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Autore: Ciribiricoccola    08/12/2011    4 recensioni
"Tu forse sei ancora giovane per capirlo, ma... tienilo a mente: sei una viaggiatrice, hai un percorso da completare, e qualsiasi cosa succeda... è inutile fermarsi o tornare indietro. Devi continuare, andare avanti, sempre!"
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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talia

Salve a chiunque sia capitato/a qui :)

Dovrei essere a studiare, ma la parte meno diligente di me ha avuto il sopravvento. Così, in un giorno, ho scritto questa storia. Doveva essere più corta e non doveva avere i 6 capitoli che verranno pubblicati... ma si sa come vanno queste cose: una fa nascere i suoi personaggi, ha appena finito di plasmarli... e questi se ne vanno in giro, complicando qualsiasi cosa. E non si può fare altro che seguirli...

L'idea di fondo non ha un'origine precisa, diciamo che è nata dalla mia curiosità... Scoprite da soli/e di cosa si tratta :).
Le premesse sono poche: siamo nel 1972, siamo negli Stati Uniti, e siamo alla fine dell'ottavo tour nord-americano dei Led Zeppelin - precisamente a Giugno, in Arizona.
Ho scelto un periodo tranquillo per la band, l'ho fatto appositamente per creare dalla mai fantasia un pò di turbolenze :)! Enjoy! E fatemi sapere!!!

Grazie e al prossimo capitolo

Ciry

RAMBLERS - VIAGGIATORI

CAPITOLO 1

Il corridoio è lungo, le fa venire l’ansia. E anche un po’ voglia di vomitare.
Ma non si ferma, perché vede la fine, perché è quel brivido che le ronza nella testa a farla scattare in avanti, senza correre, ma con una gran fretta.
I capelli lunghi sbattono contro l’aria stravolta dai suoi movimenti, il suono del suo stesso respiro affannoso le riempie le orecchie e le dita si chiudono come tenaglie, sembrano aggrapparsi al diario, l’unico oggetto che ha portato con sé.

L’ha picchiata, l’ha fatto un’altra volta, ed ogni schiaffo ha quasi rimbalzato contro di lei, tanta era la forza.
Non si fa. Non se ne intende di certe cose, ma sa che questo non si fa.
Voleva solo visitare il negozio di libri al piano terra e comprare un romanzo, magari anche una biro.
E lui le aveva rifilato prima un paio di ceffoni, poi uno sguardo pieno di disprezzo.

Alla sua prima distrazione – una doccia dopo una lunga giornata di lavoro e affari – se l’era svignata più rapidamente e silenziosamente possibile, con una sola parola in testa, pulsante come il livido sulla sua guancia destra.
“BASTA!”

 

Non sa quanto tempo è passato, né da quanto scappa in mezzo agli androni nel tentativo di depistarlo – quasi sicuramente è uscito a cercarla o ha incaricato qualcuno per farlo; in fondo al corridoio c’è un ascensore, e le luci intermittenti sopra le porte scorrevoli le dicono, con suo grande disappunto, che è occupato e sta salendo.
Aggrotta le sopracciglia in un’espressione angosciata, si perde un po’ d’animo, perché gironzolare in quegli spazi ampi la espone molto di più al rischio di essere trovata facilmente.
Lei vuole andare a stare un po’ in pace in un posto dove non ci sia lui. Ci sarà pure un angolo tranquillo e isolato in un albergo tanto grande e lussuoso!

Fa per ripiegare a sinistra, gli occhi alla ricerca di un maniglione antipanico o di una scala secondaria, quando la campanella discreta dell’ascensore per poco non la fa sussultare dalla sorpresa.
Le porte si aprono! Qualcuno scende a quel piano!
A malapena vede una figura sfilarle accanto – forse un anziano signore in un completo elegante – e in un attimo è nella cabina, al sicuro, porte chiuse, la salita riparte.
E solo in quel momento nota qualcuno, riflesso nel grande specchio alla sua sinistra.

Alto, filiforme, con un sacco di capelli, così tanti da lasciar scorgere solo il naso, che sembra piccolo e dritto.
Sta fumando, la sigaretta è sostenuta da una mano strana, la più strana che le sia mai capitato di vedere: dita lunghe, quasi ossute, ingioiellate, il palmo più lungo che largo, ed il pollice dotato di un’unghia lunga, mentre le altre quattro sono molto corte.
Sembrerebbe quasi una mano da ragazza.
Quando finalmente si volta, nota con una vampata di vergogna che anche lui la sta guardando, forse da quando è entrata, dal “nascondiglio” della sua folta capigliatura.
È un ragazzo giovane, ha gli occhi piccoli ma molto chiari, e la bocca piegata in un mezzo sorriso rivolto a lei.
Talia ha paura, così, all’improvviso, e nei polmoni le entra un fastidioso aroma di fumo.
Sembra una persona perbene, ma ha uno sguardo che la fa sentire strana, a disagio.
Stringe al petto il suo diario e distoglie lo sguardo, anche se a malincuore: non vorrebbe perderlo d’occhio, per quanto le sembri innocuo. D’altro canto, sa che anche lei potrebbe apparire strana in quel momento, trafelata, corrucciata, forse perfino spettinata.

“Attenta. Hai una scarpa slacciata.”

Vorrebbe rimanere indifferente ed imperturbabile, ma quella voce la costringe a tremare tutta nel viso per qualche istante.
“Non sembra neanche un uomo!” pensa, spaventata.
D’istinto si volta di nuovo a guardarlo e proprio non riesce ad associare quella voce tanto fine e gentile che le ha parlato ad un individuo così bizzarro, oscuro e rachitico, che per giunta somiglia ad un serpente!

