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Autore: Hi Ban    12/12/2011    3 recensioni
Sentì la porta chiudersi dietro di lei e si chiese soltanto perché.
Perché tutto fosse destinato a terminare quella notte, perché tutto aveva smesso di esistere in un attimo, senza che lei avesse avuto il tempo di accorgersene. Perché quel mondo che le sembrava così irrimediabilmente sbagliato era quello reale, quello in cui, per anni, aveva vissuto ad occhi chiusi senza rendersi conto di quanto tutto fosse triste, doloroso e pericoloso. Perché la sua vita non era una favola, ma era una macabra storia su cui stavano calando tenebre e oscurità.
Perché.
Non venne mai nessuno a darle una risposta.
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Fullmoon



She should not lock the open door
(run away, run away, run way)
Fullmoon is on the sky and He's not a man anymore
See the change in Him but can't
(run away, run away, run away)
See what became out of her man... Fullmoon.

[Fullmoon – Sonata Arctica]





Hinata aveva corso senza fermarsi un attimo fino a casa di Kiba e l’unica cosa che c’era nella sua mente era il desiderio di giungere fino dagli Inuzuka. Sapeva di aver tenuto un pessimo comportamento in presenza del padre e che una volta tornata a casa quella sera Hiashi non gliel’avrebbe fatta passare liscia, ma in quel momento l’unica cosa che le importava era allontanarsi dalla tenuta degli Hyuuga. In verità, una parte di lei si sentiva quasi in colpa per l’atteggiamento avventato che aveva tenuto, ma ormai era tardi per ripensarci ulteriormente. Con uno sforzo immane relegò in un angolo della sua mente quella piccola parte di lei che continuava a chiedersi se sua madre non avesse avuto altre motivazioni – come l’affetto e non l’apparenza – per fermare la figlia quel pomeriggio.
Con il petto che doleva e la testa che sembrava in procinto di scoppiare, Hinata rallentò la sua corsa fino a fermarsi davanti ad un grande portone di legno scuro. Si appoggiò sulle gambe che sentiva deboli come non mai. Se possibile avrebbe preferito non arrivare mai più a correre con tanta lena, il risultato faceva tanto male nel ricordo anche quando iniziava a svanire.
La tenuta degli Inuzuka era davvero molto vasta; non ci viveva solo una famiglia, ma praticamente tutti; era un sorta di cascina e tutti erano legati in quel punto. Non aveva mai ben capito perché; gli Hyuuga, per esempio, benché vantassero un’unità familiare priva di falle, non abitavano nella stessa struttura, come un unico grande quartiere. Nella stessa zona, quello sì, ma non più di così. Era come se gli Inuzuka avessero tenuto quelle usanze tipiche dei clan – cosa che vantava di essere in epoche precedenti – e che perciò vedeva tutti i membri legati tanto gli uni agli altri da dover condividere lo stesso territorio. Vivevano in case diverse, certo, ma queste erano tutte vicine.
Anche quella era una cosa molto criticata – «Sembrano un branco. E chi è che sta in branco? Un lupo, in branco con altri lupi!» –, ma ad Hinata piaceva. Tutto dava davvero un senso di unità e non era solo apparente come quella che era abituata a conoscere lei.
Sobbalzò per lo spavento quando sentì contemporaneamente un rumore di passi secchi alle sue spalle e il cigolio del vecchio portone che si apriva.
Davanti si trovò la faccia sorridente di Kiba, ma voltandosi incontrò dei volti a lei sconosciuti.
«Ehi, finalmente sei arrivata! Akamaru era… oh, merda» borbottò, portando immediatamente la sua attenzione sulle tre persone dietro ad Hinata. In uno scatto si portò affianco alla giovane a fronteggiare coloro che erano appena arrivati.
Hinata sapeva cosa volevano, non era di certo la prima volta che un comizio di poche persone fronteggiava con velenose accuse un membro di quella famiglia. I pregiudizi erano più facili da sbandierare che andare in cerca della verità.
Guardò di sottecchi Kiba, trovandolo intento a fissare ad occhi socchiusi i tre uomini e vi lesse quella che era palese scocciatura; più volte si lamentava di quegli ‘attacchi’ subdoli come una grande perdita di tempo ed era vero; all’Inuzuka non davano reale fastidio, più che altro lo scocciavano.
Dalla sua parte, infatti, il ragazzo aveva la verità. Sapeva di non c’entrare nulla con le morti, nessuno della sua famiglia aveva a che fare con i lupi e perciò nessuno poteva avanzare accuse.
«Mi pare che abbiate già detto abbastanza a mia sorella oggi» li schernì con il solito sorriso malandrino, ma c’era rigidità nei suoi movimenti.
A quanto pareva per quel giorno i tre si erano già fatti vedere dagli Inuzuka, convenne Hinata, già piuttosto preoccupata per la piega che avrebbe potuto prendere la situazione.
«Evidentemente non siamo stati abbastanza chiari» disse burbero, con l’aria di chi sa tanto da poter stare su un gradino più su rispetto agli altri.
«Hana veramente ha fatto capire molto bene al vostro amico l’importanza che hanno i gioielli di famiglia» e qui non poté non esordire anche con una risata piuttosto divertita.
Hinata non riuscì proprio a non immaginarsi la scena descritta da Kiba, perché conosceva abbastanza Hana e sapeva che era davvero una ragazza in grado di fare una cosa del genere. Più volte, per prendere in giro il fratello e metterlo in imbarazzo, aveva detto ad Hinata che era inutile cercare virilità in Kiba: le palle che non erano state date a lui le aveva lei.
Secondo Hinata quella ragazza era davvero un mix di forza ed eleganza; anche Kiba le voleva bene, benché più volte si lamentasse di lei. Tipico di ogni fratello che si rispetti.
I tre parvero irritarsi molto alla sua ultima insinuazione e sembravano pronti a scagliarsi contro Kiba. «Ve lo ripetiamo ancora, magari prendete il suggerimento sul serio; andatevene subito o finirete bruciati insieme ai vostri cagnacci» ringhiò e Kiba fremette.
