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Autore: CowgirlSara    29/03/2004    3 recensioni
Mentre i cavalieri di Atena sono impegnati con importanti decisioni, nuovi turbamenti e sentimenti confusi, dal passato riemerge una ragazza dalla grande vitalità, che costringerà almeno tre persone ad affrontare i propri fantasmi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary'
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Celeste sedeva, annoiata, sul vecchio dondolo dietro casa di Tisifone, quando decise di andare da Phoenix, così si alzò; arriv

II° PARTE

 

Celeste sedeva, annoiata, sul vecchio dondolo dietro casa di Tisifone, quando decise di andare da Phoenix, così si alzò; arrivata all’angolo della costruzione, per poco non si scontrò proprio con il cavaliere della Fenice.

“Ti stavo cercando.” Ammise timidamente il ragazzo.

Cerca me? Sta proprio cercando me, nell’esatto momento in cui io stavo andando da lui, non può essere una coincidenza, si disse Celeste; però, riuscì soltanto a sussurrare:

“Ah…”

“Volevo parlarti…” Le disse, evitando il suo sguardo, pur coperto dalla maschera.

“E… di che cosa?” Domandò la ragazza, non ancora ripresasi del tutto.

“E’ strano…” Affermò Phoenix, appoggiandosi al muro. “Ti conosco da meno di due giorni e vengo a parlare con te, di qualcosa che potrebbe cambiare la mia vita.” Aggiunse serio.

“Si vede che senti di poterti fidare.”

“E’ che tu… mi sembri diversa.” Era tornato a guardarla.

“Perché somiglio a lei?” Chiese Celeste titubante, alludendo alla misteriosa Esmeralda.

“No, non è per quello, o almeno… non solo.” La sacerdotessa lo fissava, ma lui non poteva vedere il suo sguardo dietro la maschera, altrimenti avrebbe capito che effetto facevano le sue parole. “Vorresti sentire la storia di Esmeralda?” Le chiese, lei annuì.

Phoenix le raccontò di come aveva conosciuto la ragazza, della forza che lei gli aveva trasmesso ed, infine, della sua morte, il giorno della sua consacrazione a cavaliere della Fenice. Celeste fu molto colpita, nello scoprire come il ragazzo si era procurato la sua cicatrice.

“E adesso…” Lo spronò lei, alla fine del racconto, dopo qualche attimo di silenzio. “…sentiamo quello che hai da dirmi.”

“Lady Isabel vuole che diventi il custode delle vestigia di Gemini.” Affermò asciutto Phoenix.

“E’ un grosso impegno, ma credo che dovresti accettare.” Rispose lei; il cavaliere alzò al testa e la guardò.

“Non credi di aver risposto un po’ troppo in fretta? Lo sai che cosa c’è dietro a quell’armatura, sai cosa sono stato io?” Replicò lui con rabbia.

“No, non credo di essere stata affrettata, sì, so cosa c’è dietro le vestigia di Gemini, e no, nessuno mi ha detto del tuo passato, ma…” Rispose alle sue domande avvicinandosi. “…io posso arrivare a capire. Guardo i tuoi occhi e leggo il tuo cuore, se anche hai commesso degli errori, so che hai rimediato, dedicandoti con tutto te stesso alla causa di Atena.” Concluse stringendogli la mano, lui fece altrettanto.

“Per quello che sono stato, Celeste…” Il cuore le balzò in gola, quando lo sentì pronunciare il suo nome per la prima volta. “…io non credo di meritare un’armatura sacra.”

“Non dirlo, Phoenix…” Una voragine gli si aprì nello stomaco, quando la sentì pronunciare il suo nome per la prima volta. “…hai combattuto, ti sei redento, il tuo animo è colmo di coraggio e d’amore, e le vestigia di Gemini ora sono di nuovo sotto l’influsso benigno delle stelle. Non avere paura del loro potere, tu puoi dominarlo, perché sei un uomo giusto, lo sento nel tuo cosmo.”

“Celeste…” La loro stretta di mano si era trasformata quasi in abbraccio; la ragazza si tolse lentamente la maschera, scoprendo i suoi lucenti occhi turchesi.

“Phoenix, io sono certa che con l’armatura d’oro, tu puoi diventare un punto di riferimento, al Grande Tempio, e non devi temere niente, perché io sarò qui, con te.” Gli assicurò la sacerdotessa, per nulla spaventata dalla promessa che gli stava facendo.

“Che cosa ti ha riportato qui?” Domandò Phoenix, completamente rapito dal calore e dalla sicurezza di Celeste.

“Ci credi nel destino?” Rispose lei sorridendo, mentre i loro volti si avvicinavano inesorabilmente.

Le labbra di Phoenix si posarono su quelle morbide di Celeste, che non si oppose minimamente, mentre le stelle brillavano nel cielo. La ragazza non aveva mai provato niente di simile; in quel bacio c’era tutta l’energia di un uomo a cui, finora, era stato impedito di esprimere la propria tenerezza. Lui la baciò, assaporando un gusto nuovo e dolcissimo: sentì le labbra di Celeste schiudersi alla pressione delle sue, la sua saliva come linfa vitale, la lingua come tenera sorpresa. E sentì il suo cosmo, che era sole che guarisce ogni male; in quel calore ristoratore, Phoenix capì di aver trovato la pace.

