L’ho detto e lo ripeto: perché.
scrivere. dal punto di vista di Kanda. è sempre.
SEMPRE. così difficile, stupido omuncolo sentimentalmente costipato? È come un
cucchiaino. È colpa sua se c’ho messo così tanto con sto capitolo, non
prendetevela con me, ma LUI D: In ogni caso, questo è un capitolo. Ehrr. Strano? Oscenamente merdaceo?
Eee ciccialculo,
sopravvivremo tutti allo shock, spero. PIUYULLENPETTUTTI. Anche se questa
storia non è una vera e propria Yullen. Sembra più una… preYullen. Magari neanche
LOL coffff.
[Ah, PS irrilevante. Questo
capitolo era stato pienamente ideato prima dell’uscita del capitolo 210, quindi
differisce assai da ciò che è effettivamente successo HAHAHA non c’ho azzeccato
per un cazzo >:D ! E allo stesso modo, eventi simili sono casuali (tanto non
ci sono)].
LEGGERE LEGGERE
QUAAA: in questo capitolo succede una
cosa strana, tipo che nel mezzo c’è un pezzo che è un FLASHBACK, quindi se vi
sentite disorientati, è perché è iniziato il flashback.
(Alzi la mano chi capisce
qualcosa dei miei discorsi d’introduzione.)
Disclaimer: [s.m., raro. Vedere anche: ‘grande desiderio irrealizzabile’]
♦ Hic Sunt Dracones ♦
†
La
cosa strana è che Allen si comporta quasi normalmente, come se la settimana
precedente non fosse stata costellata di battibecchi e litigi e pericoli
mortali. Forse Allen è solo molto bravo a mascherare i suoi pensieri, suppone Kanda con poca convinzione. O forse è il risultato dell’essersi
arreso all’evidenza di avere un amico disponibile – Johnny, ovviamente.
Kanda non ha capito quasi nulla di quello
che sta succedendo; è ormai convinto che vicende ben più grandi di lui si
stiano snodando inarrestabili, dietro le quinte del sipario di quella guerra
religiosa. Gli sembra quasi di poter immaginare chiaramente, se chiude gli
occhi, il gigantesco organismo ben oleato in cui i milioni di ingranaggi che lo
compongono ruotano rapidi, senza mai rallentare. Tra questi spicca Allen; la
sua rotella è in una posizione pressoché centrale, che scintilla nel suo
bagliore argentato, e viene trascinata in quel generale movimento frenetico
dalle dentellature di tutte le altre che lo circondano, costretta a girare e
girare e girare, senza possibilità di districarsi dalla solida rete di
connessioni. Al suo più insignificante movimento, l’intera struttura ne
risente.
Non
sa bene dove collocare se stesso. Ha come la sensazione che il destino stesso
non avesse previsto la sua sopravvivenza nello scontro con Alma – lui di certo
non l’aveva fatto. Una parte di lui d’altronde, è davvero morta con Alma, in
quegli anfratti antichi e decrepiti della desolata città di Matera.
Un
fatto di cui però è abbastanza certo, è che se lui e Johnny non avessero
trovato Allen quella notte di circa una settimana prima, non ci sarebbe stato
un ‘Allen’ la mattina seguente.
Quindi
Kanda non sa se sentirsi un errore del sistema, per
essere sopravvissuto, o se una parte fondamentale del tutto, per aver impedito
– almeno per ora – la fatale scomparsa di Allen dal quadro generale di quella
guerra sempre più insensata e sanguinosa.
Di
conseguenza ora si ritrova incastrato in un viaggio senza meta, in una perenne
fuga da un nemico che non possono esattamente combattere e di cui Kanda non comprende l’esistenza. E lo sconvolge realizzare
che, questa volta, vi si è incastrato volontariamente.
Kanda contempla il viso espressivo del
giovane esorcista mentre questi, seduto sul letto dell’ennesima locanda in cui
alloggiano, ride alle parole di Johnny, che gesticola freneticamente con mani e
braccia, gli occhiali in altalenante bilico sulla punta del naso.
