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Autore: FRC Coazze    13/12/2011    10 recensioni
E se in una notte di fine ottobre 'qualcuno' fosse corso in aiuto ai Potter? E se questo qualcuno fosse riuscito a salvare la giovane Lily? E se sempre questo qualcuno fosse una persona innamorata da sempre di lei? E se Harry fosse scomparso?
Troverete risposta (forse) a queste domande nelle mia ff!
Dal primo capitolo: "Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!"
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe della Notte'
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Capitolo 27
 

INTERLUDIO



Silente passò a rassegna quei visi così diversi l’uno dall’altro, ma tutti animati dallo stesso dubbio, dallo stesso sospetto, rivolto anche, e questa era purtroppo una conseguenza che aveva messo in conto, verso di lui. Esaminò tutti i suoi fedeli seguaci, da lui riuniti nuovamente nell’ampio salone, dorato dalle luci delle candele, baluardo di luce tra le spire della notte.

Albus sospirò profondamente, sfuggendo allo sguardo duro della professoressa McGranitt che non accennava a togliergli gli occhi di dosso, occhi fattisi taglienti e duri come fasci di vetro.

“Complimenti, Albus…” Commentò ironico il fratello del preside, le mani incrociate sul petto, nello sguardo quella nota profonda di delusione, di disapprovazione, che non gli aveva mai risparmiato.

Silente alzò appena il capo verso di lui, senza dire nulla. Tutte quelle persone che avevano sempre avuto fiducia in lui, per le quali lui era sempre stato il punto di riferimento, la luce bianca del faro in mezzo al fortunale della guerra, la freccia infallibile della bussola… lui li aveva raggirati tutti, senza eccezione, li aveva ingannati, tenuti all’oscuro del suo piano, messi in pericolo e tutto, tutto per scoprire cosa? Che Voldemort aveva Harry? Che valore aveva quell’informazione? Non sapeva neanche se fosse vera o se il suo ex allievo aveva sfacciatamente mentito una volta ancora.

Che cosa aveva ottenuto? Aveva costretto Severus all’angolo. Si era prodigato tanto per tenerlo fuori dai guai e poi lo aveva  gettato in pasto al serpente come una vittima sacrificale. Invece di aiutarlo ad uscire dal suo labirinto, lo aveva condotto dritto tra le fauci del minotauro ancora calde del sangue di James Potter, lo stesso mostro che aveva già anche saggiato con libidine il sangue stesso di Severus. Sì: complimenti, Albus… complimenti…

Il vecchio preside sospirò nuovamente mentre faceva su e giù lungo la parete del salone sotto gli occhi degli altri membri dell’Ordine. Si fermò un istante, gli occhi chiusi, in silenzio, pensieroso. Si portò le dita affusolate alle tempie, massaggiandosele come a cercare di rimescolare i pensieri che stagnavano nella sua mente. Rimase in quella posizione per pochi istanti, poi si sedette stancamente su una delle panche che stava proprio dietro di lui, gettandosi su di essa come improvvisamente schiacciato dal peso dell’età: un vecchio canuto e curvo che si arrendeva al bianco della lunga barba. Sospirò ancora, più profondamente, gettando nell’aria le parole velenose dello sconforto e della sconfitta che sibilavano dentro di lui. Si tolse gli occhiali con un gesto stanco e si passò una mano rugosa sugli occhi, carezza decisa a lenire gli uggiolii degli astuti segugi azzurri.

I membri dell’Ordine rimasero in silenzio. In silenzio ad osservare la figura china del loro scaltro ed infallibile condottiero. Una corte di fantasmi in rispettoso silenzio, come gli invitati alla veglia funebre di un antico, potente re, storditi di fronte allo sconforto che aveva afferrato la loro guida trasformandola nella figura piegata e silenziosa di un vecchio solo. Lo guardavano con occhi confusi, dubbiosi, quasi non riuscissero a riconoscere l’uomo di fronte a loro.

Chi era quel vecchio con la lunga barba? Chi era quell’uomo distrutto e privo di forze che sedeva stancamente su una semplice panca di legno? Quello non era il loro generale di ferro: quello era solo un patetico vecchietto.

Aspettavano che lui facesse un passo avanti, che uscisse dal regno del silenzio e delle ombre per tornare da loro, i suoi soldati, di nuovo fulgente e deciso capitano della luce. Il re degli elfi che tutti loro conoscevano, che tutti loro aveva deciso di seguire senza remore…

Aspettavano, ma Albus Silente rimaneva laggiù, perduto tra le ceneri di un regno che avrebbe dovuto essergli sconosciuto, ma che lui, come tanti altri, conosceva molto, molto bene. Chiuso nella nebbia di cenere che non lasciava distinguere il sotto dal sopra, abitato da sogni spettrali e fantasmi silenziosi, figure di etere che vagavano incappucciate mormorando salmi in lingue da loro stesse inventate. Un regno di nulla abitato da idee, grigio e vuoto. Ed Albus Silente era là, a vagare senza meta tra i suoi pensieri a lasciarsi accarezzare dalle mani scheletriche e leggere della nebbia, sussurro infinto della pace, l’abbraccio annullante delle vesti dei fantasmi che furono.

