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Autore: MadJackal    03/08/2006    4 recensioni
Vista dalle rupi che la circondavano, quella pianura doveva apparire come un enorme campo nero e dorato, risplendente al sole. Armature di bronzo e brunite, lame dei metalli più resistenti mai scoperti, il terribile splendore di due eserciti che si affrontavano in quel pianoro attraversato da un fiume ormai popolato solo di cadaveri, l'acqua sporca ed imbevibile, rossa di sangue. Ma lui questo non lo poteva sapere, non ancora. Sulla collina, lui come tutti gli altri affrontava i suoi nemici, i nemici del suo popolo, della sua stirpe.
Genere: Triste, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In the Name of the God

Vista dalle rupi che la circondavano, quella pianura doveva apparire come un enorme campo nero e dorato, risplendente al sole. Armature di bronzo e brunite, lame dei metalli più resistenti mai scoperti, il terribile splendore di due eserciti che si affrontavano in quel pianoro attraversato da un fiume ormai popolato solo di cadaveri, l'acqua sporca ed imbevibile, rossa di sangue. Ma lui questo non lo poteva sapere, non ancora.
Sulla collina, lui come tutti gli altri affrontava i suoi nemici, i nemici del suo popolo, della sua stirpe.

La sua spada descrisse un arco, mozzando la testa del nemico più prossimo, colpevole di essersi distratto per un secondo di troppo.
Un altro di quei soldati male addestrati venne in soccorso del morente, ma non fu abbastanza rapido. Il guerriero estrasse la lama dal corpo dell'uomo che aveva appena ucciso, e parò il colpo con quella, senza nemmeno utilizzare lo scudo.
Poi, e solo poi, si concesse d'ansimare. Dal cielo, una meteora colpì un punto indefinito dietro le spalle del suo avversario, illuminando per un secondo il suo viso con una luce rossa, abbagliante, facendo tremare la terra. Ma lui non fece l'errore di distrarsi, fin troppo abituato a quei poteri scatenati dai maghi presenti nelle retrovie. L'altro invece lo fece, allentando la presa sull'impugnatura della sua spada per lanciarsi un'occhiata alle spalle.
Fu semplice, con una mossa rapida, un movimento secco e potente del polso, fargliela scivolare a terra per poi assestargli un pugno in faccia, costringendolo ad arretrare, il naso spaccato.

Il vento soffiò un poco più forte, facendo ondeggiare i suoi capelli d'argento, accarezzando la peluria delle orecchie da gatto. Aveva perso l'elmo dopo la prima carica, ed ora sulla guancia aveva un taglio da cui il sangue scivolava lentamente fino al mento, per poi macchiare l'armatura dorata.
Quella battaglia era l'ultima che potevano sostenere. E lui lo sapeva, come lo sapeva quell'umano in piedi davanti a lui, che ora arretrava invece di avanzare. Le orecchie feline che aveva sulla sommità del capo lo avvertirono appena in tempo del pericolo, e riuscì a voltarsi ed alzare lo scudo giusto in tempo per intercettare l'ascia bipenne che veniva calata con forza verso la sua schiena, deviandola verso l'esterno, lontano dal suo corpo, ed affondando poi la spada fino all'elsa nel corpo del pazzo che aveva osato attaccare alle spalle lui.
L'onore! Dov'era finito l'onore, in quegli uomini pazzi?
Tornò a cercare con lo sguardo l'altro soldato, quello che aveva disarmato in precedenza, ma non lo vide più. Non se ne preoccupò eccessivamente, guardandosi intorno per cercare qualcuno che avesse bisogno del suo aiuto.
La luce del sole fece capolino tra le nubi, illuminando la sua armatura dorata, le armi che portava. Facendo brillare lui che così giovane era già tra i primi guerrieri di Ath'nor, il signore di tutta la terra. Uno dei cavalieri dall'armatura nera dell'impero umano gli si parò davanti, alzando la spada al cielo, urlando qualcosa nella sua lingua. Per tutta risposta, sorrise, portando la lama della sua arma, finemente decorata dagli artigiani del suo villaggio, davanti al viso, facendo per l'ennesima volta il saluto destinato a chi stava per morire.

