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Autore: AngelOfLove    14/12/2011    3 recensioni
Che succederebbe se un giorno scoprissi che la favola che stai vivendo è solo apparente? Come potresti tornare alla realtà di sempre dopo quello che hai vissuto? Si puo' dimenticare una persona indimenticabile?
Ci sono dei limiti nell'amore?
Dal capitolo 5: “Non ti scaldare ragazzina: tieni dentro questo tuo calore per qualcun altro, magari sarai più fortunata” e poi mentre si gira dal lato opposto dice sottovoce, come se non volesse che io lo sentissi “E ti aiuterebbe anche baciare un po’ meglio”. Ma come osa!
Stavolta sono io a fermarlo facendolo girare verso di me, alzando il tono della voce “Io non so baciare? Sei tu che sei rimasto fermo come uno stoccafisso!”.
“Forse perché non sono attratto da delle ragazzine pestifere e viziate come te. Ti servirebbe un insegnante”.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beautiful girl, lovely dress,
High school smiles, oh yes,
Tables and chairs worn by all of the dust.
Beautiful girl, lovely dress,
Where she is now I can only guess.¹




Come ci si può comportare normalmente con qualcuno, quando nel giro di pochi secondi ti appare completamente diverso?
Questa domanda mi rimbomba nella testa da quando mi sono alzata questa mattina o, per meglio dire, da diversi giorni, da quando cioè Eric ha fatto, volontariamente o involontariamente, il suo coming out.
Sono trascorse due settimane e nelle varie feste organizzate per festeggiare la scarcerazione di Yuki, il fidanzamento ufficiale di Alice e Will e il futuro nascituro, abbiamo avuto modo di conoscere Cameron, il ragazzo di Eric. Ed è proprio questo il punto: il suo ragazzo!
Quando Will quel giorno ha aperto quella porta ci siamo trovati di fronte ad una scena che mai avremmo creduto potessimo vedere. Eric, il bel giocatore di football del liceo, l’idolo delle cheerleaders, il dongiovanni che faceva a gara con la sorella per i cuori spezzati lasciati come scia dietro di se … che bacia un uomo. Non ho avuto modo di parlarne con Jess ma, oltre lei, sono io quella che lo conosce da più tempo e dire che sia rimasta sbalordita davanti a quella scena è un eufemismo.
Quando gli ho detto che per me non sarebbe cambiato niente e che sarebbe rimasto comunque il mio migliore amico a prescindere da chi bacia o ama non scherzavo: anche adesso ripensandoci non mi pento di quelle parole, assolutamente. Voglio davvero bene ad Eric, forse troppo, e sento che i miei sentimenti verso di lui non sono cambiati, ma c’è pur sempre un però.
Dall’oggi al domani mi sono ritrovata Cameron nella mia vita e, benché lo trovi oltre che un bel ragazzo anche simpatico e mi ci trovi davvero bene a chiacchierare e scherzare, mi è difficile pensare “sono una bella coppia” o pensieri simili. Se fosse stata una ragazza lo avrei ammesso da subito perché si vede lontano un miglio quanto siano affiatati, ma ero così abituata a vederlo circondato dal genere femminile che ora tendo quasi a non comportarmi come sempre con lui, e mi dispiace davvero.
Non dico che facciano continuamente gli innamorati o ci sbattano davanti la loro vita intima, ma è capitato diverse volte ormai di vederli magari più vicini, o scherzare più affettuosamente, proprio da fidanzati e rimango ancora un po’ confusa e ciò non mi aiuta per niente con Eric. Vorrei comportarmi davvero come prima con lui, però ho quasi paura di ferirlo con le mie parole e forse capisco perché abbia esitato così tanto per dirmelo. Prima scherzavamo continuamente sulle sue nuove fiamme e ragazze di turno ed era proprio da noi anche offenderci amichevolmente o fare battute spinte sull’altro e sulla sua relazione. Ora invece mi sento sempre bloccata e mi comporto troppo seriamente per i miei standard e soprattutto per gli standard della nostra amicizia e sono sicura che anche lui se ne sia accorto.
Devo trovare al più presto una soluzione perché non intendo perderlo per questo e voglio che anche Cameron entri sempre di più nel nostro gruppo senza aver paura di sentirsi escluso.
Sono questi i pensieri che mi assillano questa mattina e che accompagnano il mio viaggio in metro fino a lavoro, esatto, lavoro. In realtà si tratta solamente di un tirocinio obbligatorio che la mia facoltà impone di fare prima della laurea, da svolgere in una struttura, agenzia, ditta, o qualsivoglia posto di lavoro nel quale iniziare a prendere confidenza, almeno così afferma il rettore, con il mondo al di fuori dell’università. In realtà tutti sappiamo che più che svolgere attività consone al nostro corso di studi, saremo obbligati a eseguire compiti del calibro dell’andare a prendere un caffè o mettere a posto scartoffie.
Tempo fa chiesi a Will se fosse stato possibile fare questo tirocinio nello studio legale dove lavora, ma purtroppo i posti erano già stati tutti assegnati e mi sono dovuta arrangiare. Ho iniziato a telefonare a diverse ditte per chiedere se avessero posti disponibili, ma, proprio quando stavo per gettare la spugna dopo decine di no, una società mi ha chiesto un incontro e dopo un colloquio informale sono stata presa.
Non potrei essere più soddisfatta: è una società finanziaria molto famosa e competente nel settore, con diverse filiali nel Paese, che si occupa in special modo del risalto di società e ditte importanti che hanno subito dei cali negli ultimi tempi, per riportarle in auge. Ovviamente queste, dopo essersi riprese, sono grate a questa società e vogliono quindi continuare la collaborazione: è per questo quindi che tra i suoi clienti ha molti personaggi influenti del momento del mercato, anche internazionali. L’amministratore delegato con il quale ho parlato durante l’incontro mi è sembrato davvero una brava persona e mi ha assicurato che avrei svolto per il periodo di tempo del mio tirocinio attività consone alla mia facoltà e ai miei studi linguistici e gliene sono davvero grata.
Ciò non toglie che sia comunque molto agitata. È il mio primo vero lavoro di responsabilità, se così lo vogliamo intendere: potrebbe farmi conoscere persone importanti che potrebbero aiutarmi dopo la laurea, o anche semplicemente mi permetterà di usare correntemente le lingue che studio ed amo, senza più i limiti delle traduzioni letterarie imposte nella mia facoltà.
Me ne sto quindi in piedi, davanti a questo enorme palazzo con la scritta “Barrington’s Society” e lo fisso dal basso verso l’alto, come una bambina di fronte a qualcosa di gigantesco, che, pur essendo fantastico, le incute comunque ansia.
Stringo così la mia borsetta nera, come a farmi coraggio. Stranamente, sono vestita più elegante del solito, per cercare almeno di sembrare più professionale, benché comunque abbia mantenuto il tocco alla Cathy. Se fosse stato per Jessica in questo momento avrei mille occhi puntati addosso, starei indossando un mini vestito di un colore accecante e scintillante come quelli che ama tanto e probabilmente assomiglierei più che altro a Elle Woods de “La Rivincita delle bionde”².
Invece indosso una semplice camicetta bianca con sotto un paio di pantaloni neri stretti alla vita che si allargano in fondo e lasciano intravedere il capo più femminile che indosso, un paio di decolté scure con tacco a spillo, l’immancabile tacco a spillo.
Mi faccio quindi coraggio, stringo i denti e mi avvicino all’enorme porta del palazzo, spingo ed entro finalmente nel mio futuro mondo.

