II° PARTE
Celeste sedeva, annoiata, sul vecchio dondolo dietro casa di Tisifone, quando decise di andare da Phoenix, così si alzò; arrivata all’angolo della costruzione, per poco non si scontrò proprio con il cavaliere della Fenice.
“Ti stavo cercando.” Ammise timidamente il ragazzo.
Cerca me? Sta proprio cercando me, nell’esatto
momento in cui io stavo andando da lui, non può essere una coincidenza, si
disse Celeste; però, riuscì soltanto a sussurrare:
“Ah…”
“Volevo parlarti…” Le disse, evitando il suo sguardo,
pur coperto dalla maschera.
“E… di che cosa?” Domandò la ragazza, non ancora
ripresasi del tutto.
“E’ strano…” Affermò Phoenix, appoggiandosi al muro.
“Ti conosco da meno di due giorni e vengo a parlare con te, di qualcosa che
potrebbe cambiare la mia vita.” Aggiunse serio.
“Si vede che senti di poterti fidare.”
“E’ che tu… mi sembri diversa.” Era tornato a
guardarla.
“Perché somiglio a lei?” Chiese Celeste titubante,
alludendo alla misteriosa Esmeralda.
“No, non è per quello, o almeno… non solo.” La
sacerdotessa lo fissava, ma lui non poteva vedere il suo sguardo dietro la
maschera, altrimenti avrebbe capito che effetto facevano le sue parole.
“Vorresti sentire la storia di Esmeralda?” Le chiese, lei annuì.
Phoenix le raccontò di come aveva conosciuto la
ragazza, della forza che lei gli aveva trasmesso ed, infine, della sua morte,
il giorno della sua consacrazione a cavaliere della Fenice. Celeste fu molto
colpita, nello scoprire come il ragazzo si era procurato la sua cicatrice.
“E adesso…” Lo spronò lei, alla fine del racconto,
dopo qualche attimo di silenzio. “…sentiamo quello che hai da dirmi.”
“Lady Isabel vuole che diventi il custode delle
vestigia di Gemini.” Affermò asciutto Phoenix.
“E’ un grosso impegno, ma credo che dovresti
accettare.” Rispose lei; il cavaliere alzò al testa e la guardò.
“Non credi di aver risposto un po’ troppo in fretta?
Lo sai che cosa c’è dietro a quell’armatura, sai cosa sono stato io?” Replicò
lui con rabbia.
“No, non credo di essere stata affrettata, sì, so
cosa c’è dietro le vestigia di Gemini, e no, nessuno mi ha detto del tuo
passato, ma…” Rispose alle sue domande avvicinandosi. “…io posso arrivare a
capire. Guardo i tuoi occhi e leggo il tuo cuore, se anche hai commesso degli
errori, so che hai rimediato, dedicandoti con tutto te stesso alla causa di
Atena.” Concluse stringendogli la mano, lui fece altrettanto.
“Per quello che sono stato, Celeste…” Il cuore le
balzò in gola, quando lo sentì pronunciare il suo nome per la prima volta. “…io
non credo di meritare un’armatura sacra.”
“Non dirlo, Phoenix…” Una voragine gli si aprì nello
stomaco, quando la sentì pronunciare il suo nome per la prima volta. “…hai
combattuto, ti sei redento, il tuo animo è colmo di coraggio e d’amore, e le
vestigia di Gemini ora sono di nuovo sotto l’influsso benigno delle stelle. Non
avere paura del loro potere, tu puoi dominarlo, perché sei un uomo giusto, lo
sento nel tuo cosmo.”
“Celeste…” La loro stretta di mano si era
trasformata quasi in abbraccio; la ragazza si tolse lentamente la maschera,
scoprendo i suoi lucenti occhi turchesi.
“Phoenix, io sono certa che con l’armatura d’oro, tu
puoi diventare un punto di riferimento, al Grande Tempio, e non devi temere
niente, perché io sarò qui, con te.” Gli assicurò la sacerdotessa, per nulla spaventata
dalla promessa che gli stava facendo.
“Che cosa ti ha riportato qui?” Domandò Phoenix,
completamente rapito dal calore e dalla sicurezza di Celeste.
“Ci credi nel destino?” Rispose lei sorridendo,
mentre i loro volti si avvicinavano inesorabilmente.
Le labbra di Phoenix si posarono su quelle morbide
di Celeste, che non si oppose minimamente, mentre le stelle brillavano nel
cielo. La ragazza non aveva mai provato niente di simile; in quel bacio c’era
tutta l’energia di un uomo a cui, finora, era stato impedito di esprimere la
propria tenerezza. Lui la baciò, assaporando un gusto nuovo e dolcissimo: sentì
le labbra di Celeste schiudersi alla pressione delle sue, la sua saliva come
linfa vitale, la lingua come tenera sorpresa. E sentì il suo cosmo, che era
sole che guarisce ogni male; in quel calore ristoratore, Phoenix capì di aver
trovato la pace.
