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Autore: esmeralda92    15/12/2011    1 recensioni
La fanciulla si sentì afferrare improvvisamente al gomito. Era un braccio scarno, che usciva da un pertugio praticato nel muro, e che la teneva come una mano di ferro.
"Tieni forte!" disse il prete."E' la zingara che è scappata. Vado a cercare le guardie. La vedrai impiccare."
A quelle sanguinanti parole rispose dall'interno del muro una risata gutturale: "Ah! ah! ah!"
La zingara vide il prete allontanarsi di corsa in direzione del ponte di Notre Dame. Da quella stessa parte si udì lo scalpitìo della cavalleria.- passo tratto dal romanzo di Victor Hugo]
Cosa accadrebbe invece se a un tratto l'arcidiacono cambiasse direzione e tornasse indietro per salvare Esmeralda? Accetterebbe il suo aiuto? lo perdonerebbe mai per ciò che ha fatto al "suo amato Febo"? E se si incontrassero dopo anni dai fatti descritti nel libro? Riuscirà l'Amore a vincere l'orgoglio?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Frollo arrivò alla cattedrale poco dopo l'alba. Entrò da una porta laterale e poi percorse le scale di pietra a chiocciola che portavano alla galleria. Attraversò la galleria vedendo il sole alzarsi sempre più in cielo. Poi sospirò e si recò nella sua stanza angusta che aveva lasciato per andare a cercare la sua bella e piccola rondine. Già... quella stessa giovane e leggiadra fanciulla che gli aveva urlato contro quando lui l'aveva trovata. Come se potesse davvero farle male, o volerla davvero contro la sua volontà.

Forse, in un momento di pura follia o di insana passione e lussuria poteva anche formulare un siffatto pensiero ma poi... L'immagine di lei, della sua dolcezza ingenuità e tutto ciò che lui le aveva imposto di patire e soffrire, gli si presentava dinanzi ai suoi occhi, come sempre avrebbe fatto, e avrebbe soffocato un tale pensiero, cacciandolo con la medesima violenza che esso aveva impiegato nel presentarglisi alla mente. Avrebbe provato un tale orrore da vergognarsi di ciò che la sua mente aveva elaborato.

Quella fanciulla così giovane e divinamente bella, si meritava molto di più che un semplice rapporto mosso da passione e puro desiderio. Si meritava tutto l'amore del mondo, tutta la dolcezza che un uomo solitario e introverso come lui poteva donarle, e anche di più. Le avrebbe dato tutto ciò che possedeva. Che importa se poi sarebbe stato dannato per l'eternità! Che cosa gli importava? Se il prezzo da pagare per qualche ora d'amore con l'unica fanciulla che aveva mai amato, fosse stato l'Inferno, pur di poterla amare un solo istante, avrebbe pagato volentieri il suo prezzo. La sua mente erano mesi che non faceva altro che ricordargli la sua posizione, il suo status, il voto di castità che aveva sempre rispettato. Dell'impossibilità del tutto, ricordandogli che la sua bellissima fanciulla lo odiava, non lo voleva, voleva il bel capitano. Ogni volta che questi pensieri affioravano alla sua mente, egli li scacciava con forza, ripetendosi che avrebbe capito, che avrebbe imparato ad amarlo, che prima o poi sarebbe cresciuta e avrebbe capito. Che sarebbe tornata da lui, magari in quella stessa stanza, e che gli avrebbe chiesto di amarla... mentre questi pensieri e fantasie prendevano sempre più forma nella sua mente, egli vagava nella sua camera a passi lenti una volta, e veloci un'altra, seguendo il corso e l'impetuosità dei suoi pensieri. Era incredibile come in pochi istanti il passo dell'arcidiacono potesse variare. Alla formulazione di quelle ultime fantasie, l'arcidiacono sorrise amaramente e scosse il capo dandosi mentalmente dello stupido. Mai, neanche se effettivamente si fosse accorta di amarlo, mai sarebbe tornata da lui a confessare il suo amore, né, tanto meno, gli avrebbe mai chiesto di amarla. Erano solo fantasie. Mai niente di ciò che la sua mente potesse elaborare sarebbe mai avvenuto, per quanto concerneva la piccola Esmeralda.