“Mi scusi” ripeto per l’ennesima volta alla ragazza, che non dovrebbe avere poco più della mia età, dietro alla scrivania. “Senta” e tossisco ad alta voce per attirare la sua attenzione, ma a quanto pare non raggiungo neanche così l’effetto desiderato.
Quando ho oltrepassato quella porta sono stata travolta da un branco di uomini in giacca e cravatta che camminavano sicuri di sé, borbottando tra loro di finanza e dell’andamento del mercato e seguiti da un gregge di ragazze in tailleur, se così si può chiamare quel completo formato da una giacchetta succinta e una gonna che arriva a malapena a metà coscia. Mi accorgo così di essere estranea a tutto questo, di non far parte di queste persone e, cosa più importante, di non avere la più pallida idea di dove andare.
Nel tram tram attorno a me sono riuscita però a notare una ragazza dietro ad una scrivania che, attraverso la mancata parte del legno sotto di questa, non lasciava molto spazio all’immaginazione delle sue gambe, coperte solo probabilmente da un collant sottile e le solite gonne che sto imparando a conoscere in questo posto. Mi sono avvicinata a lei per chiedere informazioni ma, a quanto pare, è troppo impegnata ad ignorarmi e rispondere a chiunque tranne che a me.
Mi sto innervosendo e alzo così ancora di più la voce, “mi scusi!” facendomi finalmente sentire non solo da lei, ma anche dagli uomini in giacca e cravatta che si voltano verso di me.
“Si?” rispende lei con una voce fin troppo civettuola, quasi cascasse dalle nuvole e si fosse accorta solo adesso della mia presenza.
“La ringrazio” le rispondo con lo stesso suo tono, faccio una pausa e riprendo. “Sono Catherine Earnshaw. Il signor Finch mi ha assunto per il posto di tirocinante, inizio oggi”.
“Ah, sono contenta per lei” e si rivolge di nuovo verso uno di quegli uomini di prima, o, per meglio dire, lo contempla neanche fosse il primo uomo che vedesse.
“Mi può dire dove posso trovarlo?” le chiedo gentilmente cercando di mantenere la calma.
Continua però a ignorarmi palesemente e il suo rendersi così ridicola di fronte a quegli esemplari di genere maschile, discreti lo devo ammettere, ma pur sempre semplici uomini, mi ha fatto perdere la poca calma che avevo.
Sbatto così una mano sulla scrivania e, attirando per l’ennesima volta le occhiate di chi mi sta intorno e finalmente anche le sue, dico ad alta voce. “Può smetterla per un secondo di far finta di non stare perdendo la sua dignità e dirmi cortesemente dove cazzo posso trovare il signor Finch?”.
Forse mi sono lasciata prendere un po’ troppo la mano.
“Secondo piano, prima porta sulla sinistra” mi dice fissandomi negli occhi e guardandomi come se fossi appena uscita da un centro di igiene mentale.
“Grazie” le rispondo semplicemente e mi dirigo velocemente verso l’ascensore, lontana da tutti quegli sguardi, conscia di aver appena fatto la prima figura di cazzo del giorno, e devo ancora iniziare a lavorare!

