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Autore: elrohir    03/08/2006    1 recensioni
Una notte, un duello. Un angelo guerriero inchioda a terra il suo nemico. Dovrebbe ucciderlo. E non lo fa. L'amore fuorilegge e intenso tra un ragazzino ribelle, segnato dai lutti, e un soldato incaricato di reprimere i disordini della capitale. I luoghi sono gli stessi de Il ricamo di lacrime, se qualcuno l'ha letto. E anche gli eventi. Alla fine, tornano anche alcuni personaggi.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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La terra è soffice, calda di sole

La terra è soffice, calda di sole.

Iris dorme con fili d'erba tra i capelli, il sorriso imbronciato e la fronte distesa.

Sembra un bambino, riflette Giuliano, accarezzandolo distratto.

È stanco. Giuliano immagina con un brivido le sue avventure notturne.

Se chiude gli occhi può pensarlo, minuto e fragile sotto la luce spietata della luna, talmente delicato, talmente giovane… Giuliano ogni sera si addormenta con l'angoscia di non rivederlo il giorno dopo.

E sì che sa quanto è abile con il coltello, dal momento che ha battuto addirittura lui, in quel primo duello. Ma non riesce a convincersi, teme sempre che un pugnale più veloce lo inchiodi al suolo, che un soldato crudele non mostri compassione per quelle gote morbide.

È un ragazzino, pensa triste, ha appena sedici anni.

Ma nei tempi di guerra ogni giorno vale una stagione, Giuliano stesso è solo un ventenne indeciso, che trascina sulle spalle il peso di mille anni, tutte le vite stroncate.

E Iris porta negli occhi chiari ricordi dolorosi, che invecchiano di un colpo.

Iris si muove tra le braccia di Giuliano. Lui sorride, e lo stringe per un attimo a sé.

A volte vorrebbe gridare al mondo il suo amore, vorrebbe che tutti sapessero, che tutti conoscessero… che tutti capissero.

E invece sono soli, persi in mezzo a gente ignara e tranquilla, che non conosce la fatica di un continuo fingere, negare l'esistenza.

Iris è sveglio, ma non apre gli occhi.

Ascolta il respiro di Giuliano, e sospira silenzioso. I raggi del sole lo accarezzano, e lui assorbe il suo calore come scorta per i momenti bui.

Teme la notte, teme la luna e gli scontri con le milizie. Teme, un giorno, di trovarsi davanti Giuliano, e di doverlo combattere, di nuovo, perché la loro guerra è più importante di tutto, anche della loro stessa vita. Teme di scoprirlo morto, ucciso da una delle loro lame argentate.

Vorrebbe dirglielo, che se sarà il caso dovrà sacrificarlo, perché il loro malvagio destino ha voluto così e nessuno può opporsi al suo volere, neanche un ragazzino pallido come lui.

Vorrebbe dirglielo, che si sarebbe ucciso nello stesso momento, e che forse si sarebbero ritrovati nell'altro mondo, se le loro due diverse fedi fossero riuscite ad accordarsi su un aldilà comune.

Vorrebbe dirglielo, e non l'ha mai fatto, neanche durante l'amore, che si sente legato a lui da invisibili fili, gli stessi fili che lo legano al mondo, e che lui è diventato la cosa più preziosa che ha, più ancora degli occhi di Libertà, del ricordo dolente di un passato rubato.

E invece resta muto, come quasi sempre fa, perché teme il momento in cui schiude le labbra per parlare, sa che non comanda la lingua e che questa non si lascia frenare, e Iris spesso pronuncia parole troppo vere, troppo brucianti.

Si volta e lo guarda negli occhi. Sorridono teneri, ed è strano vedere quella luce negli specchi di ossidiana che sono le iridi di Giuliano.

Si baciano, sempre silenziosi, perché il loro legame è nato nel silenzio, e al silenzio tornerà.

 

Il fiume scorre sotto di loro, mormora ninna nanne e racconta storie di annegati.

Iris le ascolta incantato, anche se le conosce da quando è nato, dai giorni nitidi in cui il vento spettinava i capelli e gli zoccoli dei cavalli battevano sulla dura terra della prateria. Le ascolta incantato perché ogni volta si stupisce del miracolo dell'acqua che scorre, trasparente nastro di cielo che si snoda nelle valli, nelle pianure, e porta vita e morte, come le loro dita, rifugio di dolci carezze e nascondiglio di accecanti lampi d'acciaio.

Giuliano invece non riesce a comprenderle. La città non ha insegnato ai suoi figli a conoscere le voci sussurranti della polvere, della pioggia sulle strade, delle volte che si scrostano. Non l'ha insegnato, o forse loro sono sordi alle sue parole, esseri duri e inanimati, già come gli adulti.

Iris non lo sa. Ma non riesce a trovare il modo per spalancare quell'universo al ragazzo bruno che gli cammina di fianco, non sa come potrebbe reagire alla scoperta di quella ragnatela di storie sussurranti. Può portare alla pazzia, questo mondo diverso, Iris lo sa bene, ricorda tanti ragazzi perduti nel richiamo della neve, perduti in quel dedalo di strade mai percorse, segreti troppo pericolosi. Ricorda bianchi angeli folli, arrampicati sopra un albero a parlare con gli uccelli, ma incapaci di riconoscere il suono delle voci umane.

Non dirà nulla finchè Giuliano non farà domande. Ha ancora tempo per studiare le risposte, poco, perché il suo amico ha indole impaziente, e non tratterrà a lungo i dubbi dentro la bocca.

