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Autore: Leenadarkprincess    15/12/2011    6 recensioni
Ormai ci abbiamo fatto il callo. Draco e Hermione si appartano nello stanzino delle scope senza un perché. O si trovano in bibioteca, ed è colpo di fulmine. O si sono sempre amati, e non sanno più resistere alla forza travolgente della loro passione troppo a lungo celata...
Si, certo.
La verità è che Draco e Hermione si odiano profondamente, e che solo un miracolo potrebbe cambiare le cose. E se il trio protagonista avesse deciso di rimanere a Hogwarts il settimo anno? E se Draco Malfoy fosse stato catturato mentre fuggiva dopo l'attentato a Silente, e grazie a Harry che testimonia in suo favore fosse stato rispedito a Hogwarts? E se Voldemort avesse fallito l'attentato al Ministero, ritirandosi a tramare di nuovo nell'ombra, e Kingsley fosse diventato Ministro?
A cominciare da una semplice quanto improbabile sbornia, comincia una serie infinita di sfortunati eventi tra partite di Quidditch e Horcrux, passando per incantesimi, Pasticche Vomitose e parecchio sarcasmo in autentico stile Draco Malfoy... riuscirà quest'ultimo a tirare fuori il suo "lato buono"?
Sempre che ne possegga uno, ovvio.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Astoria Greengrass, Blaise Zabini, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Ok, d’accordo, ammetto che i Malfoy, grandissimo casato, con eminentissimi antenati, eccetera, non hanno sangue di indovino nelle loro vene. E devo dire che la cosa non mi ha mai disturbato granché. Tuttavia, devo anche ammettere che anche un cretino avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe successo, ad  ubriacarsi di Acquaviola.
Si, ero stato un vile a persuadermi ad uscire ad ubriacarmi, ma in fondo, i Serpeverde non brillavano certo per coraggio, no? Era il settimo anno, la mia vita andava a rotoli, e mi sentivo autorizzato a lenire le mie sofferenze in uno dei luridi calici della Testa di Porco.
La Testa di Porco. Posticino piuttosto squallido, ne convengo, e non avrei certo desiderato che i miei genitori venissero a conoscenza delle mie frequenti uscite in quel luogo. Ma i Tre Manici di Scopa traboccava di gente indegna, Mezzosangue e traditori della loro stirpe, e non volevo mischiarmi a loro.
Oh, e va bene. Nemmeno loro volevano avere nulla a che fare con me, d’accordo.
Draco Malfoy. Ultimo discendente del grande Casato Senza Indovini Malfoy, erede di una vasta tenuta – e visto come andavano le cose, di un sacco di grane – nonché autore di un piano geniale che aveva concesso ai seguaci del Signore Oscuro di penetrare ad Hogwarts, l’anno prima, assassinando così quel babbione barbuto di Silente. Oh, e va bene, sarei dovuto essere io a farlo fuori, contenti? Peccato che non ci fossi riuscito affatto, e che del lavoro sporco si fossero occupati i miei compagni – se così vogliamo definirli.
Peccato che ora l’ultimo erede dei Malfoy fosse disprezzato da tutti. Grazie a Potter gran parte dei Mangiamorte erano stati catturati, il Signore Oscuro era fuggito, Kingsley era Ministro della Magia, e tutti – nessuno escluso – erano passati dalla parte dei buoni.
Tutti tranne me.
Anche i Serpeverde si erano convertiti in massa, ed ora facevano i bravi bambini a braccetto con le altre case. Ma io non potevo farlo, i sospetti – mai verificati – sul mio conto erano troppi. La mia famiglia era ad Azkaban, ma nonostante il mio Marchio Nero, che tutti si erano convinti essermi stato imposto con la forza, io ero rimasto ad Hogwarts.
Dove ora ero un reietto.
Quindi, Testa di Porco. Era un ambiente malfamato, e quindi poco frequentato dai nuovi Serpeverde buonisti. Ciò nonostante sapevo bene che i rapporti col locale erano interrotti solo in superficie, perché ingenti quantità di Ogden Stravecchio circolavano ancora per i dormitori.
Era Ottobre, e già faceva un freddo cane. Se anche avessi voluto, dove sarei potuto andare? Io non avevo mantelli dell’Invisibilità, come Potter, e nemmeno amici devoti e tirapiedi pronti ad osannarmi. Non più, almeno. Intendiamoci, non sentivo la mancanza di Tiger e Goyle, anzi; insomma, adesso soltanto i miei compagni di dormitorio mi rivolgevano la parola, ma soltanto in privato, prima di dormire, ed in quelle occasioni non è che perdessi il sonno se loro non mi davano la buonanotte.