 

La sala del Simposio dei Cavalieri era un salone rettangolare; imponenti colonne, ai lati, sostenevano la balconata, da cui pendevano preziosi arazzi con i simboli delle stelle dello Zodiaco. Il pavimento era di lucido marmo rosa, che faceva risaltare il colore bruno del grande tavolo rettangolare e delle sedie; al centro del tavolo una composizione di rami d'ulivo, rose e margherite faceva bella mostra di se. In fondo alla sala si apriva un arco, alto almeno cinque metri, che dava su un grande balcone; la luce del sole attraversava l'arco, inondando la stanza e irradiando una sensazione di pace e serenità. Pensare che, meno di un anno prima, quello stesso salone fosse un luogo di dolore, era veramente impensabile.

Elettra, con la mano posata sulla spalliera di una sedia, osservava lo stendardo del Sagittario. Le sacre vestigia, ora, erano indossate con onore da un altro cavaliere, ma la donna non poteva guardare quel disegno senza pensare a Micene, il suo primo, grande amore, il padre di suo figlio. Lo ricordava, come se fosse ora, sorriderle con gli occhi, proprio come faceva Alexandros, prenderle la mano e condurla in riva la mare; ricordava esattamente le ultime parole che le disse, quella notte:

"Sarò sempre con te, Elettra. Sono già in te, amore mio..."

Micene già sapeva del bambino, era consapevole del dono fatto alla ragazza che amava e che lo stava perdendo, ma comunque lo spronava a difendere Atena.

"Hai fatto un lavoro incredibile, è splendida." Affermò una voce pacata, alle sue spalle; Elettra si voltò e vide il viso dolce e deciso di Muhr.

"Sì, sono contenta." Ammise la donna.

"Micene sarebbe orgoglioso di te." Lei lo guardò negl'occhi, sorridendo.

"Micene è, orgoglioso di me." Assicurò Elettra all'amico, certa che il Sagitter vegliava su lei e suo figlio dai campi elisi.

"Ne sono sicuro." Confermò Muhr dolcemente.

"Non mi pare di averti ringraziato." Gli disse poi Elettra.

"E per che cosa?" Chiese stupito l'amico; lei gli prese la mano.

"Se tu non avessi avuto una cotta per me, non saresti venuto in biblioteca e, di conseguenza, io non avrei conosciuto Micene." Spiegò l'amica.

"E' vero." Ammise il cavaliere dell'Ariete. "Ma se avessi saputo come sarebbe andata a finire con te, non l'avrei mandato a riportare quel libro." Concluse la frase ridendo e lei lo imitò.

"Lo sapevo, che ce l'avrebbe fatta." Affermò poi Elettra, ritornando pacata. "Sapevo che grazie a lui la giustizia sarebbe tornata al Grande Tempio."

"Tutti noi ne eravamo certi, Elettra." Confermò Muhr. "Il suo sacrificio non è stato inutile." Aggiunse.

"Sei un caro amico, Muhr." Lo ringraziò con questa frase.

"Un caro amico che, purtroppo, deve lasciarti." Si rammaricò lui; la donna sorrise con dolcezza, lasciandogli la mano.

"Io resto qui, ho ancora delle cose da fare." Il cavaliere se ne andò e la donna rimase immobile; quando l'amico si fu allontanato, Elettra si spostò sul balcone. Non era vero che aveva da fare, voleva solo godersi il salone un altro po'.

La luce del mattino era intensa, la collina era brulla, solo con qualche ciuffo d'erba verde; in lontananza si riusciva a vedere il mare, tra le rocce. Elettra guardò giù: ferma sulle scale c'era Isabel, con lo sguardo perso all'orizzonte; era la dea della giustizia o una ragazza presa dai suoi primi turbamenti d'amore, quella immobile ai piedi del santuario?

 

Celeste, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate sul tavolo, osservava la tazza piena di latte con occhi sognanti; Tisifone la guardava da un po', pensando che fosse definitivamente uscita di testa.

"Celeste hai intenzione di berlo e lo devo dare al gatto?" Le chiese ad un certo punto.

"Eh? Ah, sì! Lo bevo." Rispose l'altra, risvegliandosi e cominciando a sorseggiare il latte.

"Ma si può sapere che ti è successo?" Domandò Tisifone; Celeste la guardò, mentre un sorriso stralunato le si dipingeva in faccia.

"Sono innamorata." Le confessò candidamente.

"Scorpio?" Chiese preoccupata la ragazza.

"Ma no!" Rispose Celeste, scuotendo la testa. "Siamo solo amici ora, anche se resta il più..."

"Bel di dietro del Grande Tempio, sì, vai avanti." La spronò l'amica; Celeste mise il broncio.

"Se sei così indisponente non ti dico nulla." Protestò incrociando le braccia.

"Fai come ti pare, ma sappi che adesso sei sotto il mio comando, ed io esigo che i miei soldati siano sempre efficienti. Perciò fatti una doccia fredda." Ribatté Tisifone.

"Come sei acida..." Le disse Celeste, ritornando a sorridere. "...se continui così, rimarrai zitella, amica mia." Aggiunse ironica; l'altra ragazza la guardò, sorridendo distaccata.