Le
ultime tracce della risata stanno svanendo, quando Allen incrocia il suo
sguardo.
La
cosa invece inspiegabile è il modo in
cui Allen gli sorride.
Non
gli piace pensare che quel sorriso sia diretto a lui. Lo fa sentire scomodamente debole, vulnerabile, a disagio –
quel tipo di disagio che si ha quando si avverte un prurito crescente e non ci
si può grattare.
Vorrebbe
distogliere lo sguardo, ma scopre di non potere neanche ricambiarlo con uno che
non sia statico, allibito, in vicendevole contemplazione.
Ci
sono momenti in cui gli piacerebbe estirpargli quel sorriso dalla faccia, con
violenza, strattonarlo e urlargli ‘dammi quell’occhiata sprezzante che solo tu
hai sempre la sfacciatezza di darmi!’. Ma poi, gli si
staglia davanti, sistematica, con orrenda nitidezza, l’immagine di quella notte: quel corpo inerte e
gelido, quel braccio grottesco deformato in qualcosa di macabro e
spiacevolmente familiare, quel volto sporco e ricoperto di lacrime eppure
completamente privo di espressione, quegli occhi spenti, morti come mai si
erano mostrati al mondo, quelle iridi dorate—
Kanda si rende conto che forse è per
quello che Allen gli sorride.
Johnny
sbadiglia rumorosamente e arrossisce come una donnicciola per l’imbarazzo.
Allen ride e gli consiglia di coricarsi. Pigramente, Johnny si alza e s’immerge
nel suo letto, salutandoli e scivolando in pochi secondi in un sonno che Kanda sa per esperienza essere molto profondo.
E
ora, nella piccola stanza della locanda, ci sono solo lui e Allen. Il giovane
sembra star raccogliendo il coraggio per dire qualcosa, quindi Kanda prontamente si alza e se ne allontana, rifugiandosi
sullo stretto balcone pericolosamente basculante che dà sulla strada principale
della cittadina. Guardando su, verso il cielo notturno puntellato di stelle
bianche e rischiarato dalla luce di una luna crescente, Kanda
ripensa agli avvenimenti dei giorni passati.
Più
il tempo scorre, donandogli la costante compagnia di Allen Walker,
più in Kanda s’instilla la certezza che il ragazzo
sia snervante, a tratti insopportabile, e ridicolmente ipocrita.
Il
problema basilare è che Allen è fottutamente preoccupato da morire.
Ma
al contrario di quanto sarebbe logico per una persona dalla mente non ammattita
dai traumi di una vita quantomeno complicata, il giovane non è preoccupato per
la sua sorte, che ormai vacilla costantemente sul filo di un rasoio, sospesa
tra due possibili risvolti catastrofici del futuro suo e dell’umanità; bensì
per Johnny, e lui. È praticamente
accecato dalla sua stessa ansia, e senza che se ne renda nemmeno conto.
Però… nei momenti di quiete, quando sono
costretti ad alloggiare in qualche malmesso ostello per la notte, e si rifugiano nella loro unica stanza
abbandonandosi alla spossatezza, Kanda può studiare
la differenza.
Allen
sorride spesso, tra sé e sé, mentre si spoglia, si prepara per andare a letto,
s’infila sotto le coperte. Cerca di nasconderlo, ma sorride, anche se Kanda trova ci sia molto poco di che sorridere, in quei
giorni; il suo è un sorriso amaro, imbarazzato, modesto. Segreto. Nel cuore
della notte, Kanda sospetta che Allen si permetta di
sentirsi in qualche modo contento.
Quando
Kanda vede quel suo anomalo comportamento,
automaticamente rammenta la notte in cui l’hanno trovato e di come, in quel
momento, i due viaggiatori avessero entrambi pensato che nulla avrebbe più
potuto far sorridere Allen di nuovo.
Ma
al sorgere dell’alba, di un nuovo giorno, di nuovi potenziali pericoli e
combattimenti, Allen si trasforma puntualmente in una bestia agitata, chiusa
nella sua piccola gabbia di ferro, che si dimena contro le sbarre e medita una
via di fuga, cosciente del fatto che il tempo a sua disposizione prima del
ritorno dei cacciatori si accorcia a vista d’occhio.