In effetti l’unico che davvero mi spalleggiava era McNair, il nipote dell’omonimo boia che aveva tentato di accoppare l’indegna bestia che mi aveva quasi strappato un braccio ad unghiate. McNair – David per gli amici, tra i quali chissà perché mi annoverava – non era come suo zio, sua madre si era staccata dal ramo principale della famiglia da anni ormai. Era un bravo ragazzo, uno di quelli veri, intendo, non che avesse carisma, o coraggio, ma era sensibile, tutto sommato. Per quanto possa esserlo un Serpeverde, immagino, secondo la definizione della banda Potter.
Tutto solo in quell’orribile bettola, sentivo per le strade il vociare degli studenti di ritorno da Mielandia e dagli altri negozi. Era prevista un’altra uscita a breve, per Halloween. Nonostante i problemi di sicurezza nessuno tentava di impedire agli alunni di frequentare il villaggio, nel tentativo di mantenere alti gli spiriti. Beh, non il mio, quello era garantito.
E così, un’acquaviola dopo l’altra, mi ero accompagnato per oltre un’ora, sfogliando nel frattempo un noiosissimo libro che il Professor Vitious ci aveva assegnato. Ma lo misi presto da parte, e bevvi così tanto che mi sentii girare la testa. non ero ubriaco, però, non ancora. Ero sobrio abbastanza da uscire dalla Testa di Porco senza barcollare, con la tasca del mantello che tintinnava a causa di una scorta personale di Acquaviola particolarmente forte che avevo persuaso il barista a vendermi.
Fui il primo a rientrare al castello, credo. In ogni caso, per tutto il tragitto fui solo. Dalla temperatura e dall’aria umida intuivo che non mancava molto al primo periodo delle nevicate. Ne fui contento. Si sarebbero tutti occupati della neve e non avrebbero badato a me.
Scesi nei sotterranei – incredibilmente freddi, inutile dirlo – e pronunciai la parola d’ordine. Entrai nella Sala Comune quasi deserta, eccezione fatta per i marmocchi dei primi anni che mi guardavano con occhi grandi come padelle mentre li ignoravo per andare verso il dormitorio.
Quando mi chiusi la porta alle spalle fu un vero sollievo.
A questo punto potreste domandarmi che cosa c’entra tutto questo con le conseguenze della mia sbornia. Beh, è molto semplice. Tracannai una buona metà della bottiglia in mio possesso e finii con l’essere ubriaco marcio. A quel punto dormire era impossibile – mi girava troppo la testa – e, per farla breve, decisi che avevo proprio bisogno di una boccata d’aria. Ero convinto che non fosse passato molto tempo da quando ero arrivato, mentre doveva essere già sera, perché anche ai piani superiori non c’era luce.
I corridoi erano quasi deserti, e per un istante pensai che avrei potuto anche uscire nel parco, ma non ne avevo voglia. Approfittai invece della desolazione del castello per barcollare verso la Torre Nord. Purtroppo, visto lo stato di totale confusione in cui mi trovavo, finii per dovermi appoggiare al corrimano alla quarta rampa di scale.
Salii ancora un po’, ma arrivato davanti alla biblioteca mi fermai, colpito dalla nausea. Giudicai più prudente fermarmi. Presto capii che era meglio cercare un bagno, al più presto, e mi voltai per farlo. Scesi addirittura qualche gradino, senza ricordare che il settimo a partire  dall’alto tendeva a scomparire se non lo si calpestava fischiettando. Il gradino scomparve, io persi l’equilibrio, e rovinai verso il basso travolgendo una malcapitata ragazza che saliva la scalinata nello stesso momento.
Nonostante l’avessi colpita, comunque, ebbe la prontezza di riflessi di aggrapparsi alla balaustra evitando di precipitare come feci io. Colpii il pavimento con la testa e sentii un dolore lancinante – peggio di quella volta in cui quello psicopatico di Crouch Jr., dimenticando di essere il mio alleato, mi trasformò in un furetto e mi sbatacchiò qua e là per tutte le segrete.
Per un po’ non capii più nulla. il mondo era soltanto una spirale di dolore. Poi sentii una voce chiamarmi, ma non potevo risponderle – non avevo fiato.