La sala del Simposio dei Cavalieri era un salone
rettangolare; imponenti colonne, ai lati, sostenevano la balconata, da cui
pendevano preziosi arazzi con i simboli delle stelle dello Zodiaco. Il
pavimento era di lucido marmo rosa, che faceva risaltare il colore bruno del
grande tavolo rettangolare e delle sedie; al centro del tavolo una composizione
di rami d'ulivo, rose e margherite faceva bella mostra di se. In fondo alla
sala si apriva un arco, alto almeno cinque metri, che dava su un grande
balcone; la luce del sole attraversava l'arco, inondando la stanza e irradiando
una sensazione di pace e serenità. Pensare che, meno di un anno prima, quello
stesso salone fosse un luogo di dolore, era veramente impensabile.
Elettra, con la mano posata sulla spalliera di una
sedia, osservava lo stendardo del Sagittario. Le sacre vestigia, ora, erano
indossate con onore da un altro cavaliere, ma la donna non poteva guardare quel
disegno senza pensare a Micene, il suo primo, grande amore, il padre di suo
figlio. Lo ricordava, come se fosse ora, sorriderle con gli occhi, proprio come
faceva Alexandros, prenderle la mano e condurla in riva la mare; ricordava
esattamente le ultime parole che le disse, quella notte:
"Sarò sempre con te, Elettra. Sono già in te,
amore mio..."
Micene già sapeva del bambino, era consapevole del
dono fatto alla ragazza che amava e che lo stava perdendo, ma comunque lo
spronava a difendere Atena.
"Hai fatto un lavoro incredibile, è
splendida." Affermò una voce pacata, alle sue spalle; Elettra si voltò e
vide il viso dolce e deciso di Muhr.
"Sì, sono contenta." Ammise la donna.
"Micene sarebbe orgoglioso di te." Lei lo
guardò negl'occhi, sorridendo.
"Micene è, orgoglioso di me." Assicurò
Elettra all'amico, certa che il Sagitter vegliava su lei e suo figlio dai campi
elisi.
"Ne sono sicuro." Confermò Muhr
dolcemente.
"Non mi pare di averti ringraziato." Gli
disse poi Elettra.
"E per che cosa?" Chiese stupito l'amico;
lei gli prese la mano.
"Se tu non avessi avuto una cotta per me, non
saresti venuto in biblioteca e, di conseguenza, io non avrei conosciuto
Micene." Spiegò l'amica.
"E' vero." Ammise il cavaliere
dell'Ariete. "Ma se avessi saputo come sarebbe andata a finire con te, non
l'avrei mandato a riportare quel libro." Concluse la frase ridendo e lei
lo imitò.
"Lo sapevo, che ce l'avrebbe fatta."
Affermò poi Elettra, ritornando pacata. "Sapevo che grazie a lui la
giustizia sarebbe tornata al Grande Tempio."
"Tutti noi ne eravamo certi, Elettra."
Confermò Muhr. "Il suo sacrificio non è stato inutile." Aggiunse.
"Sei un caro amico, Muhr." Lo ringraziò
con questa frase.
"Un caro amico che, purtroppo, deve
lasciarti." Si rammaricò lui; la donna sorrise con dolcezza, lasciandogli
la mano.
"Io resto qui, ho ancora delle cose da
fare." Il cavaliere se ne andò e la donna rimase immobile; quando l'amico
si fu allontanato, Elettra si spostò sul balcone. Non era vero che aveva da
fare, voleva solo godersi il salone un altro po'.
La luce del mattino era intensa, la collina era
brulla, solo con qualche ciuffo d'erba verde; in lontananza si riusciva a
vedere il mare, tra le rocce. Elettra guardò giù: ferma sulle scale c'era
Isabel, con lo sguardo perso all'orizzonte; era la dea della giustizia o una
ragazza presa dai suoi primi turbamenti d'amore, quella immobile ai piedi del
santuario?
Celeste, con la testa appoggiata sulle braccia
incrociate sul tavolo, osservava la tazza piena di latte con occhi sognanti;
Tisifone la guardava da un po', pensando che fosse definitivamente uscita di
testa.
"Celeste hai intenzione di berlo e lo devo dare
al gatto?" Le chiese ad un certo punto.
"Eh? Ah, sì! Lo bevo." Rispose l'altra,
risvegliandosi e cominciando a sorseggiare il latte.
"Ma si può sapere che ti è successo?"
Domandò Tisifone; Celeste la guardò, mentre un sorriso stralunato le si
dipingeva in faccia.
"Sono innamorata." Le confessò
candidamente.
"Scorpio?" Chiese preoccupata la ragazza.
"Ma no!" Rispose Celeste, scuotendo la
testa. "Siamo solo amici ora, anche se resta il più..."
"Bel di dietro del Grande Tempio, sì, vai
avanti." La spronò l'amica; Celeste mise il broncio.
"Se sei così indisponente non ti dico
nulla." Protestò incrociando le braccia.
"Fai come ti pare, ma sappi che adesso sei
sotto il mio comando, ed io esigo che i miei soldati siano sempre efficienti.
Perciò fatti una doccia fredda." Ribatté Tisifone.
"Come sei acida..." Le disse Celeste,
ritornando a sorridere. "...se continui così, rimarrai zitella, amica mia."
Aggiunse ironica; l'altra ragazza la guardò, sorridendo distaccata.
"Intanto io, il ragazzo ce l'ho." Le
annunciò; Celeste rise.
"Beh... penso di poter dire di averlo
anch'io!" Affermò quando smise di ridere, accavallando le gambe,
soddisfatta.