Hinata sussultò; quelle minacce erano rudi e volgari, inudibili e la cosa che la sconvolgeva maggiormente, oltre alla reale possibilità che fosse fatta un’azione avventata, era il fatto che qualcuno avesse realmente detto una cosa del genere. La paura a quel punto non era più una scusante, benché fossero in un’era moderna tutto quello che stava accadendo dimostrava ampiamente il contrario. Le minacce, i pregiudizi così tendenziosi e la necessità di scaricare il peso su qualcun altro, tutti segni di una mentalità chiusa e spaventata.
«Uno di quei cani potrebbe venire a mordervi il culo se non ve ne andate!» sbottò con rabbia e Hinata, senza nemmeno pensarci, poggiò una mano sul suo braccio, come a voler contenere la sua rabbia.
«Kiba-kun…» mormorò, mentre lui si voltava verso di lei, con un sorriso allegro sul volto, nettamente in contrasto con quanto appena detto e al tono.
«Non è ingraziandoti una Hyuuga che risolverai la questione» gli fece presente con odio l’uomo a sinistra di quello che aveva parlato fino a quel momento. L’altro non aveva ancora aperto bocca. «Io non mi sto ingraziando nessuno.»
«In più lei non è nemmeno una vera Hyuuga, è lo scarto» asserì velenoso uno dei tre.
Quelle parole colpirono come una frustata Hinata, ma a reagire con veemenza fu Kiba, che sembrava averne risentito anche di più.
«Brutti bastardi!» iniziò con il chiaro intento di lanciarsi contro di loro, che indietreggiarono, colpiti da quello scatto.
Hinata fu quasi tentata di chiudere gli occhi per evitare di vedere.
«Sta’ fermo, razza di idiota! Possibile che fai sempre di testa tua?»
La mano affusolata di Hana Inuzuka si poggiò con forza sulla spalla del fratello, che si voltò sorpreso; presa com’era dall’osservare con terrore quanto stava per accadere, Hinata non si era accorta del suo arrivo.
«Hana! E tu che ci fai qui?» Kiba sembrava quasi offeso.
«Sono venuta a fermare una testa di rapa che sa solo fare cose stupide» lo rimbeccò secca, voltandosi poi verso la Hyuuga e sorridendole con calma.
«Ciao, Hinata! Ho fatto i dolci alla cannella!» esultò, come se la cosa più importante in quel momento fosse quella.
Aveva, in un singolo e solo attimo, alleggerito la tensione che c’era nell’aria, tanto che ora al posto delle urla irate di Kiba c’erano solo i suoi lamenti sommessi per l’arrivo di Hana – tempestivo e azzeccato, secondo Hinata.
«Me la sarei cavata anche da solo» le fece presente con un cipiglio rabbioso.
«Oh, certo, saresti riuscito a far svenire Hinata per l’ansia, quello è sicuro» disse e vide Kiba arrossire; sul volto della ragazza si era disegnato lo stesso ghigno che spesso assumeva l’Inuzuka. Malandrino, ma meno arrogante di quello del fratello.
«E voi, perché non ve ne andate semplicemente? Non vorrei evirare qualcun altro, ma se la situazione lo richiede…» e con un gesto della mano fece intendere che beh, lo avrebbe fatto così come aveva messo ko l’altro loro compare.
Incuteva anche un po’ di timore, pensò Hinata; i tre borbottarono qualcosa e l’unica cosa che giunse alle orecchie dei tre fu un «bestie».
Kiba fu nuovamente pronto a lanciarsi sui tre, che ora erano di spalle, intenti ad andarsene, ma Hana gli mollò uno scappellotto anche piuttosto forte.
«Si può sapere che ti prende oggi? Sei un incosciente!»
«Se li avessi sotto mano gliela farei vedere io!» ribatté fiero di sé, ignorando la sorella.
«Le loro sono solo parole senza fondamento, devi lasciarli perdere. Non è aggredendo tutti che passeremo inosservati e poi se non abbiamo colpe di che dobbiamo preoccuparci?»
Lui non rispose e la ragazza continuò: «Non ci sono state più aggressioni da qualche settimana, probabilmente di questo passo inizieranno anche a scemare le voci.»
«Non è questo il punto, Hana! Attaccano spesso anche mamma e papà! Non hanno il diritto di chiamarci bestie e poi–»
Hinata, benché fosse una discussione tra i due e lei non c’entrasse nulla, decise di intervenire, completamente d’accordo con Hana. Non voleva che Kiba si cacciasse nei guai. Anche se non poteva comprendere appieno il loro stato d’animo in relazione a quanto stava accadendo voleva arginare la rabbia dell’Inuzuka e convincerlo a desistere dall’attaccar briga a destra e a manca.
«Hana ha ragione, Kiba-kun… cioè, non hanno prove… non metterti nei guai per delle cose non vere» terminò, abbassando lo sguardo quando non riuscì più a reggere quello forte di Kiba su di sé.
Lo aveva forse fatto arrabbiare con ciò che aveva detto?
«Aaaah, Hinata! Senza te e Akamaru sarei perso!»
In un attimo, la Hyuuga si ritrovò stritolata in quanto di più simile ad un abbraccio Kiba riuscì a simulare e non poté non spalancare gli occhi, completamente sorpresa. Racchiusa in quella morsa, senza potersi muovere, percepiva la risata di Kiba risuonare nel suo petto e comprese che ora non c’era più ira nelle sue intenzioni.
«Ah, quanto siete melensi! Kiba, levati dai piedi e va’ a fare qualcosa di utile, io mi prendo Hinata e la salvo da un troglodita come te» borbottò con finta acidità, strappando la Hyuuga dalla presa di Kiba, che assunse involontariamente l’espressione di un cagnolino a cui hanno tolto l’osso di gomma preferito.
«Ma io avevo fatto venire Hinata per farla stare con me!»
«E invece starà con me che non la vedo da un sacco! Tu la vedi a scuola ogni santo secondo, sarà stanca di vedere la tua brutta faccia» lo rimbeccò con un’occhiataccia.
Hinata se ne stava in mezzo ai due che discutevano esattamente come fratello e sorella; in cuor suo non poteva negare di sentirsi felice a quelle attenzioni che le dedicavano, tanto da contendersela, seppur per gioco.
