La terra è soffice, calda di
sole.
Iris dorme con fili d'erba tra i
capelli, il sorriso imbronciato e la fronte distesa.
Sembra un bambino, riflette
Giuliano, accarezzandolo distratto.
È stanco. Giuliano immagina con
un brivido le sue avventure notturne.
Se chiude gli occhi può pensarlo,
minuto e fragile sotto la luce spietata della luna, talmente delicato, talmente
giovane… Giuliano ogni sera si addormenta con l'angoscia di non rivederlo il
giorno dopo.
E sì che sa quanto è abile con
il coltello, dal momento che ha battuto addirittura lui, in quel primo duello.
Ma non riesce a convincersi, teme sempre che un pugnale più veloce lo inchiodi
al suolo, che un soldato crudele non mostri compassione per quelle gote
morbide.
È un ragazzino, pensa triste, ha
appena sedici anni.
Ma nei tempi di guerra ogni
giorno vale una stagione, Giuliano stesso è solo un ventenne indeciso, che
trascina sulle spalle il peso di mille anni, tutte le vite stroncate.
E Iris porta negli occhi chiari
ricordi dolorosi, che invecchiano di un colpo.
Iris si muove tra le braccia di
Giuliano. Lui sorride, e lo stringe per un attimo a sé.
A volte vorrebbe gridare al
mondo il suo amore, vorrebbe che tutti sapessero, che tutti conoscessero… che
tutti capissero.
E invece sono soli, persi in
mezzo a gente ignara e tranquilla, che non conosce la fatica di un continuo
fingere, negare l'esistenza.
Iris è sveglio, ma non apre gli
occhi.
Ascolta il respiro di Giuliano,
e sospira silenzioso. I raggi del sole lo accarezzano, e lui assorbe il suo
calore come scorta per i momenti bui.
Teme la notte, teme la luna e
gli scontri con le milizie. Teme, un giorno, di trovarsi davanti Giuliano, e di
doverlo combattere, di nuovo, perché la loro guerra è più importante di tutto,
anche della loro stessa vita. Teme di scoprirlo morto, ucciso da una delle loro
lame argentate.
Vorrebbe dirglielo, che se sarà
il caso dovrà sacrificarlo, perché il loro malvagio destino ha voluto così e
nessuno può opporsi al suo volere, neanche un ragazzino pallido come lui.
Vorrebbe dirglielo, che si
sarebbe ucciso nello stesso momento, e che forse si sarebbero ritrovati
nell'altro mondo, se le loro due diverse fedi fossero riuscite ad accordarsi su
un aldilà comune.
Vorrebbe dirglielo, e non l'ha
mai fatto, neanche durante l'amore, che si sente legato a lui da invisibili
fili, gli stessi fili che lo legano al mondo, e che lui è diventato la cosa più
preziosa che ha, più ancora degli occhi di Libertà, del ricordo dolente di un
passato rubato.
E invece resta muto, come quasi
sempre fa, perché teme il momento in cui schiude le labbra per parlare, sa che
non comanda la lingua e che questa non si lascia frenare, e Iris spesso
pronuncia parole troppo vere, troppo brucianti.
Si volta e lo guarda negli
occhi. Sorridono teneri, ed è strano vedere quella luce negli specchi di
ossidiana che sono le iridi di Giuliano.
Si baciano, sempre silenziosi,
perché il loro legame è nato nel silenzio, e al silenzio tornerà.
Il fiume scorre sotto di loro,
mormora ninna nanne e racconta storie di annegati.
Iris le ascolta incantato, anche
se le conosce da quando è nato, dai giorni nitidi in cui il vento spettinava i
capelli e gli zoccoli dei cavalli battevano sulla dura terra della prateria. Le
ascolta incantato perché ogni volta si stupisce del miracolo dell'acqua che
scorre, trasparente nastro di cielo che si snoda nelle valli, nelle pianure, e
porta vita e morte, come le loro dita, rifugio di dolci carezze e nascondiglio
di accecanti lampi d'acciaio.
Giuliano invece non riesce a
comprenderle. La città non ha insegnato ai suoi figli a conoscere le voci
sussurranti della polvere, della pioggia sulle strade, delle volte che si
scrostano. Non l'ha insegnato, o forse loro sono sordi alle sue parole, esseri
duri e inanimati, già come gli adulti.
Iris non lo sa. Ma non riesce a
trovare il modo per spalancare quell'universo al ragazzo bruno che gli cammina
di fianco, non sa come potrebbe reagire alla scoperta di quella ragnatela di
storie sussurranti. Può portare alla pazzia, questo mondo diverso, Iris lo sa
bene, ricorda tanti ragazzi perduti nel richiamo della neve, perduti in quel
dedalo di strade mai percorse, segreti troppo pericolosi. Ricorda bianchi
angeli folli, arrampicati sopra un albero a parlare con gli uccelli, ma
incapaci di riconoscere il suono delle voci umane.
Non dirà nulla finchè Giuliano
non farà domande. Ha ancora tempo per studiare le risposte, poco, perché il suo
amico ha indole impaziente, e non tratterrà a lungo i dubbi dentro la bocca.
Iris cammina e pare un saggio,
gli occhi chiari sono labirinti di pensieri annodati stretti a un passato
comune, e lui è un bambino levigato, con riflessioni troppo grosse e ricordi
troppo intensi, e un futuro troppo incerto. Pure non ha perso la capacità di
tacere e guardare il mondo, quella caratteristica propria del suo popolo, che
dipinge sui visi candidi espressioni di assorta distrazione.