"Allora, chi è?" Domandò Tisifone.
"Curiosa, eh?"
"Smettila!" La rimproverò la sacerdotessa,
incrociando le braccia e girando la testa dall'altra parte.
"Si tratta di Phoenix." Sussurrò Celeste,
dopo un po'; lentamente Tisifone si voltò verso l'amica, con uno sguardo
stupito.
"Phoenix?"
"Sì." Confermò la ragazza.
"Ma, Celeste, lo conosci da due giorni, come
fai a dire di esserne innamorata." Affermò l'amica.
"Non per forza bisogna cercare di fare la pelle
ad un uomo per più di un anno, prima di accorgersi di esserne innamorata."
Ribatté Celeste, allargando le braccia.
"Farmi presente questa storia, non è giusto, da
parte tua. Tanto più che te l'ho raccontato ieri!" Protestò l'altra.
"Via, via! Oggi sono felice e non ho voglia di
discutere con te! Adesso ti spiego tutto." Disse poi, spostandosi nella
sedia vicino a quella di Tisifone.
"Adesso ti faccio la stessa domanda che ho
fatto a lui, ieri sera: ci credi nel destino?" Celeste iniziò così.
"Vedi, Tisifone, sette anni fa io ho lasciato il Grande Tempio per trovare
me stessa, la mia strada, Adesso sono tornata, proprio nel momento in cui lui
doveva fare una scelta fondamentale per la sua vita."
"Questo non è destino, ma solo una
coincidenza." Commentò l'altra ragazza.
“Non dirlo, sarei potuta tornare in qualsiasi momento,
mesi fa o tra anni, ma sono tornata ora, adesso. Qualcosa mi ha spinta a
tornare, Tisifone, una forza che anch’io non so spiegarmi, ma appena ho
guardato Phoenix negl’occhi, ho capito che dovevo far parte della sua vita.”
Spiegò Celeste con passione.
“Celeste, anche se il vostro incontro fosse stato
voluto da forze superiori, due giorni sono troppo pochi per innamorarsi.” Cercò
di spiegarle Tisifone.
“Oh, ma se solo tu avessi sentito l’energia che si è
sviluppata quando mi ha baciata! Ero nel suo cosmo, Tisifone, l’ho visto, ne
ero parte!”
“Non dire sciocchezze, Celeste!”
“E’ questo che succede quando si ama un cavaliere, e
quando lui ricambia. Si può arrivare a condividerne il cosmo, a renderlo uno. È
così che deve andare.” Ribatté la sacerdotessa.
“Ma cosa né sai?!”
“A te non è mai successo?” Domandò Celeste
all’amica, di nuovo preoccupata per la situazione sentimentale della ragazza.
“Certo che sì!” Rispose dura Tisifone; ricordava
perfettamente quella volta, nel bosco di Nuova Luxor, quando, dopo l’attacco di
Ioria, Pegasus la soccorse, cullandola nel suo splendente cosmo. L’unica volta
in cui, lontano dalla battaglia, la ragazza aveva avvertito chiaramente
l’energia del cavaliere, e ne aveva fatto parte.
“Tu non sai niente di me.” Aggiunse Tisifone,
alzandosi da tavola e lasciando la stanza.
Celeste la seguì con lo sguardo; come avrebbe potuto
aiutare la sua più cara amica? No, non doveva intromettersi, era meglio
lasciare che risolvessero la faccenda da soli. Lei aveva altro a cui pensare,
ora; tra poco avrebbe rivisto Phoenix e quell’idea le mise una grande gioia nel
cuore. Finì di bere il latte, si mise la maschera ed uscì.
“Isabel.” Lentamente la ragazza si voltò,
rispondendo al richiamo; il movimento fece ondeggiare i suoi bellissimi
capelli, lucidi come seta.
“Oh, Elettra, sei tu.”
“Che cosa stai facendo?” Le chiese la sacerdotessa,
fermandosi accanto a lei, sulle scale del santuario.
“Aspetto una persona e, nel frattempo, penso.”
Rispose la ragazza, col suo dolce sorriso.
“Io, quando da ragazzina sedevo qui, riuscivo a
pensare solo ad una cosa…”
“Micene?” Elettra si voltò verso di lei e sorrise.
“Sì.”
“E’ bello essere innamorati.” Affermò Isabel,
continuando a fissare l’orizzonte.
“Ma a volte si soffre, quando le cose non vanno per
il verso giusto…”
“Quasi inevitabile.” Elettra fissava Isabel, mentre
la ragazza guardava ancora davanti a se.
“Deve essere difficile comprendere di chi siano i
sentimenti che si agitano nel cervello, quando si convive con due coscienze.”
La donna cercava d’immaginare come si poteva sentire Isabel; la ragazza si
voltò verso di lei, sempre sorridendo.
“Io so di chi sono i miei sentimenti.” Spiegò.
“Atena non influisce nella mia vita come Isabel, sono libera di prendere le mie
decisioni e di… amare chi voglio.” Aggiunse, tornando a guardare l’orizzonte.
“Ciò non toglie che certe situazioni siano
difficili.” Affermò Elettra, col suo tono più materno.
“Tu non credi che, quando due persone sono unite dal
destino, prima o poi il loro amore si realizzerà?” Era una domanda retorica, e
lo fu anche la risposta.
