITOLO 16 :
[..] Improvvisamente il rumore di un auto ci interruppe. Jacob mi lasciò un ultimo bacio a fior di labbra e tenendo ancora il mio viso tra le mani si voltò verso la strada. Sciolsi l’intreccio delle nostre dita e guardai anch’io. Una Volvo metallizzata aveva appena parcheggiato fuori il mio cortile. Sapevo bene a chi appartenesse quell’auto.
Rimasi un attimo sbigottita, cosa ci faceva lui qui? Cosa voleva?. Voltai ancora lo sguardo verso Jacob, giusto in tempo per vedergli serrare la mascella. Le sue mani sul mio volto furono percorse da una breve scarica di leggero tremore, mentre continuava a fissare l’auto.
« Vieni, Bells. E’ ora di andare. » [..]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buonasera, spero di sorprendere qualcuno di voi con quest'aggiornamento "rapido" per i miei soliti tempi.
Due parole prima di lasciarvi al capitolo. Sopportatemi, ormai non lo faccio da un pezzo.
Per iniziare, un grazie a tutti.
A chi continua a dare un'opportunità alla mia storia ed anche a chi invece l'ha scoperta da poco.
A chi mi riempe d'orgoglio e di stimoli con preziosissime recensioni, ma anche a chi legge in silenzio. Spero che un giorno troverete il coraggio di uscire fuori dal vostro guscio per scoprire che la parte migliore di quest'esperienza è entrare nel mondo di chi scrive attraverso il dialogo.
Un piccolo appunto prima di togliermi dalle scatole. Forse due.
Se siete amanti di momenti sconcertanti, se siete allergici a quelli più soft, questo capitolo non fa per voi. So gia che a molti sembrerà deludente, piatto e forse anche noioso, l'ho sempre saputo fin da quando l'ho immaginato. Ma io non posso e non voglio rinunciarci. Questo capitolo, per parafrasare le parole di qualcuno, è gravemente affetto da JacobBellite acuta. Li amo insieme, anche e soprattutto nei momenti più semplici. E non voglio smettere.
Ultimo appunto, che forse è più una nota. Mi sono resa conto dello sconcertante numero di capitoli che ho pubblicato, senza nemmeno essere arrivata oltre la metà della storia. Quindi, anche se non ve ne potrà fregare di meno, mi sono riproposta che dal prossimo capitolo in poi procederò a passo spedito nella narrazione, evitando - si spera - capitoli morti e momenti di stallo.
Quindi, per voi che storcerete il naso a questo capitolo, sappiate che spero sia l'ultimo di questo genere.
Per voi, invece, che apprezzerete la sua dolcezza ... spero di potervi regalare in futuro molto più che questo.


Con affetto,
Roberta.

 

copertina
 

CAPITOLO 35 – “ Un tuffo nel passato

 
 

    Me ne stavo a gambe incrociate sul divano, con il telecomando in mano e lo sguardo fisso sulla tv nonostante non le stessi prestando la minima attenzione. Non avevo particolari pensieri per la testa, eppure non riuscivo a concentrarmi su nulla. L’indice della mano sinistra iniziò a picchiettare sul telecomando senza che glielo avessi ordinato. Dopo che Jacob era andato via – uscendo dalla porta, stavolta – non ero più riuscita a riportare l’attenzione sui libri. Quel testone era riuscito a strapparmi un appuntamento per il pomeriggio stesso, quindi non mi restava che aspettare.
    Quando sentii i due colpi di clacson mi voltai verso la finestra, non mi sembrava quello dell’auto di Charlie. Infatti, con un po’ di stupore, scorsi la Golf rossa di Jacob ferma nel vialetto. Spensi la tv e mi infilai le scarpe di tutta fretta, non diedi nemmeno un’occhiata nello specchio quando mi infilai il giaccone nell’ingresso. Indossavo i soliti jeans con la solita felpa, tanto per lanciare il messaggio di amicizia con ancora più chiarezza. O forse solo per convincere te stessa, aveva commentato Angela al telefono.
