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Autore: Camelia Jay    14/12/2011    5 recensioni
Circondata dal buio e dai libri, Keira si rifugia in camera sua per evitare i suoi problemi, come l'assenza della voglia di studiare, il difficile rapporto con i genitori, la rottura irreversibile con l'amica Lydia e il cuore spezzato e disilluso a causa di un amore non sbocciato da ambo le parti.
Quasi nella stessa situazione si trova Blake, suo coetaneo e vicino di casa, così simile alla ragazza da essere l'unico in grado di comprenderne le emozioni, ma allo stesso tempo il solo in grado di farla ragionare davvero. Infatti, riuscirà a convincere Keira a tornare a condurre una vita normale.
Ma ecco che, appena sembra essersi ristabilito l'ordine, per Keira è ora di fare le valigie, e si ritrova affrontare la rigida e severa zia che la tiene sotto regole troppo strette. Confortata solamente da Blake, sempre più assente, e dalla materna vicinanza della signora Rush, per Keira subentra poi un nuovo problema: un problema di nome Logan.
Mi bastò allungarmi di pochi centimetri prima che le mie labbra venissero a contatto con le sue, aderendo perfettamente, in un gesto repentino e inaspettato. Non volevo più aspettare.
Non era la prima volta che baciavo qualcuno, ma quel bacio in particolare aveva un sapore… buono; così tanto che mi stupii. Con un flebile sospiro poi, entrambi e contemporaneamente, ci tirammo indietro. [...] Fu un attimo. Un attimo che pensavo mi avrebbe dato delle risposte, che pensavo avremmo preso entrambi così, un po’ per scherzo, un po’ per curiosità. Quanto mi sbagliavo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[
Capitolo Tre]
[Mera curiosità]


 

[L'uomo più saggio non è colui che sa,
ma chi sa di non sapere.
]
[
Socrate]

 



 

Una volta dentro, non era poi così orribile, dovetti osservare: il brusio di voci che si soffocavano a vicenda, l’una addosso all’altra, e il rumore irregolare di passi sordi che faceva da sfondo a quella scena quotidiana, mi permettevano di confondermi nella massa e di non essere notata.
A differenza di tutti gli altri, io muovevo passi felpati, e avevo un’espressione del tutto indifferente, quasi avessi timore di attirare l’attenzione. Non è che avevo paura: semplicemente non volevo.
Alla prima ora avevo biologia; dopo così tanti giorni di assenza, l’orario delle mie lezioni già incominciava a sfumarsi perdendo di nitidezza nella mia mente – non che me ne fosse mai importato troppo. Solo che l’abitudine faceva la sua parte.
Prima di entrare in aula, esalai un respiro profondo.
Attraversata la soglia, mi lasciai inondare dalla forte sensazione di familiarità nel vedere quelle file di banchi ancora mezzi vuoti stendersi per tutto il piano della classe, una lavagna nero carbone che si stagliava sulla parete dietro la cattedra.
Scivolai incurante sulla prima sedia libera che mi capitò a tiro nelle file in fondo. Meno risultavo evidente agli occhi degli altri, meglio era.
Blake ed io non avevamo molte lezioni in comune, e biologia non era una di quelle poche, ragione in più per sentirmi ancora un po’ a disagio. Ora che non avevo più Lydia, credo che lui fosse l’unica persona su cui potessi fare davvero affidamento. La sua sola presenza bastava per darmi una sicurezza che effettivamente, all’interno di un’aula e durante la lezione, a poco mi serviva. Tuttavia, l’aura che emanava il suo essere lì contribuiva a farmi sentire meglio.
Decisi che a fine lezione l’avrei cercato nei corridoi, ma anche se non avessi preso già allora quella scelta, credo mi sarebbe venuto comunque automatico farlo, al trillo della campanella.
Cercai di rilassarmi, nei minuti che seguirono: il professor Terrence, giunto poco più tardi, quasi non aveva notato la mia ricomparsa improvvisa dopo tutto quel tempo che avevo passato in reclusione, motivo ulteriore per confidare nella mia assoluta – e gradita – anonimità.
Solo dopo un po’ di tempo udii i primi segnali della mia riapparizione: «Oh, guarda, non ti avevo vista» commentò, con voce monocorde, Sophia Sebert, posizionatasi nel banco alla mia destra. Aveva le sopracciglia sollevate in una lieve sorpresa, ma non pareva dare molto peso al mio ritorno a scuola. Probabilmente era più una frase buttata lì per la circostanza. «Bentornata, Towers» concluse, in un calando di voce.
Io incurvai leggermente le labbra all’insù, increspandole in un accenno di sorriso. Un altro dettame della situazione.