“Certo che lo credo.”
“Allora non mi resta che attendere.” Concluse
Isabel. “Ecco Andromeda.”
“Era lui che aspettavi?”
“Sì, deve dirmi qualcosa.” Il suo tono di voce era
cambiato, Elettra la guardò: anche il suo volto era leggermente mutato. Ora era
Atena, la distaccata divinità della giustizia, che si apprestava a parlare con
uno dei suoi cavalieri.
“Vi lascio.” Annunciò la gran sacerdotessa,
allontanandosi.
“Ci vediamo dopo.” La salutò la dea.
Il cavaliere, nel frattempo, si era avvicinato;
portava un cestino di rose, disposte in modo che dal bianco arrivassero al
rosso, con scalature di colore. Le porse alla ragazza.
“Per me?” Gli chiese lei.
“Sì, Milady.” Rispose dolcemente il ragazzo, mentre
lei prendeva il cestino.
“Sono bellissime…” le annusò. “E che profumo.”
“Vengono dal giardino della casa di Pisces.” Atena
lo guardò, sorridendo.
“Ho saputo che hai fatto miracoli, con quelle
piante.” Lei l’osservava, mentre lui chinava il capo, evitando il suo sguardo.
“Di che cosa mi volevi parlare, Andromeda?” Il ragazzo sollevò gli occhi, un
po’ stupito.
“Dovevo immaginare che sapeva già che sarei venuto.”
Le sorrise.
“Non avere timore, dimmi.” Lo spronò, posando il
cestino sul corrimano.
“Si tratta della sua proposta, Milady. Ho riflettuto
in questi due giorni, e…” Parlando prese forza, arrivando a fissarla
negl’occhi. “…avrei deciso di accettare.” Isabel gli sorrise.
“Lo sapevo, Andromeda.” Affermò la ragazza,
prendendogli le mani.
“Milady, sappia che non accetto per ambizione personale,
ma soltanto perché, indossando le sacre vestigia di Pisces, io potrò essere più
utile a lei ed a tutti coloro che avranno bisogno.”
“Non devi spiegarmi niente, conosco a fondo il tuo
animo, cavaliere, e so che con indosso l’armatura potrai fare solo del bene.”
Lo rassicurò la dea, infondendogli fiducia, attraverso il contatto delle sue
mani delicate.
“Milady… mio fratello? Sono un po’ preoccupato, non
l’ho più visto dopo il giorno in cui gli parlò.” Le chiese poi.
“Non stare in ansia, Andromeda, e non prendertela se
non è venuto a parlare con te dei suoi dubbi. Il suo percorso doveva essere
diverso, comunque, lo sto aspettando, presto verrà anche lui…” Gli rispose
enigmatica la ragazza; Andromeda l’osservò, provando a decifrare l’insondabile
mistero del suo sguardo, diviso tra il divino distacco della dea e la tenera
dolcezza della fanciulla.
“Pegasus…” Il cavaliere si voltò verso Tisifone,
continuando a tenerla tra le braccia, mentre stavano distesi su un prato.
“Dimmi.” L’invitò dolcemente.
“Tu mi ami?” Gli chiese sgranando gli occhioni verdi
ed alzando leggermente la testa, che era posata sulla spalla di Pegasus.
“Certo… che domande!” Le rispose, non riuscendo a
nascondere l’imbarazzo, ma sorrise.
“Se non mi ami, dimmi una bugia…” Lui la guardò esterrefatto.
“…mentimi, perché tu sei l’unico a cui credo, Pegasus.” Aggiunse la ragazza,
nascondendo il viso contro il suo torace.
“Tisifone…” La strinse più forte.
“Pegasus…” Era vero, lui l’amava, ma come? Non come
si dovrebbe amare la persona con cui si vuole dividere la vita. Prima o poi
sarebbe stato costretto a non mentire più, a rivelare a Tisifone, al mondo
intero, i suoi veri sentimenti; a confessare chi, lui amava davvero…
Il mare era calmo, una pianura verde-azzurra, il
cielo era chiaro, senza una nuvola, ed il sole splendeva; sulla scogliera la
brezza accarezzava l’erba fresca ed i volti delle due persone che, sedute su un
masso, guardavano l’orizzonte in silenzio.
Phoenix, muto, fissava un punto invisibile davanti a
se; Celeste, accanto a lui, seguiva le evoluzioni dei gabbiani alla ricerca di
cibo. Quel silenzio, però, era carico di significati; il solo stare vicini per
i due giovani era fondamentale, l’energia positiva che si trasmettevano li
faceva stare bene, gli dava fiducia e sostegno reciproco. Le parole non
servivano.
Celeste sentì improvvisamente la calda mano di
Phoenix sulla sua, così si voltò verso il ragazzo; lui le sorrise e lei fece
altrettanto. Le passò il braccio sulle spalle, traendola a se; rimasero fermi
per un attimo, poi Phoenix disse:
“Devo parlare con Lady Isabel.”
“Allora andiamo da lei.” Si alzarono e, tenendosi
per mano, si avviarono al santuario.
I tratti decisi, che la pelle vellutata addolciva,
gli occhi abbassati sui documenti, con le ciglia rese scure dal mascara, i
riccioli biondi che ricadevano delicati sulla spalla, sul seno; e quelle mani:
più grandi di quanto normalmente abbia una donna, ma così perfette da sembrare
scolpite.