    Mi richiusi la porta alle spalle, il pomeriggio era nuvoloso come nello standard di Forks, ma almeno non si gelava dal freddo e la neve era sparita. Alzai lo sguardo e, tra la portiera aperta e l’abitacolo, c’era Jacob in piedi ad aspettarmi, con un braccio poggiato al tettuccio rosso della Golf, con tanto di sorriso stampato in faccia. Indossava una camicia azzurro carico, arrotolata sui gomiti come suo solito, sopra ad un paio di blue jeans. Era la semplicità fatta persona, eppure non avrebbe potuto essere più bello di così.
    Istintivamente mi strinsi le braccia intorno alla vita mentre camminavo verso l’auto, pensando alla stupida felpa che si nascondeva sotto il giaccone e a quanto fossi in imbarazzo. Gli sarei sicuramente sembrata sciatta, poco attraente. Anche se in effetti, realizzai quasi subito, quello a cui stavo andando incontro non era il mio ragazzo. Io non dovevo piacergli. Quella era solo un’uscita con il mio migliore amico.
    Fu questo a farmi scattare un piccolo campanello d’allarme. Conoscevo Jacob, indossava camice del genere solo in occasioni speciali. Dovevo aspettarmelo che non avrebbe mantenuto la parola, che avrebbe trasformato una pizza innocente nell’occasione per farsi avanti. Quindi, quando arrivai all’auto ero leggermente infastidita.
    « Avevi promesso che avresti fatto il bravo ragazzo » lanciai un’occhiata alla camicia che aderiva perfettamente alle braccia scure e alla vita.
    « Perché, ti sembro un delinquente? » mi rispose anche lui senza salutarmi.
    Almeno avevamo conservato una delle nostre vecchie abitudini.
    « Sai cosa intendo »
    Fece spallucce. « Credevo che una camicia mi avrebbe reso abbastanza … amichevole » mi sorrise maliziosamente.
    Gli lanciai un’occhiataccia.
    « Andiamo, Bells, non esagerare. Avresti preferito che mi fossi presentato mezzo nudo come quando sto con i ragazzi? Mi sa che devi rivedere le tue priorità, fiorellino » si infilò in macchina.
    Sbuffai, iniziavo ad odiare il modo in cui stava usando quel nomignolo. Fino a non molto tempo prima era una cosa dolce, forse fin troppo, ora invece era diventato quasi uno scherno. Aprii la portiera e poco prima di sedermi vidi la margherita poggiata sul mio sediolino. La raccolsi, mi accomodai e provai a lanciargli una seconda occhiataccia. Jacob si schiarì la voce, guardando nello specchietto laterale ed avviando la macchina come se niente fosse. Voleva fare l’indifferente. Cose da pazzi.
    « Anche questo rientra negli optional di una serata amichevole? »
    Sorrise. « E dai, Bella. Uno più, uno meno, ormai che differenza fa? »
    « Fa tutta la differenza del mondo, visto che da amico non me ne hai mai regalato uno »
    « Però quei tre prima del mio ritorno li hai accettati, quando te li ho lasciati sul davanzale »
    « Ma di che … »
    Mi zittii. Ma certo. Si riferiva ai tre fiori che avevo trovato sotto il letto qualche giorno prima di Natale. Ma allora erano suoi, li aveva portati lui. Anche se non si trovavano affatto sul davanzale della mia finestra. Sospirai, scuotendo la testa, quando capii. C’era solo un’altra persona che avrebbe voluto tenermeli nascosti. Edward.
    Ricollegai tutto in un istante. Jacob mi lanciava sguardi sott’occhio con un mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra. Pensai a quanto avessero dovuto essere importanti per lui, in quel momento. A quanta paura provasse nel dovermi rivedere, sapendo di dover affrontare spiegazioni che forse non sapeva nemmeno come darmi. Aveva voluto prepararmi, in un certo senso. Forse anche rassicurarmi, a modo suo. Decisi che non avrei lasciato che la meschinità di Edward rovinasse quel gesto. Così sorrisi, senza aggiungere altro. Jacob sorrise soddisfatto di rimando e tornò a prestare attenzione alla strada.