E poi, fu di nuovo battaglia.
Una corsa sfrenata verso il nemico, mentre quello faceva lo stesso.
Il cozzare delle lame contro gli scudi. Lo stridio delle lame una contro l'altra.
Le esplosioni lontane delle palle di fuoco e delle meteore richiamate da una parte e dall'altra, in nome di quella magia così debole in confronto al suo dio, ma allo stesso tempo così necessaria.
Uno scambio e poi un altro, ed un altro ancora, il tutto intervallato da pause che non duravano che un battito di ciglia. Lui ed il suo nemico giravano intorno ad un'ideale centro del cerchio che descrivevano camminando, spostandosi, cercando un varco nella guardia dell'avversario.
Rimasero fermi, poi, fissandosi per un attimo.
Si accorse solo all'ultimo momento che quel maledetto umano gli puntava la spada contro. Istintivamente sollevò lo scudo, mettendosi al riparo dietro quello, giusto in tempo perchè la folgore azzurra proveniente dalla lama nemica colpisse quello e non il suo petto.
Arretrò di due passi.
L'umano era ancora immobile. Stupito, forse, dalla resistenza della sua armatura.
Povero sciocco. Davvero credeva che le scaglie di drago d'oro che si sovrapponevano alla cotta di maglia in più punti dell'armatura e rinforzavano perfino lo scudo non riuscissero ad assorbire un trucchetto così banale? Credeva davvero che le piastre che componevano gli spallacci ed i bracciali, fatti con la lega più resistente che il suo popolo conoscesse, il Kra'na, fossero così vulnerabili?
Forse non si aspettava di trovarsi davanti uomini così bene armati, dopo che sette delle loro otto legioni erano crollate sotto i colpi della sua sporca civiltà. Sorrise, vedendolo levare una nuova preghiera al suo dio.
Inspirò, chiamando a sua volta l'aiuto del Signore di Tutta la Terra, partendo all'attacco, con un fendente mirato allo scudo dell'altro. Quello lo parò con un ghigno. Ma poi, la fiamma di Ath'Nor avvolse la lama a lui consacrata, tagliando lo scudo come fosse burro, e con quello, il braccio del chierico vestito di nero.
Rimase immobile ad osservarlo, impassibile, mentre quello arretrava urlando, tenendosi il braccio mozzato.

Ma quella pausa gli diede modo di tornare a sentire le urla, di tornare a guardare come andasse la battaglia. E solo in quel momento, si accorse che nessuna pioggia di fiamme pioveva più dal cielo. Nessun potere che lui conoscesse veniva più scatenato. Si accorse di essere rimasto solo, mentre i suoi compagni venivano uccisi uno dopo l'altro, ormai isolati, ormai sconfitti.

L'ultima difesa crollava, incapace di resistere contro un esercito che le era dieci volte superiore.
Le lacrime fecero la loro comparsa, cominciando a scivolare piano sulle guance. Continuando anche quando uccise quell'umano sciocco che aveva provato ad attaccarlo in quel secondo in cui si era distratto, trafiggendolo con una furia che non gli apparteneva.
Sentì la sua furia crescere, mentre ripensava alla sua sposa, ancora così giovane e così bella ai suoi occhi, rimasta ad attenderlo in una casa che oramai era irraggiungibile, senza riuscire a pensare la sorte che le sarebbe toccata quando gli umani avessero raggiunto il villaggio. Pensò a quei gemelli che portava in grembo. A sua madre. A suo padre. Ai suoi fratelli e sorelle, ai suoi amici caduti in quella e nelle altre battaglie che avevano nutrito quella terra con il sangue di soldati valorosi, mischiato empiamente con quello di quei pavidi umani.

Vide i suoi nemici avanzare in una falange compatta verso di lui.
Li fissò, senza fermare le lacrime, il volto trasformato in una maschera di odio e rabbia.
Urlò, sfidandoli.

Infine alzò la spada al cielo, chiedendo al suo dio di aiutare quel suo figlio disperato.
Implorandolo di impedire che quei maledetti raggiungessero la sua sposa, suo padre e sua madre.
Ed il suo dio l'ascoltò.

"Risplendevano le armature
Gli scudi e le lame dorate
Brillavano,
alla luce del sole

La legione sconfitta
L'ultima difesa distrutta
La via verso la capitale aperta
La nostra fine ormai giunta

Ma lui resisteva
Mille nemici da solo affrontava
Splendente nella sua armatura
Glorioso nelle insegne del dio

Le lacrime gli scivolavano dagli occhi
Il suo cuore piangeva dolore
Il volto era una maschera d'ira
La lama innalzata verso le stelle

Il dio lo prese tra le sue braccia
Consolò la sua anima distrutta
Accarezzò la sua lama alzata
E guardandolo, annuì

E fiamme caddero dal cielo
Fiamme sorsero dal terreno
Fiamme di ogni colore
Portando di Ath'Nor lo splendore"
[Epilogo del poema di R'van di Athar, eroe dei popoli di Felaria,
15000 anni fa quasi annientati dall'impero di Arcadia]

  
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