Elettra, concentrata, si mordicchiò un labbro
carnoso; chissà se lo faceva anche quando… Scorpio scosse la testa, respingendo
l’immagine della donna abbandonata la piacere… con lui. No, non poteva rovinare
la splendida amicizia che stava nascendo, con uno stupido desiderio, così
egoisticamente maschile. Eppure lei era così bella! Quasi impossibile rimanere
indifferenti.
Elettra alzò su di lui il suo sguardo azzurro
intenso, come il cielo di settembre, e gli sorrise; Scorpio rispose
imbarazzato, sorridendo a sua volta e passandosi una mano tra i capelli.
“Senti, a me fa piacere se stai a farmi compagnia,
ma sei sicuro di non avere niente di meglio da fare?”
“No, ma se vuoi che me ne vada…” Le rispose il
cavaliere, accennando ad alzarsi dalla sedia.
“No, no, resta pure!” Lo invitò; le sarebbe
dispiaciuto davvero molto, se se ne fosse andato.
Scorpio sorrise, tornando a sedersi; lui non aveva
di meglio da fare e, soprattutto, niente era meglio che guardarla lavorare. La
sua bellezza rendeva interessanti anche le cose banali; avrebbe passato interi
giorni ad osservarla fare qualsiasi cosa…
La porta si aprì lentamente, dopo che lei ebbe dato
il suo permesso; Isabel era ferma davanti alla scrivania, nella penombra della
stanza. Phoenix e Celeste entrarono tenendosi per mano; la ragazza gli sorrise,
mentre si avvicinavano.
“Milady…” Iniziò il cavaliere; la ragazza gli
strinse più forte la mano, quando lo sentì indeciso.
“Dimmi.” Lo spronò con dolcezza Lady Isabel.
“Sono venuto a dirle che ho deciso di accettare.” Le
annunciò. “Diverrò il cavaliere di Gemini.” Aggiunse.
“Lo sapevo che avresti accettato.” Rispose sicura la
dea della giustizia; entrambi i ragazzi furono stupiti.
“Lo sapeva? Allora perché farmi tormentare, se era
destino che accettassi?!” Protestò il cavaliere.
“Phoenix…” Sussurrò Celeste, toccandogli il braccio
con la mano libera; ma Atena si avvicinò, sorridendo con dolcezza.
“Phoenix, la decisione dovevi prenderla da solo.”
Gli spiegò la ragazza. “Dovevi percorrere un cammino, che ti avrebbe condotto a
trovare una parte importante di te.” Concluse la frase spostando lo sguardo su
Celeste; la sacerdotessa la fissò per un attimo negl’occhi, cercando di non
commuoversi.
“E’ così, dunque.” Affermò Phoenix, stringendo la
mano di Celeste; Atena annuì. “Era importante che io percorressi quel cammino…”
“L’importante è che ora, voi due, siate insieme.” Affermò Lady Isabel.
“Grazie.” Sussurrò Celeste; Atena le sorrise
dolcemente.
“Dovete ringraziare solo voi stessi, ragazzi.” Disse
la dea. “E spero di vedere entrambi, alla cerimonia di domenica.” Aggiunse,
guardando Phoenix, con un sorrisetto ammiccante; il cavaliere, imbarazzato,
chinò la testa.
“Ci saremo!” Promise entusiasta Celeste, sotto lo
sguardo stupito del ragazzo.
Celeste e Phoenix camminavano lungo i corridoi
silenziosi del santuario, dopo aver lasciato Lady Isabel, ma una domanda vagava
nella mente del cavaliere; Phoenix si fermò improvvisamente, costringendo
Celeste a fare altrettanto ed a voltarsi verso di lui.
"Che c'è?" Gli chiese candidamente la
ragazza.
"Togliti la maschera, voglio guardarti in
faccia quando ti parlo." Le ordinò brusco.
"Calma, stallone!" Ribatté lei,
togliendosi la maschera e prendendo a fissarlo negl'occhi. "Dimmi."
"Come ti è saltato in mente di promettere anche
per me!"
"Ma che dici... Se credevo di farti un torto,
non l'avrei fatto di sicuro." Rispose lei.
"Non mi va che altri prendano iniziative per
me."
"Scusa, ma non credo che tu possa mancare alla
cerimonia del tuo investimento a cavaliere d'oro." Affermò senza
esitazioni Celeste.
"Ecco... Ma... vedi di non farlo di nuovo,
capito?" La sacerdotessa sorrise ironica.
"Lo sapevo, per quanto tu sia asociale, mancare
a quel rito sarebbe stato troppo, e poi..."
"Devo esserci, per Andromeda."
"Sei un libro che ho aperto, ormai, mio caro
bel tenebroso!" Gli disse lei, ricominciando a camminare; Phoenix sorrise
e la raggiunse.
"E tu..." Celeste si voltò di nuovo verso
di lui. "...sei impertinente e sfacciata, ragazzina, ma hai qualcosa di
speciale." Aggiunse, prendendola tra le braccia.
"Ragazzina? Quando hai cinque minuti, ti
dimostro che non lo sono..."
"Facciamo adesso?" La interruppe lui.
"Beh, forse cinque minuti sono un po'
pochi..."