Tutto
ciò stuzzica dolorosamente i nervi di Kanda.
“Cosa
ti è saltato in mente, Johnny?! Perché sei venuto a cercarmi? Saresti dovuto
rimanere all’Ordine, ad aiutare gli altri! Cosa pensi di poter fare qua, quando
neanche io so cosa fare?!”
Le
parole sono le stesse ogni singola volta, eppure Johnny non riesce ad abituarvisi, e immancabilmente assume la tipica espressione
sgomenta e distrutta, penosa, di chi ha ricevuto la conferma dei suoi peggiori
timori. Per tutta la durata degli sproloqui di Allen, il ragazzo rimane
solitamente in silenzio, con la testa china, gli occhiali enormi che scivolano
sul naso, e le dita che stropicciano i lembi del cappotto. Come un cane, con la
coda tra le zampe e la preda conquistata che gocciola sangue ancora tra i denti,
che viene sgridato dal padrone arrabbiato, per un’azione che invece sperava lo
rendesse felice; a Kanda dà orrendamente fastidio,
sia perché Allen è un idiota, sia perché Johnny è incapace di opporsi ad Allen
con la stessa forza dimostrata nel viaggio intrapreso.
Kanda, semplicemente, non sopporta le
persone deboli.
Ma
Allen, sorprendentemente, sa quello che fa, e le sue prediche sono quasi sempre
dirette a Johnny; poche volte si accanisce su Kanda,
che di solito si tiene in disparte, con i nervi a fior di pelle e una cappa di
aura omicida che si allarga nell’ambiente circostante.
(Perché
Allen sa che, tra i due, Johnny è quello con meno speranze di sopravvivere se
si trovasse coinvolto in prima persona nella guerra, e il senso di colpa
probabilmente ha già preso a consumarlo).
E
mentre continua a scoraggiare Johnny, Kanda spera
solo che Allen non sia così stupido da credere che, una volta convinto Johnny
ad abbandonarlo, lui lo segua a ruota per automatica conseguenza.
Ma
c’è qualcos’altro, nelle occhiate che Allen gli lancia di straforo mentre
discute con il topo di laboratorio, che Kanda non
riesce a comprendere. È come se Allen avesse paura di affrontarlo, non sapesse
da dove cominciare, volesse dirgli qualcosa ma si tirasse sempre indietro
all’ultimo momento; Kanda si sente solo più
disorientato, ed ha l’ormai radicata impressione di non conoscere appieno quel
nuovo Allen, che qualcosa in lui sia irrimediabilmente cambiato, e Kanda non riesce a capire se per il meglio o per il peggio
– e non è mai stato un ottimista.
“Non
potete fare nulla contro Apocrifo. Lui è… non potete.”
L’idiota
si lamenta incessantemente, come una madre fin troppo premurosa sull’orlo di
una crisi di panico. Parla spesso di Apocrifo. Kanda
preferirebbe essere cieco davanti alle sue reazioni, ma Allen sembra soffrire fisicamente quando lo nomina. Il suo
corpo inizia ad essere scosso da impercettibili tremiti, e i suoi pugni si
stringono con tale ferocia che le sue nocche si tingono di bianco, e
nell’intera stanza i battiti del cuore di Allen paiono rimbombare come tamburi
di guerra. Kanda preferirebbe non vedere, non notare,
perché non sa come reagire: non è questo l’Allen che conosce, che non si lascia
scoraggiare o intimidire da nulla, nemmeno dal diavolo in persona che minaccia
di strappargli il cuore. Questo è solo un ragazzo che ha vissuto troppe
disgrazie per la sua età e che ha paure così grandi che queste sfuggono al suo
controllo – probabilmente, la differenza sta nel fatto che Allen ora sa per
certo come ognuna delle sue paure sia pienamente capace di conquistarlo.