«Smettila di rompere e vai a pulire la cacca dei cani» così dicendo prese Hinata e se la trascinò via, mentre la giovane Hyuuga biascicava un saluto all’indirizzo dell’amico.
Lo lasciarono indietro fuori dal cancello mentre borbottava qualcosa come «ma l’hai vista ieri». Per fortuna, in un baleno giunse a fargli compagnia il fedele Akamaru.


***


Hinata aveva passato un gran bel pomeriggio a casa Inuzuka quel giorno, tanto da dimenticarsi per tutto il tempo trascorso con quella famiglia i problemi che si era lasciata dietro con la propria. Non voleva pensarci, non mentre mangiava i dolci di Hana, non mentre Kiba faceva incursioni in casa per scherzare con lei e infastidire la sorella. Non mentre si trovava a discutere di cose normali come la scuola, i voti, le vacanze natalizie e tutto tranne di ciò che stava accadendo. Non avevano più parlato di quanto successo fuori, eccetto per un breve e dettagliato racconto su come sempre quei tizi avessero infastidito Hana al ritorno dalla clinica veterinaria dove lavorava al centro di Konoha e lei gli avesse dato il ben servito di cui aveva già sentito parlare.
L’avevano invitata a fermarsi a casa loro per cena e aveva accettato con risolutezza e senza prima aver detto di voler avvertire qualcuno; gli sguardi che le avevano lanciato Kiba e Hana l’avevano fatta sentire tremendamente strana e quel qualcosa che si agitava dentro di lei si era fatto più palese. Si sentiva in colpa per il comportamento che continuava a tenere, ma erano successe troppe cose in un solo giorno e lei aveva fatto delle scelte di cui certamente non si pentiva, ma semplicemente doveva ancora assimilare. Era anche la prima volta che si fermava a cena a casa loro, benché vi passasse la maggior parte dei pomeriggi.
«Brava Hinata! Finalmente fai vedere chi sei!» aveva ululato Kiba in risposta e da li sembrava aver avuto inizio una catena di eventi che aveva portato fino alla silenziosa cena che stavano consumando in silenzio quella sera.
«Fa bene a ribellarsi a Hiashi, ma di certo non deve diventare una pazza spericolata come te! Stare con te la travierà verso il male!» aveva sbottato seccata Hana, mentre iniziava a preparare la cena.
Kiba, di rimando, seduto su una delle sedie intorno al tavolo accanto ad Hinata aveva sbuffato sonoramente: «Anche tu con ‘sta storia? Io non travio nessuno, Hinata ha una sua testa! Io la indirizzo solo verso scelte più consone!»
«Certo, costringerla è proprio sinonimo di indirizzare!»
Mentre l’ennesimo battibecco prendeva piede, Hinata si era sentita in dovere di rassicurar Kiba, felice di ciò che aveva detto su di lei. Il suo modo di esprimersi non era mai propriamente aulico, forse non sceglieva le parole giuste e tutto il resto, ma riusciva sempre a rincuorarla o spronarla con pensieri anche piuttosto profondi.
«Non dovresti dare ascolto a Shino» disse quasi incerta, con un tono di voce calmo e pacato. Hana smise di tagliare le verdure e per poco non fece cadere il coltello per terra.
«Shino chi?» chiese in tono tagliente e circospetto.
«Aburame, scema, quanti Shino conosco? Sai, quello con gli occhiali e che sembra uno stalker maniaco…» soffiò con fare annoiato, mentre prendeva a distruggere la tovaglia, sfilacciandola.
«So chi è» il tono seccato che utilizzò fece distogliere l’attenzione di Kiba dal suo passatempo.
«Si può sapere che ti prende?»
«Stanne alla larga» asserì semplicemente e subito dopo si pulì velocemente le mani sullo strofinaccio e fece per uscire dalla stanza. «Devo parlare con mamma o papà» ripose alle occhiate confuse e confuse dei due rimasti nella stanza.
«Non ci sono, sono a Suna per non so bene quale cagata, non te l’hanno detto?»
Lei aveva per metà imprecato sotto lo sguardo di Hinata e Kiba; il secondo sembrava particolarmente intento a studiare ogni movimento della sorella, come se da esso potesse comprendere cosa la turbasse. Hinata, dal canto suo, aveva ipotizzato che non voleva parlasse con lui visto che gli Aburame erano più o meno a capo di coloro che sostenevano che il lupo che uccideva la gente nei boschi di Konoha avesse a che fare con gli Inuzuka.
Ricordava anche che, tempo prima, suo padre aveva argomentato la sua posizione in merito – contro la famiglia di Kiba – affermando che un cane non era poi tanto dissimile da un lupo e un cane mal addestrato poteva divenire facilmente selvaggio. Aveva anche detto che nessuno sapeva quanti cani potessero allevare in quella loro grande cascina fuorimano, ma Hinata una volta ci era andata. Con Kiba. C’erano solo cani normali e giocosi che venivano allevati dalla famiglia, per poi venire venduti o regalati.
Nulla di più.
Da quel momento in poi la discussione si era limitata a monosillabi e poco prima di cena Kiba e Hinata erano andati a fare una passeggiata nella loro tenuta dietro la casa.
Fuori il tempo non sembrava voler migliorare e man mano che le ore passavano il cielo si faceva sempre più buio. Alle otto, quando raggiunsero Hana per la cena, era già completamente buio, ma i nuvoloni impedivano alla luna e alle stelle di essere viste.
«Hana, vuoi dirmi che diavolo ti prende?» sbottò ad un tratto, mentre tutti e tre se ne stavano intorno al tavolo a mangiare le pietanze cucinate dalla maggiore degli Inuzuka.
Lei portò la sua attenzione su di lui e lo guardò come se non capisse; Hinata, così come Kiba, vide immediatamente quella luce guardinga negli occhi dell’Inuzuka.
«Perché hai reagito così quando ho detto di Shino?»
Diretto e conciso, tipico di Kiba.
Lei strinse le labbra e fece tintinnare la forchetta nel piatto, soppesando parole che sembravano difficili da pronunciare.
«Perché sai che la loro famiglia non ci vede di buon occhio.»