Ci misi parecchio per mettere a fuoco l’immagine di fronte a me, ma quando lo feci, pensai che sarebbe stato meglio non farlo affatto. Perché ad aver assistito alla rovinosa caduta dell’ultimo Malfoy ubriaco come una spugna, c’era la Granger. China su di me, con uno sguardo un po’ preoccupato, ma decisamente non abbastanza, visto che con ogni probabilità dovevo essermi fratturato la testa.
Anche voci decisamente più delicate di quella della Granger mi sarebbero sembrate terribilmente insopportabili, in quel momento, e se mai avessi potuto trovare un’attrattiva nella Sporca Mezzosangue (S.M. per i nemici stretti), non sarebbe certo stata la sua voce.
«Malfoy? Malfoy?» la sentii chiamare, e mi sentii scuotere. Avrei voluto risponderle per gridarle di andare a quel paese o di prendermi un rimedio contro il dolore atroce alla testa, ma anche se non avessi battuto la testa, ero pur sempre ubriaco, e lei era sempre una Sangue Sporco (S.S. per i nemici stretti). Inoltre, come spesso succede quando si prova un dolore forte, sentivo una rabbia feroce dentro di me. Avrei voluto picchiarla anche solo per non sentire le punte dei suoi capelli crespi toccarmi fastidiosamente il viso.
«Malfoy?».
Deficiente, pensai, non vedi che non riesco a respirare?
Parte della sbornia si dissolse in quei momenti drammatici, e quando mi resi conto che davvero, non riuscivo a respirare. Aprii la bocca ma la richiusi senza aver concluso niente. Forse stavo morendo. Bene. Male. Boh. Stavo troppo male per giudicare.
In quel momento il suo schiaffo da putrida S.M. mi colpì in pieno viso. Boccheggiai, gli occhi ancora colmi delle lacrime dovute alla mia caduta.
«C-che...» mugugnai. S.S. si raddrizzò appena sentendo quel verso uscire dalla mia bocca. «Che.. cazzo... fai... Granger?» sibilai, alzando appena il capo. Un attacco di vertigine assurdo mi attraversò, ma lo ignorai. La rabbia c’era ancora, e non è bene essere arrabbiati quando non si è sobri, specie per le Sporche Mezzosangue che sono sempre state tue nemiche, e che ti hanno appena visto precipitare da una rampa di scale perché non reggi la sbornia. E che ti hanno schiaffeggiato, magari.
Lei non sembrò sorpresa. se lo aspettava. Forse anche una SM come lei capiva che il dolore rende aggressivi. Beh, sarei stato aggressivo comunque con lei, se ve lo stavate chiedendo, ma magari con più contegno.
«Volevo solo verificare che non ti fossi rotto la testa» replicò freddamente, fissandomi con disprezzo. «E se adesso riuscissi a darti una calmata, e mi permettessi di accompagnarti in infermeria...».
«Bada agli affari tuoi» replicai.
«Beh, visto che mi hai travolta in pieno, non sono esattamente estranea alla vicenda» disse lei. «Allora, lo vuoi il mio aiuto, oppure no?».
«No» riuscii a dire, secco. «Vattene».
«Ok» disse lei senza scomporsi. Si voltò di scatto e si allontanò, senza fretta, verso la mia destra. Nel frattempo cercavo di non vomitare e di alzarmi in piedi. Dio, che dolore. E che nausea. Ma nessun Malfoy vomitava a pochi metri dalla biblioteca, decisi, e per distrarmi mentre cercavo di stare in piedi aggrappandomi al muro pensai con soddisfazione che la dannata Granger non era poi così dannatamente buona da aiutare il suo nemico in punto di morte se lui la insultava.
Sarebbe stato piacevole, se non avessi rischiato di vomitare il cervello sulle scale.
Non so per quanto rimasi lì, ma dopo un certo lasso di tempo sentii passi concitati di qualcuno in avvicinamento. Non mi voltai perché davvero, la testa mi girava troppo perché potessi farlo impunemente; tuttavia capii che si trattava di Madama Chips quando la udii gracchiare al mio orecchio una serie di frasi sconnesse. «Ma ragazzo... ragazzo... scale... odore... bere... senza ritegno... avvertita...». O magari ero io che non capivo più niente? In effetti ero tanto confuso che  non sentii granché di tutto il suo discorso, mentre una vocina dentro di me si chiedeva come mai Madama Chips fosse lì. Non l’avevo mai vista fuori da scuola, a parte, talvolta, al banchetto in Sala Grande. Chissà cosa faceva quella vecchia strega Corvonero per il resto della sua giornata. Naturalmente, me ne fregavo, ero solo stordito.