    Forse, se i tentativi di Jacob di andare oltre l’amicizia si fermavano a quei sottili messaggi, potevo rilassarmi e godere di quella serata così preziosa, dopo tutto quello che era successo. Jacob scalò una marcia del cambio manuale della Golf dell’89 e con l’indice accese la radio. Fischiettava il ritornello della canzone ed io sorrisi, felice di tornare a vedere di nuovo il volto del mio Jacob, sembrava essere tornato quello prima della trasformazione. Sereno, felice, quasi radioso come il sole che a Forks spuntava raramente.
    « L’ultima volta che ho visto quest’auto era poco più di un catorcio, ora invece funziona anche la radio. Incredibile » constatai.
    « Diciamo che negli ultimi tre mesi ho fatto molta pratica e quando ho rivisto la Golf è stato un gioco da ragazzi finirla ».
    Mi mossi leggermente sul sediolino, c’era un odore strano.
    « Che cos’è questo … » iniziai ad annusarmi intorno.
    « Cosa cerchi? »
    Aprii anche il cruscotto davanti alle mie ginocchia. « L’arbre magique che fa questo odoraccio ».
    Jacob rise « Sono io, è il dopobarba di Billy. Fa schifo »
    Lo guardai stupita.
    « Il dopo … dopobarba, eh? » mi venne da ridere.
    Cercavo di trattenermi in ogni modo, ma sentivo chiaramente gli angoli della bocca tirarsi e la risata soffocata nello stomaco.
    « Cosa ridi? » sorrise, un po’ in imbarazzo.
    « Non sto ridendo » ribattei, ma ormai era palese che mi stessi trattenendo.
    « Vedi, mia dolce metà … » iniziò.
    Lo fulminai con un’occhiataccia.
    « Mia dolce metà amichevole, ovvio. Si da il caso che sia cresciuto anch’io e che mi rasi come qualsiasi altro uomo ».
    A quel punto lasciai andare la risata che trattenevo, non sapevo di preciso perché mi divertisse così tanto l’idea di Jacob uomo, concentrato davanti allo specchio con un rasoio in mano. Forse perché era andato via poco più di un bambino, ed era tornato adulto. Non riuscivo ad immaginarlo. Lo presi un po’ in giro, tanto per divertirmi. Jacob afferrò la mia mano e se la portò al viso, strofinandola su una guancia e sotto il mento.
    « Vedi? Più liscio del sedere di un neonato. Così ci si presenta ad una ragazza, Bells ».
    Ritirai la mano mentre ridevo come non mi capitava più da mesi ormai, mi sentivo leggera e spensierata come solo con lui riuscivo ad essere.
    « Iniziamo male, Black. Iniziamo proprio male ».
 
 
 
 
     « E così era qui che volevi portarmi? » domandai incredula, mentre chiudevo la portiera e mi incamminavo.
    « Più neutro di così … » la voce di Jacob mi seguiva alle spalle.
    Davanti a me si apriva una distesa d’erba ormai troppo alta, perfettamente rettangolare. Una volta era un campetto, lo usavamo per qualsiasi tipo di gioco ci venisse in mente. In un capanno non molto lontano da lì c’erano sicuramente ancora stipate le porte da calcetto, i canestri da basket e la rete di pallavolo. I pali da football invece si ergevano ancora in tutta la loro altezza, ai margini opposti del campo, ormai arrugginiti e con la vernice rovinata. Nel corso degli anni avevamo trascorso pomeriggi interi a fare gli scemi lì in mezzo, con Angela, Jessica, Mike, i ragazzi della riserva.
    Dal centro del campo mi guardai intorno, con un pizzico di malinconia nel sorriso. La luce del tardo pomeriggio lo rendeva ancora più suggestivo. Non riuscii a fare a meno di pensare che quel campetto rispecchiava gli anni appena trascorsi. L’erba alta, forse cresciuta troppo in fretta, proprio come tutti noi. La vernice scrostata dai pali, segnati dalle macchie di ruggine così come gli errori che avevamo commesso segnavano ognuno di noi. Mi voltai verso Jacob sorridendogli e lo trovai che avanzava verso di me con una palla da football tra le mani e sulle labbra il mio stesso sorriso. Un po’ malinconico.
    « Mi mancava questo posto » confessai.
    « Anche a me » rispose sospirando.
