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Autore: suni    27/07/2006    13 recensioni
Giugno 1996.
Un uomo spaccato in due ed una lettera inaspettata.
(No melensaggini gratuite, almeno credo)
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è tanto una serata allegra, si vede, dato che ho “partorito” questo-

Non so nemmeno se è finita o no. E' triste, sì. Non so bene se collocarla in ambito di qualche altra mia storia, ma direi tutto sommato di no. Sta bene dove sta.

Buona lettura

Suni

 

LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO

 

 

Remus si passò la mano sul viso, constatandone la ruvidezza. Tentò distrattamente di ricordare quando poteva essere stata l’ultima occasione in cui si era dedicato a qualcosa di futile e pratico, come ad esempio farsi la barba. Ma poiché in fondo non gliene importava davvero nulla, di rispondere ad un simile quesito, scrollò lentamente la testa con un sospiro silenzioso e riprese a scendere le scale verso il piano inferiore. Sapeva di avere qualche impegno improrogabile quel giorno, come anche il giorno prima, ed era altrettanto certo che l’avrebbe semplicemente glissato, ancora come il giorno prima. Presumibilmente, sarebbe rimasto tutto il tempo seduto sul divano, strano a dirsi, come il giorno prima. E tutta queste serie di cose era avvenuta anche durante l’intera settimana precedente.

Entrò in cucina e si diresse ai fornelli, registrando mentalmente quanto fosse strano trovarla così vuota, senza Molly che spignattava, né Tonks che raccoglieva cocci di un qualunque oggetto da lei appena distrutto, o Kingsley immerso nella lettura di qualcuno dei suoi dossier del Ministero. Oppure Mundungus che tra una chiacchiera e l’altra faceva svanire tra le pieghe del mantellaccio qualche prezioso cimelio di famiglia di pregiata fattura, con mossa furfantesca e discreta che Sirius fingeva di non notare assolutamente.

Il viso di Remus tremò impercettibilmente, mentre senza volerlo serrava gli occhi trattenendo il fiato.

Respirò profondamente, una, due volte prima di riaprirli, e prese una tazza dalla credenza, posandola sul tavolo.

Già. Mai uno sguardo, non un gesto, salvo poi, non appena la porta si chiudeva dietro le spalle del vecchio imbroglione, scoppiare a ridere di cuore, con quella risata spenta eppure così viva, simile ad un latrato, spezzata, amara ma contagiosa, mentre mostrava divertito e soddisfatto ai suoi ospiti un nuovo buco, un pezzo mancante nel servizio d’argento del corredo nuziale di sua madre. Deliziato come un ragazzino.

Si passò di nuovo la mano sul viso, sul collo, tra i capelli, con un tremito; espirò a lungo rilassando le spalle. Quel pomeriggio, l’ultimo altro inquilino della casa sarebbe andato via: Hagrid lo aveva confermato, sarebbe passato dopopranzo a prendere Alisecco per riportarlo ad Hogwarts, a casa. Aveva trascorso tutta la settimana fermo, senza toccare cibo né quasi acqua, povera bestia. Più o meno come lui, si era trovato  pensare Remus. A quel punto però, era tempo di lasciare la casa. Non era più sicura, bisognava verificare a chi sarebbe toccata adesso, forse non ad Harry. Nemmeno quell’ultimo, misero desiderio di Sirius sarebbe stato avverato, il poter almeno lasciare al figlioccio quella dannata casa, le ultime vestigia di sé, in vece del tempo che avrebbe tanto voluto poter trascorrere col ragazzino e che un destino beffardo e accanito gli aveva sempre strappato via. Forse, a Remus faceva ridere il solo pensiero, Bellatrix Lestrange avrebbe seduto su quella sedia che lui ora stava fissando, la stessa su cui il cugino da lei assassinato aveva trascorso una discreta parte dell’ultimo anno, come una tigre in gabbia.

Non l’avrebbe permesso.

Il sibilo del bollitore gli ricordò di versarsi il the nella tazza. Lo fece lentamente, osservando le volute fumose di calore sprigionarsi dal liquido bollente. Piuttosto sarebbe tornato lì ed avrebbe distrutto lui stesso ogni piatto, ogni mattone delle pareti, ogni infisso, ma Bellatrix non avrebbe tenuto quella casa.