E
in tutto questo, Allen lo guarda. Lo fissa inamovibile, come se volesse fondere
il suo viso con la sola intensità dello sguardo, e Kanda
capisce che quell’avviso è diretto a lui, un chiaro avvertimento che spicca
come uno squillo di tromba nel silenzio che normalmente Allen gli riserva. ‘Neppure tu potrai sconfiggerlo,’ sembra
dirgli, ‘è qualcosa che sta al sopra di
tutti noi, ci ucciderà tutti’.
A
questo punto, solitamente, Kanda distoglie lo sguardo
e sbuffa sonoramente, Allen s’acciglia e si fa più rumoroso.
Ma
la cosa che Kanda trova particolarmente divertente, e
allo stesso tempo irritante più che mai, è che non una volta Allen ha loro detto esplicitamente di andarsene. Li
avvisa, li minaccia, li accusa di ogni possibile idiozia, preme vilmente sui
loro punti deboli sperando di aprire in loro la breccia dell’istinto di
sopravvivenza e spingerli a voltargli le spalle di loro iniziativa e scappare
lontano da lui. È sempre un ‘perché’, ‘non dovevate’ e ‘lasciatemi andare’ dopo l’altro, ma mai ha pronunciato quel singolo ordine,
quella richiesta, che servirebbe per farli allontanare. E Kanda
osserva con pena quei momenti in cui Allen riesce quasi a dirla, quella parola,
perché ce l’ha pronta sulla punta della lingua da giorni, e ogni singola volta,
il suo sguardo inevitabilmente si perde nel vuoto, e la parola gli muore tra le
labbra, non detta per l’ennesima volta.
Perciò
una sera, Kanda si premura di aiutarlo a mettere le
cose in chiaro.
“Stammi
a sentire, mammoletta,” dice, con la rabbia repressa
a malapena e le sue dita piacevolmente strette attorno al sottile collo di
Allen. Gli mancava la sensazione.
“Kanda, ti prego, smettila…!”
“Tu
zitto, bamboccio,” ringhia Kanda con cattiveria,
senza distogliere gli occhi ardenti dal viso impassibile di Allen che, zitto ed
immobile contro la parete spoglia della stanza, ricambia lo sguardo con finta
freddezza.
“Forse
tu non sai,” sibila veemente, stringendo la sua presa alla gola dell’altro.
Allen si lascia sfuggire un suono strozzato, ma non fa nulla per difendersi, la
sua espressione ancora vuota e indecifrabile. La mano gli prude dalla voglia di
stritolare quel collo pallido e inerte, “ma ci siamo ammazzati per venire a
cercarti. In particolare il tuo amichetto, qui. È stato lui a trovare il modo
per rintracciarti, e a fuggire dall’Ordine a suo rischio e pericolo. E io che
vi sono appena tornato, e che ho il rancido fiato di Lvellie
sul collo e poca voglia di essere di nuovo un cane fedele dell’esercito che
odio di più al mondo, sai cosa faccio per prima cosa? Stendo dei Corvi e aiuto
un traditore a scappare da una sentenza di morte certa.”
La
facciata di Allen minaccia di cedere per un momento, ma il ragazzo serra la
mandibola e deglutisce. Kanda sente il pomo d’Adamo
muoversi contro il suo palmo, e i respiri diventare incostanti – il ricordo di
ansiti affannati, di pelle gelida come il ghiaccio, del sudore che gli imperla
la fronte, la faccia, il collo, il solco di una lacrima lungo la guancia – Kanda quasi ritrae la sua mano d’istinto dalla gola di
Allen, colpito da quella improvvisa visione, più reale di quanto gli sarebbe
piaciuto. La sua presa si allenta, e Allen lo nota, lo guarda confuso, le
sopracciglia aggrottate. Ma in un attimo Kanda gli è
di nuovo addosso, ancora più violento. Johnny inspira bruscamente.
“Il
minimo che potresti fare,” continua brusco, scrollando la testa per liberarsi
da quelle immagini indesiderate. Cerca di ricollegare i suoi pensieri al
discorso, ma la gravosa sensazione di debolezza che ha improvvisamente invaso
le sue membra lo confonde, e lo distrae, “in segno di riconoscenza è non
rompere le palle. Ma dato che ti è impossibile…
almeno fammi il favore di non affogarci nella tua infinita ipocrisia.”