Busso così davanti a quello che dovrebbe essere l’ufficio dell’amministratore delegato, ma non ricevo alcuna risposta.
Una ragazza, quelle del gregge di prima per capirci, mi passa vicino, quindi mi rivolgo verso di lei, sperando di ricevere una risposta migliore rispetto a quella del piano terra.
“Scusami, sto cercando il signor Finch. Ho bussato al suo ufficio ma non risponde. Sai per caso dove posso trovarlo?”.
“Di solito a quest’ora si trova nella sala stampa al primo piano per controllare gli ultimi lavori svolti la sera prima” mi dice sempre con voce melliflua ma perlomeno gentilmente.
“Grazie” e mi appresto a riprendere l’ascensore.

Arrivo di fronte a quella che dovrebbe essere la sala stampa, busso e, dopo aver ricevuto finalmente risposta, entro.
“Buongiorno. Sto cercando il signor Finch. Mi hanno detto di cercarlo qui” dico educatamente.
“Sei la nuova tirocinante?” mi chiede un uomo sulla cinquantina davanti a una stampante.
“Si” rispondo semplicemente.
“Il signor Finch mi ha detto di dirti che purtroppo questa mattina è davvero impegnato e si scusa per non poterti incontrare”. È davvero una brava persona allora, uno dei pochi che finora si salva qui dentro. “Però puoi passare direttamente dal presidente, ti riceverà lui, ti sta già aspettando infatti”.
“Bene, grazie” e, dopo l’ennesimo ringraziamento della mattinata, chiudo la porta e mi dirigo verso il presidente in persona. Ma credo di aver dimenticato qualcosa…
Riapro quindi la porta senza neanche bussare e faccio semplicemente capolino. “Mi scusi ancora, ma può dirmi dove posso trovare il presidente?”gli chiedo imbarazzata. Che figura.
“Quarto piano, a destra, non puoi sbagliarti”.

E infatti è quasi impossibile sbagliarsi.
Una gigantesca porta di legno a due ante mi separa dal presidente di questa società, un presidente molto egocentrico, ne sono certa.
Il suo ego sarà paragonabile oltre alla grandezza di questa porta, alla targa che risplende accanto a questa di color oro. Dice semplicemente:

“Alexander Barrington
The President”