Non se la sente di ignorare deliberatamente l’avvertimento, così si china molto lentamente e piega la gamba destra per annodare le stringhe della sua Converse.
Da sempre preferisce le sneakers con la chiusura in velcro, più comode e veloci da indossare, forse perché ha imparato tardi ad allacciarsi le scarpe da sola.
E poi le mani le tremano – colpa dell’adrenalina in circolo, dell’ansia, dello spavento…
Inesorabilmente, si sente una stupida piagnona, si arrabbia.
E davanti alla squallida prospettiva del suo stesso rimprovero, comincia a piangere, ma lo fa in silenzio per non farsi vedere dal tipo strano.
Solo che poi dell’odioso muco minaccia di colarle dal naso, così si ritrova a sniffare rumorosamente.
E le spalle, imitando le mani, tremano. Visibilmente.

“Stupida, ridicola bimbetta” pensa stizzita mentre a stento trattiene un singhiozzo.
“Ehi… Tutto bene? Cos’è, ti senti male?”

Il tipo strano si è accorto del piccolo dramma in corso, in un passo o due le si piazza davanti. Talia nota i suoi mocassini di velluto, sovrastati da un paio di esilaranti calzini a righe che le ricordano Pippo di Walt Disney.
Non fa in tempo a replicare alcunché, perché il ragazzo si accuccia e la scruta con aria vagamente preoccupata.
“E’ tutto ok qui? Cosa c’è che non va, ragazzina?”

Pensa che abbia gli occhi più… vicini e intensi del mondo: si sente paralizzata davanti a loro, che la guardano con attenzione ed insistenza.
Stanca di trattenersi, Talia singhiozza sommessamente e confessa, rossa per il pianto e l’imbarazzo: “No… non riesco…” indicando in un molle gesto la scarpa slacciata.
Lui le porge un fazzoletto rosso e cerca di calmarla con quel suo tono pacato ed educato: “Non ti preoccupare, dài, adesso basta piangere… Vuoi che ci pensi io?”

 
Ha sempre seguito diligentemente la regola più sacrosanta di tutte:

“NON DARE CONFIDENZA AGLI ESTRANEI”

Poteva sapere anche poco della vita, ma una cosa le era chiara: la confidenza non doveva essere data alle persone sbagliate, sconosciute o meno.
Il suo patrigno era una persona sbagliata, eppure si conoscevano, lei aveva addirittura tentato di volergli bene!
Ma ora il segno sulla guancia brucia, pulsa, e questo perché lei ha dato confidenza a Roland.
Concedere due parole ad un ragazzo sconosciuto che però le ha ceduto il proprio fazzoletto e si è preoccupato per lei…

 
“… Sì… grazie…”
“Ooh, perfetto… Coraggio, alzati e asciugati queste lacrime…”

Un suo sorriso, piccolo ma forse sincero, la rassicura.
Obbedisce senza fare storie, allungando il piede verso le sue mani mentre usa un angolo del fazzoletto per asciugarsi gli occhi; senza che lui la veda, passa un braccio sotto al naso umidiccio, non vuole sporcare quello che non è suo.

In cinque secondi, in cui lui finisce di fumare, il nodo è di nuovo ben stretto e Talia ritira la gamba mentre lo vede rialzarsi con una veloce spolverata alle ginocchia, coperte da dei pantaloni chiari.
“Ecco fatto!” lo sente dire, soddisfatto e rassicurante mentre getta il mozzicone in un posacenere sporgente dalla parete; subito dopo, la campanella annuncia l’arrivo dell’ascensore.
La fine di un viaggio che a Talia è sembrato lunghissimo.
Lui esce dalla cabina con passo elastico, dopodiché esita e si volta verso di lei, rimasta indietro, imbambolata a fissarlo, senza sapere cosa fare.
Passa qualche istante, poi la esorta sorridente: “Vieni, esci!” tendendole una mano.
Talia vorrebbe rimanere al sicuro dentro l’ascensore, ma vuole anche continuare a farsi rassicurare dal ragazzo sconosciuto.

“Non fare l’incosciente”
si intima tra sé e sé.

Ma poi le porte si spostano per richiudersi, e lei balza fuori come un coniglio in fuga, dritta dritta davanti a lui, che ridacchia piano.
“Appena in tempo!” commenta allegro prima di piegarsi leggermente in avanti, così da poterla vedere bene in faccia.
Lo vede tornare gradualmente serio, così tenta di ricomporsi anche lei, passando un’altra volta il fazzoletto sotto gli occhi, ancora lucidi e arrossati.
“Va un po’ meglio adesso?” le chiede con gentilezza.
L’altra annuisce, intimorita e incuriosita dalla sua vicinanza.
Lui socchiude appena gli occhi in un’espressione simpatica e si informa: “Come ti chiami?”
Lei esita, deglutisce nervosamente mentre contorce il fazzoletto rosso tra le mani.
“… Talia” risponde infine con un filo di voce, ma il suo sguardo resiste, vuole vedere se continua a sorriderle.
E infatti lo fa. Addirittura le porge la mano destra.
“Ciao, Talia. Io mi chiamo James.”

***

Alcuni piccoli aneddoti:

Talia prende il proprio nome dall'attrice Talia Shire (la famosa Adriana di "Rocky"); ho un poster gigante sulla porta della mia stanza, raffigurante una delle locandine di "Rocky" con tanto di nomi di cast, regista, produttori e quant'altro... e Talia suonava davvero bene per la mia creatura :)

Il titolo della FF si ispira liberamente dalla canzone dei Led Zeppelin, "Ramble on" (né lei, né loro, mi appartengono *sigh*). Poi capirete perché!

   
 
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