Allen
gli lancia un’occhiata velenosa, e posa la mano sinistra su quella di Kanda, minacciosa – un braccio deformato, aperto, rilucente
di bagliori verdastri, in preda alle convulsioni, che si contrae e si muove di
propria iniziativa – Kanda chiude le palpebre con
eccessiva aggressività e le riapre.
In
quel momento, Kanda apprende, con un certo sgomento,
che ciò che è successo ad Allen lo ha turbato più di quanto si aspettasse, e
non ne comprende il motivo.
“Non
sono un ipocrita.”
La
pazienza di Kanda non è mai stata molta, resistente e
durevole quanto una bolla di sapone. Il suo volto si avvicina a quello di
Allen, e ora sono a pochi centimetri di distanza, impegnati in una battaglia di
sguardi pieni d’insofferenza e sdegno.
“Oh,
sì che lo sei,” mormora lui, livido. “Ti sei sempre lamentato da quando ti
abbiamo trovato, ma mai una volta ti ho sentito chiederci di andarcene. Non far
finta di nulla, perché lo so io come lo sai tu: se quella sera non fossimo
arrivati, non saresti qui con noi. Non negare l’evidenza, solo perché il tuo
masochismo ti impedisce di ammettere che hai bisogno d’aiuto.”
Allen
abbassa finalmente lo sguardo, mentre i suoi denti bianchi mordono il labbro
inferiore con violenza, e le sue guance si tingono di una vergogna che lo
riempiono di soddisfazione. Il suo corpo comincia ad agitarsi, a dimenarsi
sotto la sua stretta, e Kanda ha l’impressione che,
se potesse, Allen correrebbe via a nascondersi in qualche angolo buio.
Con
un atto di compassione che non gli è proprio, Kanda
tira un sospiro, e si allontana di qualche passo dal ragazzo, incrociando le
braccia e aspettando che Allen trovi la forza di ricambiare il suo sguardo –
perché Allen non demorde mai, quando desidera qualcosa, neanche davanti
all’umiliazione.
“Ti
darò la possibilità di decidere una volta per tutte, mammoletta,”
lo informa Kanda con voce ferma. “Dimmi di andarmene.
Dimmelo chiaramente, e noi ce ne andremo. Ti lasceremo solo, a morire come un
cane randagio ad un angolo della strada, tra l’immondizia e altri rifiuti umani
del tuo genere. Proprio come vuoi tu, no? E noi non faremo nulla per fermarti.”
Di
fianco a lui, Johnny si riscuote dalla sua statuaria immobilità e si lascia
scappare un verso d’orrore, portandosi una mano tremante davanti alla bocca spalancata.
Ma non dice nulla, si limita a fissare Allen, e aspettare la risposta che,
nella sua mente, con tutta probabilità sarà dettata dal fatto che Allen vuole
solo sbarazzarsi di lui.
Kanda sbuffa, stizzito.
Gli
occhi grigi di Allen sono spalancati per lo stupore, e guardano sconvolti la
faccia di Kanda. Ma le sue labbra rimangono chiuse,
serrate in una linea dura e sottile, la fronte aggrottata e a Kanda sembra quasi di vedere il combattimento che sta
avendo luogo nella testa del ragazzo.
Allen
si lascia cadere contro il muro. Pare stremato, e disperato come un uomo posto
davanti alla scelta più ardua della sua vita. Kanda
non ricorda di aver mai visto tali occhiaie adombrargli la pelle e le spalle
così ricurve, schiacciate da un peso ingente e invisibile.
Il
silenzio si allunga, imperturbato, teso e infinito, e quando infine Allen
chiude gli occhi e passa una mano sulla faccia stressata, Kanda
è convinto di aver vinto. Sente il topo di laboratorio riprendere finalmente a
respirare.
Ma
quel giorno, Kanda realizza la triste realtà che gli
idioti sono chiamati tali per un motivo.
“Andatevene.”