Come sbagliarsi?
Già mi immagino questo Alexander Barrington: un calvo uomo di mezza età che ha passato la vita nel suo ufficio, circondato solamente da uomini influenti. Probabilmente avrà una moglie e dei figli, e di sicuro avrà un’amante, femmina o maschio che sia. Ormai sono fissata, lo so.
Dopo aver bussato per l’ennesima volta oggi, sento una voce maschile da dentro che mi invita ad entrare ed apro quindi la porta.
Dire che quello che ho davanti è un ufficio è poco.
Pavimento in parquet di legno di sicuro pregiatissimo, mura ai lati così piene di quadri, targhe e riconoscimenti che è difficile dire di che colore siano. Nella parte sinistra della stanza vi è un angolo bar con sgabelli annessi e nella parte destra vi è una specie di salottino con un tappeto, due poltrone e un divanetto davanti persino ad un caminetto. Mi chiedo se funzioni davvero.
Ma è proprio al centro della stanza che si posa maggiormente il mio sguardo.
Davanti a una maestosa vetrata che ricopre pressoché l’intera parete centrale, vi è una scrivania, due volte o più la grandezza di quella della ragazza al piano terra, con sopra libri e giornali, presumo tutti riguardanti la finanza. Non vedo però nessuna cornice con dentro le foto della sua presunta famiglia.
“È lei la nuova tirocinante?” e una voce mi distrae dai miei pensieri. Proviene da dietro la scrivania, precisamente da una sedia girevole nera abbastanza grande da nascondere la figura dell’uomo che mi sta parlando, voltato completamente verso la vetrata.
“Si. Sono…” e inizio a parlare, quando questo però mi interrompe, voltandosi verso di me.
“So chi sei. Ci rincontriamo chéri”.
Riconosco questa voce e riconosco soprattutto quegli occhi verdi che, a differenza dell’unica volta che ci siamo incontrati, mi guardano con ironia, accompagnati degnamente dalle labbra, che per una stupido rito ho avuto modo di baciare, piegate in un perfetto sorriso sghembo, senza la benché minima traccia di derisione o rabbia come quella sera.
Lo fisso incredula ancora per qualche attimo, senza muovermi o aprir bocca, o, per meglio dire, senza chiuderla, visto che è rimasta spalancata per lo stupore, fino a quando non esordisco col mio marchio di fabbrica. “Cazzo”. Una semplice parola che racchiude tutto quello che provo in questo momento.
“Fine come sempre” mi dice lui continuando a sorridere.
“Tu sei Alexander Barrington? Il presidente?”. E solo dopo aver pronunciato queste parole mi rendo conto della loro inutilità. Lo guardo infatti più attentamente e vedo un ragazzo vestito con un completo chiaro senza giacca e una sola camicia con i primi bottoni slacciati e senza cravatta. Un abbigliamento diverso da quello che ho visto finora sugli altri uomini che giravano in giacca e cravatta, senza la minima piega o un minimo disordine addosso: lui invece è persino spettinato. Ma anche solo guardandolo per pochi istanti si può notare la differenza con gli altri. Ha l’eleganza proprio in sé, anche solo nell’indossare una semplice camicia o nel giocare con le dita della mano con una penna come sta facendo in questo momento.
“Si sono proprio io. Non ci sarebbe il mio nome sennò sull’insegna fuori da questo palazzo. Ti sei imbambolata?” ed ecco tornato il tono saccente e sarcastico di quella sera. Sembra però sortire il giusto effetto su di me, infatti mi riprendo e scuoto la testa, come a voler mandare via un brutto pensiero.
“Stavo solo pensando a quanto la porta qui fuori si addica a te” gli dico strafottente, incrociando le braccia sotto al seno.
“Come?” mi chiede confuso.
“Niente, niente” taglio corto io.
Di nuovo attimi di silenzio e poi riprende a parlare. “In realtà il vero presidente in carica è mio padre, ma lui si trova a New York nel palazzo centrale della società. Mi considero il presidente surrogato di questa città” mi dice pensoso, appoggiandosi un dito sulle labbra, proprio come aveva fatto quella sera.
“Ah” rispondo semplicemente. E in effetti sono rimasta senza parole.
“Edward” mi dice riferendosi presumibilmente al signor Finch “mi ha parlato davvero bene di te. Ti ha descritto come una ragazza sveglia, volenterosa e senza peli sulla lingua, anche se non ho avuto modo di controllare personalmente”. Era un doppio senso per caso?
“Infatti” rispondo concisa, evitando la sua provocazione.
“Ma pensa il mio stupore quando ho visto la tua foto sul tuo curriculum. La tirocinante perfetta racchiusa nella psicopatica del bar” e dice questo continuando a picchiettare l’indice sulle sue labbra.
“Come mi hai chiamato?” lo interrompo sgarbatamente io.
Ma lui continua come se non avessi aperto bocca. “E pensa il mio stupore quando ho notato di aver scoperto ciò, proprio dopo che Edward aveva già firmato il tuo contratto”.
“Almeno quanto il mio quando ti ho visto poco fa” dico a bassa voce, ma lui sembra avermi sentito infatti mi lancia uno sguardo divertito. Ma ha l’udito ultrasviluppato?
“Su forza siediti, non ti mangio mica” e mi indica una delle due lussuose sedie davanti alla sua scrivania.
Mi muovo lentamente verso di questa, non sapendo cosa aspettarmi da lui.
In fin dei conti ci eravamo soltanto baciati, anche se le cose erano andate degenerando, sempre a causa della sua maleducazione e presunta frigidità, che, a vederlo adesso, pare proprio inesistente, anzi. Sarà stata l’agitazione, i muffin o quello che era, ma non me lo ricordavo davvero così bello. Quegli occhi verdi che ti guardano e sembrano quasi trapassarti l’anima quanto sono accesi, e le sue labbra, che sembrano ancora più invitanti. Per non parlare dei suoi capelli scuri leggermente più lunghi dell’ultima volta e oggi così spettinati che gli danno un’aria ancora più da… Oh cazzo, smettila Cathy! Stai davvero facendo questi pensieri su di lui? Su Mr. Freezer come l’avevi soprannominato da quel giorno?!