Capii che né lei né altri tre studenti che solo a quella frase drizzarono il capo avevano ascoltato l’appello mentre il professor Terrence lo eseguiva. «Ti eri ritirata in meditazione?» fece Logan Rush, voltandosi dal banco subito dinanzi al mio. Mi sentii indispettita dal suo sorrisetto e dalla sua battuta che volevano essere spiritosi.
«Più o meno» risposi, senza la minima voglia di spiegare a chicchessia che diamine avevo fatto in quasi tre settimane, anche se si trattava prevalentemente di leggere, guardare film e giocare a dama con Blake e dormire. A molti non sarebbe importato nulla, ai pochi rimanenti avrebbe fatto piacere saperlo per poter spettegolare su qualcosa che mi riguardasse, dunque, in entrambi i casi, era meglio se stavo in silenzio.
L’occhiata che mi lanciò l’insegnante in quell’istante, un’occhiata di rimprovero e ammonimento, bastò per richiamare l’attenzione mia e di tutti quelli che l’avevano distolta dalla lezione. Non avendo portato il libro di testo, da casa, tirai fuori un quaderno, scribacchiando qualche parola a caso pronunciata dal professore e, quando proprio avvertivo una forte sonnolenza incombere su di me, mi mettevo a scarabocchiare disegnini senza senso.
Era la ripresa di una piatta routine.
 
Temporeggiai, una volta fuori da scuola. Stavo aspettando Blake per poter prendere l’autobus insieme, tornando a casa, ma non mi ero accorta che lui in realtà era già più avanti di me, ed egli stesso era inoltre convinto che io fossi già alla fermata.
Il mio rallentare, così, mi fece perdere l’autobus, facendomi arrivare al luogo di raccolta dei passeggeri pochi secondi dopo che il mezzo pubblico era partito. In questo modo ero sola, senza Blake, appiedata. Con Gwen ancora che studiava e mio padre al lavoro, mi rimaneva solo da chiamare la mamma, sperando che potesse venirmi a prendere.
Tra un sospiro e l’altro, mi sedetti su un freddo muretto di pietra che dava su una delle vie che portava in centro città. Estrassi il cellulare dallo zaino e composi il numero. Stavo per premere il tasto di chiamata, quando realizzai di non aver per niente voglia di avere a che fare con quella donna. Misi via, perciò, il telefono.
Scrutai il paesaggio intorno a me: se mi muovevo a passo veloce, in una trentina di minuti potevo essere a casa. Camminare non mi dispiaceva, anzi, era molto più piacevole di cinque minuti in macchina con mia madre, che ce l’aveva ancora con me. Mi avviai, impassibile agli altri studenti che, come me, si dirigevano a loro volta verso casa loro.
«Keira!» udii uno strillo acuto, che si propagava per tutta la strada da lontano, fino a raggiungere le mie orecchie.
Mi voltai, e ciò che ne ricavai fu che il mio cuore sobbalzò in un misto tra timore e sorpresa: prima che potessi realizzare chi avevo davanti, Lydia mi era già a pochi centimetri dal viso. Aveva gli occhi languidi ridotti a due fessure tra gli zigomi e le sopracciglia, ma riuscivo comunque a scorgerne le iridi chiare. Le guance le si erano arrossate, e stava annaspando, probabilmente per la corsa che aveva fatto per raggiungermi.
Io mi discostai, indietreggiando di un passo, con il viso inalterato. Non dissi niente, le mie braccia rimasero inermi lungo i fianchi, le labbra socchiuse in maniera enigmatica. Si aspettava che io dicessi qualcosa, oppure no?
«Keira, per favore, devo parlare con te!» esclamò, tra un riacquisto di fiato e l’altro. Mi appoggiò le mani sulle spalle, per costringermi ad avvicinarmi, ma così facendo provocò solo un mio strattone violento e un ulteriore indietreggiamento.
Allora mi voltai, sapendo che lei mi sarebbe venuta dietro come un’ombra. Io mi arrestai di colpo, dunque, e dissi, con voce ferma: «Smettila di seguirmi.»
«No!» sbottò lei, afferrandomi e costringendomi a girarmi per guardarla negli occhi. «Keira, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!» ripeteva, scuotendo la testa. «Non volevo dirti una bugia! Non volevo innamorarmi di Doug! Ma è successo… se tu fossi nella mia stessa situazione, capiresti!»
«Se io fossi nella tua stessa situazione, ora non verrei da te a strisciare, ma piuttosto impiegherei il mio tempo in qualcosa che abbia almeno una minima utilità» la interruppi, acuendo il mio tono di voce di un’ottava e iniziando a perdere la pazienza.
«Ma io…!» Lydia non fece in tempo a dire altro, che una mano si posò sulla sua spalla.