    Mi guardai ancora intorno, mentre lui non distoglieva lo sguardo da me. Era sollevato che fossi contenta. E così quello era il motivo di quell’appuntamento così anticipato. Cominciai a ricredermi, forse Jacob voleva davvero vivere una giornata come se non ci fosse mai accaduto niente di brutto, come se le creature sovrannaturali non esistessero, semplicemente lui ed io. I nostri sguardi, le nostre risate.
    « Bells » mi chiamò.
    Non appena mi voltai mi lanciò la palla. Allungai le mani per afferrarla, ma la mia proverbiale scoordinazione non mi permise di fare altro che farla rimbalzare un paio di volte sulle dita, prima di farla cadere al suolo senza riuscire a bloccarla. Jacob rise.
    « Non vale così, a tradimento » protestai.
    Lui si avvicinò, ancora ridendo. « Non l’avresti presa nemmeno se ti avessi avvisata dieci minuti prima ».
    « Ah no? Allora vediamo se ci riesci tu, a prenderla ».
    Jacob fece un balzo nella mia direzione, allungando le mani verso di me. Mi voltai di schiena, proteggendo la palla con il corpo ma le sue lunghe braccia si insinuarono presto sotto le mie. Provai a divincolarmi ed in qualche modo ci riuscii, o me lo permise, ed iniziai a correre lungo tutto il campo. L’erba alta mi sfiorava i fianchi, mentre ridevo e cercavo di saltare i vari ostacoli che si nascondevano sotto di essa. Jacob dietro di me cercava di afferrarmi, di farmi cadere, con una risata specchio della mia. Ogni tanto mi voltavo per capire quanto fosse distante e lo trovavo sempre troppo vicino, tanto da chiedermi se non lo facesse apposta a non raggiungermi.
    Continuammo così per qualche ora, semplicemente giocando, come se fossimo tornati bambini. Il mio giaccone abbandonato accanto alla Golf. Mi apprestavo a tirare l’ultimo field goal che mi avrebbe assicurato la vittoria, anche se non sapevo bene come fossi arrivata a quel risultato. Tutta fortuna, visto che Jake era scivolato un paio di volte quando era toccato a lui. Incredibilmente riuscii nella mia impresa, calciai forte e la palla roteò in aria, in alto, fino ad oltrepassare i pali dritto nel mezzo. Esultai come avessi davvero dieci anni, iniziando a correre tutto intorno alla metà campo.
    « E’ solo fortuna, Bells » mi gridava dietro Jacob.
    Non me ne curai e continuai a rimbalzargli intorno, deridendolo. Jacob mi lanciò un sorriso sornione, poi scattò veloce nella mia direzione. Mi acciuffò in pochi secondi, confermando i miei sospetti che fino a quel momento mi avesse lasciata sfuggire di proposito. Sentii le sue braccia afferrare le mie, poco prima che mi rovinasse addosso con una mezza capriola. Doveva essere inciampato. Ridemmo, sprofondati nell’erba e con gambe e braccia intrecciate dopo il ruzzolone. Mi sentivo leggera. Guardavo il suo sorriso, i suoi occhi, e pensavo che non avrei mai potuto rinunciare a tutto questo.
    Jacob sorrideva, con gli occhi incatenati nei miei. Una mano lasciò la presa sul mio braccio per percorrerlo tutto, fino ad arrivare al mio fianco scoperto. Lo avvolse e sentii il calore bruciante del palmo sulla mia pelle, le dita affondate fino a sentirne la pressione sulle ossa. Dovetti fare uno sforzo enorme per impedire ai miei fianchi di muoversi verso di lui. Jacob invece si avvicinò, infilando una gamba tra le mie, i nostri nasi quasi a sfiorarsi.
    Non andava bene così, non andava bene per niente. Il suo calore, così avvolgente, mi travolgeva. Non potevo permettere che andasse oltre.
    « Faremo tardi per quella pizza » me ne uscii.
    Jacob non si scompose, nemmeno sorrise. Piuttosto aumentò la stretta sul mio fianco, avvicinò ancora il busto al mio. Potevo sentire il suo torace sfiorare il mio, mentre respirava. Avvicinò ancora il viso, ma io mi voltai dall’altro lato. Sospirò frustrato.