Tra quelle ombre senza pace, in quella foresta invisibile, Albus scorse una figura più scura camminare, scivolare a poca distanza da lui. Anche quel fantasma nero e incappucciato conosceva bene i sentieri del re silenzioso. Conosceva molto bene quello spettro con il capo chino che cercava rifugio tra gli anfratti della nebbia, tentando quasi di diventare parte di essa, di svanire, di non dover essere di nuovo catturato e ricondotto indietro a forza, di nuovo al di là dei confini col regno della realtà.

“Severus!” Lo chiamò, ma l’altro non si voltò e procedette per la sua via.

“Severus!” Chiamò di nuovo Albus. Gli occhi ancora chiusi, in contemplazione di immagini che vivevano dentro di lui. La sua voce era flebile al di là della cortina, ma quel nome appena sussurrato arrivò alle orecchie dei compagni dell’Ordine.

L’ombra nera si fermò, ma non si girò verso colui che la chiamava. Rimase ferma qualche istante come colta dal profondo desiderio di fermarsi, di fare marcia indietro, di non procedere per quella via… ma poi si costrinse a riprendere il cammino, in silenzio, da sola, decisa.

“Severus.” Disse Silente aprendo gli occhi colmi di scintille di nuova, fresca forza. Guardò quasi con furia i membri dell’Ordine che stavano in piedi, taciturni, davanti a lui, frugò tra di loro cercando il giovane dai capelli scuri. Aveva capito…

Silente di alzò con decisione e calzò nuovamente gli occhiali a mezzaluna, avanzò di qualche passò, facendosi strada tra gli uomini e le donne dell’Ordine che si scostavano di fronte all’andatura decisa e sicura del vecchio preside.

I suoi occhi azzurri persero le acuminate armature di luce di cui si erano rivestiti non appena incontrarono l’oggetto della loro ricerca. I bracchi blu corsero verso il ragazzo in piedi, nell’angolo, la schiena appoggiata al muro, le braccia strette sul petto come catene a costringersi di non fuggire, di non voltare le spalle a tutti ed allontanarsi da quel luogo. Gli occhi neri fissi fuori della finestra, tra le brume della notte, nostalgici e desiderosi di uscire nelle tenebre ad unirsi ai sospiri ed ai lamenti delle creature dell’oblio. I segugi azzurri si precipitarono su di lui, stringendolo tra loro, leccandolo affettuosamente, accoccolandosi accanto a lui.

“Severus…” Disse dolcemente Albus avvicinandosi al giovane. Lui non si voltò, non si mosse, continuò a guardare al di là del vetro freddo del finestrone, così come la sua ombra aveva proseguito oltre.

“Non sei tenuto a tornare da lui. –Gli disse tranquillamente Silente, sorprendendo gli altri membri dell’Ordine che lo fissavano confusi. –Nessuno ti spinge in quella direzione, la scelta è solo tua. Ma non sentirti obbligato: non sbagliare un’altra volta.”

Severus continuò a tacere, fece una smorfia e il suo capo scattò come a voler fuggire dallo sguardo azzurro e splendente del preside.

“So cosa hai intenzione di fare. –Continuò il preside. –Non mi pare la decisione migliore. Non per te.”

Sospirò rassegnato quando vide che Severus continuava ad ignorarlo pedissequamente.

“Non sappiamo nemmeno se Harry è davvero con lui.” Riprese Albus.

“Che importa?” Mormorò allora Severus, con voce vuota, la vita ormai abbandonata in qualche angolo oscuro.

“Severus, io non ti permetto di sacrificarti per nulla.” Disse Albus.

“Perché? A chi importa di me? Guardali, Albus. –Disse Severus tristemente accennando col capo alle persone che li osservavano a pochi metri di distanza. –Non aspettano altro che liberarsi di me.”

Silente si gettò un’occhiata intorno e sospirò.

“A me importa.” Gli disse Silente con tono paterno.

“E’ una trappola.” Mugghiò improvvisamente Moody, attirando l’attenzione su di sé.

“Conosco la tua opinione, Alastor. –Lo liquidò in fretta Silente. –Grazie.” Moody alzò le mani in segno di resa e  si chiuse nuovamente nel silenzio.

“Dov’è Lily?” Chiese Severus in un sussurro.

“Che t’importa dov’è?- Ruggì Sirius avanzando con decisione. –Che cosa vuoi ancora da lei? Non ti basta averle distrutto ogni speranza poco fa? Tu e la tua stupida schifosa profezia?”

“Sirius…” Cercò di trattenerlo Lupin, ma ormai Black stava dando sfogo a tutto il dolore e l’odio che erano andati accumulandosi quella sera. Aveva ragione ad incolpare Piton della morte di James… aveva ragione, perché la colpa era davvero solo e soltanto sua.

Severus, da parte sua, era ancora troppo sconvolto da quanto accaduto poco prima: l’ira di Lily, la sua delusione che brillava negli occhi verdi. La ferita era ancora troppo fresca e sanguinante per poter avere la forza di ribattere alle parole di Black. Ma poi ribattere cosa? Black aveva ragione.