***


Intanto, il trio, dopo essersi separato dall'arcidiacono, stava tornando verso la corte. La fanciulla, con indosso un mantello e un cappuccio alzato in modo da nasconderle il viso, camminava a testa bassa, sia per non farsi riconoscere, sia per non far incollerire ancor di più la madre, che dopo i primi momenti di gioia le aveva fatto intendere di essere in fallo e che una volta a casa avrebbero dovuto parlare.

Si erano da poco separati da Claude, quando la madre, non riuscendosi più a trattenere, sbottò:

-Si può sapere che ti è preso, signorina? Sparire così, senza lasciare un bigliettino, senza lasciar detto a nessuno dove andavi. Ma lo sai che ti abbiamo cercata per tutto il giorno e tutta la notte?! Ti pare questo il modo di comportarti?! Far morire di crepacuore a tua madre!! non guardarmi così spaventata, come puoi ben vedere non sono ancora morte di crepacuore. Ma sarebbe successo se quel brav'uomo non ti avesse trovata.- disse lei una volta che ebbero superato le porte di Parigi, trovandosi nella Corte. Al sentire la madre elogiare quel prete, la fanciulla inarcò il sopracciglio sinistro. Di tutti gli aggettivi che esistevano per descrivere quella persona, “brav'uomo” le sembrava proprio il meno adatto. -E non fare quell'espressione. Se non t'avesse trovata a quest'ora saresti ancora là, da sola, spaventata e al freddo.- continuò la madre non capendo perché lei ce l'avesse tanto con lui.
Al ricordo del freddo e della paura che aveva provato, la fanciulla rabbrividì e chinò il capo. Molto probabilmente sua madre non avrebbe mai capito la natura di quell'uomo, che lei invece conosceva così bene. Diceva di amarla, ma in realtà sapevano bene entrambi che tutto ciò che voleva era il suo corpo e soltanto il suo corpo.
-Sì. Immagino che tu abbia ragione.- disse lei rassegnata.
-Ora torniamo a casa e mi racconti tutto.-
-Non c'è niente da dire, mamma.- disse entrando nella taverna.
-Allora puoi spiegarmi perché lo guardavi con odio?- la fanciulla la guardò e sospirò. Non aveva alcuna intenzione di litigare con lei per quel prete dannato. E alzò le spalle.

-Non mi è mai piaciuto. Tutto qui. Non ho voglia di parlarne, ora.-

-Ma... devi essere riconoscente, ti ha trovata. Se non fosse per lui, saresti ancora là.-

-L'ultima cosa che gli devo è la vita.- disse lei per poi prendere una brocca d'acqua e versarla in un bicchiere. E bere.

-Come ti sei comportata con lui? L'hai ringraziato per quello che ha fatto per te?-

-No, e non ci penso neanche. Non gli devo niente.- disse lei dura.

-Appena siamo andati da lui, è venuto a cercarti senza chiedere altro. Era preoccupato per te. Anche se non ha mai voluto ammetterlo. Ci tiene a te, credimi. E non si merita odio e disprezzo da parte tua. Riposa, tesoro. Più tardi ti porto da lui. E mi farai il favore di chiedergli perdono per il tuo comportamento da bambina. Ti costringerò se è necessario, non mi importa. Hai quasi diciassette anni, è ora che cresci.- disse lei seria.

-Ma..- ribatté debolmente la figlia guardandola supplicante.

-Niente ma! Tu non devi ribattere. Vai da lui e gli chiedi umilmente scusa!-

-Umilmente no!- ribatté lei. - Sarà già difficile chiedergli scusa...- disse lei.

-Umilmente. Come pensi che ti sentiresti se qualcuno ti ferisse? Se la persona che ami di più al mondo ti ferisse?- chiese lei.

-Non accadrà mai. Febo mi ama.- disse lei.

-Non conosco questo Febo, ma conosco quest'uomo e so che ci tiene tanto a te.- disse lei.

-Ma io non lo voglio vedere. Non lo voglio. Io voglio Febo. Solo lui.- disse lei.

-Va bene. Questo però non toglie che devi essere gentile con chi lo è con te.- disse lei. La ragazzina annui.