Non credevo di poter vedere qualcosa di più disarmonico di un abito rosso abbinato a una borsetta blu; invece c’era: Lydia insieme a Doug. Costui era appena arrivato dietro di lei, cercando di farla calmare. In seguito, vedendo la mia faccia irritata e sull’orlo del peggioramento drastico, arrivò anche un amico del ragazzo che frequentava con me, tra l’altro, alcune lezioni, Logan Rush, lo stesso della battutina di quella mattina. Quest’ultimo si posizionò inframmezzando lo spazio che c’era tra me e la mia interlocutrice. Me lo ritrovai davanti a fissarmi intensamente negli occhi, come per chiedere che cos’avessi intenzione di fare alla povera ragazza.
Ma insomma, lì se c’era qualcuna che poteva picchiare l’altra, era Lydia, non di certo io, che ero piccola e minuta, non sfioravo nemmeno il metro e sessanta e non di rado la gente diceva che una folata di vento avrebbe potuto portarmi via.
«Ehi, mocciosetta, non importunare la mia ragazza, intesi?» disse Douglas, con un tono detestabile e arrogante.
Corrugai la fronte, accigliata. «Per prima cosa, la mocciosetta qui» dissi, indicandomi «ha la tua stessa età. In secondo luogo, era lei che stava importunando me» e, a questo punto, puntai il dito contro la mia migliore amica dei tempi andati.
Feci per riavviarmi dopo una scrollata di spalle, ma sapevo che non sarebbe stato così semplice. «Ehi, ti vuoi fermare quando uno ti parla?» fece di nuovo Doug, stavolta ancora più aggressivo, con una Lydia silenziosa e remissiva e un Logan incapace di comprendere cosa dovesse fare.
«Io me ne sto solo tornando a casa, quindi perché non facciamo finta che non sia accaduto nulla e amici come prima?» dissi poi io, tentando di controllare i miei nervi.
«Allora magari evita di fare la sua stessa strada, che cosa ne dici?» la sua non suonava come un’offerta, ma piuttosto come una minaccia.
Trassi un profondo respiro, al limite della sopportazione, e partii a spiegare: «Ho perso l’autobus, non posso tornare a casa a meno che io non vada a piedi, e questa è la strada più corta. Sono stata esauriente?» domandai – retoricamente – con palese astio.
Seguì un secondo di silenzio, mentre tutti i presenti metabolizzavano l’informazione e la elaboravano, pensando a una soluzione. Io non pensavo proprio niente, perché avevo tutte le intenzioni di ripartire e tornarmene a casa, non m’importava se quelli volevano trattenermi.
«Ascoltami» partì nuovamente Douglas «io non ti permet…»
«Oh, ma guarda!» disse poi Logan, esordendo nella conversazione «C’è la mia auto parcheggiata proprio lì!» Indicò, con finta sorpresa di vedere la propria vettura, una macchina nera poco distante. «Che ne dite se porto io a casa la ragazza e non se ne parla più?» chiese infine, provato.
«Io non ho finito! Non sopporto di vedere questa qui che dopo aver fatto soffrire Lydia viene anche ad importunarla!» intervenne Doug, digrignando i denti.
Stavo per aprire bocca, ma malgrado ciò il fiato mi fu mozzato per lo stupore quando percepii il contatto della mano di Logan Rush con il mio polso. Per porre fine a quell’insopportabile diatriba, mi stava adesso portando via, trascinandomi al parcheggio. Le sue dita mi stringevano salde, ma allo stesso tempo quasi attente a non farmi male. Forse davo davvero l’impressione della ragazza deboluccia.
Una volta salita in auto, controvoglia ma sotto lo sguardo ammonitore di Logan, potevo ancora vedere i due fidanzati che borbottavano qualcosa tra di loro. Iniziai a pensare cosa poteva aver raccontato lei a lui, di me, della nostra vecchia amicizia, di come il nostro rapporto si era bruscamente interrotto, e di come Doug l’avesse interpretato. Era tremendamente difficile immaginare, eppure ci stavo provando con tutte le mie forze.
«Non abiti lontano, spero» mi disse poi Logan, troncando il mio fluire di pensieri. La frase, così com’era, poteva sembrare seccata e poco carina, come se lui fosse scocciato dal fatto che ora si fosse preso l’impegno di riaccompagnarmi; tuttavia nel suo tono c’era una venatura di gentilezza che mi impedì di pensarla così. Lo apprezzai più di quel mattino, quando aveva cercato di fare dell’umorismo con quella sua uscita che non faceva per niente ridere.
Scossi la testa. «Qualche minuto appena. Tu segui la strada principale, poi ti dico io dove devi andare.»
Non avevo poi molta difficoltà a parlare con le persone come molti pensavano, se era strettamente necessario. Ciò confutava del tutto la teoria della sociofobia che mi aveva affibbiato qualche professore non molto tempo prima, e anche qualche conoscente poco informato dei miei genitori.