Mentre mi passava un braccio attorno alla vita e mi induceva a proseguire lungo il corridoio, realizzai con uno sprazzo di lucidità che quando avevo travolto la Granger, lei era diretta verso  la biblioteca. Invece alla fine se n’era andata lungo lo stesso corridoio che percorrevo io ora e che, senza dubbio, conduceva all’infermeria.
Non ci si può più fidare nemmeno dei nemici, al giorno d’oggi?
 
Non vidi Harry e Ron fino all’ora di cena, e fino ad allora passai tutto il tempo a tormentarmi un lembo della veste mentre leggevo l’ultimo tomo recuperato in biblioteca. C’erano moltissime buone ragioni per sentirmi agitata, riguardo a quel rifiuto di Malfoy. Non che non avessimo notato in precedenza che era strano – vista la sua situazione, che cosa si poteva aspettare? – ma ubriaco... accidenti, Malfoy ubriaco!
Mi faceva – ci faceva – un po’ pena, Malfoy, specie dopo che si era rifiutato di uccidere Silente. Nessuno era al corrente di quanto era accaduto davvero quel giorno orribile, a parte quelli dell’Ordine. Per tutto il resto del mondo Malfoy era il dannato, infido figlio di Mangiamorte, che forse aveva collaborato per  uccidere Silente, ma che rimaneva una sorta di succube sgherro, un colpevole marginale da compatire ma anche condannare. Per l’Ordine, e per noi in particolare, era un idiota e certamente responsabile, ma se non fosse stato lui a far entrare i Mangiamorte, Voldemort avrebbe cercato un altro modo, e per Dio, magari avrebbe trovato qualcuno di peggio come Goyle. Aveva esitato prima di uccidere Silente e lo sapevamo, e per questo ci dispiaceva. Anche se Malfoy ne era all’oscuro, la decisione di Kingsley di farlo restare nella scuola, sebbene sorvegliato, era dovuta in parte alle insistenze di Harry.
Altre ragioni per cui mi sentivo agitata? Il fatto era che non solo mi faceva pena, non solo lo avevo visto ubriaco, ma avrei voluto aiutarlo. Se c’era davvero del buono in lui come sembrava che fosse, forse avremmo dovuto fare qualcosa. Naturalmente non sapevo bene che cosa, specie perché difficilmente ce lo avrebbe permesso.
Non fraintendetemi, ok? Non sentivo niente di più che un po’ di pietà per lui e per una situazione dove si era trovato ad agire in qualche modo per forza. Era stato un vile, un codardo ed un debole, ma ehi, era pur sempre un Serpeverde. Nulla di nuovo sotto il sole, giusto?
Così scesi in Sala Grande e mi accomodai al mio posto quando la metà degli studenti ancora doveva arrivare. Dopo Hogsmeade, la maggior parte si attardava per ripulirsi e vestirsi, perciò generalmente si cenava un po’ più tardi. Ero andata ad Hogsmeade ma me n’ero andata via quasi subito; il tempo di comprare qualcosa da Mielandia, mandare un Gufo espresso al Ghirigoro che doveva ancora spedirmi un libro, e fare scorta di alcuni ingredienti per  pozioni in una piccola bottega del luogo.
Neville era lì, a sorseggiare un po’ di succo di zucca con aria pensierosa. Sua nonna si era data alla macchia in estate, convinta che per quanto i Mangiamorte fossero per il momento sotto controllo, qualcuno la sarebbe andata a cercare. Con qualcuno intendeva probabilmente la cara Bellatrix, una degli unici sei Mangiamorte ancora in libertà. Eh si, il Signore Oscuro non se la passava tanto bene, la battaglia di giugno era stata estremamente sanguinosa e grazie a Kingsley, che ci aveva inviato i rinforzi, e che ancora cacciava le reclute Mangiamorte sparse per il paese, si era evitato il peggio. Avevano tentato di impossessarsi del Ministero proprio il giorno delle nozze di Bill – che erano state posticipate – ma non ci erano riusciti. Un numero incredibile di maghi e streghe si erano precipitati sul posto salvando il governo magico, e catturando un centinaio di nemici.