“Mr. Freezer” e do voce ai miei pensieri ridacchiando.
“Come hai detto?” mi chiede ma, come ha fatto lui poco prima, evito di rispondere.
“D’accordo iniziamo” e apre un cartellina dalla quale tira fuori dei fogli. “Tu sei Catherine Earnshaw. Finalmente ci presentiamo Catherine” e rialza lo sguardo dai fogli guardandomi in volto.
“Solo Cathy” gli dico accennando un sorriso. Non lo sopporto, ma preferisco mi chiami come fanno tutti piuttosto col mio intero nome.
“Bene, Catherine” dice scandendo ogni singola lettera del mio nome. Appunto. Mi chiedo che parli a fare. “Sei qui come tirocinante. Deduco tu sia prossima alla laurea allora”.
“Mi manca un esame. Terminato questo tirocinio potrò consegnare la tesi e laurearmi”.
“Complimenti. Ma entriamo più nello specifico: quali lingue conosceresti Catherine?” mi chiede e noto sempre una vena di ironia quando pronuncia il mio nome interamente. Sadico.
“Inglese ovviamente, francese, russo, tedesco e un po’ di italiano” gli rispondo.
“Ci potrai essere di grande aiuto allora qui in società. Molti clienti, come già saprai, sono stranieri ed è difficile trovare interpreti che parlino tutte queste lingue e soprattutto che non debbano essere pagati”. Ma quanto è simpatico, davvero tanto.
“Già, non sia mai che tocchi vendere una poltrona o un quadro per pagare il loro stipendio” gli dico sarcastica, indicando le pareti con lo sguardo.
Lui così, per la prima volta da quando sono entrata, accenna un vero movimento e si alza, rivelando di nuovo il suo fisico statuario, sottolineato dai pantaloni chiari che risaltano la lunghezza delle sue gambe e da quella camicia bianca che lascia intravedere un torace piatto e delle braccia… Oddio, di nuovo.
“Basta Cathy” ma solo in quel momento mi accorgo di averlo detto ad alta voce.
Lui mi osserva con un sopracciglio alzato e sembra quasi divertito. Sussurra appena un “proprio la psicopatica del bar” e si volta verso uno dei quadri che stava guardando prima della mia tempesta ormonale.
Ed è questo appunto: sembra quasi non avessi mai visto un uomo, mi comporto come la ragazza del pianoterra. Probabilmente deriva solo dallo stress accumulato questa mattina e dal mio solito umore pre-ciclo. Ora un respiro profondo e torna tutto come prima. Lui è di nuovo il tuo capo stronzo che detesti da quella famosa sera e tu la povera tirocinante non pagata.
“Sai” inizia a parlare lui continuando a guardare uno dei suoi quadri e riscuotendomi dai miei pensieri “so di essere un bel ragazzo ma non credevo fino a questo punto. Vuoi un fazzoletto?”.
“Non voglio nessun dannato fazzoletto” gli rispondo sgarbata, ma con lo stesso tono del bambino colto con le mani nel vasetto di marmellata. Ottimo, mi ha scoperto anche lui.
“Se lo dici tu” mi risponde in tono accondiscendente, e poi si volta verso di me, di nuovo serio. “Inizierai a lavorare domani mattina, non mi piacciono le cose a metà. Non mi piacciono nemmeno i ritardatari, quindi cerca di essere puntuale”. E poi squadrandomi “ e non mi piace neanche il tuo abbigliamento”.
“Cos’hai contro il mio abbigliamento?”. Sono proprio curiosa di saperlo.
“Non ci sono abituato. È così poco femminile, giovanile, così poco da …” e continuerebbe ma io lo interrompo.
“Da puttana stavi per dire?”.
“Non la metterei così. Diciamo piuttosto da ragazza che bacia sconosciuti nei bar” mi risponde saccente con il solito sorriso sghembo stampato in faccia.
“Mi hai appena dato della puttana?” dico io alzandomi con uno scatto dalla sedia.
“Lo saresti stata se avessi continuato quel giorno, ma purtroppo ti sei fermata. Purtroppo per te ovviamente, non sai cosa ti sei persa” e di nuovo ecco spuntare questa storia e il suo sorriso, da sghembo, diventa da capo pervertito.
“Il cervello ho perso, nel momento in cui ho deciso di rimanere qui a sentire le stronzate che escono dalla tua bocca” e detto questo mi avvio verso la porta.
“Questa è una grande opportunità per te, non ce ne saranno molte altre” e a queste parole rimango ferma con la mano sulla maniglia della porta. “Se pensi però di non esserne in grado e non poter accettare dei semplici scambi di opinione o delle battute, beh, quella è la porta”. Io mi volto e noto che si sta avvicinando verso di me. “Se vuoi gettare questa opportunità solo perché sei ancora una bambina troppo pudica fai pure” e, ormai proprio di fronte a me, mi alza il mento con l’indice della sua mano.
Io lo guardo di nuovo come quella sera, dal basso verso l’alto, fisso i miei occhi nei suoi ancora più verdi di prima e lo vedo per quello che è, solo uno stronzo che si frappone tra me e il mio futuro. Io però sono più testarda e non mi farò mettere i piedi in testa né da lui, né da nessun altro. Ho deciso di fare questo tirocinio e lo porterò a termine, a costo di prendere il signor presidente qui presente a pugni.
Scanso quindi di malo modo la sua mano con la mia e lo guardo determinata e decisa. “A domani mattina signor Barrington”.
Lui mi osserva e sembra quasi stia cercando nei miei occhi un qualcosa, probabilmente fragilità o la poca maturità che ha sottolineato prima. “A domani Catherine” mi sorride beffardo e a quanto pare non pare aver trovato niente.
Mi volto di nuovo e esco finalmente dall’ufficio di Mr. Freezer lasciandomelo dietro a quella maestosa porta.