“Hai ucciso James, hai condannato Harry e ora hai illuso e distrutto Lily!- Continuò a urlare Sirius, lacrime di ira e di dolore gli premevano con violenza contro le iridi d’azzurro argentato. –Vuoi sapere dov’è? E’ corsa di sopra a piangere… per colpa tua!”

Remus aveva ormai rinunciato a tentare di trattenere l’amico. Capiva, lo capiva… era inutile obbligarlo a tenersi tutto dentro, Sirius non era fatto così: le sue emozioni uscivano da lui come inondazioni trascinando con loro chi gli stava intorno, gettandoli nell’allegria più sfrenata o nell’ansia più cupa. E poi, Sirius aveva ragione. Era così sciocco fidarsi di un ex Mangiamorte solo perché Silente si fidava, ma lui lo aveva sempre fatto… non aveva mai apprezzato Severus, ma credeva fermamente in Silente, e ora che anche questi si era mostrato loro per l’ambiguo manovratore senza scrupoli che era, di chi poteva fidarsi?

“Non ha importanza quello che ha fatto, Sirius. -Disse Remus all’amico. -Importa ciò che farà. Se ha deciso di rimediare all’errore, oppure se continuerà a nascondersi. Penso che la cosa migliore che lui possa fare, sia consegnarsi a Voldemort… ripagherebbe il debito ed è ciò che intende fare, non è così?” Chiese infine rivolgendosi direttamente a Severus, che lo guardò con occhi vuoti senza rispondere alla domanda di Lupin.

“Severus non è l’unica questione qui.- Intervenne Aberforth, rubando la scena a Remus e guardando con durezza il fratello. –Spero tu ti renda conto del rischio che hai corso, Albus. Se c’è qualcuno da biasimare qui, prima di Severus, sei tu.”

Albus alzò lo sguardo verso di lui e incontrò con gli occhi la professoressa McGranitt che annuiva decisa col capo.

“Hai lasciato in giro informazioni importantissime come fossero briciole di pane. Non ti è nemmeno passato per la testa che i Mangiamorte sarebbero potuti venire a ingaggiar battaglia?” Continuò Aberforth come un fiume in piena: era l’unico che aveva il coraggio di dire in faccia ad Albus ciò che pensava di lui, e non aveva intenzione di risparmiarsi.

“Un boccone succulento per Voldemort: l’Ordine al completo, riunito nello stesso luogo. Avrebbe potuto spazzarci via come steli secchi!” Riprese Aberforth.

“Non è venuto qui con quell’intenzione.” Gli fece notare Albus, ormai messo all’angolo. All’angolo… come Severus, insieme con Severus: i due accusati. Era strano, per lui, trovarsi lì: non era solito stare al banco degli imputati, lui era il giudice, era sempre stato il giudice, aveva sempre avuto l’ultima parola. Ora, però, doveva chinare il capo sotto lo sguardo accusatorio di Aberforth, sotto gli stessi occhi che erano i suoi. Ed intorno a loro la corte, gli amici traditi e amareggiati con i loro visi duri e gli sguardi taglienti. Il giudice in mezzo a loro, con il dito levato contro Albus, contro il fratello che lo aveva già deluso una volta.

“Certo! E tu lo sapevi, non è così? Albus il Grande sa sempre tutto!” Lo rinfacciò Aberforth, sarcastico.

“Ci hai messo tutti in grave pericolo, Albus. –Intervenne la Minerva a spalleggiare il fratello del preside. –Il gioco non valeva la candela.”

“Senza contare la situazione in cui hai messo Severus. –Riprese Aberforth accennando al giovane silenzioso ancora in piedi di fianco al preside. –Mi dispiace, ma se qui c’è un colpevole quello sei tu.” Negli occhi amareggiati di Albus si rifletterono in un secondo gli assensi silenziosi di tutti gli altri; la sentenza era stata emessa, la corte si era pronunciata: colpevole.

Albus abbassò gli occhi, lasciando campo libero al fratello. Era strano, era come se improvvisamente i ruoli dei due fratelli si fossero invertiti, Aberforth aveva preso in pugno l’autorità che non aveva mai voluto mostrare di fronte all’Ordine, da cui si era sempre tenuto piuttosto defilato. Ma ora no, ora nei suoi occhi brillava la stessa costellazione di quelli di Albus, i segugi azzurri si erano spostati dall’uno all’altro e ora fissavano il loro vecchio padrone con la stessa luce con cui avevano guardato altri.

“Signori!- Continuò Aberforth, rivolgendosi agli altri membri dell’Ordine, le braccia aperte come ad afferrare e trascinare su di sé l’attenzione degli altri. –La nostra presenza non è più necessaria, qui. Se Severus deciderà o meno di tornare da Voldemort, non ci riguarda: è una questione tra lui e il Signore Oscuro, noi siamo di troppo.”

Ciò detto, gettò un ultimo sguardo pieno di biasimo al fratello, e voltò le spalle facendo per andarsene, ma la voce di Sirius Black lo trattenne.

“E Harry?” Chiese, infatti, il ragazzo. Aberforth si voltò lentamente verso di lui, l’espressione corrucciata.

“Insomma, Voldemort ha Harry, oppure è solo una trappola?” Continuò Black.