Harry era diventato, naturalmente, una sorta di guida per la comunità di Maghi e Streghe. Era una sorta di ragazzo immagine,quello che non aveva voluto essere per Caramell, ma che non aveva esitato ad essere per Kingsley. Appariva nei giornali, si faceva intervistare, incoraggiava la popolazione a stare in guardia e a combattere. Certo la situazione non era il massimo, ma era ancora  tutto sotto controllo.
E naturalmente cercava gli Horcrux. Di tanto in tanto saltavamo le lezioni per andare alla ricerca di quei dannati cosi, alle spalle del Signore Oscuro il quale, se si preoccupava di reclutare nuovi seguaci, non temeva certo che stessimo cercando di infilzare i pezzi della sua anima in una sorta di spiedino magico. Harry passava metà della sua giornata a zonzo per il castello, apparentemente convinto che l’Horcrux che vi era nascosto sarebbe apparso dallo sgabuzzino delle scope, o qualcosa di simile. Non provava nemmeno a chiedere informazioni a quelli delle altre case, convinto com’era che avrebbero capito che cosa aveva in mente.
«Si, beh, non è che tutta questa gente sappia degli Horcrux» faceva notare Ron di solito, quando nessuno sentiva. «Non credo che chiedere loro di un manufatto antico equivalga a strillare “ehi, sapete dov’è l’anima di Voldemort?”». Ma quando Harry si impuntava su qualcosa non c’era modo di distoglierlo, né di fargli ammettere che forse poteva avere torto. Ok, lo ammetto, spesso non aveva torto, ma accidenti, altrettanto spesso non aveva ragione!
Questa ricerca rendeva difficile seguire le lezioni, anche se Harry e Ron ghignavano sempre quando facevo cenno alla cosa. Di fatto però non potevano negare che i loro voti – già piuttosto bassi – precipitavano sempre più verso un abisso.
Io facevo del mio meglio per stare al passo, ma ci riuscivo solo faticando un sacco. Quel giorno, quando Malfoy mi aveva scambiata per un birillo da abbattere, mi stavo dirigendo come al solito alla biblioteca alla ricerca di un aiuto nei compiti. Ma non ci ero mai arrivata.
Mentre riflettevo su tutto questo osservai il posto di solito occupato da Malfoy, in un angolo impietoso accanto a McNair, che era vuoto. Sicuramente Madama Chips avrebbe insistito per farlo restare lì la notte. Chissà se si era accorta che era ubriaco; ne dubitavo, ma chissà. Magari gli avrebbero tolto dei punti. Magari.
«Ehi. Her – mio – ne» scandì Neville.
«Mmh?» feci io, voltandomi  verso di lui.
«Che cosa osservi?» fece lui, la fronte aggrottata.
«Beh» dissi io, precipitosamente. «Sai, volevo sapere se era vero quello che avevo sentito nel bagno delle ragazze, sul fatto che Pansy Parkinson abbia pianto in bagno per oltre un’ora perché non le riusciva la pozione che avrebbe dovuto preparare». Balla, ma Neville non se ne accorse, e tutto eccitato – odiava la Parkinson molto più di me – si mise a scrutare la tavolata verde e argento con un luccichio negli occhi.
«In effetti ha gli occhi un po’ rossi, credo» disse trionfante.
Probabilmente era allergica al gatto di qualcuno, pensai, ma mi dedicai al succo di zucca mentre Neville sorrideva con soddisfazione.
Alla fine Harry e Ron arrivarono. Erano piuttosto affannati. Harry prese posto accanto a me e Ron alla sua destra. Avevo sperato che si sarebbero messi entrambi accanto a me, ma lasciai perdere. Era troppo importante quello che avevo loro da dire.
«Che. Stanchezza» si lagnò Ron servendosi di tre tipi diversi di carne ed ignorando il pasticcio di cavolo. Anche Harry riempì il piatto di roba. «Abbiamo dovuto fare venti minuti di coda, Hermione, capisci? VENTI. Solo per avere il dannato torroncino di Fred e George» sottolineò, inghiottendo un pezzo di carne grande quanto lui. «Fe favolo vogli’no, a ffarmi veri’fi’are che la loro deglutì «Stupida merce venga venduta al giusto prezzo a Mielandia? Che idiozia».