Ovviamente
non se ne vanno.
Ma
qualche giorno dopo, Kanda conosce di persona una
delle maggiori paure di Allen, e si scopre incapace a non condividerla.
Non
riesce a dare un nome alla ‘cosa’ che dà la caccia ad Allen. Kanda ne ha visti di esseri abominevoli nella sua vita, in
un certo senso la sua stessa esistenza lo è, eppure quell’essere è difficilmente descrivibile a parole. Senza fattezze
o lineamenti, viscido, mutevole, raccapricciante, l’unica cosa che rimane
costante sono quelle fessure sottili, che somigliano più a squarci irregolari
creati da un coltello acuminato in quel cranio bianco e informe, le pupille
insanguinate e quella bocca dai denti taglienti, così vasta che potrebbe
inghiottire il mondo intero, se lo desiderasse – ma è chiaro fin dal primo
momento che l’essere compare davanti a loro che il suo unico scopo è quello di
divorare Allen, ed eventualmente chiunque sia tanto pazzo da frapporsi tra lui
e la sua preda.
Kanda ammette che Allen forse aveva
ragione a dire che non poteva essere sconfitto così facilmente, perché quello
che prova nel momento in cui la sua Innocence fende
l’aria intorno al corpo dell’Apocrifo, e viene attirata da esso come un metallo
ad un magnete, è una sensazione rivoltante che spera non dovrà mai più
sperimentare nella sua vita.
Riescono
a scappare, fortunatamente, relativamente illesi, ma da allora una nuova
tensione permea l’animo di Kanda, tiene allerta i
suoi muscoli, e una nuova ansia affina i suoi sensi: è l’ansia data dalla
consapevolezza di essere inferiori al proprio nemico.
Kanda non è abituato a sensazioni del
genere.
Una
luce distante, sulle montagne, pulsa chiara e irregolare, prima di svanire
completamente nella notte.
“Kanda,” comincia l’altro una volta raggiuntolo sul balcone.
Appoggia gli avambracci sulla balaustra e chiude gli occhi per un momento,
inspirando lentamente la brezza pungente della notte nei polmoni. Kanda fa finta di non osservarlo. Semplicemente, Allen non
demorde mai, e questo, in certi casi, è desolante.
“Dovresti
imitare il topo di laboratorio, mammoletta, e andare
a dormire.”
Il
cipiglio offeso di Allen è l’equivalente di un piacevole massaggio alle spalle.
“È
Allen, e non sono stanco, idiota,” gli risponde irruente, “posso farcela
dormendo tanto quanto te.”
Kanda sbuffa, malfidente, ma non ribatte;
perciò Allen sospira, scoraggiato, e contempla silenziosamente il cielo.
Lo
spicchio di luna è ora alto nel cielo, e il suo pallore candido bagna
dolcemente le sagome immerse nell’ombra della cittadina, la cima aguzza di un
campanile affusolato da cui brilla l’ottone della grande campana immobile, e
più in là, neri come l’inchiostro con cui sembrano disegnati, i profili di
montagne lontane, selvagge e inesplorate.
“Non
mi hai mai detto... perché sei venuto con Johnny.”
Kanda non ha voglia di rispondere. La
voce di Allen è così soffice da essersi ridotta a un sussurro timoroso. Forse
anche Allen ha paura di sentire la risposta.
“Vedi,
è che sono… sorpreso,” continua Allen, con titubanza,
“ormai pensavo che la nostra fosse un’amicizia a senso unico, ma… non solo.”
Con
la coda dell’occhio, Kanda lo guarda arrossire
lievemente. I suoi capelli bianchi fluttuano negli striscianti soffi di vento,
mentre il suo sguardo è perso nell’orizzonte, concentrato su un panorama che
solo lui può vedere.
“Ti
ho… fornito la possibilità di abbandonare per sempre tutto… questo. Lasciarti alle spalle l’Ordine, i Noah, questa guerra senza fine che…
ti ha strappato tutto, Kanda. Perciò non capisco
proprio: perché sei tornato indietro?”