    « Al diavolo la pizza, Bells »
    Mi baciò la guancia che gli porgevo e che, già accaldata per la corsa, divenne ancor più rossa. Le sue labbra soffiarono una risatina sulla mia pelle a quella reazione.
    « Da quanto non ti sentivi così? » sussurrò, sfiorandomi il collo con il naso.
    Se per così intendeva letteralmente a fuoco, beh la risposta era da un pezzo. Mi sentivo bruciare sotto le sue mani, il suo fiato. Il cuore mi martellava in petto talmente forte che pensai potesse arrivare a toccare la stoffa azzurra della camicia di Jacob. Non potevo lasciarmi andare, non potevo. Me stessa prima di chiunque altro, mi rammentai.
    « Adesso basta, Jake. Avevi promesso ».
    Riuscii a divincolarmi dal suo abbraccio, scivolando sulla terra fino ad essere fuori dalla morsa pesante e bollente del suo corpo. Lo sentii sbuffare esasperato, prima che si tirasse su. Mi avviai alla macchina, infilai il giaccone e quando mi voltai lo trovai che si guardava intorno, tastandosi le tasche dei jeans.
    « Che c’è? »
    « Mi sa che ho appena perso le chiavi »
    « Scherzi? » chiesi, guardando il campo avvilita.
    « No »
    Gli lanciai un’occhiata. Se si trattava di uno dei suoi trucchetti per tenerci ancora lì non mi piaceva affatto.
    « Bella, davvero. Non ho bisogno di certe stronzate, se ti voglio ferma qui … » schiacciò il mio corpo tra il suo e l’auto, le mani poggiate al tettuccio dietro di me « … so come fare ».
    Si discostò lentamente con un sorriso da schiaffi, io sbuffai. Mi guardai ancora intorno. Non saremmo mai riusciti a ritrovare un mazzetto di chiavi in una giungla simile.
    Infatti impiegammo più di un’ora a setacciare in lungo e in largo tutto il campo. Il tramonto non aveva di certo aiutato le ricerche e più la luce andava affievolendosi più perdevo ogni speranza di ritrovare quelle maledette chiavi.
    « Sai che sono un coglione? » mi chiese Jacob dall’altro lato del campo.
    « Finalmente lo ammetti » risposi senza staccare gli occhi da terra, mentre setacciavo ogni centimetro di terreno intorno alle mie scarpe.
    « No, davvero. Smonto e rimonto qualsiasi mezzo a motore anche alla cieca ogni giorno. Posso farla partire con i fili. Come diavolo ho fatto a non…»
    « Le ho trovate! » lo interruppi. « Le ho trovate, Jake! »
    Afferrai le chiavi, mi raddrizzai sulla schiena e le feci tintinnare sorridendogli. Lui mi sparò uno di quei sorrisi che sarebbero capaci di illuminare perfino la notte e corse verso di me.
    « Grande, Bells! »
    Saltellavo sul posto, felice e sollevata. Jacob mi raggiunse e mi sollevò in un attimo, facendomi saltare per aria un paio di volte. Gridava festoso e non dava l’impressione di voler smettere. Forse stava leggermente esagerando. Mi mise di nuovo a terra mentre continuava a saltellarmi intorno.
    « Yeah! Sei un mito! » mi prese le chiavi di mano mentre lo guardavo leggermente stupita. « Woohoo! »
    Mi sorrise e lanciò le chiavi dietro le sue spalle, che atterrarono da qualche parte molto lontano. Sgranai gli occhi incredula, mentre lui scoppiava a ridere.
    « Ma che … sei impazzito? Ci sono volute ore! » gli gridai contro.
    Ma Jacob non sembrava voler smettere di ridere. Dopo una lunga serie di imprecazioni da parte mia ed una infinita risata da parte sua, si decise a porre fine a quello scherzo che solo lui trovava divertente. Si trasformò in lupo e recuperò le chiavi. In meno di dieci minuti eravamo diretti in pizzeria.
    Quando Jacob frenò nel parcheggio sul retro del ristorante a Port Angeles, si slacciò la cintura di sicurezza senza problemi. A differenza di me, che cercavo in ogni modo di tirarla fuori dal gancio senza successo.
    « Ah, già. Quella è ancora un po’ difettosa, ti aiuto io ».