"Almeno cominciamo." Affermò il ragazzo,
cominciando a baciarla; ormai Celeste si era resa conto di non poter resistere
ai baci di Phoenix, così si lasciò andare nel loro calore.
La sala del trono era inondata di luce; i toni
macabri del regno delle tenebre erano scomparsi per sempre. Atena, seduta sul
suo trono, si compiaceva alla vista dei suoi cavalieri, mentre, sul pulpito, la
Divina Elettra pronunciava queste parole:
"Oggi comincia una nuova era per il Grande
Tempio di Atena, la dea è tornata per restituire la giustizia alla sua sede
consacrata e riportare il Santuario alla sua funzione originaria, custodire
l'essenza della pace, della legge e della giustizia." I cavalieri l'ascoltavano
attenti. "Questo giorno vede anche fare, a due uomini valorosi, un altro
passo nella gloria. Andromeda, Phoenix, avvicinatevi." Le due armature
d'oro scintillavano dietro al candido mantello della sacerdotessa.
I due giovani salirono, timorosi, le scale del
pulpito; Atena li osservava sorridendo, dall'alto del suo trono. Elettra si
voltò, facendo gonfiare il suo mantello, quando i due fratelli si furono
inginocchiati di fronte alla dea.
"Atena." Disse soltanto, poi s'inchinò,
rialzandosi al gesto della ragazza; dopodiché di allontanò, scendendo le scale
e raggiungendo gli altri, in basso.
Celeste era molto emozionata; stringeva i pugni
lungo i fianchi, cercando di non tremare: era così orgogliosa di lui!
La ragazza non riusciva ancora a spiegarsi come
poteva amarlo così tanto, dopo solo pochi giorni dal loro incontro, ma non
aveva intenzione di combattere le sue sensazioni, perché sapeva che era giusto,
che erano nati per stare insieme; le parole di Atena non avevano fatto che
confermare ciò che lei già sapeva: il loro incontro non era un caso. Atena
parlò.
“Voi, eroi, avete combattuto, a sprezzo della vostra
stessa vita, in difesa della giustizia e della pace, salvando più volte
l’umanità dalla catastrofe. Per questo meritate di far parte delle schiere
elette dei cavalieri di Atena possessori dell’armatura d’oro…” Affermò, a voce
chiara e ferma, la dea rivolta ai due fratelli. “Alzatevi.” Ordinò poi; Phoenix
e Andromeda si alzarono e rivolsero lo sguardo sulla ragazza.
“Tu, Phoenix, cavaliere della Fenice, colui che può
risorgere dalle proprie ceneri, giuri di proteggere sempre Atena ed il suo
tempio, di combattere per la giustizia e per la pace, e di operare sempre per
il bene, sotto l’influsso delle stelle?”
“Lo giuro.” Rispose senza incertezze il cavaliere.
“E tu, Andromeda, cavaliere di Andromeda, guerriero
dal nobile cuore, giuri di proteggere sempre Atena ed il suo tempio, di
combattere per la giustizia e per la pace, e di operare sempre per il bene,
sotto l’influsso delle stelle?” La dea rivolse la formula all’altro ragazzo.
“Lo giuro.” Confermò il giovane.
“Ora giurate davanti ai vostri fratelli cavalieri.”
Li invitò la dea; i due si voltarono verso gli altri.
“Giuriamo.” Ripeterono in coro; fu molto emozionante
incrociare gli sguardi delle persone che amavano, pieni di emozione e di
orgoglio. Phoenix, quando vide le lacrime negl’occhi di Celeste, dovette
combattere l’impulso di correre ad abbracciarla; poi lui ed il fratello si
voltarono nuovamente verso Atena.
“Io, Atena dea della giustizia, vi consacro Sacri
Cavalieri del Grande Tempio, indossate le vostre armature.” Dichiarò la
ragazza, indicandogli gli scrigni d’oro.
I due fratelli si guardarono un attimo negl’occhi,
Andromeda sorrise a Phoenix, che si sentì immediatamente più tranquillo; poi
afferrarono contemporaneamente le maniglie, tirandole a se. Dagli scrigni si
alzarono due colonne di luce dorata, poi le vestigia si sollevarono nell’aria,
per separarsi in pezzi quando Phoenix e Andromeda sfiorarono la superficie
degli elmi. Le parti delle due armature d’oro si andarono a distribuire sui
loro corpi in modo perfetto, dimostrando che le sacre vestigia li accettavano
come nuovi custodi; i due fratelli si scambiarono uno sguardo pieno di
speranza.
“Ora voi, Phoenix e Andromeda…” La voce di Atena
richiamò la loro attenzione. “…siete i sacri cavalieri di Gemini e Pisces,
dimostrate di esserne degni continuando a servire la giustizia.” I due
cavalieri annuirono orgogliosi; Lady Isabel gli sorrise, poi li invitò a
voltarsi nuovamente verso i compagni.
“Adesso che la cerimonia è finita, ci aspetta la
sala del Simposio dei Cavalieri, in cui è stato preparato un piccolo
rinfresco.” Annunciò la Divina Elettra; nel frattempo Celeste stava già
festeggiando Phoenix e Andromeda, abbracciandoli e facendo cozzare la sua
armatura d’argento contro le sacre vestigia dei cavalieri.