"Intanto io, il ragazzo ce l'ho." Le annunciò; Celeste rise.

"Beh... penso di poter dire di averlo anch'io!" Affermò quando smise di ridere, accavallando le gambe, soddisfatta.

"Allora, chi è?" Domandò Tisifone.

"Curiosa, eh?"

"Smettila!" La rimproverò la sacerdotessa, incrociando le braccia e girando la testa dall'altra parte.

"Si tratta di Phoenix." Sussurrò Celeste, dopo un po'; lentamente Tisifone si voltò verso l'amica, con uno sguardo stupito.

"Phoenix?"

"Sì." Confermò la ragazza.

"Ma, Celeste, lo conosci da due giorni, come fai a dire di esserne innamorata." Affermò l'amica.

"Non per forza bisogna cercare di fare la pelle ad un uomo per più di un anno, prima di accorgersi di esserne innamorata." Ribatté Celeste, allargando le braccia.

"Farmi presente questa storia, non è giusto, da parte tua. Tanto più che te l'ho raccontato ieri!" Protestò l'altra.

"Via, via! Oggi sono felice e non ho voglia di discutere con te! Adesso ti spiego tutto." Disse poi, spostandosi nella sedia vicino a quella di Tisifone.

"Adesso ti faccio la stessa domanda che ho fatto a lui, ieri sera: ci credi nel destino?" Celeste iniziò così. "Vedi, Tisifone, sette anni fa io ho lasciato il Grande Tempio per trovare me stessa, la mia strada, Adesso sono tornata, proprio nel momento in cui lui doveva fare una scelta fondamentale per la sua vita."

"Questo non è destino, ma solo una coincidenza." Commentò l'altra ragazza.

“Non dirlo, sarei potuta tornare in qualsiasi momento, mesi fa o tra anni, ma sono tornata ora, adesso. Qualcosa mi ha spinta a tornare, Tisifone, una forza che anch’io non so spiegarmi, ma appena ho guardato Phoenix negl’occhi, ho capito che dovevo far parte della sua vita.” Spiegò Celeste con passione.

“Celeste, anche se il vostro incontro fosse stato voluto da forze superiori, due giorni sono troppo pochi per innamorarsi.” Cercò di spiegarle Tisifone.

“Oh, ma se solo tu avessi sentito l’energia che si è sviluppata quando mi ha baciata! Ero nel suo cosmo, Tisifone, l’ho visto, ne ero parte!”

“Non dire sciocchezze, Celeste!”

“E’ questo che succede quando si ama un cavaliere, e quando lui ricambia. Si può arrivare a condividerne il cosmo, a renderlo uno. È così che deve andare.” Ribatté la sacerdotessa.

“Ma cosa né sai?!”

“A te non è mai successo?” Domandò Celeste all’amica, di nuovo preoccupata per la situazione sentimentale della ragazza.

“Certo che sì!” Rispose dura Tisifone; ricordava perfettamente quella volta, nel bosco di Nuova Luxor, quando, dopo l’attacco di Ioria, Pegasus la soccorse, cullandola nel suo splendente cosmo. L’unica volta in cui, lontano dalla battaglia, la ragazza aveva avvertito chiaramente l’energia del cavaliere, e ne aveva fatto parte.

“Tu non sai niente di me.” Aggiunse Tisifone, alzandosi da tavola e lasciando la stanza.

Celeste la seguì con lo sguardo; come avrebbe potuto aiutare la sua più cara amica? No, non doveva intromettersi, era meglio lasciare che risolvessero la faccenda da soli. Lei aveva altro a cui pensare, ora; tra poco avrebbe rivisto Phoenix e quell’idea le mise una grande gioia nel cuore. Finì di bere il latte, si mise la maschera ed uscì.

 

“Isabel.” Lentamente la ragazza si voltò, rispondendo al richiamo; il movimento fece ondeggiare i suoi bellissimi capelli, lucidi come seta.

“Oh, Elettra, sei tu.”

“Che cosa stai facendo?” Le chiese la sacerdotessa, fermandosi accanto a lei, sulle scale del santuario.

“Aspetto una persona e, nel frattempo, penso.” Rispose la ragazza, col suo dolce sorriso.

“Io, quando da ragazzina sedevo qui, riuscivo a pensare solo ad una cosa…”

“Micene?” Elettra si voltò verso di lei e sorrise.

“Sì.”

“E’ bello essere innamorati.” Affermò Isabel, continuando a fissare l’orizzonte.

“Ma a volte si soffre, quando le cose non vanno per il verso giusto…”

“Quasi inevitabile.” Elettra fissava Isabel, mentre la ragazza guardava ancora davanti a se.

“Deve essere difficile comprendere di chi siano i sentimenti che si agitano nel cervello, quando si convive con due coscienze.” La donna cercava d’immaginare come si poteva sentire Isabel; la ragazza si voltò verso di lei, sempre sorridendo.

“Io so di chi sono i miei sentimenti.” Spiegò. “Atena non influisce nella mia vita come Isabel, sono libera di prendere le mie decisioni e di… amare chi voglio.” Aggiunse, tornando a guardare l’orizzonte.