Aberforth lo osservò in silenzio per qualche istante analizzandolo da cima a fondo come se cercasse la risposta a quella domanda scritta su di lui.

“Io non sono mio fratello, signor Black.- Grugnì infine. –Non ho tutte le risposte.” Ciò detto, si voltò nuovamente con un movimento stizzito e se ne andò a grandi passi. Gli altri dell’Ordine rimasero ancora qualche secondo ad osservare la figura sbiadita di Albus Silente e quella nera e oscura di Severus, chi con occhi pietosi, chi con disgusto, chi pieno di delusione. Quindi, uno a uno, uscirono dal salone taciturni. Scemarono in silenzio, fino a che rimasero soltanto Sirius Black e Remus Lupin ad osservare i due condannati, l’uno con astio, l’altro con tristezza.

Severus sapeva che gli occhi di Black erano interessati soprattutto a lui, ma non alzò lo sguardo. L’ultima cosa che voleva, in quel momento, era una litigata con Sirius. C’era troppa tristezza in lui, tanto dolore da impedirgli di respirare, gli bloccava la gola e si stringeva intorno a lui come acqua putrida. Era una sensazione che aveva già conosciuto, l’aveva incontrato molte volte quel dolore bruciante, ormai poteva salutarlo con un sorriso, come un vecchio amico. La consapevolezza che sarebbe dovuto tornare dal suo vecchio signore e padrone gli toglieva quel poco di vita che Lily, con la sua presenza, era riuscita a donargli di nuovo. Tornare da lui… tornare da lui significava la dannazione eterna, significava precipitare nella cerchia più profonda del suo inferno, quella dove aveva esiliato il suo passato, da cui sorgevano le fiere crudeli che gli laceravano l’anima e dalla quale si elevavano grida inumane che nessuno poteva ascoltare.

A Remus dispiaceva per Severus. Era buffo perfino ammetterlo con sé stesso, ma provava pietà per lui, per la situazione in cui si trovava ed i suoi occhi d’ambra rivelavano i suoi sentimenti, caldi e profondi come laghi d’oro. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma qualsiasi cosa avesse detto sapeva che sarebbe stata fuori luogo. Gettò un’occhiata a Sirius, spalla a spalla con lui, ai suoi lineamenti contratti dalla rabbia, dalla frustrazione, ai suoi occhi scintillanti di lacrime che il giovane non aveva potuto trattenere.

Lupin prese un respiro profondo, poi poggiò tranquillamente la mano sulla spalla dell’amico ad invitarlo a seguirlo, a lasciare da soli Severus e Silente. Sirius lo guardò con rabbia, ma poi si lasciò condurre placidamente verso la porta, dove Brix se ne stava, in attesa di aprire loro gentilmente la porta dell’ingresso.

Appena giunto sulla soglia, mentre Remus prendeva il suo mantello dall’attaccapanni e se lo gettava sulle spalle, Sirius si fermò, voltandosi lentamente verso i due uomini, ancora immobili all’angolo del salone.

“Se davvero tieni a Lily, Piton, -Disse con calma, in un mezzo sussurro, la tristezza scesa ad appannare la rabbia sul suo viso. -faresti di tutto per riportarle Harry. Dimostrami che sei degno di lei, e forse potrei cambiare idea su di voi.”

Severus alzò il capo verso di lui, stupito di udire quelle parole uscire dalla bocca di Sirius Black. Lo guardò confuso, vedendo chiaramente la sincerità nei suoi occhi azzurri. Non seppe come rispondere, ma nelle sue iridi di carbone tornarono a brillare le faville infuocate dello spirito del drago dentro di lui, alzò il mento con decisione e annuì in modo appena percettibile.

Questo parve bastare a Sirius, che accennò col capo in segno di saluto prima di raggiungere Remus e uscire con lui nella notte.
 

***
 

La giovane donna si appoggiava stancamente al morbido schienale della poltrona, presso il fuoco scoppiettante, suo unico compagno nella stanza vuota. Teneva il capo biondo chino, lo sguardo posato sul libro aperto che se ne stava abbandonato sulle sue ginocchia. Non avrebbe dovuto essere lì a quell’ora, ormai quasi mezzanotte. Avrebbe dovuto essere a letto, a dormire sonni tranquilli con suo marito al fianco, e il loro bambino avrebbe dovuto riposare placidamente nella sua culla, a pochi passi dal letto dei genitori, insieme a loro. Invece, lei era lì, da sola, insonne. Suo marito era fuori, insieme a quel mostro che ancora chiamava signore e il suo bambino era di sopra, in compagnia di due elfi domestici che vegliavano sul suo sonno. Almeno lui era tranquillo.

Narcissa Malfoy sbuffò sonoramente. Non le riusciva di leggere. Aveva preso un libro a caso, il primo che le era venuto sottomano, nella speranza di dimenticare, almeno per un po’, i dubbi e i problemi che le angosciavano la mente, ma era inutile. Quelle parole stampate le risultavano incomprensibili, come scritte in una lingua che non conosceva.  Narcissa allontanò lo sguardo dalle pagine del libro e lo puntò distrattamente tra le fiamme del camino, come a cercare una risposta ai suoi tormenti tra le danze di quelle lingue rosse, rivolgendosi ad un oracolo di fuoco. Le fiamme del camino brillavano sui suoi capelli di platino, scintillando come onde vermiglie in quel lago dal pallore lunare.