«Non lo hai forse detto tu che non è importante quel che dicono?» le chiese di rimando, con un mezzo sorriso pregno di un’ironia passiva.
«Non è un buon motivo per frequentare gente che la pensa così» asserì con un tono che voleva far intendere che la questione era chiusa lì.
Evidentemente Kiba non la pensava allo stesso modo e riprese a parlare, mentre Hinata occupava il suo posto in silenzio e con gli occhi che scattavano da un’Inuzuka all’altro. Si sentiva quanto mai un’esclusa e quella sensazione di disagio prendeva sempre più piede in lei.
«Eravamo amici una volta, io e lui» le fece presente, come se ciò avrebbe cambiato le carte in tavola.
Hana non rispose, ignorando il fratello che la osservava in attesa e continuando a mangiare.
Intanto la Hyuuga si chiedeva come mai il nome degli Aburame fosse destinato a uscire spesso nelle discussioni di quel giorno; avevano un ruolo importante in qualche questione, ma qualcosa le diceva che andava ben oltre i possibili pregiudizi verso gli Inuzuka.
Non ricordava nemmeno che i due fossero stati amici, ma per quanto ne sapeva erano anni che non si parlavano; Hinata addirittura credeva che non si conoscessero.
«Non lo so Kiba!» scattò allora, stanca di dover sottostare a quella pressione psicologica messa in atto dal fratello, con l’intento di farla parlare. «Chiedi a mamma e a papà, loro me lo hanno detto!»
«Tu per caso li vedi in casa?»
«Ovvio che no, stupido, aspetta che tornino e rompi le scatole a loro!» era esasperata, si capiva benissimo, ma in quelle ultime poche battute sembrava essere tornata una calma che prima era stata annientata dalla tensione portata dall’argomento.
Continuarono con le loro frecciatine durante tutta la cena, ma non ripresero l’argomento; così come era iniziato – di colpo – era finito. Di tanto in tanto chiamavano in causa la Hyuuga e il resto della serata passò tranquillo e in totale calma.
Verso le nove, Hana annunciò di avere da fare alla clinica; il proprietario di un cane aveva chiamato, reclamando l’aiuto di una veterinaria. La Inuzuka non se lo era fatto ripetere due volte, affermando che avrebbe fatto piuttosto tardi. Ad Hana non dispiaceva particolarmente fare i turni di notte né dover stare a lavorare fino ad orari improponibili; salvo rare eccezioni, il suo lavoro la soddisfaceva veramente e non aveva motivo di lamentarsi.
«Non distruggere la casa o ti farò scavare la tua tomba con i denti» lo minacciò prima di uscire e ricordando ad Hinata per l’ennesima volta il luogo in cui poteva trovare i suoi dolci.
«Che racchia, portati un ombrello, altrimenti poi ti bagni e rompi le scatole per un’intera settimana» le fece presente svogliatamente, mentre faceva zapping alla televisione, seduto in maniera piuttosto stravaccata di fianco ad Hinata.
Quella sera si sentiva davvero molto stanco.
«Uh, è vero, è davvero nuvoloso. Non si vede nemmeno una stella!» si lamentò; detto ciò, prese ed uscì. In casa rimasero solo loro due, in una stanza illuminata soltanto dal bagliore colorato dei vari canali che Kiba faceva passare svogliatamente uno dopo l’altro.
«Cavoli, ‘sta sera sono davvero distrutto!» ed esordì in un sonoro sbadiglio, seguito subito dopo da quello di Akamaru, accucciato ai suoi piedi.
«Se vuoi vado» gli fece presente con una punta di imbarazzo nella voce.
Fino a quel momento non ci aveva fatto particolarmente caso, non davvero perlomeno, ma aveva davvero passato la serata fuori casa senza avvertire nessuno; ora era notte, completamente buio e tornare a casa da sola forse sarebbe stato un problema. Non si era mai azzardata a dire di essere una ragazza coraggiosa, anzi. Il minimo rumore, anche quello più giustificabile, se sentito nel momento sbagliato poteva avere effetti devastanti.
«Non dire idiozie! Non devi darla vinta a quel capellone! Se vuoi possiamo anche mandargli dei biglietti minatori in cui diciamo che i cattivi Inuzuka, mezzi lupi mezzi cani, hanno rapito la tenera Hinata che ora…» e qui abbassò la voce, per dare più pathos alla situazione.
La Hyuuga attese di sentire la fine della frase; sapeva che da Kiba non poteva aspettarsi nulla di serio. «… che ora sta digerendo un pasto cucinato dalla donna-lupo-cane Hana Inuzuka! Anche mezza racchia, ma forse lei l’hanno scambiata all’ospedale prendendo le sue piume da corvaccio per dei peli di cane…» aggiunse pensieroso, mentre Hinata sorrideva.
Senza Kiba non sapeva proprio come avrebbe potuto fare per passare le sue giornate senza sprofondare nella tristezza. Forse non tutti riuscivano a comprendere il ragazzo, ma ogni cosa che usciva dalla sua bocca aveva il potere di risollevare l’umore di Hinata, di farla ridere e distrarre.
«Kiba-kun… davvero tu e Shino siete stati amici?» chiese ad un tratto Hinata, portando a galla quello che era stato il suo chiodo fisso per tutta la serata.
Lei, prima di incontrare Kiba, non aveva mai interagito quasi con nessuno, si era semplicemente limitata a guardare da fuori, osservando qualcosa che non riusciva a raggiungere. Kiba lo aveva visto alcune volte, ma non vi aveva mai davvero fatto caso. Non sapeva nulla riguardo alle sue precedenti amicizie e, per quanto riguardava quelle attuali, praticamente passava tutto il suo tempo con lei, ma sapeva che in classe aveva stretto amicizia con Naruto Uzumaki.
Non sapeva altro.
Kiba la guardò per un attimo, prima di riportare la sua attenzione sulla televisione davanti a lui. Era stato per un singolo attimo, ma nei suoi occhi solitamente ironici e indagatori aveva letto una nota di quella che la Hyuuga aveva riconosciuto come malinconia.