“Ciò non toglie che certe situazioni siano difficili.” Affermò Elettra, col suo tono più materno.

“Tu non credi che, quando due persone sono unite dal destino, prima o poi il loro amore si realizzerà?” Era una domanda retorica, e lo fu anche la risposta.

“Certo che lo credo.”

“Allora non mi resta che attendere.” Concluse Isabel. “Ecco Andromeda.”

“Era lui che aspettavi?”

“Sì, deve dirmi qualcosa.” Il suo tono di voce era cambiato, Elettra la guardò: anche il suo volto era leggermente mutato. Ora era Atena, la distaccata divinità della giustizia, che si apprestava a parlare con uno dei suoi cavalieri.

“Vi lascio.” Annunciò la gran sacerdotessa, allontanandosi.

“Ci vediamo dopo.” La salutò la dea.

Il cavaliere, nel frattempo, si era avvicinato; portava un cestino di rose, disposte in modo che dal bianco arrivassero al rosso, con scalature di colore. Le porse alla ragazza.

“Per me?” Gli chiese lei.

“Sì, Milady.” Rispose dolcemente il ragazzo, mentre lei prendeva il cestino.

“Sono bellissime…” le annusò. “E che profumo.”

“Vengono dal giardino della casa di Pisces.” Atena lo guardò, sorridendo.

“Ho saputo che hai fatto miracoli, con quelle piante.” Lei l’osservava, mentre lui chinava il capo, evitando il suo sguardo. “Di che cosa mi volevi parlare, Andromeda?” Il ragazzo sollevò gli occhi, un po’ stupito.

“Dovevo immaginare che sapeva già che sarei venuto.” Le sorrise.

“Non avere timore, dimmi.” Lo spronò, posando il cestino sul corrimano.

“Si tratta della sua proposta, Milady. Ho riflettuto in questi due giorni, e…” Parlando prese forza, arrivando a fissarla negl’occhi. “…avrei deciso di accettare.” Isabel gli sorrise.

“Lo sapevo, Andromeda.” Affermò la ragazza, prendendogli le mani.

“Milady, sappia che non accetto per ambizione personale, ma soltanto perché, indossando le sacre vestigia di Pisces, io potrò essere più utile a lei ed a tutti coloro che avranno bisogno.”

“Non devi spiegarmi niente, conosco a fondo il tuo animo, cavaliere, e so che con indosso l’armatura potrai fare solo del bene.” Lo rassicurò la dea, infondendogli fiducia, attraverso il contatto delle sue mani delicate.

“Milady… mio fratello? Sono un po’ preoccupato, non l’ho più visto dopo il giorno in cui gli parlò.” Le chiese poi.

“Non stare in ansia, Andromeda, e non prendertela se non è venuto a parlare con te dei suoi dubbi. Il suo percorso doveva essere diverso, comunque, lo sto aspettando, presto verrà anche lui…” Gli rispose enigmatica la ragazza; Andromeda l’osservò, provando a decifrare l’insondabile mistero del suo sguardo, diviso tra il divino distacco della dea e la tenera dolcezza della fanciulla.

 

“Pegasus…” Il cavaliere si voltò verso Tisifone, continuando a tenerla tra le braccia, mentre stavano distesi su un prato.

“Dimmi.” L’invitò dolcemente.

“Tu mi ami?” Gli chiese sgranando gli occhioni verdi ed alzando leggermente la testa, che era posata sulla spalla di Pegasus.

“Certo… che domande!” Le rispose, non riuscendo a nascondere l’imbarazzo, ma sorrise.

“Se non mi ami, dimmi una bugia…” Lui la guardò esterrefatto. “…mentimi, perché tu sei l’unico a cui credo, Pegasus.” Aggiunse la ragazza, nascondendo il viso contro il suo torace.

“Tisifone…” La strinse più forte.

“Pegasus…” Era vero, lui l’amava, ma come? Non come si dovrebbe amare la persona con cui si vuole dividere la vita. Prima o poi sarebbe stato costretto a non mentire più, a rivelare a Tisifone, al mondo intero, i suoi veri sentimenti; a confessare chi, lui amava davvero…

 

Il mare era calmo, una pianura verde-azzurra, il cielo era chiaro, senza una nuvola, ed il sole splendeva; sulla scogliera la brezza accarezzava l’erba fresca ed i volti delle due persone che, sedute su un masso, guardavano l’orizzonte in silenzio.

Phoenix, muto, fissava un punto invisibile davanti a se; Celeste, accanto a lui, seguiva le evoluzioni dei gabbiani alla ricerca di cibo. Quel silenzio, però, era carico di significati; il solo stare vicini per i due giovani era fondamentale, l’energia positiva che si trasmettevano li faceva stare bene, gli dava fiducia e sostegno reciproco. Le parole non servivano.

Celeste sentì improvvisamente la calda mano di Phoenix sulla sua, così si voltò verso il ragazzo; lui le sorrise e lei fece altrettanto. Le passò il braccio sulle spalle, traendola a se; rimasero fermi per un attimo, poi Phoenix disse:

“Devo parlare con Lady Isabel.”

“Allora andiamo da lei.” Si alzarono e, tenendosi per mano, si avviarono al santuario.