Iris cammina e pare un saggio, gli occhi chiari sono labirinti di pensieri annodati stretti a un passato comune, e lui è un bambino levigato, con riflessioni troppo grosse e ricordi troppo intensi, e un futuro troppo incerto. Pure non ha perso la capacità di tacere e guardare il mondo, quella caratteristica propria del suo popolo, che dipinge sui visi candidi espressioni di assorta distrazione.

Giuliano vorrebbe fermarlo, stringerlo forte e baciare la sua bocca come quella prima volta, una vita fa, quando cedette all'impulso dopo giorni di silenzi inespressi.

Vorrebbe sedere con lui sui bordi della strada, abbandonandosi al flusso inesauribile di parole miracolosamente uscito da quelle labbra sempre ferme, abbandonarsi alla canzone misteriosa di quella voce ardente e impaziente, tenera ed eterna.

Vorrebbe fare domande, soprattutto. E non temere più le risposte.

-Questa notte vi hanno quasi presi, è vero?

La prima preoccupazione, la più vicina ma, in qualche modo, la meno importante. Perché Giuliano già lo sa, che Iris sorriderà, leggero e malizioso, e mormorerà.-Come è possibile fermare il vento?

Giuliano non dubita di questo. Conosce poco quelle genti, ma ha percorso i mille profili di Iris troppe volte, con le dita, per ignorare quanti segreti racchiudano quelle membra. Sente la sua affinità con il mondo ogni volta che lo bacia, stringe tra le mani una forza della natura, impossibile da imbrigliare.

-Iris, tu sei davvero convinto che serva a qualcosa continuare così?

Iris non risponde. Pensa. Non è una domanda semplice, non è semplice perché Giuliano non capisce, non sa. Vorrebbe potergli trasmettere i suoi ricordi, vorrebbe che conoscesse la sua terra, la terribile libertà che respiravano ogni giorno. Vorrebbe insegnargli a vivere la vita dei gitani…

Ma Giuliano nemmeno riesce ad ascoltare le storie del fiume.

-La guerra non è una soluzione. La vittoria sarà amara, quando verrà, perché non potrà riportarci quel che abbiamo perso.

L'innocenza, Giuliano, l'innocenza che ci abitava, che ci illuminava lo sguardo come bambini, l'abbiamo persa per sempre.

Guarda me, Giuliano. Ho sedici anni, ma lo sguardo di un vecchio guerriero, un predatore che ha dispensato morte troppe volte. La mia anima è volata via con quella del primo nemico che ho ucciso, e non si può lavare l'odore e il gusto del sangue che è stato versato.

I miei genitori sono morti, e la vendetta non li riporterà in vita. I miei fratelli sono persi nelle strade d'occidente, e non so se con la vittoria riusciremo a ricongiungerci. E ho paura di ritrovarli. Ho paura che non mi riconoscano, perché sono troppo cambiato, sono troppo lontano dal bambino che ero. Il dolore, la schiavitù, la polvere di queste città hanno mutato il colore dei miei occhi, hanno indurito i miei lineamenti. Tu non conosci il bambino che ero, e nessuno conoscerà mai il ragazzo, l'uomo, il vecchio che sarei diventato. Il saggio cavaliere dai capelli bianchi e gli occhi sereni non vedrà mai la luce, perché anche tra sessantanni le ombre saranno ancora lì, a oscurare le mie pupille. E i miei sogni, non saranno più colmi di farfalle e cieli azzurri, ma risplenderanno dell'argento dei pugnali, del sangue che ricopriva le lame.

Tu non puoi sentire il suono della mia voce di bambino, quella purezza cristallina che si è incrinata quando ho urlato, per la prima volta, il nome di mia madre morta a terra.

Tu non puoi sapere… io non so che ragazzo era Libertà, non conosco l'eco della sua risata.

Siamo un popolo di morti… e la vittoria non ci riporterà in vita.

Ma non possiamo fare altro, Giuliano, non possiamo. Perché sta scritto nelle stelle che vinceremo questa guerra, in un futuro oscuro, o che la combatteremo fino a non aver più forze. È scritto sulle foglie che non resteremo immobili a farci uccidere giorno per giorno, ma alzeremo la testa e ci rivolteremo, ognuno con i suoi modi, che sono diversi per ogni uomo. Credi che soltanto noi sette resistiamo? La resistenza è ovunque. Nei bambini che ridono, e negli uomini che fanno l'amore. Nelle donne che danzano, e nelle ragazze che sorridono. Negli acrobati, nella compagnia di acrobati che attraversa le praterie e tiene vive le piste abbandonate dai gitani, che collega le città e mantiene unite le famiglie disperse. Nelle loro canzoni vive, nei loro occhi lucenti. La resistenza è in me, che ti sto parlando, e in te che non mi hai ucciso quando ero nelle tue mani, in te che capisci di non avere ragione, in te che mi ascolti, e mi stringi, in te che mi baci… la resistenza è resistenza. Ogni giorno strappato al vuoto, alla schiavitù è resistenza. E lo sarà per sempre.

 

Dopo qualche secolo torno a postare…

Volevo ringraziarti, Tifawow, per il commento e per i complimenti… spero che anche questo capitolo ti saprà, almeno un po’, coinvolgere. Quando l’ho scritto… beh, ricordo che sorridevo, alla fine. Ero stata bene.

Oggi invece sono assonnata, e scostante. Credo.

Boh, ci si sente raga! A presto, kisses roh

   
 
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