-Sì.. è giusto...- fece lei. -vado a riposarmi.. poi vado a parlargli.- disse sospirando sconfitta. Si recò nella stanza del retro e si stese sul letto di fortuna che aveva fatto il giorno prima. Chiuse gli occhi e senza neanche avere il tempo di pensare, lasciò scivolare la propria mente nel mondo dei sogni.


***


Quella fanciulla, quella dolce rondine che occupava continuamente i suoi pensieri, quel giorno non si era vista sul sagrato. Sapeva bene il perché, visto che aveva contribuito alla sua mancata esecuzione. Eppure, sebbene sapesse perfettamente il motivo della sua assenza, gli mancava. Gli mancavano i suoi piedini piccoli, ambrati, che saltellavano da una pietra all'altra del sagrato facendo roteare, volteggiare l'ampia gonna rossa da gitana. Gli mancava l'aumentare vertiginosamente del proprio battito nel vedere per brevi istanti parte di quella gamba ambrata tanto stupenda che delineava lo spazio vuoto con movimenti ispanici. Gli mancava vedere quel vitino sottile e quel ventre che si avvitavano su se stessi compiendo movimenti fluttuanti degni di una piccola ninfa. Gli mancavano le sue braccia che si levavano alte contro il cielo a lanciare il tamburello. Gli mancava il tintinnio prodotto dalle monete che lei portava tra i capelli e che si muovevano a ritmo con loro. Le mancava la sua chioma corvina riccia, che contornava quel viso da bambina, ovale. Quegli occhi color nocciola, profondi, grandi da bambina, ma anche fieri e selvaggi come un po' era lei, come era insito nella sua natura. Non si trattava di una selvaggeria barbara, sgraziata, rozza. Era bensì fiera, e altera. Una di quelle tanto indomite da lasciare senza fiato. Sì, gli mancavano quegli occhi che gli avevano riservato occhiate di indifferenza e di superiorità o spavento anche quando le aveva dichiarato in ginocchio davanti a lei piangendo il suo amore.

Gli mancavano le labbra carnose di lei, che spesso gli avevano riservato odio, disprezzo, insulti e ferite laceranti per il suo cuore di prete innamorato. Cosa avrebbe dato per averla lì, in quella stanza. Che lo torturasse nella maniera che più preferiva! Non importava assolutamente. Niente aveva più importanza! Solo... Avrebbe voluto averla lì. Per un solo istante.

Dio, mio Dio, perdonami! Indicami la strada per la tua salvezza!! Io... mi sono perso nel peccato. Ho colto la mela rossa, quel desiderio di amore, voluttà, passione che lei danzando con il suo bel corpo e le sue movenze sul sagrato di Nostra Signora, mi ha stregato, facendomi pensare sempre di più a lei, invece che a Dio, di cui io sono fedelissimo servitore, o meglio: lo sono sempre stato. Fino alla festa dell'Epifania. Vederla ballare sul sagrato mi ha tolto il lume della Ragione. Mi ha fatto provare emozioni che non avevo mai affrontato, neanche da giovane, troppo occupato dalla Scienza e dalla Religione. Quella stessa Religione ch'io ho servito controvoglia, obbligato dai miei genitori. E ora sono intrappolato in questi abiti clericali, senza via d'uscita mentre il mio corpo si consuma e brucia d'amore, passione e desiderio per la bella zingara, e la mia anima si logora combattuta tra l'amore spirituale per Dio, il Creatore, e l'amore terreno per Esmeralda.

Avrebbe voluto così tanto rivederla, un solo istante e spiegarle la verità. Farle capire che il suo bel capitano non era innamorato di lei, che per lui era tutto un gioco! Se solo lei l'avesse capito! Oh, povera bambina mia, innamorata di un uomo per la sua esteriorità, ignara del fatto che la sua bellezza esteriore non corrisponda alla beltà della sua anima! Forse chiedere il tuo amore è troppo, Esmeralda... Puoi anche non amarmi, ma ti prego, non amare un uomo che non può offrirti niente, neanche il suo cuore. Non continuare a ripetermi il suo nome. Quel nome che tanto mi ferisce. Perché lo pronunci se lo sai che non sopporto il suo nome ancor meno della sua persona. Oh mio Dio! Perdonami per questo amore illecito, immorale che il tuo servo prova! Puniscimi come più ti aggrada, giacché sei il mio padrone, magnanimo e misericordioso e io ho fallato nel tradire il tuo amore immenso. Non sono degno di servirti e non posso far altro che richiedere la tua Grazia.