Era una delle poche volte in cui avevo parlato con lui finora, constatai. E comunque, quando si trattava di una persona sola e non di un gruppo, piccolo o grande che fosse, le mie difficoltà a rapportarmi diminuivano in maniera esponenziale.
Partimmo con il rumore del motore che faceva di sottofondo al viaggio. Accavallai le gambe sotto il cruscotto e incrociai le braccia, dopo essermi allacciata la cintura. Iniziai a guardare fuori dal finestrino, così forse Logan avrebbe capito che non possedevo l’attitudine alla conversazione e che in quel momento preferivo di gran lunga ammirare il paesaggio. Dal riflesso del vetro, incominciai a studiare i suoi lineamenti che non avevo avuto il tempo di osservare approfonditamente in tutti quegli anni passati nella stessa scuola: folti capelli castani che contornavano il suo viso dall’espressione tranquilla, le labbra piene e gli occhi color nocciola fissi sulla strada. Con lo sguardi scorsi poi sul profilo del suo naso, che, proporzionato rispetto al resto della faccia, continuava perfettamente dritto. Allora mi voltai lievemente verso di lui e passai poi, sempre scorrendo ma stavolta con la coda dell’occhio, alle sue braccia piegate in avanti verso il volante, e alle mani che lo reggevano solidamente, ma fu lì che la sua voce mi interruppe di nuovo: «Ti dispiace se accendo lo stereo?» mi chiese.
«No, no, fa’ pure.» Mi faceva piacere il fatto che non fosse un tipo loquace come me. Preferiva la musica piuttosto che cercare di attaccare discorso. Ciò era apprezzabile, almeno da me.
Lo vidi premere un tasto che fece accendere il piccolo stereo dell’auto. Automaticamente, partì una canzone rock che conoscevo. Senza che lo volessi, mi spuntò un sorriso, mentre con le dita iniziai a tenere il ritmo sulle ginocchia. «Hai gusto» dissi, ed era una delle prime volte che dicevo una di quelle frasi che solitamente si dicono per avere un appiglio per cominciare un discorso.
Logan sorrise, stupito, ma non distolse lo sguardo dalla strada per guardarmi. «Anche tu allora, se ascolti come me questa musica.»
Non dissi altro. In uno dei romanzi che tanto amavo leggere, o in un telefilm, quella poteva essere la scusa buona per intraprendere un lungo discorso, approfittando di quella circostanza che si era venuta a creare. Ma così non era, perché io non ero né dentro a un romanzo, tantomeno ero un personaggio di una soap o di una commedia. Persino Logan sapeva che non ero loquace.
Ad un certo punto, gli indicai che doveva svoltare a destra. Continuai a dargli diverse indicazioni, in maniera distaccata, la mia voce che si udiva appena sopra la chitarra elettrica e la batteria i cui suoni erano emessi dallo stereo. Lui, prontamente e senza dare segni di esitazione, eseguiva, e stava in silenzio. Ogni tanto annuiva, per farmi vedere che aveva capito.
Eravamo quasi a destinazione, quando parlò ancora: «Fossi in te» esordì, con tono di avvertimento ma non di rimprovero «eviterei di importunare Douglas e la sua nuova ragazza.»
Da come lo disse, non suonò una minaccia come quella che mi aveva fatto precedentemente il ragazzo di cui ero innamorata tempo prima, anzi, Logan sembrava mantenersi né dalla parte del suo amico né dalla mia, ma perfettamente in mezzo. «È Lydia che è venuta da me, a cercarmi» spiegai poi, con tono calmo, sebbene un moto di rabbia stesse tornando ad assalirmi fino alle membra.
«Ah, non l’avevo capito» rispose lui. «Da come parlava Doug, pensavo che fossi stata tu.»
In quel momento avrei voluto tirare fuori i peggiori insulti al quoziente intellettivo di quel dannato energumeno che mi aveva rovinato l’esistenza, ma essendo io alla destra di un suo amico decisi di impiegare qualche secondo per moderare le parole. «Io non parlo più con Lydia da un po’» proseguii «e lei ci sta male. Probabilmente è stato un fraintendimento.»
Lo vidi inarcare un sopracciglio, perplesso. «Non lo so, non credo che lui sappia queste cose. È un po’ impulsivo, deve aver reagito come gli ha detto il cervello in quel momento.»
«Abito qui» troncai poi la conversazione.
Mancavano ancora un paio di centinaia di metri a casa mia, in realtà, ma avrei fatto di tutto pur di terminare seduta stante con quell’argomento.
Lui incominciò ad accostare. «Sicura? Guarda che posso andare ancora avanti, non c’è problema.»