La sala del simposio era magnifica, con la luce che
l’invadeva, i fiori, gli stendardi color porpora; Lady Isabel si godeva lo
spettacolo dei suoi cavalieri nelle loro lucenti armature d’oro, sentendo che
finalmente l’ordine del mondo era tornato a posto. Lo sguardo della ragazza si
spostò su Celeste e Phoenix, che parlavano sotto lo stendardo di Gemini.
“Come ti senti?” chiese la sacerdotessa al
cavaliere, lui la guardò con un mezzo sorriso.
“Bene, è un po’ pesante, ma va bene.” Rispose poi.
“E’ più pesante di quella della Fenice, eh?” Celeste
sorrideva.
“Sì.” Annuì il ragazzo. “Anche se penso che in
battaglia non si avverta, questa differenza.” Aggiunse sfiorando il pettorale
d’oro; poi i loro sguardi s’incrociarono. “E’ una grande responsabilità.”
Affermò Phoenix.
“E tu ne sarai degno, lo so.” Rispose Celeste,
fissando i suoi occhi turchesi in quelli grigio acciaio del cavaliere.
“Tu sai sempre tutto, vero?” Domandò ironico il
ragazzo.
“Ne so abbastanza per dire che non tradirai la
fiducia di chi ha creduto in te.” Dichiarò sicura lei; Phoenix le sorrise.
“Ti prego, continua a parlarmi sempre così.” Le
disse stringendole la mano.
Isabel lasciò i due giovani innamorati per guardare
un altro gruppetto di persone: tra loro un cavaliere, con la solita faccia da
impunito, quel sorriso, lo stesso sia che guardi i cartoni animati sia un
nemico da affrontare, e quell’armatura alata che lo rendeva il più mitico degli
eroi. Rideva Pegasus, scherzando con gli amici, come un qualsiasi ragazzo.
“Hey Andromeda, lo sai che ti sta proprio bene
l’armatura d’oro? Ti rende persino più robusto.” Affermò il cavaliere.
“Mi stai prendendo per il culo, Pegasus?” Rispose
candido l’altro; il ragazzo castano, fingendosi stupito, spostò lo sguardo su
Cristal, che stava davanti ad entrambi.
“Mi sa che l’armatura d’oro lo sta pure svegliando!”
Esclamò il biondo cavaliere, sorseggiando una bibita.
“Ci sarà da preoccuparsi?” Chiese allarmato Pegasus.
“Stronzi.” Commentò Andromeda. “Non prendetemi in
giro, voi è già un pezzo che la portate… anche se, ancora, non vi riesce bene
come a loro…” Aggiunse ironico, indicandogli i cavalieri d’oro del nucleo
storico.
“Questa è cattiva…” Mormorò
Pegasus.
“Hey!”
Sbottò invece
Cristal. “Guardami bene, io sono praticamente perfetto ed elegantissimo, con
queste vestigia!”
“Si sta montando la testa.” Affermò il cavaliere di
Sagitter.
“Mi sa di sì.” Confermò Andromeda, poi scoppiarono a
ridere.
Lady Isabel, però, si trovò a concordare con
Andromeda; infatti, anche secondo lei, i cavalieri d’oro storici, portavano le
sacre vestigia con una dignità ed una grazia inimitabili. Muhr, Virgo, Toro
indossavano armature e mantelli con la consapevolezza di chi è nato per farlo;
Isabel non dubitava che presto anche i nuovi arrivati, avrebbero acquisito
quella consapevolezza, era solo questione di tempo. Al gruppetto di Ariete si
avvicinò Scorpio; un altro che indossava le sacre vestigia in modo
spettacolare.
“Avete visto la Divina Elettra?” Chiese ai tre
compagni.
“Credo che sia uscita fuori.” Rispose Toro.
“Sì, l’ho vista poco fa che si dirigeva verso
l’uscita.” Confermò Muhr.
“Grazie ragazzi.” Scorpio non rimase con loro che
per qualche secondo, allontanandosi subito attraverso il grande portone intarsiato.
Atena era felice: era riuscita a riconquistare il
suo trono, a riportare la pace e la giustizia tra gli uomini, a ricostituire
quasi interamente la schiera dei suoi sacri guerrieri; ed ora, anche se le
battaglie non erano certo finite, almeno il Grande Tempio era ridiventato il
baluardo della giustizia.
Mancava solo un Gran Sacerdote, ma non sarebbe stato
così per molto tempo. La dea sorrise, adagiandosi contro lo schienale della sua
poltrona.
Il sole stava lentamente cominciando a calare, in
fondo alla rocciosa valle del Grande Tempio, ma era ancora tanto forte da far
baluginare lo spicchio di mare lontano, che s’intravedeva tra gli scoscesi
costoni e le rovine antiche.
Una donna dai lunghi capelli biondi sedeva solitaria
sugli scaloni del santuario, impossibile non riconoscerla; Scorpio si avvicinò
e si sedette al suo fianco, lei si voltò, sorridendogli.
“Perché non sei dentro a goderti i complimenti per
lo splendido lavoro che hai fatto?” Le chiese il cavaliere.
“Odio i complimenti, mi mettono in imbarazzo e non
so mai cosa rispondere, così passo per scostante, invece sono solo timida.”
Rispose semplicemente la donna, continuando a sorridere.