E mentre la sua mente elaborava questi pensieri tumultuosi, le sue mani eseguivano esperimenti di alchimia, cercando di ottenere quella formula che da anni ricercava. Ma tutto era così confuso! No, lui era confuso. Una scienza come l'alchimia non poteva esserlo. La colpa era sua, che non era in grado di cogliere quel segreto, quella formula. Era lui a essere l'incapace. La colpa non era d'altri. Solo ed esclusivamente sua.


***


-Tesoro, è quasi buio! Hai dormito tutto il pomeriggio. E devi andare da lui.- disse la madre scuotendola dolcemente. -Sì... Arrivo. Non ho alcuna fretta.. Ancora qualche istante..- mormorò lei ancora mezza addormentata.

-Esmeralda.. è tardi? Se non ti sbrighi farà poi troppo buio per andare da lui e tornare.- disse lei.

-Uffa! Ho capito, ho capito. Vado. Mi alzo e vado.- disse lei. Si alzò, mise un po' a posto, soprattutto i capelli ancora un po' scarmigliati, e poi scese nella via, mentre la madre di lontano la seguiva con lo sguardo. Avrebbe tanto voluto non dover andare da lui. Ma purtroppo aveva promesso alla madre di andarci, e ci sarebbe andata. Lei manteneva sempre le promesse. E l'avrebbe fatto anche questa volta. Anche se controvoglia. La cattedrale era sempre buia e lui, vestito di nero, appariva ancora più tenebroso di quanto non fosse in realtà. Percorse le vie della Corte. Per poi percorrere quelle della città. Il sole era calato da poco, e il cielo non era ancora totalmente buio, e ciò permetteva alla giovane zingara di riuscire a vedere la strada che percorreva e di non essere vista dagli altri cittadini che l'avrebbero fatta catturare e mettere in prigione. E lei non voleva. Si ricordava ancora il freddo, la fame e il buio patito in cella. E voleva evitare il più possibile dimenticarsi tutta quell'esperienza. Sia per ciò che aveva subito sia perché le ricordava lui. Quella visita in cella, il tentato stupro e il fatto che era per colpa di quel prete se era finita in prigione. Al solo pensiero la poverella inorridiva, e stava ancora più attenta di quanto non avesse mai fatto in vita sua.

Ma a ogni passo il battito del cuore accelerava sempre di più, temendo che qualcuno la seguisse e la catturasse. Sempre più indecisa se tornare indietro e vagare per la corte fino a un'ora tarda, e raccontare una bugia, la prima della sua vita, oppure mantenere la promessa fatta alla madre e recarsi alla cattedrale, quell'edificio tanto alto e imponente che le aveva fatto da prigione per qualche giorno. Se non altro era stata una magnifica prigione, e non aveva sofferto la fame, la sete e il freddo. Pensò lei.

Sospirò e si diresse di buon passo verso la piazza, dove c'era il patibolo ad aspettarla. Lo guardò e al buio della notte era orribile, ancora di più di quando quel prete le aveva chiesto di scegliere tra lui e la morte. In quel momento non avrebbe saputo cosa rispondere. C'era ancora la corda appesa e al solo vederla si passò la mano intorno al collo, deglutendo dalla paura, immaginandosi l'osso del collo spezzarsi, il rumore secco. E sentì i brividi percorrerle l'intero corpo. Forse... E il suo sguardo si rivolse alla cattedrale, per la precisione alla torre di destra, illuminata di un rosso arancio, del colore del fuoco. No, niente sarebbe stato peggiore che donare la propria verginità, il tesoro più prezioso che avesse in quel momento, a quel vecchio prete infernale e assassino.