Scossi la testa con fermezza. «No, va benissimo qui. Grazie.» A tutta velocità smontai dal veicolo e, quasi senza voltarmi, lo salutai con un cenno della mano. Una maniera sbrigativa per liberarmi di una questione scomoda.
«Ciao» udii lui, attraverso il finestrino. «A domani.»
Feci un ultimo ammicco col capo, prima di voltargli le spalle e sentire il motore che intensificava il suo rumore, per poi disperdersi gradualmente mentre l’automobile si allontanava, fino a scomparire tutta d’un colpo una volta svoltata una curva. Quando non udii più la vettura, seppi che Logan non c’era più, e che ora ero veramente sola, sola con la mia mente e le mie riflessioni.
Duecento metri di strada non erano tanti, ma erano abbastanza per poter pensare un po’.
Così mi tornarono in mente vecchi ricordi, talmente belli che, malgrado tutto, erano ancora freschi, a dispetto del tempo che era passato. Iniziai a pensare ancora una volta, come facevo non troppo raramente, a quando io e Lydia ci eravamo conosciute, ai primi tempi della nostra amicizia acerba che aveva cominciato a crescere lentamente, soprattutto a causa della mia introversione, e di come poi sia sfociata in qualcosa di intimo e irripetibile.
Ricordai, poi, quando mi ero resa conto che stava diventando importante, quando avevo preso a parlare di lei con Blake ininterrottamente. Ed era stato proprio lui a farmelo notare: «Keira, vedo che tu e questa Lydia siete diventate molto amiche.» Non so se l’avesse detto con un tono di gelosia nei miei confronti, o se fosse davvero felice per me. Tuttavia, da lì avevo nutrito i primi dubbi. Difficilmente mi avvicinavo a qualcuno, e ancor più difficilmente succedeva il contrario, cioè che fosse qualcuno a fare il primo passo verso di me.
Lydia però era diversa: io l’ammiravo e pareva che lei potesse fare tutto, sfoggiando quel suo brillante sorriso e quel suo viso ingenuo, quasi da bambina. Mi domandavo che cosa ci potesse fare lei, con una come me. Finché la nostra amicizia non si era consolidata, per me non era stato facile fidarmi e accettare il fatto che sì, lei voleva la mia compagnia, la compagnia della solitaria ed introversa Keira Towers quasi senza amici, e senza la minima voglia di passare i sabato sera in giro per discoteche.
Le mie riflessioni si arrestarono di colpo, quando mi accorsi che le mie gambe mi avevano portata automaticamente davanti al portone di casa. Mamma si sarebbe chiesta perché avessi fatto così tardi, ma sapevo che qualche parolina improvvisata e buttata lì le sarebbe stata una spiegazione esaustiva.
 
La mia ombra si proiettava sulla parete.
Piccole stille di pioggia s’infrangevano con uno schiocco sul vetro della finestra, scivolando lungo la superficie, talvolta fondendosi insieme ad altre compagne.
Quella sera la luna sembrava risplendere di una luce innaturale, non pallida come ero abituata a vederla.
Mi accorgevo di tutti questi dettagli, mentre ero seduta sul pavimento freddo della mia stanza, un libro in grembo. Era un libro scolastico, per questo ero così distratta.
Cercai di captare ogni rumore che si diffondeva in camera mia. Qualche suono ovattato proveniente dal piano di sotto, ma nulla di più. Per il resto solamente il mio svogliato girare delle pagine, e il mio sospirare per la noia che, come una nuvola nera e che promette pioggia su un prato fiorito, incombeva su di me.
Blake arrivò che avevo già messo via il volume, senza speranza. Stavolta era entrato in casa sotto lo sguardo dei miei, sia in ricordo di ciò che era accaduto la sera prima, sia perché stavolta non c’era nessun motivo di fare le cose di nascosto.
Mi si riempì il cuore di gioia non appena lo vidi varcare la soglia. Ad ogni modo, cercai di non darlo a vedere, fingendomi scocciata del fatto che mi fossi fatta convincere da lui a tornare a scuola, quel giorno.
Immediatamente e senza aspettare, gli raccontai ciò che era accaduto con Lydia fuori da scuola, e di come Logan Rush avesse contribuito alla mia salvezza in una situazione senza via d’uscita. Lui ascoltò rapito ogni parola, e attese che avessi concluso prima di dire la sua opinione: «Secondo me avresti dovuto parlarle un po’ più con calma. Se l’avessi fatto, Douglas non avrebbe pensato che avessi importunato la sua ragazza e avreste potuto chiarire facilmente.»
Ruotai gli occhi, visibilmente seccata dalla sua affermazione. «A questo ci ero già arrivata anch’io. Peccato che io volevo solo che mi lasciasse in pace, nient’altro.»