 

I tratti decisi, che la pelle vellutata addolciva, gli occhi abbassati sui documenti, con le ciglia rese scure dal mascara, i riccioli biondi che ricadevano delicati sulla spalla, sul seno; e quelle mani: più grandi di quanto normalmente abbia una donna, ma così perfette da sembrare scolpite.

Elettra, concentrata, si mordicchiò un labbro carnoso; chissà se lo faceva anche quando… Scorpio scosse la testa, respingendo l’immagine della donna abbandonata la piacere… con lui. No, non poteva rovinare la splendida amicizia che stava nascendo, con uno stupido desiderio, così egoisticamente maschile. Eppure lei era così bella! Quasi impossibile rimanere indifferenti.

Elettra alzò su di lui il suo sguardo azzurro intenso, come il cielo di settembre, e gli sorrise; Scorpio rispose imbarazzato, sorridendo a sua volta e passandosi una mano tra i capelli.

“Senti, a me fa piacere se stai a farmi compagnia, ma sei sicuro di non avere niente di meglio da fare?”

“No, ma se vuoi che me ne vada…” Le rispose il cavaliere, accennando ad alzarsi dalla sedia.

“No, no, resta pure!” Lo invitò; le sarebbe dispiaciuto davvero molto, se se ne fosse andato.

Scorpio sorrise, tornando a sedersi; lui non aveva di meglio da fare e, soprattutto, niente era meglio che guardarla lavorare. La sua bellezza rendeva interessanti anche le cose banali; avrebbe passato interi giorni ad osservarla fare qualsiasi cosa…

 

La porta si aprì lentamente, dopo che lei ebbe dato il suo permesso; Isabel era ferma davanti alla scrivania, nella penombra della stanza. Phoenix e Celeste entrarono tenendosi per mano; la ragazza gli sorrise, mentre si avvicinavano.

“Milady…” Iniziò il cavaliere; la ragazza gli strinse più forte la mano, quando lo sentì indeciso.

“Dimmi.” Lo spronò con dolcezza Lady Isabel.

“Sono venuto a dirle che ho deciso di accettare.” Le annunciò. “Diverrò il cavaliere di Gemini.” Aggiunse.

“Lo sapevo che avresti accettato.” Rispose sicura la dea della giustizia; entrambi i ragazzi furono stupiti.

“Lo sapeva? Allora perché farmi tormentare, se era destino che accettassi?!” Protestò il cavaliere.

“Phoenix…” Sussurrò Celeste, toccandogli il braccio con la mano libera; ma Atena si avvicinò, sorridendo con dolcezza.

“Phoenix, la decisione dovevi prenderla da solo.” Gli spiegò la ragazza. “Dovevi percorrere un cammino, che ti avrebbe condotto a trovare una parte importante di te.” Concluse la frase spostando lo sguardo su Celeste; la sacerdotessa la fissò per un attimo negl’occhi, cercando di non commuoversi.

“E’ così, dunque.” Affermò Phoenix, stringendo la mano di Celeste; Atena annuì. “Era importante che io percorressi quel cammino…”

“L’importante è che ora, voi due, siate insieme.” Affermò Lady Isabel.

“Grazie.” Sussurrò Celeste; Atena le sorrise dolcemente.

“Dovete ringraziare solo voi stessi, ragazzi.” Disse la dea. “E spero di vedere entrambi, alla cerimonia di domenica.” Aggiunse, guardando Phoenix, con un sorrisetto ammiccante; il cavaliere, imbarazzato, chinò la testa.

“Ci saremo!” Promise entusiasta Celeste, sotto lo sguardo stupito del ragazzo.

 

Celeste e Phoenix camminavano lungo i corridoi silenziosi del santuario, dopo aver lasciato Lady Isabel, ma una domanda vagava nella mente del cavaliere; Phoenix si fermò improvvisamente, costringendo Celeste a fare altrettanto ed a voltarsi verso di lui.

"Che c'è?" Gli chiese candidamente la ragazza.

"Togliti la maschera, voglio guardarti in faccia quando ti parlo." Le ordinò brusco.

"Calma, stallone!" Ribatté lei, togliendosi la maschera e prendendo a fissarlo negl'occhi. "Dimmi."

"Come ti è saltato in mente di promettere anche per me!"

"Ma che dici... Se credevo di farti un torto, non l'avrei fatto di sicuro." Rispose lei.

"Non mi va che altri prendano iniziative per me."

"Scusa, ma non credo che tu possa mancare alla cerimonia del tuo investimento a cavaliere d'oro." Affermò senza esitazioni Celeste.

"Ecco... Ma... vedi di non farlo di nuovo, capito?" La sacerdotessa sorrise ironica.

"Lo sapevo, per quanto tu sia asociale, mancare a quel rito sarebbe stato troppo, e poi..."

"Devo esserci, per Andromeda."

"Sei un libro che ho aperto, ormai, mio caro bel tenebroso!" Gli disse lei, ricominciando a camminare; Phoenix sorrise e la raggiunse.

"E tu..." Celeste si voltò di nuovo verso di lui. "...sei impertinente e sfacciata, ragazzina, ma hai qualcosa di speciale." Aggiunse, prendendola tra le braccia.