«Eravamo amici all’asilo, poi per un po’ nel periodo delle elementari, ma dopo ha smesso di parlarmi» denocciolò brevemente, senza mettere particolare enfasi o sentimento in ciò che diceva. Sembrava non importargli nulla di ciò che aveva detto, ma Hinata lo conosceva da tempo e sapeva che mentiva.
Era qualcosa che lo disturbava ancora in qualche modo; strinse le labbra, dispiaciuta di aver portato a galla questioni che per lui erano fonte di tali sensazioni.
«Ehi, perché quella faccia? Non è mica morto nessuno! Semplicemente i suoi amati insetti saranno stati allergici al pelo di cane e chi non metterebbe dei moscerini prima di un amico?» sghignazzò, tentando di alleggerire la situazione.
Non poteva ingannare Hinata, perché il latrato che in quel momento stava spacciando per la sua solita risata allegra non raggiungeva neanche gli occhi e quello diceva tutto.
«Mi dispiace…»
Era vero, era davvero ciò che provava Hinata, ma in quel momento si sentiva particolarmente stupida; voleva esprimere conforto per l’amico, fargli capire che era dalla sua parte, che lei c’era, ma non sapeva quali parole usare. Non sapeva come esprimersi, come gestire quella situazione e come comportarsi da amica. Riusciva a dire un semplice ‘mi dispiace’, sia per la sua situazione con Shino sia per quanto stava succedendo in quel periodo.
«Dai, su, è storia vecchia. Era ovvio che sarebbe successo, ha smesso di rivolgermi la parola nel periodo in cui ci sono state le prime aggressioni. Poteva, da buon Aburame, parlare con uno dei membri della famiglia che si tiene un lupo buono buono sotto al letto?»
La risata era scomparsa e nel suo tono c’era solo una vaga rassegnazione.
«Su, che sarà mai? Ci sei tu adesso! » Così dicendo, mentre Akamaru abbaiava festoso, fece per avventarsi su di lei, già con le guance rosse per l’imbarazzo, ma si fermò subito dopo: «Non è che sei allergica al pelo di cane, vero?» Il sopracciglio inarcato e l’espressione seriamente incuriosita, come se quella fosse una questione a cui era necessario trovare risposta, fecero ridere Hinata che esordì con un suono basso e misurato.
«Aaaah, Hinata, sei tenera come un cucciolo!» disse abbracciandola finalmente, scuotendo anche Hinata con la sua risata fresca a potente.
Rimasero a parlare a lungo, di cose che non avevano il minimo nesso tra di loro, senza rendersi conto che il tempo passava.
Da casa di Hinata non si era fatto sentire assolutamente nessuno, ma la Hyuuga sapeva che era giunto il momento di tornarci. Volente o nolente quella era davvero una cosa che andava fatta e non poteva evitarlo.
«Credo sia ora di andare» pigolò ad un tratto, mentre Kiba e Akamaru improvvisavano un valzer in mezzo alla camera dell’Inuzuka. Il cane arrivava giusto alla testa del padrone, tanto che si divertiva a fare un passo avanti, uno indietro e tre leccate in faccia a colui che gli stava davanti.
«Cosa? Ahia, Akamaru! Ti ho detto che lo schema è un-due-tre, un-due-tre, non leccata-un-pestata-due-altra-leccata-tre! Perché a casa?» disse, questa volta rivolto alla ragazza.
«Beh… è tardi, dovrei andare davvero. Ci vediamo domani» aggiunse quasi a mo’ di scusa, viste le due facce abbacchiate che la osservavano – una, in verità, era un muso.
«Resta un altro po’! Tanto Hiashi non ha ancora mandato la cavalleria e poi il lupo non lo sguinzaglio fino a mezzanotte!»
«Sono le undici e quaranta, Kiba-kun» gli fece bonariamente presente, alzandosi dal letto e andando incontro alla coppia di ballerini.
«Ah. Merda. Ok, se proprio ci tieni ad andare ti accompagno però» asserì e quella non era certo una proposta.
In nessun caso Hinata si sarebbe sognata di rifiutare. Poi, tra l’altro, Kiba era solito riaccompagnarla a casa anche quando da lui passava solo il pomeriggio, la sera era scontato che avrebbe offerto la sua compagnia.
«Su, Akamaru, adesso si fa la passeggiata delle undici e qualcosa!» Akamaru abbaiò e il padrone ululò qualcosa.
Hinata e Kiba si avviarono verso la porta, quando qualcosa vibrò nell’aria, come una secca frustata che si abbatté sui due.
In quello stesso istante, l’Inuzuka si fermò di colpo, una mano in prossimità del petto, gli occhi spalancati e quasi spaventati. Akamaru guaiva in direzione del padrone.
«Kiba-kun…? Cosa…» Hinata era spaventata da quell’improvvisa reazione, non sapeva cosa dire né cosa fare.
Il ragazzo era ancora fermo ed immobile al centro del soggiorno, mentre il respiro si faceva più affannato. Non parlava, non si muoveva, ma stringeva convulsamente la mano all’altezza del cuore, stropicciando la maglia scura.
«Cosa sta succedendo?» chiese, riuscendo a far uscire quelle parole che sembravano bruciarle la gola. Si sporse verso di lui, ignorando i fremiti che stavano scuotendo anche lei. C’era qualcosa che non andava, Kiba non stava bene ed era qualcosa di grave; anche Akamaru lo aveva intuito e guaiva. Si muoveva freneticamente dal padrone alla porta, come se volesse dire qualcosa, ma Hinata era troppo presa da quanto stata accadendo per farvi caso.
Kiba continuava a non rispondere e lei era sempre più in preda al panico. Cosa gli stava succedendo?
«Kiba-kun…» sussurrò, mentre stringeva una mano intorno a quella libera del ragazzo. Era quasi un lamento, il suo, che rivelava la sua angoscia relativa al non poter aiutare l’amico.
Intanto le sue condizioni non sembravano migliorare; era sempre immobile, gli occhi fissi sul pavimento, ma non sembravano realmente vedere.
«Hi-Hinata» gridò quasi ad un tratto, con una voce strozzata che fece tremare tutto della ragazza.
Lei sobbalzò violentemente al suo urlo e in quel momento credé davvero che il suo cuore non avrebbe retto.
«Hinata. Va’… va’ ora» le sussurrò in un mormorio pieno di sofferenza.