    Si allungò verso di me, o forse sarebbe meglio dire sopra di me. Mi sovrastò togliendomi del tutto la visuale del parabrezza, un ginocchio poggiato sul suo sediolino ed una mano contro il mio finestrino.
    « Giusto questa qui, eh? Guarda caso » commentai.
    Lui ridacchiò appena, sottovoce, abbassandosi eccessivamente per raggiungere la fibbia incastrata.
    « Vedi, ci vuole soltanto un pochino … di forza » sussurrò guardandomi dritto negli occhi, mentre con uno strattone deciso liberava la cintura dall’ingranaggio.
    Tenne la parte metallica in mano, mentre la faceva risalire lentamente lungo tutto il mio busto, per sfilarmi la cintura. Mi resi conto che quell’appuntamento era iniziato bene, ma procedeva sempre peggio. Da semplici messaggi innocui e sottintesi Jacob era passato allo sfacciato andante, senza nessun freno. Mi dissi che me lo meritavo, la situazione stava degenerando per colpa mia, che non avevo un briciolo di polso fermo. Così, nonostante stessi andando a fuoco per la vicinanza del suo corpo forte e caldo, deglutii e mi imposi.
    « Jake »
    « Dimmi tutto » disse piano
    « Togliti di dosso. Ora » ordinai, la voce più dura che avessi mai usato.
    Jacob mi guardò sorpreso, ma non si mosse. Dopo il primo attimo di incertezza fece per parlare, con un mezzo sorrisetto che stava iniziando a spuntargli sulle labbra.
    « Jacob mi hai sentito? Togliti » lui esitò ancora un attimo. « Subito » aggiunsi.
    Lui sbuffò, ma si lasciò cadere sul suo sediolino.
    « Io proprio non ti capisco » mi guardò di sbieco. « Lo capirebbe perfino uno stupido che … »
   « D’accordo basta così » alzai la voce, non volevo sentire altro. « Mettiamola così, Jake. Ho accettato di passare una serata con il mio migliore amico, quello che mi ha promesso una pizza senza altre complicazioni e questa mi sembra tutto fuorché un’uscita amichevole ».
    Quando vidi che taceva, ascoltandomi sul serio, senza più l’aria da spaccone che aveva addosso fino ad un secondo prima, aggiunsi. « Per favore, Jacob » a bassa voce, fissando il mio sguardo nel suo. « Lo sto chiedendo al mio migliore amico. Per favore, rispetta la mia decisione. Ho … » sentii gli occhi inumidirsi, la voce tremarmi leggermente « … io ho bisogno di … »
    Jacob espirò forte « Scusa, Bells » scosse il capo. « Sono stato un coglione, perdonami ».
    Allungò le braccia verso di me e mi attirò a se, stringendomi in un abbraccio forte e caldo. Rassicurante. Non c’era niente di malizioso in quella vicinanza, l’opposto di quanto successo fino a poco prima. Sospirò, accarezzandomi la testa che tenevo poggiata al suo petto.
    « L’hai sempre saputo che sono un coglione. Ma mi vuoi bene anche per questo, giusto? »
    Sollevai lo sguardo per incontrare il suo, dolce e gentile, quello del mio amico. Sorrideva e io non potei non imitarlo, come ogni volta.
    « Più o meno … » commentai, storcendo appena il naso.
    Le nostre risate si unirono, riecheggiando nel piccolo abitacolo della Golf e come avrebbero fatto per tutto il resto della serata.
 
 
    « Devo proprio dirtelo, Bells » farfugliò ad un certo punto, con la bocca piena.
    La sua pizza era finita da un pezzo ed aveva iniziato a mangiare la metà della mia che avevo lasciato. Dai bicchieri di coca cola colavano goccioline di condensa, la bibita troppo fredda per quel locale così caldo. Jacob si era lamentato, se fossimo stati a casa avrebbe potuto godersi una bella birra invece di quella schifezza dolciastra. Subito dopo si era sbottonato un po’ la camicia azzurra, accaldato. Lo sguardo della cameriera si era fissato sul suo petto, se lo mangiava con gli occhi da quando avevamo messo piede lì dentro.
    « Cosa? »
    Si succhiò l’olio dei peperoni dalla punta delle dita. Gli passai un tovagliolo, lui alzò gli occhi al cielo e lo afferrò.