"Ragazzina? Quando hai cinque minuti, ti dimostro che non lo sono..."

"Facciamo adesso?" La interruppe lui.

"Beh, forse cinque minuti sono un po' pochi..."

"Almeno cominciamo." Affermò il ragazzo, cominciando a baciarla; ormai Celeste si era resa conto di non poter resistere ai baci di Phoenix, così si lasciò andare nel loro calore.

 

La sala del trono era inondata di luce; i toni macabri del regno delle tenebre erano scomparsi per sempre. Atena, seduta sul suo trono, si compiaceva alla vista dei suoi cavalieri, mentre, sul pulpito, la Divina Elettra pronunciava queste parole:

"Oggi comincia una nuova era per il Grande Tempio di Atena, la dea è tornata per restituire la giustizia alla sua sede consacrata e riportare il Santuario alla sua funzione originaria, custodire l'essenza della pace, della legge e della giustizia." I cavalieri l'ascoltavano attenti. "Questo giorno vede anche fare, a due uomini valorosi, un altro passo nella gloria. Andromeda, Phoenix, avvicinatevi." Le due armature d'oro scintillavano dietro al candido mantello della sacerdotessa.

I due giovani salirono, timorosi, le scale del pulpito; Atena li osservava sorridendo, dall'alto del suo trono. Elettra si voltò, facendo gonfiare il suo mantello, quando i due fratelli si furono inginocchiati di fronte alla dea.

"Atena." Disse soltanto, poi s'inchinò, rialzandosi al gesto della ragazza; dopodiché di allontanò, scendendo le scale e raggiungendo gli altri, in basso.

Celeste era molto emozionata; stringeva i pugni lungo i fianchi, cercando di non tremare: era così orgogliosa di lui!

La ragazza non riusciva ancora a spiegarsi come poteva amarlo così tanto, dopo solo pochi giorni dal loro incontro, ma non aveva intenzione di combattere le sue sensazioni, perché sapeva che era giusto, che erano nati per stare insieme; le parole di Atena non avevano fatto che confermare ciò che lei già sapeva: il loro incontro non era un caso. Atena parlò.

“Voi, eroi, avete combattuto, a sprezzo della vostra stessa vita, in difesa della giustizia e della pace, salvando più volte l’umanità dalla catastrofe. Per questo meritate di far parte delle schiere elette dei cavalieri di Atena possessori dell’armatura d’oro…” Affermò, a voce chiara e ferma, la dea rivolta ai due fratelli. “Alzatevi.” Ordinò poi; Phoenix e Andromeda si alzarono e rivolsero lo sguardo sulla ragazza.

“Tu, Phoenix, cavaliere della Fenice, colui che può risorgere dalle proprie ceneri, giuri di proteggere sempre Atena ed il suo tempio, di combattere per la giustizia e per la pace, e di operare sempre per il bene, sotto l’influsso delle stelle?”

“Lo giuro.” Rispose senza incertezze il cavaliere.

“E tu, Andromeda, cavaliere di Andromeda, guerriero dal nobile cuore, giuri di proteggere sempre Atena ed il suo tempio, di combattere per la giustizia e per la pace, e di operare sempre per il bene, sotto l’influsso delle stelle?” La dea rivolse la formula all’altro ragazzo.

“Lo giuro.” Confermò il giovane.

“Ora giurate davanti ai vostri fratelli cavalieri.” Li invitò la dea; i due si voltarono verso gli altri.

“Giuriamo.” Ripeterono in coro; fu molto emozionante incrociare gli sguardi delle persone che amavano, pieni di emozione e di orgoglio. Phoenix, quando vide le lacrime negl’occhi di Celeste, dovette combattere l’impulso di correre ad abbracciarla; poi lui ed il fratello si voltarono nuovamente verso Atena.

“Io, Atena dea della giustizia, vi consacro Sacri Cavalieri del Grande Tempio, indossate le vostre armature.” Dichiarò la ragazza, indicandogli gli scrigni d’oro.

I due fratelli si guardarono un attimo negl’occhi, Andromeda sorrise a Phoenix, che si sentì immediatamente più tranquillo; poi afferrarono contemporaneamente le maniglie, tirandole a se. Dagli scrigni si alzarono due colonne di luce dorata, poi le vestigia si sollevarono nell’aria, per separarsi in pezzi quando Phoenix e Andromeda sfiorarono la superficie degli elmi. Le parti delle due armature d’oro si andarono a distribuire sui loro corpi in modo perfetto, dimostrando che le sacre vestigia li accettavano come nuovi custodi; i due fratelli si scambiarono uno sguardo pieno di speranza.

“Ora voi, Phoenix e Andromeda…” La voce di Atena richiamò la loro attenzione. “…siete i sacri cavalieri di Gemini e Pisces, dimostrate di esserne degni continuando a servire la giustizia.” I due cavalieri annuirono orgogliosi; Lady Isabel gli sorrise, poi li invitò a voltarsi nuovamente verso i compagni.

“Adesso che la cerimonia è finita, ci aspetta la sala del Simposio dei Cavalieri, in cui è stato preparato un piccolo rinfresco.” Annunciò la Divina Elettra; nel frattempo Celeste stava già festeggiando Phoenix e Andromeda, abbracciandoli e facendo cozzare la sua armatura d’argento contro le sacre vestigia dei cavalieri.