Giuliano vorrebbe fermarlo,
stringerlo forte e baciare la sua bocca come quella prima volta, una vita fa,
quando cedette all'impulso dopo giorni di silenzi inespressi.
Vorrebbe sedere con lui sui
bordi della strada, abbandonandosi al flusso inesauribile di parole
miracolosamente uscito da quelle labbra sempre ferme, abbandonarsi alla canzone
misteriosa di quella voce ardente e impaziente, tenera ed eterna.
Vorrebbe fare domande, soprattutto.
E non temere più le risposte.
-Questa notte vi hanno quasi
presi, è vero?
La prima preoccupazione, la più
vicina ma, in qualche modo, la meno importante. Perché Giuliano già lo sa, che
Iris sorriderà, leggero e malizioso, e mormorerà.-Come è possibile fermare il
vento?
Giuliano non dubita di questo.
Conosce poco quelle genti, ma ha percorso i mille profili di Iris troppe volte,
con le dita, per ignorare quanti segreti racchiudano quelle membra. Sente la
sua affinità con il mondo ogni volta che lo bacia, stringe tra le mani una
forza della natura, impossibile da imbrigliare.
-Iris, tu sei davvero convinto
che serva a qualcosa continuare così?
Iris non risponde. Pensa. Non è
una domanda semplice, non è semplice perché Giuliano non capisce, non sa.
Vorrebbe potergli trasmettere i suoi ricordi, vorrebbe che conoscesse la sua
terra, la terribile libertà che respiravano ogni giorno. Vorrebbe insegnargli a
vivere la vita dei gitani…
Ma Giuliano nemmeno riesce ad
ascoltare le storie del fiume.
-La guerra non è una soluzione.
La vittoria sarà amara, quando verrà, perché non potrà riportarci quel che
abbiamo perso.
L'innocenza, Giuliano,
l'innocenza che ci abitava, che ci illuminava lo sguardo come bambini,
l'abbiamo persa per sempre.
Guarda me, Giuliano. Ho sedici
anni, ma lo sguardo di un vecchio guerriero, un predatore che ha dispensato
morte troppe volte. La mia anima è volata via con quella del primo nemico che
ho ucciso, e non si può lavare l'odore e il gusto del sangue che è stato
versato.
I miei genitori sono morti, e la
vendetta non li riporterà in vita. I miei fratelli sono persi nelle strade
d'occidente, e non so se con la vittoria riusciremo a ricongiungerci. E ho
paura di ritrovarli. Ho paura che non mi riconoscano, perché sono troppo
cambiato, sono troppo lontano dal bambino che ero. Il dolore, la schiavitù, la
polvere di queste città hanno mutato il colore dei miei occhi, hanno indurito i
miei lineamenti. Tu non conosci il bambino che ero, e nessuno conoscerà mai il
ragazzo, l'uomo, il vecchio che sarei diventato. Il saggio cavaliere dai
capelli bianchi e gli occhi sereni non vedrà mai la luce, perché anche tra
sessantanni le ombre saranno ancora lì, a oscurare le mie pupille. E i miei
sogni, non saranno più colmi di farfalle e cieli azzurri, ma risplenderanno
dell'argento dei pugnali, del sangue che ricopriva le lame.
Tu non puoi sentire il suono
della mia voce di bambino, quella purezza cristallina che si è incrinata quando
ho urlato, per la prima volta, il nome di mia madre morta a terra.
Tu non puoi sapere… io non so
che ragazzo era Libertà, non conosco l'eco della sua risata.
Siamo un popolo di morti… e la
vittoria non ci riporterà in vita.
Ma non possiamo fare altro,
Giuliano, non possiamo. Perché sta scritto nelle stelle che vinceremo questa
guerra, in un futuro oscuro, o che la combatteremo fino a non aver più forze. È
scritto sulle foglie che non resteremo immobili a farci uccidere giorno per
giorno, ma alzeremo la testa e ci rivolteremo, ognuno con i suoi modi, che sono
diversi per ogni uomo. Credi che soltanto noi sette resistiamo? La resistenza è
ovunque. Nei bambini che ridono, e negli uomini che fanno l'amore. Nelle donne
che danzano, e nelle ragazze che sorridono. Negli acrobati, nella compagnia di
acrobati che attraversa le praterie e tiene vive le piste abbandonate dai
gitani, che collega le città e mantiene unite le famiglie disperse. Nelle loro
canzoni vive, nei loro occhi lucenti. La resistenza è in me, che ti sto
parlando, e in te che non mi hai ucciso quando ero nelle tue mani, in te che
capisci di non avere ragione, in te che mi ascolti, e mi stringi, in te che mi
baci… la resistenza è resistenza. Ogni giorno strappato al vuoto, alla
schiavitù è resistenza. E lo sarà per sempre.
Dopo qualche secolo torno a
postare…
Volevo ringraziarti, Tifawow, per
il commento e per i complimenti… spero che anche questo capitolo ti saprà,
almeno un po’, coinvolgere. Quando l’ho scritto… beh, ricordo che sorridevo,
alla fine. Ero stata bene.
Oggi invece sono assonnata, e
scostante. Credo.
Boh, ci si sente raga! A presto,
kisses roh