Appena esco dall’ufficio del signor “sono un gran fico” mi squilla il telefono e rispondo, dopo averlo preso distrattamente dalla borsa e non aver guardato nemmeno chi fosse.
Allora com’è andata?” e sento distintamente la voce allegra di Eric dall’altro capo del telefono.
“Una meraviglia. Il posto è enorme, e sono sempre circondata da uomini snob e donne che non fanno altro che cercare di farsi notare da questi. E per di più credo di dover passare la maggior parte del mio tempo in un ascensore” e difatti mi avvicino appunto a questo per riprenderlo.
Sento delle risate dall’altro capo. “Perfetto allora, il tuo posto ideale” e continua a ridacchiare.
“Si e sai qual è la ciliegina sulla torta? Il presidente della suddetta società”.
Perché? È un vecchio stronzo snob?” mi chiede lui, descrivendolo nel modo che avevo pensato io stessa fino a poco fa.
“È uno stronzo snob, ma purtroppo non è vecchio. Sarebbe stato meglio visto che è Mr. Freezer!” gli sbotto io mentre schiaccio il pulsante per chiamare l’ascensore.
No! Il frigido del bar? Quello che hai baciato?” mi urla lui nell’orecchio.
“Proprio lui, in carne, ossa e occhi verdi magnetici”. È uno stronzo, ma devo riconoscere i suoi pregi, estetici solamente però.
Dai Cathy, poteva andarti peggio. Puoi sempre provarci con il capo e magari ti alzerà anche lo stipendio”. Ma che cavolo si ridacchia sotto?
“Non ho uno stipendio!” gli sbotto io alzando la voce, infastidita anche per questo. Perdere tempo dietro a quello stronzo e non avere neanche qualcosa in cambio. Ah si, l’esperienza dicesse il rettore. Peccato che con l’esperienza non paghi l’affitto di casa. “Comunque smettiamola di parlarne, non ne vale la pena. E poi avrò tutti i prossimi mesi per lamentarmi e offenderlo. Piuttosto, mi puoi passare a prendere? Non mi va proprio di riprendere la metro” gli chiedo con tono triste da bambina.
D’accordo, tanto io e Cameron non siamo lontani da dove ti trovi. Pochi minuti e saremo lì”. Ed ecco come peggiorare una mattina già disastrosa di per sé.
“Ah, c’è anche lui?” dico cambiando decisamente tono di voce e passando ad uno brusco e quasi infastidito.
Si” e dopo attimi di imbarazzante silenzio riprende a parlare. “Mi ha appena detto che deve passare allo studio legale. Quindi lo lascio lì e ti passo a prendere, ok?” e dal tono triste che ha usato capisco come abbia compreso il mio cambiamento di umore e come ci sia rimasto per il mio atteggiamento. Che stupida che sono.
“Allora non ti preoccupare dai, prenderò la metro” e dicendo questo cerco di sembrare convincente e evitare di peggiorare ancora la situazione.
No, ho già svoltato e sono quasi arrivato allo studio legale” mi risponde freddo. Bene, non posso peggiorare la situazione visto che l’ho già aggravata con una sola frase.
“Mi dispiace davvero Eric” e cerco di rimediare almeno scusandomi sinceramente. Ultimamente mi comporto così male con lui e mi escono frasi con certi toni che, appena le pronuncio, me ne pento.
A tra poco” mi risponde meccanicamente lui e riaggancia.
Non ne combino una giusta accidenti.