Ora
Allen è girato verso di lui, e lo osserva in silenzio, con i suoi occhi
argentati attenti, avidi di risposte che da tempo non ricevono, assetati di
familiarità e un appiglio saldo a cui aggrapparsi, che Kanda
non è sicuro di potergli dare, perché troppe cose stanno succedendo, e seppure
un capitolo della sua vita si sia definitivamente chiuso – anche grazie alla
persona che ha davanti – nuovi eventi si susseguono uno dopo l’altro, passati sentimenti
che Kanda credeva dimenticati per sempre e sperava di
non dover mai più affrontare stanno tornando a infastidire i limiti della sua
coscienza, insistenti, che gli intimano di voltarsi, riconoscerli, accettarli.
Ma
Kanda ha vissuto la sua vita due volte – nonostante
una non la ricordi – e sa come stare attento dal commettere lo stesso errore
più volte. Non sa se è in grado di poter sopportare di nuovo tutte le
difficoltà con cui quei lontani sentimenti vanno a braccetto.
Il
ricordo di Alma e la storia della loro problematica amicizia è scolpita nella
sua anima come un elaborato e preciso bassorilievo, a malapena soggetto alla
corrosione dello scorrere del tempo.
Ma
Kanda guarda quegli occhi, e immagini appartenenti a
memorie altrettanto indelebili gli passano davanti alle sue pupille come lampi
di fulmini in una tempesta, improvvisi e frastornanti, e il tuono che le
accompagna si fa presto sentire, martellante e rumoroso come i battiti del suo
cuore – iridi striate d’oro, occhi spenti e privi di qualsiasi traccia di vita
e volontà – Kanda non vuole più essere costretto a
vedere una nuova volta quegli occhi. Non vuole più esserne la causa.
E
qui Kanda si trova davanti un paradosso, perché si
tratta di ripetere un errore o l’altro, e per quanto riguarda il primo, il solo
aver intrapreso questo viaggio dimostra che è forse troppo tardi per correre ai
ripari.
Guarda
quegli occhi e, ad un tratto, riesce a scorgere ciò che aveva fallito di
comprendere fino ad ora.
Per
quanto cerchi di nasconderlo al mondo, Allen è spaventato. Non solo perché
ormai è una bomba ad orologeria, e ciò che è racchiuso dentro di lui, orrido e
letale, rischia di esplodere da un momento all’altro; non solo perché qualcosa
di sconosciuto e indescrivibile setaccia ogni angolo delle città che attraversa
alla ricerca di lui e della sua Innocence; Allen è
spaventato e prova vergogna, perché, per la prima volta nella sua vita, ha
rinunciato a combattere.
Ora
sa cosa lo aspetta, al di là di quel sottile velo nero, che anche Kanda conosce perché l’ha visto, e l’ha sfiorato con le sue
dita – e probabilmente vi è anche passato oltre, un tempo.
Ora
sa, ed è spaventato, perché se c’è arrivato così vicino una volta, nulla gli
assicura che la volta successiva non sia quella in cui vi si precipiti senza alcuna
speranza di salvarsi.
E
in mezzo a quel mare di paura e incertezza, Kanda
vede per la prima volta quello che in realtà era sempre stato lì: una mano,
pallida e incerta, che Allen gli porge, fin dal loro primo incontro, e che lui
si era sempre rifiutato di prendere in considerazione. Una mano che si trova in
un territorio rischioso, pieno d’insidie. Non è che Kanda
ne abbia timore perché è qualcosa di inesplorato; anzi, Kanda
vi si è inoltrato. L’ha esplorato con riluttanza, ne ha assaporato i vantaggi e
infine, ne è uscito rovinato.
Ma
ora Allen gliela porge con più insistenza, perché ora è anche lui stesso ad
averne bisogno; ma così gli pare persino peggio, perché stringerla ora
significherebbe permettere ad Allen di fare totale affidamento su di lui, e
mentre Kanda lo realizza, si rende anche conto che è
stato un idiota ad unirsi a Johnny con la primitiva idea di placare il proprio
rimorso e lasciare poi ogni cosa dietro di sé. Kanda
guarda quella mano, e pensa che gli piacerebbe cacciarla indietro, allontanare
il momento in cui non potrà più negare l’evidenza che il suo piano non è così
semplice come si era aspettato.