Nonostante i suoi pensieri, la giovane prese un respiro e quando vide la strada totalmente libera, attraversò di corsa la piazza, percorse con fiato affannoso le gradinate della cattedrale e aprì i pesanti portoni quanto bastava per sgusciare all'interno di essa. Dalle vetrate colorate giungeva una luce bianca, segno che stava sorgendo la Luna. L'interno sembrava essere blu, nonostante lei sapesse bene che non era quello il colore dell'edificio. I ceri illuminati conferivano alla chiesa un'aura di sacralità che non aveva mai visto. Era... Magica. Unica, speciale e irripetibile. Ne rimase incantata, e la rimirò talmente a lungo da dimenticarsi del perché si trovasse lì. Camminò lentamente lungo la navata centrale, col nasino da bambina all'insù e gli occhi grandi spalancati da così tanta meraviglia. Arrivò fin davanti all'altare. Dove c'era la grande vetrata rotonda che era quella che maggiormente illuminava quel luogo sacro.

Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse neanche del rumore di passi che scendevano le scale e che si avvicinavano a lei.


***

Claude al calare del sole aveva acceso un paio di candele per illuminare quella che ben presto sarebbe diventata una cella totalmente buia. E poi aveva ripreso a vergare come un forsennato su quella pergamena formule su formule, come se il trascriverle da un libro a un foglio di pergamena potesse svelare il segreto celato quelle parole.

La cattedrale regnava nel più assoluto silenzio. Quasimodo per quell'ora di certo era nella sua stanza, come sempre. L'unico rumore era quello prodotto dal pennino della penna d'oca che veniva abilmente e velocemente fatta percorrere sul foglio di pergamena da Claude, e il battito del cuore di lui, che tamburava tumultuoso nel suo petto, anche se le ragioni erano tutt'altre. Non per la folle e insana ricerca di una risposta che molto probabilmente non avrebbe mai trovato. Bensì per Esmeralda. Per quella fanciulla che meno di un giorno prima aveva stretto contro il suo petto. Della quale aveva sentito il profumo della sua pelle, la morbidezza dei suoi capelli, e la perfetta aderenza dei loro corpi. Tenerla stretta a sé, anche se per pochi istanti, era stato il Paradiso al centro dell'Inferno. Una sensazione unica e travolgente che lo aveva tormentato per tutto il giorno seguente, torturandolo nei modi più crudeli e svariati di cui la memoria, l'amore e il desiderio potevano usufruire per far impazzire un uomo. Oh, piccola Esmeralda! Se solo tu vedessi dentro di me quanto sia puro e vero il mio amore!!! Sarebbe... Ah, inutile! Tanto anche se lo vedesse... Rimarrà sempre innamorata del suo bel capitano. Tutto ciò che avrebbe detto o fatto... Non sarebbe valso a niente se lei avesse continuato ad amare quel Febo di Chateaupers.

Oh, piccina mia! Amore della mia vita! Se solo tu sapessi quanto conti per quest'uomo di Dio! Sei tutto ciò per cui da sette mesi a questa parte vivo. Sei diventata una pietra miliare per me. Salvami da questo inferno in terra che è diventata la mia vita. Sei tutto ciò che desidero, tutto ciò che voglio. Mi hai strappato gli occhi da Dio, e ora il tuo pensiero mi strugge e tormenta giorno e notte. Ti odio. Perché ti amo e so che da te non avrò altro che il tuo disprezzo. Perché seppure io tenti di tornare ad amare Dio come un tempo, non ci riesco. Penso sempre a te. Alla tua danza, al tuo dolce sorriso che sveli ai passanti per ricevere in cambio qualche moneta. Per quella tua voce d'usignolo, celestiale che ogni mattina sentivo dall'alto della mia torre, che mi accompagnava tutti i giorni tutto il giorno.

Abbi pietà di questo povero prete innamorato di te!

Poi, d'improvviso sentì un tintinnio nella piazza che lo riscosse dai suoi pensieri. E il rumore del portone immenso chiuso gli confermò il sospetto: qualcuno era entrato nella cattedrale. Che fosse lei? Che il Signore avesse ascoltato le sue preghiere e gli avesse concesso una notte d'amore con quella piccola e dolce creatura? Il tintinnio l'aveva riconosciuto. Era quello delle monete che aveva tra i capelli d'ebano la sua amata rondine! Era entrata nella cattedrale! Che volesse andare da lui? No, non poteva essere vero! Decise di aspettarla. E iniziò a girare per la stanza con passo veloce e nervoso, impaziente di sentire bussare la porta e vedere quel musetto da dietro quel rude legno.