Lo vidi scuotere il capo. Io mi morsi un labbro. Ero stufa del fatto che, ultimamente, le uniche cose di cui parlassimo fossero la mia reclusione e la mia ex migliore amica. In quei momenti non riuscivo a capacitarmi di quanto andassimo effettivamente d’accordo quando non discutevamo di quello. Alla fine gli proposi di smetterla, entrambi. Continuare ci avrebbe portati solo ad una maggiore tensione. E quella era l’ultima cosa che volevo.
Sì, Blake era l’unica persona con cui potevo parlare veramente di tutto; ma non volevo che parlare di un argomento che dava fastidio a me in primis, anche solo a pensarci, distruggesse il nostro rapporto. Se dovevamo essere in totale disaccordo per poi terminare con la mia isteria, allora era meglio se facevamo altro. «Spero che tu abbia portato un film» gli chiesi, col sorriso.
Blake mi scoccò un’occhiata d’intesa: i suoi occhi cerulei brillarono di una luce diversa, per un secondo. Riuscì ad intendermi subito, e acconsentì.
Stazionati sul pavimento come tutte le volte, io e lui, completamente soli e accompagnati solo dalla tenebrosa bellezza dell’oscurità che ci cingeva: tutto ciò che volevo era questo – insieme a un lettore DVD portatile e ad un sacchetto di popcorn di dimensioni spropositate. Mi sarebbe bastato per sopravvivere un’altra sera.
«Non so neanche che film ho preso» ammise Blake. «Sono uscito di casa afferrandone uno a caso. Ci affidiamo alla sorte?» mi domandò poi, mentre inseriva il DVD nel lettore.
Non aspettò di vedermi annuire prima di farlo partire. Lo schermo nero s’illuminò, irradiando un velo soffuso e bianco per tutta la stanza. Seguì una colonna sonora composta di violini e un pianoforte, e dal titolo che occupò l’intera schermata non faticammo a capire che Blake aveva scelto casualmente uno dei pochi film leziosi e romantici presenti nella sua collezione.
Non andavo matta per quel genere di film: erano svenevoli, troppo sdolcinati, e non c’era neanche una sparatoria, un combattimento per la sopravvivenza, nessuna suspense. Ma ero pur sempre una diciassettenne anche io. Gli ormoni facevano la loro parte. Blake, invece, si limitò ad una smorfia. «Mio Dio, tra tutti i film che ho a casa, proprio questo…»
Immediatamente si offrì per andare a prenderne un altro, e destinare quello che attualmente si stava svolgendo sotto i nostri occhi in un angolo remoto e solitario del mondo dal quale non sarebbe mai stato ritrovato, eppure io gli dissi di fermarsi. «Eh no, hai detto che ci affidiamo alla sorte, quindi adesso lo guardiamo.»
Con uno sbuffo, alla fine approvò la mia decisione: avevamo già perso sin troppo tempo. Dopo avermi raccomandato di tenere i fazzoletti a portata di mano, e dopo che io lo ebbi rassicurato del fatto che non mi commuovevo per film del genere, iniziammo a goderci la visione.
Per me era la prima volta, e sì, era anche molto strano, guardare un film romantico con Blake. Era l’unico ragazzo che conoscevo bene, ed eravamo amici da anni. Fu quasi inevitabile che, in certe scene, pensassi a lui, mentre mi immedesimavo nella protagonista – pensavo anche a Douglas, ma si capisce bene che era meglio evitare. Quest’ultima non aveva nulla in comune con me, se non il fatto di essere donna. Ma come donna, si sogna l’amore, quasi sempre. Io non facevo eccezione. Nonostante spesso fossi abbastanza apatica, tranne quando mi arrabbiavo, Douglas era l’esempio lampante di come anch’io, come tutte le altre mie coetanee, inseguissi i medesimi sogni che caratterizzano noi piccole e ingenue adolescenti, che ci crediamo sempre abbastanza mature per affrontare ogni genere di situazione, ma che poi ritorniamo stupide e facilmente ingannabili non appena doniamo il nostro cuore a qualcuno.
Quando la mia ragione parlava, tutto il resto taceva, e io potevo ascoltarla e nulla si opponeva.
Quando era il cuore a parlare, le sue urla sovrastavano quelle della mente, che nonostante rimanesse lucida e perfettamente consapevole, alla fine non vinceva mai. Sapevo di non essere razionale, eppure mi andava bene lo stesso.
Mi arrendevo all’amore, sapendo che sarei stata ingannata. E non sapevo se sarei mai riuscita a contraddire questo mio comportamento, specialmente quando il mio cuore avrebbe ricominciato a battere per qualcuno.
E chi mi diceva che questo qualcuno non fosse troppo lontano, ma anzi, fosse più vicino di quello che pensavo? Potevo averci a che fare tutti i giorni, senza averlo mai conosciuto davvero. Potevo, invece, conoscerlo davvero, ma non conoscere veramente me stessa per comprendere che era lui che cercavo.