“Che palle!” sbotto io chiudendo in malo modo il telefonino che ho in mano, che l’unica colpa che ha è di appartenere ad una stronza.
“Sai questo linguaggio non si addice molto a una ragazza” dice una voce alle mie spalle che riconosco perfettamente. Ci mancava lui.
“A quale linguaggio ti riferisci?” gli chiedo facendo finta di niente.
“A quello da scaricatrice di porto che usi, a quanto pare non solo con me, ma anche con il tuo ragazzo” e detto questo io mi volto verso di lui con un sopracciglio alzato. Ma continua. “Mi hanno riferito di una pazza che ha sbraitato all’entrata circa due ore fa. La conosci per caso?” e vedo di nuovo il suo sorriso da schiaffi.
“Primo, Eric non è il mio ragazzo. Secondo, se l’è meritato quella specie di barbie segretaria” e questo sembra divertirlo visto che ridacchia. “E terzo, mi stai per caso seguendo?”.
Ma quando diavolo arriva l’ascensore? Non ho mai sentito il suo bisogno quanto adesso.
“Si dà il caso che la baracca nella quale ti trovi sia mia, quindi sei tu che tecnicamente sei venuta a cercarmi” e risponde soltanto al terzo punto. Sono però fin troppo arrabbiata con me stessa per dargli corda e così mi rivolto verso l’ascensore aspettandolo e rimanendo in silenzio.
Lui però non sembra arrendersi così presto. “Sai, non sei brava a mentire” mi dice semplicemente.
“Come scusa?” e mi rivolto verso di lui.
Mi dispiace davvero Eric” e mi fa il verso cercando di imitare la mia voce, che però, col suo tono profondo e la sua stazza, fa davvero ridere. “Non sai proprio mentire”.
“Stavi ascoltando la mia conversazione a telefono? Sei anche uno spione?” gli chiedo incredula e offesa.
“Non ti sei spostata di molto dalla porta del mio ufficio e la tua voce squillante arrivava perfettamente dentro. Sono quindi uscito per controllare a chi appartenesse e ovviamente eri tu”.
“Strano che tu abbia sentito qualcosa dietro a quella barricata. E poi chi ti ha dato il permesso di ascoltare comunque? Era una conversazione privata!” sbotto io.
“La prossima volta abbassa la voce quando parli degli occhi magnetici del tuo capo, chéri” ed esplode in un sorriso egocentrico e provocante. Giuro che un giorno prenderò a schiaffi quella faccia da bell’imbusto che si ritrova.
“Hai ascoltato tutto! Sei proprio un grandissimo stron…” ma interrompe il mio insulto avvicinandosi e posandomi l’indice sulle labbra.
“Catherine” e di nuovo il mio nome per intero. Non so se odi più lui o il mio nome. “Non offendere il capo: i suoi occhi magnetici potrebbero diventare furenti” e mi soffia le ultime parole proprio a pochi centimetri dal mio viso.
“Vai al diavolo” gli dico arretrando di un passo.
“Chiama l’ascensore se vuoi che ci vada più velocemente” mi dice ridacchiando.
“Cosa? Ma io ho premuto il …” ma lascio la frase in sospeso notando invece il pulsante con la luce spenta. Che sbadata che sono.
Lo premo così più forte, assicurandomi questa volta che si accenda e mi volto verso di lui. “Contento?” e mi rivolto dandogli le spalle. “Un ascensore intelligente quanto il padrone di casa” borbotto impaziente.
Anche questa volta sembra avermi sentito, ma non ribatte, ridacchia solamente.
Arriva finalmente l’ascensore, e senza esitare un secondo, entro dentro non appena le porte si aprono. Lui però fa la stessa cosa.
“Eh no, anche in ascensore?” gli chiedo palesemente stanca dalla sua vicinanza.
“L’ascensore è dentro la baracca, ergo, l’ascensore è mio. Se non vuoi usufruire del servizio, ci sono le comode scale di fianco” e il suo sorriso si allarga mentre pronuncia queste frasi come se stesse parlando a una bambina viziata.
Stavolta sono io che evito di ribattere e mi scosto totalmente da lui, spalmandomi quasi sulla
parete destra di questo piccolo spazio quadrato, che è coperto in tutte e tre le facciate nella metà superiore da specchi.
“Non sai mentire” inizia a parlare lui non appena le porte si chiudono “ma capisco perché tu ci abbia provato. Alla fine hai usato un tono molto sgarbato verso questo Eric. Forse era meglio se continuavi a parlare di me con aria sognante”.
“Non avevo nessuna aria sognante” gli ribatto e appoggio la mia schiena allo specchio dietro di me voltandomi quindi completamente verso di lui, che si trova proprio al centro del quadrato. “E poi avrei voluto vedere te al mio posto” gli dico infine guardando per terra colpevole.
Lui non risponde, ma capisco che mi sta guardando e aspetta che continui. Così mi lascio trascinare dalle parole e, come al solito, non riesco a tenere la bocca chiusa.
“Il tuo etero latin lover migliore amico che di colpo si scopre gay e con un fidanzato tenuto nascosto per mesi” gli dico riassumendo in poche parole la storia.
“Non sopporti i gay?” mi chiede così lui.
Io alzo così lo sguardo verso di lui e dico offesa “assolutamente no! Non ho niente in contrario, anzi, due tra le mie amiche più care stanno insieme e non vedo dove sia il problema”.
“Il problema, chéri, è che sei gelosa” mi risponde saccente.
“Io non sono gelosa!” gli ribatto subito. Neanche mi conosce!
“Oh si che lo sei. Ti stai facendo tutti questi problemi semplicemente perché hai paura di perderlo ora che ha una storia seria, e, deduco sia la prima, visto che lo hai chiamato latin lover”. Si avvicina così verso di me e mette il suo braccio destro steso al lato della mia testa così che possa toccare con la mano lo specchio dietro di me e con l’altra pigia un bottone che fa bloccare il movimento dell’ascensore. Sono quindi bloccata contro di lui. E poi continua la sua arringa. “Ti ha nascosto il suo ragazzo probabilmente perché aveva paura di un tuo giudizio e ora comportandoti così stai dando conferma alle sue convinzioni. Lui ci rimane male, tu ci rimani male, è un circolo vizioso che non porta a niente di buono. Quindi ascolta l’uomo saggio che hai il privilegio di avere davanti a te” e, detto questo, avvicina ancora di più il suo volto al mio. “Metti da parte l’orgoglio, la gelosia, tutto quello che potrebbe allontanare questo tuo amico da te e sii te stessa con lui, così come lo eri prima. Non te ne pentirai” e, finito di parlare, si stacca da me, rimettendosi al centro, fissa la porta e pigia di nuovo il bottone, facendo ripartire l’ascensore.
Sono davvero senza parole. Pur non conoscendomi e avendolo etichettato come uno stronzo, è riuscito a coglier il nocciolo del problema: io ho paura di perdere Eric. Ha una storia importante e ci tiene davvero a Cameron e sono gelosa di questo rapporto, non perché sia un uomo, ma piuttosto perché ho paura di perdere il mio migliore amico. E tutto questo grazie a Mr. Freezer qui presente, il grande saggio, come lui stesso si è definito.
I miei pensieri si interrompono quando la porta si apre e Alexander Barrington esce dall’ascensore frettolosamente, senza voltarsi e dicendo solamente “a domani Catherine”. Mi sto quasi abituando a sentire il nome per intero.
Così esco velocemente anch’io e mi dirigo in fretta verso il portone principale.
Passo di nuovo davanti alla scrivania della barbie e le rivolgo un semplice saluto prima di uscire. Noto comunque il suo sguardo fisso verso di me. Poveretta, devo averla terrorizzata.
Fuori dal palazzo trovo la macchina di Eric che mi aspetta e lo vedo prendersela nervosamente con lo stereo di questa.
Mi affretto a scendere i gradini di pietra che mi separano da lui ed entro subito in macchina. Non gli do neanche il tempo di voltarsi verso di me, che piombo letteralmente su di lui, abbracciandolo stile koala.
Lui d’impulso fa la stessa cosa con me e mi ritrovo finalmente a parlargli a cuore aperto pochi secondi dopo. “Mi dispiace davvero per come mi sono comportata in questi giorni con te e con Cameron. È solo che ho avuto paura di perdere il rapporto speciale che mi lega a te e mi sono comportata come una bambina”. Faccio una pausa e riprendo. “Un uomo saggio mi ha suggerito di mettere da parte l’orgoglio e la gelosia e comportarmi con te come ho sempre fatto. Quindi tieniti pronto di nuovo a tutti i miei insulti” e detto questo lo stringo ancora più forte e gli stampo un bacio sulla guancia.
“Davvero saggio quest’uomo” si ridacchia. “Cathy, tu non mi perderai mai, sei troppo importante per me. Qualsiasi uomo o donna io abbia, tu rimarrai sempre la mia Cathy. La prossima volta che ti verranno in mente certe cose, anche se spero mai, dimmelo subito, così che possa tirarti un bel pugno in testa” e accompagna la frase con dei colpetti leggeri sul mio capo..
Io non rispondo e continuo ad abbracciarlo, felice di aver finalmente chiarito con lui. Non ci è poi voluto molto, devo solo tenere a freno le mie pippe mentali.
Grazie Alexander.