“Tu… sei unica al mondo!” Esclamò Scorpio ridendo,
lei lo imitò.
“Sappi che me ne faccio un vanto, di questo!”
Rispose Elettra.
Smisero di ridere e ripresero ad osservare il sole,
che diventava sempre più scuro, man mano che si avvicinava all’acqua; dopo un
po’ la donna girò il capo per osservare il cavaliere, che non se ne accorse,
continuando a guardare l’orizzonte. La bellissima e possente armatura dello
Scorpione, ed il suo particolare elmo, in quella strana luce non ancora di
tramonto, assumevano le più incredibili sfumature dorate, mentre il profilo del
ragazzo si stagliava contro il cielo ancora azzurro, con le folte ciglia
scurissime a circondare i suoi occhi enigmatici e misteriosi.
“Sei bellissimo.” Affermò Elettra, Scorpio si voltò
con espressione sorpresa sul bel viso abbronzato. “Non sarà mica la prima volta
che te lo dicono?!” Lui abbassò lo sguardo sulle mani.
“No, ma… ecco…” La sacerdotessa rise.
“Vedi come sono i complimenti? Creano solo
imbarazzo!” Esclamò continuando a ridere. Lei non era bellissima, era
spaventosamente bella. Silenzio, di nuovo.
“Lo senti il profumo degli oleandri?” gli domandò
qualche minuto dopo; io sento solo il tuo di profumo, avrebbe voluto
risponderle, ma poi si accorse che il profumo di Elettra era quello degli
oleandri, e di limone, e di menta… Lei profumava di Grecia e di Mediterraneo.
“Sì.” Mormorò, sconvolto da quelle sensazioni.
“Micene l’adorava…” Ecco perché lo usi ancora,
perché continuiamo a farci del male, Elettra? “Questo è il suo sogno.” Affermò
la donna, indicando il santuario ai suoi piedi.
“Come?” Scorpio non afferrava il senso della frase.
“Sì, tutto questo, la pace al Grande Tempio e nel
mondo, voi cavalieri di nuovo uniti come fratelli, Atena che regna nella
giustizia…” Spiegò lei.
“Tutto merito del suo sacrificio, sfortunatamente
siete stati ben pochi a comprendere fin dall’inizio.” Si rammaricò il ragazzo.
“Tu eri troppo giovane, e poi lui era solo un
cavaliere davanti alla parola del grande sacerdote.”
“Io ti ammiro, per quello che hai fatto. Il dubbio
poteva venire a chiunque, tu non hai mai dubitato di lui?” Le chiese, senza
polemica.
“No, mai.” Dichiarò sicura. “Io lo amavo, e in cuor
mio sapevo che era dalla parte giusta.” Aggiunse.
“Lo ami ancora, Micene intendo.” La guardava
negl’occhi adesso.
“Sì, ma non fraintendermi, ho amato anche Acquarius,
solo non nello stesso modo.” Rispose la donna. “Non amerò più nessuno come
Micene, ma ciò non significa che non possa esserci più di un grande amore nella
vita.” Concluse tranquilla.
“Mi stai facendo la paternale?”
“Bah! Figurati, per me ognuno è libero di fare le
sue scelte, solo credo che sia ancora troppo giovane e bello per chiuderti in
clausura!” Sbottò Elettra.
“Con te non si scappa, hai sempre la risposta
pronta.” Mormorò il cavaliere chinando la testa.
“Credimi, mi ci sono voluti anni per sviluppare
questa dote!” Ribatté lei, scoppiando poi a ridere; lui la imitò, rimanendo con
la testa bassa.
Il sole era già entrato nel triangolo di rocce che
lo portava al mare, mentre alle risate si era sostituito un meditativo
silenzio; Scorpio sentì la mano di Elettra posarsi delicatamente sulla sua, ma
non guardò, semplicemente gliela strinse, continuando a guardare l’orizzonte.
Il contatto con la sua pelle gli trasmetteva una sensazione di serenità; ogni
volta che era con lei sentiva la morsa di dolore che gli stringeva il cuore
sciogliersi e lasciarlo respirare, chissà se era lo stesso per lei. Il
cavaliere si voltò, per cercare la risposta in quegl’occhi di cielo terso, e
trovò il sorriso rassicurante della donna. Scorpio rispose al sorriso.
“Ora sarà meglio che torni dentro.” Affermò Elettra,
lasciandogli la mano per alzarsi. “O penseranno che mi sia defilata!” Aggiunse
ridendo; il ragazzo la guardava in silenzio.
La donna si spostò, piegandosi su di lui, poi gli
carezzò la guancia con il dorso della mano: una carezza vellutata e tenera;
Scorpio socchiuse gli occhi a quel contatto. Quando li riaprì, lei si stava già
allontanando su per le scale.
Rimase fermo, osservando il sole ormai tuffato nel
mare, pensando a cosa stava diventando Elettra per lui; rappresentava cose che
non aveva avuto nella vita: una madre, un’amica, ma era anche una donna
estremamente attraente.
Un altro giorno finiva e, per qualche strano motivo,
l’idea di affrontarne uno nuovo non lo spaventava come qualche tempo prima. Il
Grande Tempio e tutti i suoi abitanti iniziavano una nuova vita; forse era il
momento che lo facesse anche lui.
FINE