E allora come si fa, a conoscere se stessi?
«Penso che quella donna sia troppo credulona» mormorò Blake, facendomi capire appena la battuta pronunciata in quel momento nel film. «Guardala, lui le dice che non la lascerà mai, e lei ci crede.»
Io alzai le spalle bonariamente. «Magari è sincero.»
Lui si voltò verso di me. «Se fosse sincero, glielo dimostrerebbe, senza bisogno di dirglielo. Scommettiamo che tra cinque minuti è già con un’altra che la tradisce?»
«Scommettiamo di no, invece?»
Qualche secondo dopo stavamo ancora guardandoci negli occhi. Per me non c’era nulla di più gradevole; gli occhi di Blake erano di una bellezza e di uno splendore impareggiabili. Ma quello l’avevo sempre pensato, non era una fantasticheria romantica dovuta al film che stavamo guardando insieme.
O forse no?
Sapevo che questo dubbio era insignificante. Su quasi sette miliardi di persone a questo mondo, non c’erano possibilità che Blake fosse fatto per me. Però, c’era pur sempre la possibilità che il destino avesse deciso così per noi.
Questa domanda mi stuzzicava.
«Cosa c’è?» mi chiese poi lui, notando che lo stavo ancora osservando.
Mente e cuore a parte, spesso io mi facevo prendere anche dagli impulsi. Insomma, la mia ragione, certe volte, veniva deliberatamente ignorata. Quella era uno di quelle volte.
Diedi ascolto alla mia curiosità.
Mi bastò allungarmi di pochi centimetri prima che le mie labbra venissero a contatto con le sue, aderendo perfettamente, in un gesto repentino e inaspettato.
Non era la prima volta che baciavo qualcuno, ma quel bacio in particolare aveva un sapore… buono; così tanto che mi stupii. Con un flebile sospiro poi, entrambi e contemporaneamente, ci tirammo indietro.
Con Blake potevo permettermi tutte le confidenze che volevo, ma fino a che punto? Fu una domanda che non ebbi il tempo di pormi, perché ormai era accaduto. Fu un attimo. Un attimo che pensavo mi avrebbe dato delle risposte, che pensavo avremmo preso entrambi così, un po’ per scherzo, un po’ per curiosità. Quanto mi sbagliavo.
Possibile che la ricerca di certezze porti solamente altre domande?
Passiamo tutta la vita in cerca di risposte, quando potremmo vivere benissimo da consapevoli ignoranti ma senza soffrire per il fatto di non avere i responsi che cerchiamo.
Quando staccai le mie labbra rosee con uno schiocco appena udibile, strinsi gli occhi in due fessure, per poter mettere meglio a fuoco, al buio, l’espressione del mio amico. Il suo viso era del tutto impassibile. Ciò mi fece infuriare: volevo sapere che cosa stava pensando. Lo esigevo. «Quello che cos’era?» proferì solamente, con l’aria di qualcuno cui non ha fatto nessun effetto, ricevere un bacio inaspettato dalla propria migliore amica.
Mi bastò una scrollata di spalle per lavare via ogni senso di colpa. «Niente. Ero solo curiosa di sapere cosa si provava.»
Il mio chiarimento non sembrò abbastanza esauriente. Ormai ci eravamo dimenticati ambedue del film in corso. «Potevi chiedermelo!»
«Non avresti accettato. Avresti avuto paura di scoprire com’era.» Il mio tono era scherzoso, ma il pensiero che avevo in testa era serio.
In quell’istante ero fermamente convinta di una cosa: quello che avevo appena fatto, mi era servito solo per appurare che io e Blake eravamo solamente amici.
Lui era il mio migliore amico, e guarda caso era un maschio. “Non c’è nulla di male”, dicevo a me stessa.
«Che stupida» sussurrò Blake, in una maniera che non riuscii ad identificare. Ero stupida perché gli avevo giocato quello “scherzo”, o perché avevo appena infranto un tabù della nostra perenne amicizia? Un confine che, una volta varcato, fa conseguire qualcosa di irreversibile?
«Ehi, calma!» cercai di sdrammatizzare. «Tante volte le amiche femmine lo fanno scherzosamente tra di loro. È una specie di segno affettivo. Non c’è niente di male, non prendertela tanto. Il mio non è stato nemmeno di affetto, te l’ho detto: mera curiosità.»
«Io non sono una ragazza» mi fece notare Blake.
«Però sei mio amico, giusto?» pensai che tale asserzione avrebbe confermato la mia ragione. In fondo, era proprio così che credevo. Eravamo amici, e io avevo solamente reagito in un modo a causa della mia curiosità. Avevo voluto sentire le labbra di Blake, fredde e morbide. E allora?