Ogni
tanto, a Kanda viene naturale paragonare Allen a un
virus. Proprio come lo era Alma.
“Perché
ne avevo voglia.”
La
smorfia di Allen gli fa capire che quella non era la risposta che stava
aspettando Allen.
“Cos’hai,
otto anni?”
Kanda ghigna soddisfatto e non dice
altro, mentre Allen continua a guardarlo torvo, e confuso, e Kanda si chiede a cosa stia pensando e quale sarà il
prossimo insulto che gli rivolgerà.
Ma
l’insulto non arriva, e quando lui si volta per osservare Allen, quest’ultimo
lo spintona leggermente con la spalla.
Kanda non sa come reagire, perché alla
fine la verità lo colpisce come un dardo al petto. Perché loro sono lì, su quel
balcone pericolante, a darsi spallate e parlare delle ragioni e rimanere in
silenzio sulle verità, e Allen gli sta di nuovo sorridendo con quel sorriso
contento, sollevato e, all’improvviso, è chiaro come il sole. Ad Allen non
importa quello che dice, quello che cerca di nascondere, e quella mano che
prima gli sembrava solo tesa verso di lui, speranzosa, in realtà lo ha già
afferrato, senza chiedergli alcun permesso, e lo trascina verso di sé,
incurante della sua resistenza.
Kanda grugnisce esasperato e, con i
gomiti poggiati sul parapetto, sprofonda la testa tra le mani.
Inspiegabilmente, una risata amara gli sale alle labbra. “È così…
stupido.”
“Cosa?”
chiede Allen, curioso e perplesso. “Cosa è—”
“Io
non—Tu. Tu sei stupido, mammoletta.” È stanco, e gli piacerebbe restare per un po’
da solo. Parlare con Allen si rivela sempre faticoso. “Va’ a letto, idiota.”
Allen
si allontana dalla balaustra, con un’espressione irritata e confusa. “È Allen, IdioKanda. E vado
a letto volentieri, dato che parlare con te mi dà la stessa soddisfazione intellettuale che mi darebbe il parlare con un bue.”
Kanda decide, stupendo se stesso, di
risparmiarsi l’ennesima rissa, rimanendo con gli occhi chiusi premuti sui palmi
delle mani e limitandosi a sbuffare sonoramente.
Accanto
a lui, Allen compie qualche passo sul balcone, prima di dire, “’Notte, Kanda,” e nonostante il suo tono possa sembrare stizzito,
nelle sue parole Kanda avverte chiaramente il suono
di un sorriso, modesto e sincero.
Quando
il ragazzo torna all’interno della locanda, Kanda
alza di nuovo gli occhi verso il cielo, da dove la luna crescente gli ammicca
luminosa.
†
Non penso che Kanda
sia così intuitivo, in realtà, ma oh, che ci vuoi fare, non lo so scrivere io, Kanda =w=
Eeee ok, finita. Spero tanto che vi sia parsa decente, lol. In ogni caso, il titolo, come avevo detto all’inizio,
dovrebbe essere chiaro :) per chi non lo sapesse ‘hic
sunt dracones’ era una
frase usata nell’antichità sulle mappe per indicare regioni inesplorate. Quindi
sia Johnny che Allen che Kanda hanno una loro
personale ‘regione inesplorata’ che dovrebbe essere chiara ;) (sennò ho fallito
su tutta la linea). Non so se avete notato la cosa della luna, nei capitoli, maaa, vabeh lol.
Ehm, io LO SO che Allen è già
quasi pseudomorto (a causa di Tyki).
Però. Chissene e ciao, ok? Ciao. Tra l’altro, mi sono
resa conto che Allen mi ricorda una Claymore, LOL.
Allen E’ una claymore, in realtà.
E il capitolo 210? Frastornante e
sconvolgente. Ho voglia di scrivere Yullen, e non
dovrei.