Hinata si impose di calmarsi, ma la vista le si era già appannata di lacrime, tanto era la sua disperazione. Non c’era più tempo per chiedere chi o cosa, stava accadendo tutto troppo velocemente e Kiba stava davvero male, era l’unica cosa che capiva. Si rese conto che ad essere scossa dai tremiti violenti non era solo lei.
Di colpo Kiba si accasciò a terra, in un movimento rigido e pesante, tanto che risuonò nella stanza. Akamaru a quel punto uggiolava rumorosamente e sembrava soffrire davvero con il padrone.
Hinata non riusciva a capire nemmeno il senso delle parole appena pronunciate da Kiba; non avevano senso, perché doveva andarsene e lasciarlo solo ora che soffriva?
Si inginocchiò al suo fianco, muovendo le mani in gesti frenetici e sussultanti, ma senza sapere neanche lei cosa fare.
«Dimmi come posso aiutarti» lo pregò, mentre tentava di fermare le sue lacrime. Quelle, di certo, non sarebbero servite a nulla.
Lui ormai si era riversato a terra, su se stesso, la mano stringeva quella piccola di Hinata convulsamente e tra un lamento e l’altro le intimava di andarsene.
Akamaru abbaiava all’impazzata e si era portato al fianco del padrone.
«Devo… de-devo chiamare Hana, lei saprà…» Non riusciva a convincere nemmeno se stessa. Cosa poteva fare, Hana?
Sembrava troppo critica quella situazione, disperata e priva di sbocchi per risolverla. Kiba ormai gridava, Akamaru assordava Hinata con i suoi latrati e lei, nel piccolo soggiorno di casa Inuzuka implorava qualcuno nella sua mente affinché potesse aiutare l’amico.
Ad un tratto tutto cessò. Kiba smise di contorcersi, i respiri si calmarono leggermente e allentò di poco la stretta sulla mano della ragazza. Comunque non si alzava, stava fermo e Hinata era ancora più preoccupata di prima.
Il cane uggiolò, quasi sorpreso anche lui.
«Hinata… va’, ti… ti prego» disse nuovamente e dalla sua voce trapelava il dolore, come se quelle parole fossero troppo per lui.
Come se l’atto del parlare non fosse possibile; la voce era roca e flebile, quasi ruvida.
Quasi inumana.
«Kiba-kun, come posso… tu stai male, non posso andarmene!» esordì con un singhiozzò, sconvolta e al limite di tutto.
Lei non capiva più nulla; ogni cosa sembrava essere sprofondata in un baratro nero e loro due sembravano completamente sommersi dall’oblio. Il Kiba scherzoso di prima non c’era più, la calma era stata squarciata senza preavviso e in un momento di totale silenzio Hinata si rese conto di avere paura. Aveva tanta paura che non riusciva nemmeno a muoversi.
Kiba ad un tratto fece un rigido movimento in avanti, secco; urlò di nuovo e le grida erano tanto forti che si chiese come mai nessuno fosse venuto a controllare.
I suoi parenti forse dormivano e, benché le case fossero relativamente nello stesso territorio, a loro, in fin dei conti, non potevano giungere più che come un rumore molesto.
La casa di Kiba, inoltre, si trovava un po’ più indietro rispetto alle altre proprio perché la sua famiglia gestiva personalmente una piccola e modesta cascina, più che altro un capannone, in cui avevano anche altri animali.
«Scappa!»
C’era disperazione in quell’urlo e in un attimo, mentre Hinata si alzava di scattò guidata unicamente dalle gambe, i tasselli di quell’enigma presero disposizione nella sua mente.
Gli era tutto piuttosto chiaro e, se possibile, aveva ancora più paura. Di urlare, anche.
«Kiba-kun…» soffiò con terrore, mentre lo vedeva stringersi le braccia intorno a sé, come a volersi proteggere da quel dolore che lo opprimeva.
«Dimmi come posso aiutarti» era una richiesta annegata in tutto il dolore che provava Hinata e la voce non risultava più di un flebile sussurro. Kiba lo sentì e voltò appena la testa verso di lei.
I capelli, già di solito scompigliati, erano maggiormente arruffati e, anche se le era permessa la vista di solo un quarto del volto dell’amico, la Hyuuga comprese che era madido di sudore.
«Non puoi… Hinata» ammise con fatica, mentre respirava con affanno.
In ogni singola parola da lui pronunciata si poteva percepire la consapevolezza di Kiba relativa a quanto stava accadendo.
«Non è vero, io… chiamo aiuto, posso…»
Sussultò quasi sconvolta, Hinata, quando lo sentì tossire una risata smorzata.
«Ti ringrazio, Hinata, ma…» Il braccio su cui poggiava gran parte del suo peso per poter stare sollevato dal pavimento non resse e un sonoro crac accompagnò la caduta di Kiba.
Farfugliò qualcosa, ma non tentò di riportarsi su. In quelli che alla Hyuuga parvero secoli, fece in modo di potersi voltare verso di lei, gli occhi serrati a causa del dolore.
Fremeva come se fosse arso dalla febbre.
«Il lupo… il lupo sono io… Hinata» sussurrò tra la sofferenza e l’affanno.
Di scatto apri gli occhi e li puntò su Hinata. La giovane fu certa come non mai che il suo cuore in quel momento avesse perso un battito.
Le pupille dilatate erano sfere nere e il bianco dell’occhio era irritato, i capillari non avevano retto e ora il rosso faceva da sfondo a quello scuro colore che sembrava il peggior cielo da tempesta notturno.
Kiba, prima di emettere uno straziante urlo, gridò ad Hinata di fuggire.
Con le lacrime agli occhi si lanciò di volata verso la porta, spalancandola e buttandosi letteralmente fuori.
Alta in cielo, una luna piena maestosa e argentea sembrava starsene lassù con aria di sfida. Le nuvole si erano diradate per lasciare spazio a quella sfera chiara e lucente. Toccava a lei, ora, decidere le sorti di chi stava sotto i suoi pallidi raggi.
Hinata si lanciò uno sguardo alle spalle, tremante e con la mente poco lucida. Non sapeva cosa fare, ma quando intravide cosa stava accadendo nel soggiorno che aveva appena lasciato a pensare per lei fu l’istinto di sopravvivenza che non credeva nemmeno di avere.