Dopo qualche minuto, che a lui sembrò un'eternità, si fermò al centro della stanza. E prese un bel respiro profondo -Va bene, Claude, calmati.- disse a se stesso. Poi si diresse e scese le scale, imponendosi di stare calma.

Quando arrivò fu come se il tempo si fosse fermato e con cautela si avvicinò a lei. Era... Un angelo. Bella da impazzire. E lei neanche lo sapeva. E non l'avrebbe amato mai. Come era ingiusta la vita a volte! Si schiarì la voce.

-Posso aiutarti?- chiese lui dolcemente.


***


La fanciulla si voltò di scatto spaventata, come se fosse stata trovata con le dita nel vasetto della marmellata.

-Io..- disse per poi rimanere in silenzio. Non aveva idea di come mandare avanti il discorso. Era totalmente incapace di intendere e volere. Doveva chiedergli perdono ma non sapeva proprio cosa fare. Come dirlo. Era stata tanto occupata a decidere se andare o meno che non aveva pensato a cosa dirgli. E senza sapere cosa dire, non avendo il coraggio di domandargli perdono, rimase in silenzio. Quell'uomo, vestito di nero, sempre cupo in volto, le metteva una certa soggezione.


***


Claude la guardò, incantato. I raggi del sole attraverso alla vetrata donavano alla figura una nota divina che lo lasciò senza fiato. Non poteva crederci. La sua bambina era così bella da sembrare una dea. Una piccola dea dell'amore. Le sue labbra carnose si erano schiuse e avevano emesso un sussurro. Melodioso quanto impercettibile. Per poi guardarlo con quei suoi occhioni grandi da bambina. Occhi che avevano espresso tutto il timore e il rispetto nei suoi confronti. Tutto in un fuggevole sguardo. Che gli aveva concesso per pochi istanti prima di chinare lo sguardo.

-No... Non avere paura di me. Non voglio farti del male.- disse cercando di rassicurarla con la sua voce. -C'è qualcosa che vuoi dirmi, bambina mia?- chiese ancora lui.


***


Esmeralda alzò lo sguardo con quei suoi occhi spalancati meravigliosi, chiedendosi se potesse fidarsi di quell'uomo che tanto l'aveva fatta soffrire in passato. Quell'uomo nero che l'aveva seguita più di una volta, che aveva pugnalato il suo Febo, il suo sole. Il suo amore. Che aveva cercato di possederla proprio in quella stessa cattedrale, in una cella di una delle due torri, non ricordava bene dove. Che le aveva fatto scegliere tra la morte e l'amore. Forse non poteva fidarsi, ma doveva mantenere la parola data a sua madre. Non poteva deluderla, teneva troppo a quella donna per vedere sul suo viso un'espressione delusa. E dopo lunghissimi minuti durante i quali rimase in silenzio, schiuse le labbra per parlare.


***


Vuoi uccidermi mia piccola rondine? Sarebbe molto più facile e veloce farmi bruciare all'Inferno che rimanere di fronte a me, a così poca distanza, sgranando i tuoi begli occhioni dolci, intensi, profondi. Il tuo corpo divino, risplendente della luce di Dio, è caldo e vivo e anche immobile riesce a scatenare in me delle sensazioni che mi tormenteranno per i prossimi giorni e le prossime notti. Il mio corpo brucia di desiderio per te, povera piccola innocente che non sai niente dell'amore e che ti ritrovi a essere oggetto di contesa, anche se non dichiarata, non potrà mai esserlo!, tra un bel capitano che ti incanta con il fascino della sua armatura e delle sue belle parole, ma che non t'ama, e me, che pur non essendo bello come lui, fremo d'amore per te. Se solo riuscissi a capire che oltre alla bellezza il tuo Febo non ha niente di meritevole per te! Oh, mia dolce creatura! Hai schiuso nuovamente le labbra! Cosa vorrai dirmi mai? Parole d'odio un'altra volta? Ti prego no! Non avvelenare per me quelle labbra di rugiada per ferire ulteriormente il mio cuore, che pulsa ancora sangue nelle mie vene solo grazie al fatto che tu sei viva e salva! Non ne sopravviverei! Ti prego... Ti imploro mia dolcissima rondine!