¹ Gone Daddy Gone - Gnarls Barkley
² Mi riferisco alla protagonista di questo film che di sicuro conoscerete interpretata da Reese Witherspoon.




*L’Angolo dell’Autrice*

Ebbene si, sono ancora io. Non pensavo davvero potesse passare così tanto dallo scorso aggiornamento a questo e mi dispiace davvero tanto. Sono comunque felice che abbiate continuato a seguire questa storia e, se siete arrivati a questo punto, avete scoperto finalmente il nuovo arrivato, il caro Alexander Barrington. Ve lo eravate dimenticati? Beh, ora è di nuovo qui tra noi, nel pieno della sua stronzaggine Xd Voglio essere breve stavolta e passo subito ai ringraziamenti e allo spoiler finale. Vi dico però già che la storia, come vi avevo anticipato, prenderà una piega diversa da quella avuta finora e dipenderà per caso da Alexander? No, si, forse, lo scoprirete xD Continuate quindi a seguirla!!
Lucyspice : già, Cathy non era proprio l’anima gemella di Eric, anche se sono comunque affiatati xd Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo e grazie per aver continuato a seguire questa storia :)
Anna_Asia : ahah, a quanto pare il coming out di Eric è stato completamente inaspettato, meglio meglio Xd in questo capitolo Jess non c’è stata, però ne risentiremo parlare già nel prossimo, don’t worry xD
Space Pirate Ryoko: Yuki se l’è scampata, davvero fortunata… speriamo tenga la testa a posto stavolta ahah continua a seguire mi raccomando!

Ringrazio chi ha inserito la storia tra quelle da ricordare:
1 - Aly_Swag
2 - fresita93

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite:
1 - Anna_Asia
2 - cupidina 4ever
3 - Dear Juliet
4 - gismy88
5 - Gnam_Gnam
6 - Lucyspice
7 - Music_Is_You
8 - SmileYou
9 - Space Pirate Ryoko
10 - Vagnona94
11 -VeroSD

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite:
1 - bruchi
2 - Carocimi
3 - Eli12
4 - FioccoDiNeve
5 - fresita93
6 - giulimpire
7 - kitty0890
8 - Lady Sognatrice
9 - lety91
10 - love_3
11 - maylea85
12 - MBDB
13 - milkywa2
14 - NexiRain
15 - PinkPrincess
16 - Rocket Girl
17 - roxi
18 - SamSam333
19 - Selly_y
20 - SmileYou
21 - Veronica91
22 - WifeOfL
23 - wilma
24 - YouBroughtTheFlood
25 - Yuuki_Shinsengumi
26 - _Bonnie_
27 -__bea__

E ringrazio come sempre chi legge solamente.

Vi dico che il prossimo capito è già pronto e cercherò stavolta di accorciare i tempi… speriamo almeno Xd
Vi invito poi a leggere  La Perla Dell'Oriente di Anna_Asia, ve la consiglio!
Spoileeeeeer e cercate di indovinare chi parla e a chi soprattutto Xd!! Grazie ancora! :)

Spoiler


“Sei uno stronzo” esordisco io. Meno male che mi ero calmata.
“Me lo dicono tanti in effetti, ma nessuno che lavora per me, chissà perché” mi dice sarcastico, probabilmente alludendo a un mio prossimo licenziamento. Andrò a lavorare anch’io in un fast food.
  
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