«Oh, per fortuna. Pensavo ti fossi innamorata di me» disse poi, sincero e senza un briciolo di imbarazzo.
«Tu pensi sempre male.»
«Ah, perché tu al mio posto cos’avresti pensato?»
«La verità: uno scherzo, un gioco, una semplice e insignificante follia dettata dal momento. Chiamala come ti pare.»
«Un bacio ti sembra uno scherzo, o un gioco? O una follia insignificante
«Non era mica un bacio, quello.»
«E allora cos’era?»
A quel punto, esitai, incerta su come spiegare ciò che pensavo. Poi parlai: «Un bacio è qualcosa di romantico, il nostro potremmo definirlo solamente un contatto di labbra. Prenderla così è più semplice, no?»
«Come vuoi.»
Voltai il capo verso il piccolo schermo che ancora, luminoso, trasmetteva il film che avevamo inserito. Invano, visto che, insoddisfatta da come stavano procedendo le cose, continuai. «E comunque perché hai detto “Che fortuna”, prima di “Pensavo ti fossi innamorata di me”?» chiesi, vivace.
Blake si grattò distrattamente il capo. «Non credi che sarebbe strano sapere che lo sei? Insomma, non che tu abbia nulla che non vada, solo che…»
«Solo che sono troppo sfigata» terminai la frase per lui. Sapevo che in realtà non l’avrebbe mai pensato né tantomeno detto, eppure mi venne spontaneo perché immaginai che fosse la cosa che qualunque ragazzo avrebbe detto, se fosse stato nei suoi panni in quel momento.
«No. Assolutamente. È che tu sei Keira. Keira e basta. Capisci?»
No, non capivo. «In che senso sono Keira? Lo so anch’io chi sono.» O forse avevo perso me stessa da qualche parte…
Lui, non sapendo, come me poco prima, come spiegarsi, incespicò un attimo. «Credo che anche tu immagini me come Blake, Blake e basta. È strano, ma è così. Non riesco a immaginarmi la mia migliore amica come… insomma, sì, come la mia…»
«Oh, ora ho capito.»
«Bene.»
«Chiudiamo qui il discorso adesso, non è vero?»
«Non potrei essere più d’accordo.»
Apparentemente, non era accaduto nulla. Non avevo alcun dubbio, su questo. Ciononostante, ancora non mi ero accorta di quel meccanismo che, inconsciamente, avevo attivato: un meccanismo che, inarrestabile e silenzioso, come un gatto dal passo ovattato, s’insinuava nella mia mente pronto ad aggredire. Ma quella sera, per il tempo rimanente in cui Blake fu a casa mia, mi comportai in maniera assurdamente normale. Ero la solita Keira, come sempre, quando ero con Blake, senza vergogna, senza timore. Perché io, di me stessa, ero sempre convinta.
Non era successo nulla.
 
Di un trafiletto molto riassuntivo sul pensiero di Socrate*, ricordo una cosa in particolare: secondo il grande filosofo greco, siamo tutti ignoranti. Nessuno di noi sa veramente. C’è, poi, quella categoria di uomini, come appunto egli stesso, che “sa di non sapere” e quella categoria, invece, che pullula di persone fermamente convinte delle loro affermazioni. Questi ultimi non hanno possibilità di arrivare alla vera conoscenza.
Attraverso la loro falsa sapienza, coloro che in realtà non sanno percorrono le strade sbagliate. E non se ne rendono conto, perché accecati dalle loro persuasioni.



*: fidatevi, comunque, meglio Platone (parere personale) u.u



I deliri pensieri di Camelia:
Adesso, per vedere se siete delle brave lettrici che hanno davvero la pazienza di leggere tutti i miei papiri prolissi, non faccio alcun commento, anche perché sono curiosa di vedere le conclusioni a cui potete arrivare leggendo... cosa ne pensate? Siete contente della nuova comparsa in questo capitolo? Fatemi un cenno, mie care ^^ Jade è sempre stracontentissima dei vostri cari commenti <3 vi aspetto, un saluto calorosissimo dalla vostra
Cam
PS: ho quasi finito di scrivere le bozze del capitolo 7... poi mano a mano li revisiono tutti e li pubblico ;D non mi va che ci sia anche un solo capitolo con una virgola fuori posto. Perciò vi dico, se trovate qualche svista, segnalatemela! :D grazie!
PPS: scrivendo alcuni capitoli, un po' per informarvi sul passato di Keira e un po' perché pensavo che a voi lettrici avrebbe fatto piacere, ho incominciato ad inframmezzare, certe volte e inaspettatamente, il racconto di Keira con alcuni flashback di momenti passati con Lydia, di confidenze, o di bei momenti con Blake :) che ne dite, vi gusta l'idea o la metto da parte?

   
 
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