 

La sala del simposio era magnifica, con la luce che l’invadeva, i fiori, gli stendardi color porpora; Lady Isabel si godeva lo spettacolo dei suoi cavalieri nelle loro lucenti armature d’oro, sentendo che finalmente l’ordine del mondo era tornato a posto. Lo sguardo della ragazza si spostò su Celeste e Phoenix, che parlavano sotto lo stendardo di Gemini.

“Come ti senti?” chiese la sacerdotessa al cavaliere, lui la guardò con un mezzo sorriso.

“Bene, è un po’ pesante, ma va bene.” Rispose poi.

“E’ più pesante di quella della Fenice, eh?” Celeste sorrideva.

“Sì.” Annuì il ragazzo. “Anche se penso che in battaglia non si avverta, questa differenza.” Aggiunse sfiorando il pettorale d’oro; poi i loro sguardi s’incrociarono. “E’ una grande responsabilità.” Affermò Phoenix.

“E tu ne sarai degno, lo so.” Rispose Celeste, fissando i suoi occhi turchesi in quelli grigio acciaio del cavaliere.

“Tu sai sempre tutto, vero?” Domandò ironico il ragazzo.

“Ne so abbastanza per dire che non tradirai la fiducia di chi ha creduto in te.” Dichiarò sicura lei; Phoenix le sorrise.

“Ti prego, continua a parlarmi sempre così.” Le disse stringendole la mano.

Isabel lasciò i due giovani innamorati per guardare un altro gruppetto di persone: tra loro un cavaliere, con la solita faccia da impunito, quel sorriso, lo stesso sia che guardi i cartoni animati sia un nemico da affrontare, e quell’armatura alata che lo rendeva il più mitico degli eroi. Rideva Pegasus, scherzando con gli amici, come un qualsiasi ragazzo.

“Hey Andromeda, lo sai che ti sta proprio bene l’armatura d’oro? Ti rende persino più robusto.” Affermò il cavaliere.

“Mi stai prendendo per il culo, Pegasus?” Rispose candido l’altro; il ragazzo castano, fingendosi stupito, spostò lo sguardo su Cristal, che stava davanti ad entrambi.

“Mi sa che l’armatura d’oro lo sta pure svegliando!” Esclamò il biondo cavaliere, sorseggiando una bibita.

“Ci sarà da preoccuparsi?” Chiese allarmato Pegasus.

“Stronzi.” Commentò Andromeda. “Non prendetemi in giro, voi è già un pezzo che la portate… anche se, ancora, non vi riesce bene come a loro…” Aggiunse ironico, indicandogli i cavalieri d’oro del nucleo storico.

“Questa è cattiva…” Mormorò Pegasus.

“Hey!” Sbottò invece Cristal. “Guardami bene, io sono praticamente perfetto ed elegantissimo, con queste vestigia!”

“Si sta montando la testa.” Affermò il cavaliere di Sagitter.

“Mi sa di sì.” Confermò Andromeda, poi scoppiarono a ridere.

Lady Isabel, però, si trovò a concordare con Andromeda; infatti, anche secondo lei, i cavalieri d’oro storici, portavano le sacre vestigia con una dignità ed una grazia inimitabili. Muhr, Virgo, Toro indossavano armature e mantelli con la consapevolezza di chi è nato per farlo; Isabel non dubitava che presto anche i nuovi arrivati, avrebbero acquisito quella consapevolezza, era solo questione di tempo. Al gruppetto di Ariete si avvicinò Scorpio; un altro che indossava le sacre vestigia in modo spettacolare.

“Avete visto la Divina Elettra?” Chiese ai tre compagni.

“Credo che sia uscita fuori.” Rispose Toro.

“Sì, l’ho vista poco fa che si dirigeva verso l’uscita.” Confermò Muhr.

“Grazie ragazzi.” Scorpio non rimase con loro che per qualche secondo, allontanandosi subito attraverso il grande portone intarsiato.

Atena era felice: era riuscita a riconquistare il suo trono, a riportare la pace e la giustizia tra gli uomini, a ricostituire quasi interamente la schiera dei suoi sacri guerrieri; ed ora, anche se le battaglie non erano certo finite, almeno il Grande Tempio era ridiventato il baluardo della giustizia.

Mancava solo un Gran Sacerdote, ma non sarebbe stato così per molto tempo. La dea sorrise, adagiandosi contro lo schienale della sua poltrona.

 

Il sole stava lentamente cominciando a calare, in fondo alla rocciosa valle del Grande Tempio, ma era ancora tanto forte da far baluginare lo spicchio di mare lontano, che s’intravedeva tra gli scoscesi costoni e le rovine antiche.

Una donna dai lunghi capelli biondi sedeva solitaria sugli scaloni del santuario, impossibile non riconoscerla; Scorpio si avvicinò e si sedette al suo fianco, lei si voltò, sorridendogli.

“Perché non sei dentro a goderti i complimenti per lo splendido lavoro che hai fatto?” Le chiese il cavaliere.

“Odio i complimenti, mi mettono in imbarazzo e non so mai cosa rispondere, così passo per scostante, invece sono solo timida.” Rispose semplicemente la donna, continuando a sorridere.