Con la tazza ustionante tra le mani, senza far caso al bruciore, uscì dalla stanza e si apprestò a raggiungere la sua posizione fissa, ormai rituale, ma due cose lo contrariarono e stupirono profondamente. Per cominciare, la finestra non più socchiusa ma spalancata; ma soprattutto, la busta appoggiata sulla sua postazione, il divano di Sirius, piovuta lì da chissà dove per opera di chissà chi. Corrugò le sopracciglia, profondamente indispettito dal fatto che qualcosa lo sostituisse su quei cuscini ormai riservati a lui. Posò la tazza sul tavolino in mogano, ben contento all’idea di lasciarvi un alone, e prese la lettera tra le mani: ampia, spessa, color giallo tenue.

La voltò per leggere il destinatario.

 

REMUS J. LUPIN

Il divano ormai vuoto davanti al camino

12, Grimmauld Place (casa mia)

N.B: DA RECAPITARE SOLO IN CASO DI MORTE IMPROVVISA

 

Remus ebbe per un attimo la confusa certezza che il suo cuore si sarebbe fermato lì, semplicemente, e lo avrebbe abbandonato. Il fiatò gli si mozzò con violenza, mentre incredulo rileggeva l’intestazione un’altra volta, e un’altra. La grafia gli era ben nota, e quella parentesi dopo l’indirizzo bastava da sé a fugare ogni dubbio. Soffocò un gemito contro la mano, sbigottito, e strizzò le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che spontanee sentiva affluire agli occhi. Rimase così, la mano schiacciata sulla bocca e le ciglia serrate, per un tempo che gli sembrò indefinibile, in realtà appena una manciata di secondi.

E la lettera era ancora lì, nell’altra sua mano. Si lasciò cadere sul divano di schianto, le labbra socchiuse, lo sguardo fisso su quelle lettere sbilenche. Molto, molto lentamente il battito frenetico del suo cuore ritornò a ritmi sotto il livello di guardia, facendogli ritenere scongiurato il rischio di un arresto cardiaco.

E finalmente, un barlume di lucidità si fece largo a fatica nel caos vischioso della sua mente. Sirius gli aveva scritto una lettera, in un qualche momento precedente la sua morte. Il desiderio di sapere che cosa contenesse –le ultime volontà, i saluti di un amico, la dichiarazione di quell’antico, rinnovato amore troppo a lungo messo da parte- si affacciò prepotentemente nell’animo di Remus, spingendo le sue dita ad avvinghiarsi intorno al bordo della busta, dove essa si apriva, ed immediatamente si cristallizzò.

Non l’aveva notata: piccola, poco marcata, una scritta proprio sopra l’apertura, là dove talvolta compariva il mittente. La lesse.

 

Le parole che non ti ho detto.

 

Remus si grattò lentamente il mento ruvido, con occhi attenti, le labbra leggermente arcuate all’ingiù, serio, concentrato. Quindi, si alzò; con delicatezza, come avesse avuto paura che ad un tocco brusco si sbriciolasse, posò la lettera dove l’aveva trovata, e ritornò al tavolino, riportò la propria attenzione sul the ormai poco più che tiepido. Lo bevve, assorto.

Una lacrima dispettosa gli scivolò sulla guancia, la scacciò con fastidio.

La morte di Sirius l’aveva spezzato, annientato, distrutto, ridotto ad una larva di se stesso. Ogni mattina il risveglio era un peso insostenibile. Qualunque cosa fosse scritta su quei fogli, avrebbe solo potuto peggiorare un dolore già troppo lancinante.

Realizzò di non voler leggere quelle parole.

Con uno sbuffo, deciso, tornò al divano, prese in mano la busta e con lentezza e sacralità, dapprima esitando e poi con sempre più sicurezza e naturalezza la strappò in due metà, che sovrappose per strapparle ulteriormente in due, e così via, fino ad ottenere una gran manciata di frammenti svolazzanti, larghi quanto chicchi di caffè, che gettò nel camino.

Immediatamente si voltò, tornò ad accasciarsi sul divano e lasciò, finalmente, che i singhiozzi lo sommergessero, squassandolo, mentre si rannicchiava su se stesso coprendosi la testa con le braccia, come a difendersi da invisibili colpi.

 

 

TO BE CONTINUED…

 

 

 

Per favore, per favore, per favore.

Sei arrivato/a qui leggendo qualcosa che ha impegnato una più o meno ingente quantità di tempo e sicuramente grande quantità di energie mentali.

Spreca un pizzico dei tuoi per dirmi che ne pensi.

Grazie

suni

 

   
 
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