***


La zingara, non immaginandosi mai più i pensieri che passavano nella mente del tenebroso arcidiacono, rimase sorpresa da quell'espressione implorante che vide dipingersi sul volto dell'uomo nero. Deglutì e poi si decise a parlare.

-Io.. Sono venuta per... Chiedervi perdono per.. il mio comportamento dell'altra sera. Mia madre.. Mi ha mandato qui per chiedere il vostro perdono e.. In effetti... Se voi non mi aveste trovata forse a quest'ora non sarei più con mia madre. Vi siete... Comportato bene e io.. Sono stata maleducata con voi. Spero.. Che possiate perdonarmi.- disse chinando il capo non riuscendo a sostenere il suo sguardo. Ora che si era umiliata, voleva solamente sparire da quel posto, non aveva più alcun motivo di restare lì. Accetta le scuse e lasciami andare via! Ti prego, ti prego ti prego! Pensò la fanciulla terrorizzata all'idea di dover restare ancora un istante di più in quel posto.


***


Perdono? Perché mai dovrei perdonarti? Io... Non ho niente da perdonarti. So che non volevi ti trovassi io, che mi odi perché ho ferito il tuo capitano. So che per quello che ho fatto non mi perdonerai mai. Sono io che devo implorare il tuo perdono. Se dovessi tornare indietro lo rifarei, tuttavia. Perché non cambierò mai opinione su di lui. Nei suoi occhi c'era solo lussuria e desiderio. Io invece...Ti amo. Il mio desiderio è dovuto all'amore smisurato che sento nascere in me nei tuoi confronti. So che non è giusto. E questo mi tormenta ogni istante della mia vita. Ma è più forte di me. Non riesco a non amarti. Sei l'essenza dei miei giorni. Io avrò vita solo fino a quando tu sarai in questo mondo. Ah, smettila di dire tutte queste belle cose a te stesso, Claude! Non serve a niente dirle a se stesso. Pensa piuttosto a qualcosa da dirle. L'uomo si schiarì la voce.

-Io.. Non ho niente da perdonarti, mia piccina. Tu.. mi odi. Ti capisco. Se solo tu riuscissi a capire il motivo delle mie azioni, allora forse... Riusciresti a apprezzare ciò che ho fatto per te.- fece lui.

-Mai! Non potrò mai capirti, né tanto meno potrei apprezzare l'uomo che ha pugnalato il mio Febo, il Sole!- rispose lei con gli occhi furiosi.


***


Apprezzarti, maledetto prete infernale? MAI. Non potrei mai farlo! Solo un pazzo potrebbe apprezzare il gesto di un assassino pazzo e geloso! Io non lo sono ancora. E il mio odio per te è troppo radicato. Perché oltre a ferire lui, hai fatto del male anche a me! Non ti è bastato privarmi della luce?! no. Dovevi farmi soffrire ancora! Perché la sofferenza che ho provato non era abbastanza, vero?! Ah, ma tu brucerai all'Inferno! Pagherai per le tue azioni, maledetto. In questa o nell'altra vita. Ma qualcosa la bloccò dal dire ciò che pensava. L'aveva affrancata. Ora poteva tornarsene a casa da sua madre.

-Vi.. Ringrazio per la vostra clemenza, monsignore.- disse più cordialmente che le riuscì. Poi accennò con il capo a un inchino, come le aveva raccomandato di fare sua madre, e si dileguò da quel posto. Percorse tutta la navata di corsa e una volta fuori, tornò a casa di corsa, senza mai guardarsi indietro, temendo che lui la seguisse.



Claude dal canto suo rimase fermo. Guardandola sparire oltre il portone immenso della cattedrale. Rivolgendo pensieri colmi di amore a quella leggiadra e imprevedibile rondine.

  
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