Non pensava che una cosa del genere sarebbe potuta realmente accadere, una trasformazione tanto brutale che Hinata non riuscì a togliersi quelle immagini dalla mente.
Ciò che aveva visto era Kiba, il suo Kiba-kun, trasformarsi in qualcosa che di umano non aveva più nulla. Forse sotto quel radicale cambiamento esteriore, sotto le zanne e gli artigli taglienti, il pelo irsuto e gli occhi famelici che la osservavano, c’era ancora l’Inuzuka umano di qualche ora prima, ma non riusciva proprio a vederlo. Tutto era impresso a fuoco nella sua mente e stentava a credere a quella possibilità; i rantoli affannati, lo stridente rumore degli artigli che si facevano strada sul pavimento, il brutale schiocco di qualcosa che andava in frantumi sotto il peso del cambiamento.
Iniziò a correre a perdifiato, ignorando le fitte all’addome, le gambe che sembravano sul punto di cedere, la gola che doleva e il freddo che le si abbatteva addosso come frustate violente. Non seppe nemmeno lei perché, ma aveva iniziato a correre dentro il boschetto dietro la casa di Kiba, probabilmente il primo posto che aveva individuato; altre lacrime si riversarono sulle sue guance quando si rese conto di essersi messa in trappola da sola.
Credé di cedere davvero sotto il peso della paura e dell’agitazione quando sentì il rumore delle foglie che venivano calciate dalle zampe in corsa di un animale.
Kiba stava arrivando. No, non Kiba, quello non era lui, non poteva. Aveva visto la trasformazione, ma non poteva essere così. Non aveva senso, non poteva…
Hinata voleva urlare. Voleva anche fermarsi, rannicchiarsi per terra e tremare spaventata, fuori dal mondo. Voleva che tutto smettesse, che i rumori dietro di lei fossero meno vicini e che qualcuno venisse a svegliarla da quell’incubo.
C’era solo lei in quel bosco, però.
Lo sentiva avvicinarsi e tremava al solo pensiero di trovarsi vicino a quell’essere che aveva preso il posto di Kiba. Correva e continuava a correre, non sapendo minimamente dove stava andando, con l’unica consapevolezza che i rami la graffiavano violentemente mentre lei disperatamente fuggiva. Ancora non riusciva a credere come tutto potesse essere accaduto, come realmente il lupo che aveva ucciso degli innocenti fosse stato al suo fianco per così tanto tempo.
Kiba, però, non sapeva di essere lui, non poteva saperlo.
Mentre correva tante domande si accavallavano l’una sull’altra nella sua mente e il suo cuore sembrava sul punto di esplodere. In ogni suo gesto c’era disperazione; doveva trovare un modo di salvarsi, lei non voleva morire!
Un gemito basso le sfuggì dalle labbra e si perse tra il rumore delle sue scarpe che calpestavano il fogliame e i latrati rabbiosi di quella bestia.
La sua mente le ripeteva solo di trovare un posto in cui nascondersi, forse ce l’avrebbe fatta a sopravvivere…
Lo sentiva sempre più vicino e sapeva che se avesse rallentato anche per un solo attimo sarebbe stata la fine.
Nella foga dettata da quella consapevolezza inciampò, rovinando a terra con un grido strozzato. Chiuse gli occhi con forza, non avendo nemmeno il coraggio di muoversi; stava arrivando e lei si era rassegnata. In quel momento l’unica cosa che il suo cervello concepiva era che il suono delle foglie sotto il peso di passi rabbiosi le investiva le orecchie e le giungeva tanto forte da farla tremare. Era la fine.
Le era addosso ormai.
Hinata lanciò un gridò straziante quando sentì qualcosa toccarla bruscamente. Da un luogo impreciso del suo corpo giunse una fitta atroce, ma non ebbe tempo neanche di rendersene conto. Su di lei non c’erano né zanne né artigli. Non sentiva il fiato caldo e putrido dell’animale sulla pelle. Nello stesso momento in cui lui aveva gridato, qualcosa aveva guaito con la stessa forza, altrettanto doloroso era stato il suo lamento. Una sorta di ovattata boato era giunta alle sue orecchie.
Senza nemmeno riflettere, ricollegò quel dolore a Kiba; stava forse soffrendo anche lui?
«Kiba-kun!»
Aprì gli occhi con forza e spasmodica necessità di vedere.
Era accasciato a pochi metri da lei, fitte di dolore lo contorcevano e guaiti lo percuotevano. La visuale di Hinata, comunque, era impedita per metà dalla figura che si ergeva davanti a lei.
«Sta’ indietro, Hinata» le disse la voce di colui che riconobbe come Shino.
Non c’era ansia né agitazione, solo tranquillità in lui.
Cosa ci faceva lui lì?
Non poté non trattenere un sospiro di sollievo; non era sola, non era sola, non era sola.
Quel barlume di speranza scomparve quando udì nuovamente il lupo lamentare il suo dolore.
«Cosa… cosa è successo? Cosa gli hai fatto?» chiese esitante, la voce le uscì strozzata e incredula.
Stava soffrendo, perciò anche Kiba provava le stesse sensazioni.
«Non è importante per ora. Avviati, poco più avanti troverai un rifugio, è degli Aburame, aspettami lì» le riferì semplicemente, il tono di voce piuttosto misurato nonostante ciò che stesse accadendo.
Era come se la cosa non lo stupisse minimamente.
Le aveva semplicemente impartito quelle indicazioni, ma non aveva aggiunto altro; non si era nemmeno voltata verso di lei, che se ne stava ancora sdraiata per terra, voltata per metà verso l’agghiacciante scena.
«Ma… Sh–Shino, lui è Kiba, lui…»
Non riusciva a trovare le parole adatte, non sapeva come spiegargli tutto quello che era accaduto; avrebbe mai creduto, un ragazzo posato e serio come Shino, che un suo vecchio amico era una bestia ora agonizzante davanti a lui?
Quasi gridò nuovamente quando vide ciò che Shino recava in mano. Riusciva a vedere, da lì, appena la parte posteriore, ma sapeva riconoscere un fucile quando ne vedeva uno. E l’Aburame ne recava uno in mano.