Era da tempo che un’idea le saltellava nella mente come una cavalletta, impossibile da catturare quanto fastidiosa con quei suoi saltellii nei momenti meno opportuni e i suoi frinii continui. Se l’era tenuta per sé, la sua cavalletta, bella stretta: sapeva che Lucius non avrebbe gradito di vedersela davanti a ogni ora del giorno. Aveva esposto quell’idea balzana al marito già molte volte ed aveva ottenuto soltanto il risultato di irritarlo, e così  aveva smesso di presentargliela.

Quella cavalletta dalle ali verdi, però, era sempre lì e non la si poteva ignorare. Era lì e continuava a ripetere sempre lo stesso nome, in un trillo sussurrato: Albus Silente. Dovevano rivolgersi a Silente se volevano sperare di uscire da quella situazione, situazione che lei stessa aveva creato quando Lucius si era arreso alle sue preghiere.

Silente era l’unica via per uscire da quella prigione, Narcissa lo sapeva, ma Lucius non voleva sentir ragione. Per lui, rivolgersi al preside di Hogwarts equivaleva ad accettare la sconfitta, era un’umiliazione, per il suo nobile marito, rivolgersi al protettore di Mezzosangue e elfi domestici, era come scendere al loro stesso livello: meglio rimanere al fianco del Signore Oscuro, rischiare che questi scopra tutto e si vendichi su lui e la sua famiglia. Perché Narcissa sapeva che Voldemort avrebbe presto smascherato il tradimento di suo marito, già sospettava qualcosa, il loro signore, ne era certa, e Lucius non poteva portare avanti il suo gioco ancora a lungo.

No, doveva fare qualcosa. Al diavolo l’orgoglio di Lucius! Sarebbe andata lei da Silente, avrebbe raccontato tutto e gli avrebbe chiesto protezione per la sua famiglia, dopotutto, era l’unica cosa che potesse salvarli, che potesse salvare Draco.

Narcissa chiuse il libro di scatto, con decisione, gli occhi cerulei scintillanti e risoluti. Si alzò in piedi, rassettando la vestaglia color crema e lisciandone le pieghe, posò il libro sulla poltrona, afferrò la mantella di lana bianca, che giaceva appoggiata al bracciolo della stessa, e se la gettò con eleganza sulle spalle.

In quel momento, qualcuno bussò alla porta attirando l’attenzione della donna.

“Sì? Avanti!” Disse con voce sicura.

La porta scattò ed apparve sulla soglia una piccola elfa domestica con uno straccio scuro gettato sulle spalle ossute e gli occhioni azzurri umidi e scintillanti.

“Perdonate, padrona. –Disse questa con voce tremula, mentre richiudeva la porta sotto lo sguardo imperioso di Narcissa. –E’ arrivata una lettera di padron Lucius.” E così dicendo mostrò un pezzo di pergamena che teneva nella mano affusolata.

“Intende informarvi che farà tardi e che domattina partirà presto e starà via tutto il giorno.” Spiegò l’elfa.

Narcissa sospirò e distolse lo sguardo dalla creaturina portandolo verso le fiamme del camino. Lucius sarebbe stato via tutto il giorno… di nuovo. Però, forse, questa volta poteva considerarla una buona notizia.

“La padrona desidera qualcosa?” Si offrì la piccola elfa, notando lo sguardo sconfortato di Narcissa.

“No, Iris. Torna ai tuoi lavori, se ne hai ancora. Io stavo andando a letto.” Rispose questa, congedando l’elfa che fece un lieve inchino e lasciò la stanza richiudendo lentamente la porta dietro di lei.

Rimasta sola, Narcissa si strinse di più lo scialle addosso ed uscì anch’ella dalla sala, ma diretta in ben altro luogo che la camera da letto. In fretta, con passo deciso, attraversò i corridoi freddi e appena illuminati della villa fino allo porta dello studio di Lucius. Non era solita entrare nell’ufficio del marito senza il suo permesso, ma quella volta aveva una missione ben precisa. Il sigillo magico che Lucius aveva messo sulla porta era come inesistente per lei, segno che il signor Malfoy si fidava di sua moglie e lei, d’altronde, non gli aveva mai dato ragione di pensare il contrario.

Narcissa abbassò decisa l’elegante maniglia d’ottone e aprì la porta scivolando con discrezione nello studio buio. Estrasse la bacchetta ed illuminò la stanza ordinatissima con la sua luce azzurra mentre richiudeva silenziosamente la porta. Si diresse verso la scrivania del marito di cui passò subito a rassegna il ripiano lucido, tutto perfettamente in ordine, la penna, alcune pergamene nuove, un calamaio, un fermacarte d’argento, nulla di interessante. Narcissa fece, allora, il giro della scrivania e si chinò verso i cassetti. Aprì il primo con un lieve sforzo, ma all’interno trovò soltanto tagliacarte, portamina, boccette nuove d’inchiostro ed altri oggetti. Richiuse il cassetto quasi con stizza e passò al secondo. Rovistò in tutti i cassetti senza trovare ciò che cercava. Sbuffò guardandosi intorno e il suo sguardo fu catturato da un libro sul ripiano della scrivania a cui prima non aveva fatto caso. Incuriosita, lo aprì e questa volta, infilata discretamente sotto la copertina, trovò finalmente l’oggetto delle sue ricerche: una cartina della Scozia.