    « Sei cazzuta »
    « Suppongo sia un complimento »
    « Ovvio. Cioè … sei una tosta », mi guardò davvero con orgoglio prima di proseguire. « L’ho sempre saputo che sai il fatto tuo, però … ammetto che sono rimasto stupito di come hai affrontato le questioni mie e di quell’altro. Insomma, ci hai anche mandati a fanculo entrambi e, con il senno di poi, hai fatto benissimo. Sei una tosta ». Ribadì annuendo, con un sorriso sulle labbra.
    Tralasciando il fatto che, a modo suo, mi stava facendo uno dei più bei complimenti che avessi mai ricevuto, Jacob sembrava davvero orgoglioso di me. Nei suoi occhi c’era una luce diversa, di chi ha ricevuto una piacevole sorpresa. Mi sentii rincuorata all’istante. Tutti i miei timori, le paure e le insicurezze di aver sbagliato con loro, di non essere stata all’altezza delle loro rivelazioni, furono spazzate via in un sospiro. Mi sentivo cambiata, sentivo che stavo crescendo e questa ne era finalmente la prova. Se riuscivano a vederlo anche gli altri, allora non era solo una mia impressione.
    « Grazie, Jake » posai una mano sulla sua.
    In quel grazie c’erano talmente tante cose che sperai solo riuscisse a carpirle dal mio sguardo. C’era un grazie per il suo appoggio, uno per il suo orgoglio, uno per la sua semplicità, ma soprattutto uno per la soddisfazione che mi dava il suo apprezzarmi come persona, nei miei gesti e nelle mie scelte, e non soltanto per i miei occhi o le mie gambe.
    Ancora una volta, i suoi occhi nei miei, fui certa che comprese. Sollevò la mano dal tavolo per portarsi la mia alle labbra e baciarla.
 
 
    Quando mi riaccompagnò rimanemmo qualche minuto in macchina a scambiare le ultime battute. Le luci in casa erano tutte spente, segno che Charlie era già a letto o ancora in centrale. Nonostante gli alti e bassi di quella giornata mi riusciva difficile salutare Jacob e scendere dall’auto. Avrei voluto che quel momento durasse il più a lungo possibile. Dovevo rendergli merito che quelle ore trascorse insieme erano state ossigeno puro. Ci salutammo a malincuore, negli occhi di entrambi l’amara consapevolezza che il giorno dopo non sarebbe cambiato assolutamente niente, che quella giornata era stata soltanto un tuffo nel passato e niente più.
    Camminavo sul selciato nell’aria fredda della sera, facendo tintinnare le chiavi tra le dita. Le infilai nella toppa, mi voltai a salutare Jacob che ricambiò con un colpo di clacson prima di andare via, poi entrai in casa e mi richiusi la porta alle spalle. La casa era stranamente silenziosa, niente russare, niente tv accesa al piano di sopra. Charlie doveva essere ancora in centrale. Mi tolsi il giaccone con una strana sensazione addosso, andai in cucina per un bicchier d’acqua. C’era qualcosa che mi punzecchiava un angolo dei pensieri, ma non riuscivo a cogliere cosa fosse di preciso. Avevo la sgradevole sensazione di aver dimenticato qualcosa.
    Di solito è una percezione che si ha quando si esce di casa e non quando si rientra, ma non mi stupii più di tanto, forse rientrava tra le mie stranezze ancora inesplorate. Mi dissi che sicuramente si trattava di una battuta o qualcosa che volevo raccontare a Jacob, ma che non mi sovveniva. Scrissi un bigliettino a Charlie per quando sarebbe tornato, dicendogli che ero a letto. Lo fissai al frigo con una calamita, poi spensi la luce e mi diressi al piano di sopra.
    Quando entrai in camera c’era buio pesto e un freddo incredibile. Chiusi la finestra che avevo lasciato aperta fin dal pomeriggio. Fu solo quando mi voltai che notai la persona seduta sul mio letto.
    « Bentornata, Isabella. Hai trascorso una giornata piacevole? »
    Al suono di quella voce mi si gelò il sangue nelle vene e mi fu chiaro cos’avessi dimenticato.

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Roberta87