«Lascia perdere lo stupido torrone sanguinolento, e ascolta. Ho cose da dirvi» esclamai.
«Anche noi» dissero i due in coro. «Rosmerta è tornata. Pare che la maledizione Imperius non le abbia provocato danni gravi» disse Harry.
Lanciai un’altra occhiata al tavolo Serpeverde – imitata dagli altri – mentre Ron aggiungeva, scharendosi la voce con una smorfia, «Ma è ancora scossa. Voglio dire, non serve nessuno se non vede le bacchette sul tavolo dove non si possono toccare, e anche così, si volta sempre di scatto come se temesse che qualcuno la stesse stregando». Scosse il capo. «non vi pare esagerato? Insomma, per la maggior parte del tempo faceva quello che voleva, non era proprio una marionetta, no? non è certo colpa sua se...».
Come al solito Ron non mostrava alcun tatto. Sospirai. «Discuteremo più tardi della tua assoluta carenza di delicatezza, Ron» dissi, parlando in fretta. «Oh, quello che ho da dirvi è davvero importante».
Poi abbassai la voce, così che nessuno a parte loro mi sentisse. «Malfoy è in infermeria».
Ron finse platealmente di strozzarsi con il succo di zucca. Però era sorpreso davvero. «Cos’è gli hai fatto una fattura, o cosa?».
«Non è stata colpa mia» dissi, cercando di tirargli una pedata e centrando lo stinco di Harry, i cui occhi si riempirono di vere lacrime. Raccontai loro tutto l’accaduto, mentre loro mi guardavano a bocca aperta.
«Però» disse Ron con un fischio. «E così, Malfoy ha fatto colpo, eh?».
«Letteralmente, però» risposi.
Harry era pensieroso. Non era mai positivo quando pensava. «Vorrei fare qualcosa per aiutarlo. Non lo so, mi mette a disagio vederlo così, lui, che è sempre stato amato e riverito da tutti» disse mentre Ronald borbottava qualcosa che ricordava molto un “se l’è cercata”.
«Che cosa vuoi fare?» replicai io, rassegnata. «Credi davvero che accetterebbe il nostro aiuto? E poi, cosa potremmo fare noi per lui? Diventare i suoi nuovi migliori amici?».
Harry alzò le spalle abbandonando il terreno senza più combattere. «In fondo anche noi ne abbiamo passate parecchie, no? Harry ha passato anni lasciato da parte, credo che  possa sopravvivere anche lui» disse Ron, che non aveva un briciolo di pietà verso Malfoy. Mentre lo diceva fissava il proprio piatto, come se la discussione gli interessasse marginalmente. Sapevo che quando era in quello stato stava elaborando qualcosa, spesso non troppo intelligente.
Tuttavia, devo dirlo, vederlo così noncurante mi faceva stare male. Io, provare qualcosa per lui? No di certo. Insomma, che cosa mi importava di lui? Non più di quanto mi importasse di Malfoy. O di uno Schiopodo Sparacoda. Ok, Ron era mio amico, ma era tutto qui. Lo ripetei a me stessa più volte ed intanto salutai Ginny la quale giungeva proprio in quel momento. Lei mi vide e ricambiò il saluto ma girò al largo. Harry l’aveva piantata in asso dicendole che lo faceva per il suo bene, e di certo non era quello che una qualunque donna innamorata amava sentirsi dire. Insomma, di fronte ad il ragazzo amato che soffre e ti dice di lasciarlo in pace, che cosa avrebbe dovuto provare? Del resto, ero certa che Ginny non si fosse affatto arresa, e che passasse il suo tempo a preparare qualcosa alle nostre spalle. Ed intanto usciva con Seamus (si, Finnigan, l’amico di Dean Thomas) con il quale, stando agli odiosi racconti di lui, si era spinta piuttosto oltre.
La maggior parte della sala ormai era piena. Vidi la Parkinson alzarsi da tavola per correre incontro a due Serpeverde e confabulare con loro tutta concitata. Qualcuno doveva averle detto qualche cosa, e di certo non avevo problemi ad immaginare che cosa.
«...trovarlo» disse una delle due Serpreverde. La sua voce era tanto squillante che, mentre si avvicinavano all’uscita e quindi al nostro tavolo, riuscii a cogliere qualche frammento della loro conversazione. Erano tutte e tre molto concitate e all’apparenza tormentate.