Felice di aver trovato ciò che cercava, Narcissa aprì la carta e notò subito un cerchio, segnato con una matita calcando il tratto più volte, e, di fianco ad esso, la calligrafia di Lucius si esibiva nella dicitura: V. Silente.

Narcissa sorrise: era proprio ciò che voleva sapere. Non era così lontana da Hogwarts, la villa di Silente, notò, ma questo non le importava più di tanto. Afferrò una pergamena dalla risma sulla scrivania e una matita e si segnò il luogo in cui si trovava la tana del preside, quindi ripiegò la cartina e la ripose al suo posto, nel libro. Si mise in tasca la pergamena e uscì dallo studio del marito. Ormai aveva deciso: l’indomani mattina, appena Lucius se ne fosse andato, lei avrebbe suonato il campanello di Silente. Era ora che prendesse in mano la questione, se aspettava Lucius, sarebbero presto finiti sottoterra tutti quanti.
 

***
 

Lily ancora non poteva crederci. No, non lui. Non Severus. Non era giusto…

Si strinse ancora di più al cuscino, stritolandolo in quell’abbraccio disperato mentre le lacrime, ormai, non riuscivano più ad uscire. Avrebbe voluto ci fosse Severus al posto di quel cuscino. Come poche ore prima, quando si era stretta a lui, sconvolta dalla rivelazione di Sirius, quando le era sembrato che tutto le fosse crollato addosso, e invece no: aveva ancora un rifugio, e quel rifugio erano state le braccia di Severus, che avevano accolto le sue lacrime e le avevano asciugate. Ora chi c’era ad assorbire quelle stille d’argento? Un cuscino?

Non sapeva cosa fosse accaduto di sotto. Non voleva saperlo. Le era sembrato di sentire la voce di Sirius alzarsi un po’ più in alto, ma non aveva capito le sue parole, non aveva voluto capirle.

Non voleva sapere cosa fosse accaduto. Una cosa era certa: Silente non aveva deluso solo lei, ma l’Ordine al completo. Come poteva chiedere aiuto a lui? C’era ancora la profezia che aveva ascoltato da capire, ma che importava? Severus l’aveva illusa. Lui non c’era più… e lei, ora, era chiusa nella sua stanza, sdraiata sul letto a pancia in giù, stretta al cuscino bagnato dalle sue stesse lacrime. Era stata una sciocca a pensare che tutto sarebbe potuto tornare come un tempo. Severus non era più il bambino che conosceva. Non era più quel ragazzino con cui passava le giornate a chiacchierare, era stata una sciocca a pensare di poterlo ritrovare ancora tra i labirinti di grotte che segnavano l’animo del Severus ragazzo.

Perché Severus?

Come aveva potuto? Era per quello che aveva fatto di tutto per ritrovare Harry? Ora se ne sarebbe andato? Sarebbe tornato da Voldemort per poterle ridare suo figlio? Quante domande… è strano come nei momenti più cupi si aprano punti interrogativi, anziché presentarsi risposte.

La prima parte della profezia si era avverata: Lui era venuto e aveva posto le sue condizioni. Ed ora Severus sarebbe tornato al suo fianco, proprio come aveva predetto la Cooman.

Non tornerei mai consapevolmente da lui, Lily. Mai

Le parole di Severus le rimbombarono in capo. Non sarebbe mai tornato dal Signore Oscuro di sua spontanea volontà… mai… eppure, in cuor suo, Lily sapeva che Severus era deciso ad incamminarsi lungo quella via.

Le lacrime tornarono a premere contro il verde dei suoi occhi, ormai rovinato e livido. Perché doveva essere così difficile? Perché non poteva restare insieme a Severus senza problemi? Perché doveva sempre esserci qualche ostacolo tra loro? Poteva di nuovo perdonare Severus? Non era così semplice…

Qualcuno bussò alla porta, portando la ragazza ad alzare il viso affondato nel cuscino e a volgere gli occhi verso la suddetta porta. Si asciugò appena le lacrime con la manica del maglione, tirando su col naso.

“Lily?” Per la giovane fu come una lama arroventata che le penetrava nel cuore udire quella voce, attutita dal legno spesso.

“Lily, posso parlarti?” Fece ancora la voce di Severus, ma lei non aveva intenzione di rispondere. Non ce la faceva ad affrontarlo, non ancora…

“Lily, per favore…” Continuava Severus, la voce resa insicura dalle lacrime.

“Ti prego, Lily, fammi entrare. Voglio solo parlare con te.” Ma Lily non rispondeva, rimaneva immobile, sul letto, il cuscino ancora stretto a sé, con gli occhi vuoti.