“Tu… sei unica al mondo!” Esclamò Scorpio ridendo, lei lo imitò.

“Sappi che me ne faccio un vanto, di questo!” Rispose Elettra.

Smisero di ridere e ripresero ad osservare il sole, che diventava sempre più scuro, man mano che si avvicinava all’acqua; dopo un po’ la donna girò il capo per osservare il cavaliere, che non se ne accorse, continuando a guardare l’orizzonte. La bellissima e possente armatura dello Scorpione, ed il suo particolare elmo, in quella strana luce non ancora di tramonto, assumevano le più incredibili sfumature dorate, mentre il profilo del ragazzo si stagliava contro il cielo ancora azzurro, con le folte ciglia scurissime a circondare i suoi occhi enigmatici e misteriosi.

“Sei bellissimo.” Affermò Elettra, Scorpio si voltò con espressione sorpresa sul bel viso abbronzato. “Non sarà mica la prima volta che te lo dicono?!” Lui abbassò lo sguardo sulle mani.

“No, ma… ecco…” La sacerdotessa rise.

“Vedi come sono i complimenti? Creano solo imbarazzo!” Esclamò continuando a ridere. Lei non era bellissima, era spaventosamente bella. Silenzio, di nuovo.

“Lo senti il profumo degli oleandri?” gli domandò qualche minuto dopo; io sento solo il tuo di profumo, avrebbe voluto risponderle, ma poi si accorse che il profumo di Elettra era quello degli oleandri, e di limone, e di menta… Lei profumava di Grecia e di Mediterraneo.

“Sì.” Mormorò, sconvolto da quelle sensazioni.

“Micene l’adorava…” Ecco perché lo usi ancora, perché continuiamo a farci del male, Elettra? “Questo è il suo sogno.” Affermò la donna, indicando il santuario ai suoi piedi.

“Come?” Scorpio non afferrava il senso della frase.

“Sì, tutto questo, la pace al Grande Tempio e nel mondo, voi cavalieri di nuovo uniti come fratelli, Atena che regna nella giustizia…” Spiegò lei.

“Tutto merito del suo sacrificio, sfortunatamente siete stati ben pochi a comprendere fin dall’inizio.” Si rammaricò il ragazzo.

“Tu eri troppo giovane, e poi lui era solo un cavaliere davanti alla parola del grande sacerdote.”

“Io ti ammiro, per quello che hai fatto. Il dubbio poteva venire a chiunque, tu non hai mai dubitato di lui?” Le chiese, senza polemica.

“No, mai.” Dichiarò sicura. “Io lo amavo, e in cuor mio sapevo che era dalla parte giusta.” Aggiunse.

“Lo ami ancora, Micene intendo.” La guardava negl’occhi adesso.

“Sì, ma non fraintendermi, ho amato anche Acquarius, solo non nello stesso modo.” Rispose la donna. “Non amerò più nessuno come Micene, ma ciò non significa che non possa esserci più di un grande amore nella vita.” Concluse tranquilla.

“Mi stai facendo la paternale?”

“Bah! Figurati, per me ognuno è libero di fare le sue scelte, solo credo che sia ancora troppo giovane e bello per chiuderti in clausura!” Sbottò Elettra.

“Con te non si scappa, hai sempre la risposta pronta.” Mormorò il cavaliere chinando la testa.

“Credimi, mi ci sono voluti anni per sviluppare questa dote!” Ribatté lei, scoppiando poi a ridere; lui la imitò, rimanendo con la testa bassa.

Il sole era già entrato nel triangolo di rocce che lo portava al mare, mentre alle risate si era sostituito un meditativo silenzio; Scorpio sentì la mano di Elettra posarsi delicatamente sulla sua, ma non guardò, semplicemente gliela strinse, continuando a guardare l’orizzonte. Il contatto con la sua pelle gli trasmetteva una sensazione di serenità; ogni volta che era con lei sentiva la morsa di dolore che gli stringeva il cuore sciogliersi e lasciarlo respirare, chissà se era lo stesso per lei. Il cavaliere si voltò, per cercare la risposta in quegl’occhi di cielo terso, e trovò il sorriso rassicurante della donna. Scorpio rispose al sorriso.

“Ora sarà meglio che torni dentro.” Affermò Elettra, lasciandogli la mano per alzarsi. “O penseranno che mi sia defilata!” Aggiunse ridendo; il ragazzo la guardava in silenzio.

La donna si spostò, piegandosi su di lui, poi gli carezzò la guancia con il dorso della mano: una carezza vellutata e tenera; Scorpio socchiuse gli occhi a quel contatto. Quando li riaprì, lei si stava già allontanando su per le scale.

Rimase fermo, osservando il sole ormai tuffato nel mare, pensando a cosa stava diventando Elettra per lui; rappresentava cose che non aveva avuto nella vita: una madre, un’amica, ma era anche una donna estremamente attraente.

Un altro giorno finiva e, per qualche strano motivo, l’idea di affrontarne uno nuovo non lo spaventava come qualche tempo prima. Il Grande Tempio e tutti i suoi abitanti iniziavano una nuova vita; forse era il momento che lo facesse anche lui.

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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