Tesi l’orecchio ad di sopra del masticare rumoroso di Ron, ma colsi solo qualche parola, non molto rivelatrice. “Chips”, “testa”, “notte”, “pozione” fu tutto quello che udii, ma sentii perfettamente la risposta di Pansy, pronunciata con voce insolitamente acuta, nervosa.
«Povero Draco... sono davvero dispiaciuta... però, sai, ho cinquanta centimetri di pergamena da consegnare per domani, e non posso proprio... magari domani pomeriggio andrò a trovarlo».
Così Pansy si allontanò in fretta e furia e, almeno così speravo, oppressa dai sensi di colpa. Ron si voltò finalmente verso di noi, con aria eccitata. «Ah-ah!» disse sornione. «La Parkinson non ha  nemmeno il coraggio di farsi vedere in infermeria a visitarlo!».
«Beh, davvero orribile da parte sua, considerato il fatto che fino all’anno scorso avrebbe venduto anche le mutande pur di toccarlo!» replicai, piccata.
«Donne» disse Ron con un sospiro drammatico, e aggiunse sottovoce qualcosa di simile a “soprattutto le mutande”. Finsi di non sentirlo, accalorata per quell’unica parola che aveva pronunciato, ma prima che potessi lanciarmi in un rimprovero contro di lui ed i suoi rimproveri sessisti – Harry si era già fatto piccolo piccolo – quando Seamus in persona sbucò dal nulla e gli batté la mano sulla spalla.
«Donne, eh? Non ti chiederò il motivo della tua esclamazione» disse il nuovo arrivato.
Ron lo vide e si adombrò appena. dopo che l’anno prima aveva snobbato Harry, e dopo le storie che circolavano su lui e Ginny, non era molto ben disposto verso di lui. Harry faceva del suo meglio per sembrare impassibile ma non ci riusciva affatto. sferrò comunque un calcio a Ron per richiamarlo alla compostezza, e lui gemette impercettibilmente.
«Ciao, Seamus» disse Harry sforzandosi di essere cordiale. Era il più grande incapace del mondo a fingere, ma Seamus parve apprezzare il suo sforzo e gli diede un’occhiata compassionevole prima di tornare a voltarsi verso Ron. «Vuoi ripetere l’impre sa, eh? Dopo la Brown...».
Ero molto consapevole di avere la faccia rovente, ma mai quanto le orecchie di Ron. Era imbarazzato e confuso, ma aveva una punta di compiacimento sulla faccia. Mi lanciò un’occhiata fulminea che finsi di non cogliere, mentre mi concentravo nel bere il mio succo di zucca.
«Oh, ma stai zitto» bofonchiò Ron.
«Ti piace proprio la barista, eh?». Quasi mi soffocai, ma nessuno se ne accorse. Rosmerta? Sapevo che Ron aveva un debole per lei, ma davvero le aveva fatto gli occhi dolci?
«Non mi piace» negò lui, ma troppo in fretta.
Persi il resto della loro discussione – improntata su Seamus ed i suoi consigli amorosi - intenta com’ero tutto d’un tratto a tagliare le mie patate e a cospargerle di salsa, e concentrandomi sulla discussione che Neville stava avendo con un tizio a proposito di Incantesimi.
Alla fine Seamus se ne andò, ed io mi voltai verso  di loro. «Di che stavate parlando?» chiesi, impassibile. Ron non rispose, ancora rosso.
Harry sospirò. «Rosmerta ha assunto la nipote per aiutarla, e “guardarle le spalle”. È una ragazza piuttosto giovane».
«Lo immagino» dissi, senza più guardarli.
«Ehm... si è diplomata da poco. Ha  studiato all’estero, mi pare» disse Harry, evidentemente cercando di trascinare l’argomento per mostrare che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
«Lo immagino» fu tutto quello che mi degnai di dire. Inghiottii qualche boccone di patate, poi mi alzai. «Scusatemi. Ho da studiare» dissi poi, e li piantai lì come due idioti. Una volta arrivata nella Sala Comune, scansai un gruppo di mocciosi del secondo anno e mi rifugiai nel mio dormitorio, dove mi infilai sotto le coperte quasi subito e mi addormentai.
Sognai di essere un’allevatrice di furetti biondi che affittavo alle ragazze dal cuore spezzato. Erano furetti da combattimento, e aggredivano gli innamorati fedifraghi, i fidanzati, ed uno squallido barbone coi capelli rossicci che beveva idromele barricato.
  
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