Aveva sparato a Kiba.
«No! Shino, ti prego, lui è Kiba! Non…»
Mosse una mano verso di lui, come a volersi aggrappare alla sua giacca per trattenerlo da ogni azione volesse compiere.
«Lo so, Hinata» asserì con calma e Hinata intuì che si era appena aggiustato gli occhiali sul naso. Era calmo, mentre la Hyuuga tremava come una foglia.
«Cosa… cosa vuol dire che lo sai?» chiese con un fil di voce; quel che aveva appena detto era stata una botta in pieno petto per Hinata.
«So che quello è Inuzuka.»
Nello stesso istante in cui parlo, Kiba – o ciò che aveva preso il possesso di Kiba, l’animale in cui si era trasformato – ringhiò sonoramente e con uno scattò si riportò sulle zampe malferme. Hinata sussultò dallo spavento.
«No!» gridò disperata quando Shino sparò di nuovo.
Lui questa volta si voltò appena, ma Hinata non riuscì a capire se la stava guardando o no.
«Non l’ho ucciso, gli ho iniettato un sedativo» spiegò magistralmente.
Perché Shino si trovava lì e per di più con del sedativo?
«Sta iniziando a piovere, fa’ come ti ho detto» le disse ancora, ma senza essere brusco. Shino era il ragazzo più calmo che la Hyuuga avesse mai incontrato, l’esatto opposto di Kiba. Quella situazione avrebbe ispirato confusione a chiunque, invece lui osservava la scena come se fosse qualcosa di poco conto. Di normale.
In effetti stava piovendo e si intensificava di attimo in attimo; la tempesta che era stata preannunciata per tutto il giorno stava per verificarsi.
Hinata fece passare lo sguardo dal lupo a Shino e viceversa, dopodiché lui ripeté: «Va’, Hinata. Non lo uccido.»
A fatica si alzò e si appoggiò ad un albero per non ricadere a terra; le gambe non sembravano voler collaborare.
Iniziò a camminare nella direzione indicatale da Shino e prese a camminare, voltandosi di tanto in tanto verso l’Aburame e Kiba. Guaiva ancora e a tratti lanciava ululi più forti.
Senza neanche accorgersene il suo passo si era fatto più svelto e in un attimo giunse ad una piccola struttura; era una specie di stanzino piazzato proprio in mezzo al bosco. Al massimo ci sarebbero state due persone in grado di muoversi senza pestarsi vicendevolmente. Nonostante sembrasse piuttosto vecchio come edificio, le pietre di cui era composto sembravano così perfettamente incastrate l’una con l’altra da dare l’impressione di non poter essere abbattuto nemmeno con un terremoto. A modo suo, quella caratteristica sollevava ed inquietava Hinata allo stesso tempo.
Con cautela aprì la porta e scoprì una stanza vuota; per terra vi era quella che la Hyuuga riconobbe come una botola aperta e vi intravide una scala. Si guardò intorno senza realmente vedere le paresti scure e quasi claustrofobiche intorno a sé; si disse che sicuramente sarebbe stata più al sicuro lì, visto che Shino le aveva detto di andarci. Dubitava che lui le avrebbe fatto del male, quello era certo.
Kiba, però…
Scese la scala improvvisata e si trovò in quello che era un vero e rifugio sotterraneo. La luce era poca ed irradiata da una piccola lampadina affissa al soffitto; era utilizzato, quel luogo, perché l’odore di vecchio era appena accennato e non era così sporco da dare quell’impressione.
C’erano due porte, una a destra e l’altra a sinistra, ma non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello di aprirne una.
Con movimento rigidi, incerta sul da farsi, si sedette su una sedia poggiata di fianco al muro; tentò di racimolare tutta la calma che ancora le rimaneva e solo allora si rese conto di star battendo forte anche i denti. La vista era leggermente sfocata e nella sua mente si agitavano i più cupi pensieri.
Si rese conto che non si era mai sentita così stanca e terrorizzata, le lacrime ancora le bagnavano le guance, fredde come ghiaccio.
Tutto il suo corpo doleva a causa della corsa e dei tagli provocati dai rami contro cui si era graffiata; non riusciva neanche a comprendere dove facesse meno male.
Non si accorse nemmeno di aver chiuso gli occhi e in un attimo la realtà le fu preclusa in favore di un sonno senza sogni.



Nell’altro capitolo avevo proprio scritto che avrei aggiornato il giorno dopo!XD Ah, che gran umorista che sono, non c’è che dire!*ride da sola*
Nh, sappiate che, comunque, credevo davvero che sarei riuscita a postare in tempo, nonché a finirla, ma invece vi ritrovate con un aggiornamento dopo mesi e la storia non è nemmeno ancora finita. Almeno avete imparato che non sono attendibile con le scadenze, assolutamente no!*risatine nervose*
Il problema è che il finale proprio non vuole uscire e io sono bloccata lì, con le idee in mente ma la totale incapacità di metterle nero su bianco: è avvilente la cosa, assolutamente sì!ç__ç Comunque dovreste essere felici che ho deciso di postare questa parte almeno, o sarebbe uscito un polpettone finale di venti e pussa pagine!XDXD
Mh, chiedo umilmente perdono per le scarse descrizioni della trasformazione: ho letto un solo libro sui licantropi e non posso dirmi poi così ferrata in materia, perciò abbiate pietà di una povera stordita *in ginocchio sui ceci*
Questa volta non faccio pronostici su quando mi ritroverò ad aggiornare di nuovo, ma spero di riuscirci in tempi decenti. Se trovate errori di sorta, sappiate che è perché io sono inutile quando si parla di correggere le mie storie e la mia beta è ammmmmmmalata e sparge schifosi bacilli in giro!:| Sì, è il mio vano tentativo di discolparmi dei possibili orrori che potreste trovare qui sopra *indica le ventordici pagine qua sopra*
So che non è un granché, ma valeva postarlo almeno per la canzone che ho citato la sopra!XD
Ringrazio immensamente liu_Qgirl, Vaius, Falsa dea molto adorata per le bellissima recensioni!^^
  
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