“Ti prego, Lily…” Sussurrò un’ultima volta Severus, le lacrime ormai gli scorrevano sulle guance, incapace di trattenerle.

Appoggiò sconsolatamente la fronte alla porta della camera della giovane, la mano appoggiata senza vita alla maniglia. Sapeva che sarebbe accaduto, sapeva che l’avrebbe persa… era inutile tentare di parlarle ancora. Voleva solo dirle addio. Ormai aveva preso la sua decisione, rimanere in quella casa non significava più nulla per lui, ora che Lily non voleva più parlargli. Non importava quello che pensava Silente, non importavano le suppliche di Brix… sarebbe tornato dal suo antico signore e avrebbe affrontato il giusto prezzo per il tradimento. Per aver tradito la fiducia di Lily.

Sarebbe andato via la mattina presto, quando tutti ancora dormivano: non aveva intenzione di aspettare fino alla sera con Albus e Brix che cercavano di distoglierlo dal tornare da Voldemort. Non aveva intenzione di perdersi nei discorsi d’addio del preside. Voleva solo salutare Lily, chiederle scusa, anche se sapeva benissimo di non meritare il suo perdono.

Severus sospirò sconsolato, ma poi gli venne in mente che forse c’era un modo per spiegare tutto a Lily. Si allontanò dalla porta e percorse il corridoio fino alla sua camera. Accese la luce con un movimento della bacchetta, il suo braccio rimase fermo a mezz’aria per un po’, dopo che la luce giunse ad invadere la camera spoglia. Gli occhi cupi di Severus si soffermarono sulla semplice bacchetta che stringeva nella mano: la vecchia bacchetta di Albus. Sospirò tristemente, quindi si diresse verso la scrivania davanti alla finestra. Si sedette e ripose con gentilezza la bacchetta sul ripiano della scrivania. Non l’avrebbe portata con sé la mattina dopo: i Mangiamorte non gli avrebbero lasciato tenere la bacchetta e non voleva che finisse nelle mani empie di Voldemort perché fosse sporcata e contaminata dalla sua magia oscura. Estrasse, con un gesto stanco, una pergamena nuova dal cassetto, insieme alla penna e all’inchiostro e cominciò a scrivere.
 

***
 

“Lo sai qual è il prezzo del tradimento, Lucius?” Sibilò con voce suadente il Signore Oscuro, girando intorno alla sua preda, com’era solito fare, come un predatore pronto a balzarle addosso.

Lucius deglutì. Non sapeva se Voldemort si riferisse a lui o a Severus, ma, anche stesse parlando del secondo, la cosa non lo faceva sentire meglio. Quando Riddle lo aveva chiamato nel suo ufficio, aveva pensato si trattasse di una questione sciocca. Il Signore Oscuro non era solito invitare gente nel suo studio privato, e, se lo faceva, era per discutere di questioni formali, di affari. Malfoy era stato altre volte in quella stanza cupa, illuminata da candelabri cinerei, la tenebra che ne avvolgeva ogni angolo addensandosi in profondità tra le pagine dei libri di Arti Oscure che sfilavano su una enorme ed elegante libreria d’ebano nero. Non c’erano pareti spoglie in quello studio, come era per il salone vuoto dove Voldemort aveva posto il suo trono oscuro, no: lì ogni lato era tappezzato di libri. Libri che sussurravano tra loro sotto la luce pallida delle candele, bisbigliavano parole malvagie, infernali, depravate…

“La morte, mio signore?” Osò rispondere Lucius Malfoy, la voce impastata dalla paura.

Voldemort si piazzò dinnanzi a lui, analizzandolo da cima a fondo ad assaporare le rime di terrore che si formavano sul viso perfetto di Lucius, forgiate dal martello di fuoco dei suoi occhi serpentini.

“Oh, quella arriva solo alla fine.” Sussurrò il Signore Oscuro, raggelando l’altro con il suo respiro livido, le labbra sottili a poca distanza dal viso di Malfoy.

Lucius era pietrificato. Quell’aura oscura che aleggiava in quella stanza, in quella cappella del male, era come fruste che si stringevano intorno a lui, impedendogli di muoversi, impedendogli di respirare. Si avvolgevano intorno alla sua gola con forza, strangolandolo.

“Sei stato molto utile, finora, Lucius…” Bisbigliò ancora il Signore Oscuro, mischiando la sua voce a quelle sorelle della magia oscura.

Malfoy cercò di profondersi in un inchino, ma ottenne soltanto un patetico scatto del capo e un tremore della schiena.

“Mio signore…” Mormorò con deferenza, andando a sopperire al gesto mancato.

Voldemort lo guardò seriamente.

“Hai paura, Lucius?” Domandò poi, i suoi occhi folgoranti di fiamme scarlatte che scottavano il vicino volto di Malfoy.

“Sì, mio signore.” Rispose questi, abbassando appena lo sguardo. Sapeva che il Signore Oscuro godeva nel sentire i suoi servi ammettere la loro paura, si compiaceva nel vederli umiliarsi innanzi a lui. Era come sidro per lui, come gocce d’acqua che andavano a nutrire il fiore prosperoso del suo potere e della sua ambizione.

“E perché?- Chiese Voldemort, corrucciando la fronte. –Hai forse qualcosa da nascondermi?”

Gli occhi di Lucius scintillarono sulla curva di quell’ultimo punto interrogativo. Voldemort aveva colto nel segno… sapeva che gli nascondeva qualcosa? No, non poteva essere. Lui aveva sempre giocato bene la sua parte, non aveva lasciato alcun segnale al suo signore, se ne era guardato bene.

“No, mio signore. –Rispose, alzando il mento, mostrando finta sicurezza nel rispondere. –Voi sapete che sono un servo fedele. Mai vi terrei nascosto qualcosa.”

Voldemort parve soddisfatto di quella risposta, o almeno così dette a credere a Lucius. Le lingue di fuoco di quelle iridi cinabrine sprofondarono con grazia e lentezza nel ghiaccio degli occhi di Lucius, fondendone le pareti azzurre e scivolando all’interno senza che Malfoy ne fosse consapevole.

Il Signore Oscuro frugò con discrezione nella mente del suo servo: con Codaliscia aveva potuto permettersi di essere brutale e senza riguardo, ma Malfoy era diverso. Era scaltro e niente affatto stupido, metterlo in allarme troppo presto avrebbe rovinato il gioco. I ladri di fuoco cercarono in silenzio in quella mente inconsapevole della rapina in atto, andarono dritti a quel baule sigillato, gettato in un angolo, nascosto sotto cortine di buio. Le dita fiammeggianti scassinarono la serratura con un tocco preciso e sicuro e il segreto che Malfoy teneva nascosto al suo signore non fu più tale.

Voldemort sogghignò, non appena i suoi fedeli marioli gli consegnarono il frutto dalla cerca. Guardò il volto teso di Malfoy: non si era accorto di nulla. Leggere nella mente era un’arte e il Signore Oscuro ne conosceva ogni sfumatura, e nessuno, nessuno poteva sfuggire al suo sguardo.

“Mio signore?” Fece Lucius, rompendo il silenzio che era calato su di loro. Voldemort, tuttavia, non lo ascoltò, era ancora troppo deliziato dalla chicca che gli era appena stata rivelata. E così i suoi sospetti erano veritieri. Lucius non l’avrebbe passata liscia, aveva l’arma pronta, anzi, sarebbe arrivata a breve, per farla pagare al ‘fedele’ Malfoy.

“Lucius!- Tuonò improvvisamente facendo sussultare l’altro. –Passa parola fra i Cavalieri di Valpurga: domani dovrete essere tutti qui con me… a dare il bentornato alla pecorella smarrita.” Ordinò poi.

“Ma, mio signore…- Azzardò Lucius, con non poca insicurezza. –Siete sicuro che verrà?” Chiese.

Voldemort gli sorrise, divertito.

“Sicuro come il sorgere del sole, mio caro.” Disse, ridacchiando malvagio.

“Ora vattene.” Disse poco dopo, con un gesto spiccio della mano, il sorriso improvvisamente svanito dalle sue labbra pallide.

Lucius accennò un inchino e uscì dallo studio, trattenendo a stento un sospiro di sollievo che, certo, non sarebbe stato gradito al suo signore.

Una volta che Malfoy lo ebbe lasciato da solo, Voldemort andò ad accomodarsi sulla comoda poltrona di pelle, dietro la pesante scrivania nera, e lì l’ilarità lo colse, trascinandolo in una raggelante, profonda risata.

Rise. Rise impregnando i libri oscuri delle note del suo compiacimento. Rise di Malfoy, del suo segreto ormai svelato. Rise di Silente, che aveva ridicolmente tentato di metterlo nel sacco. Rise, dando sfogo alla soddisfazione per il suo schema perfetto, per i magnifici arabeschi che aveva inciso sulla lama della mannaia che si sarebbe abbattuta su Lucius. Rise, assaporando già il sangue di Severus bagnare di nuovo le sue labbra assetate, gustando il piano che aveva programmato per lui.

Le sue labbra si aprirono al sussurro, rotto ancora dalle risa: “Ah! La morte arriva solo alla fine…”
 

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Eccomi! Un nuovo capitolo di passaggio, tanto per aumentare un po’ la tensione. Non ringraziatemi...

E’ stata dura mettere assieme tutti questi pezzi, ma erano necessari. Se devo dire, la prima parte non mi ispirava molto, ma poi Aberforth ha sistemato le cose: sono molto fiera di Abe in questo capitolo. Anche di Sirius, per la verità. L’ultima frase che dice non so da dove sia saltata fuori, ma mi piaceva molto l’idea.

E Narcissa, beh… ha deciso di prendere in mano la situazione. Era ora! Se aspettavamo Lucius andavamo alle calende greche…

Anche l’ultimo pezzo di Voldemort è riuscito bene. Alla fine, direi che un bel capitolone. Che ne dite?

Il titolo è "Interludio" semplicemente perchè mi era impossibile trovare un titolo che riunisse tutte le quattro parti. Sono negata per i titoli lo sapete...

Il prossimo capitolo non so ancora se sarà su Voldemort e Severus o su Narcissa… penso i primi, comunque. Sì, direi di sì.

Ciao a tutti!
 
 
  
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