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Autore: hiromi_chan    17/12/2011    4 recensioni
Un ragazzo alla ricerca di se stesso, un viaggio alla scoperta dell'amore tra passato, presente e futuro.
"Senti deficiente, io ti conosco...dove cavolo ti ho già visto?"
[SpainxRomano][accenni FrUk]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salire di corsa tre piani di scale a chiocciola non fu mai più piacevole di così.

Antonio faceva due gradini alla volta, sentendo diminuire la distanza tra lui e Lovino sempre di più, sentendosi sempre più felice passo dopo passo; un po' come quando aveva scoperto per caso quel ricettario e aveva improvvisamente capito di essere riuscito a comprendere di più Lovino.

Ciò che aveva realizzato era che quel ragazzo possedesse un'unica arma sia per la difesa che per l'attacco: l'insicurezza, un sentimento che sfociava nella paura quando si trattava del confronto con gli altri, o persino nella rabbia quando Lovino non sapeva più cosa dire o dove nascondersi.

Ma non avrebbe più dovuto farlo, adesso, perchè ci avrebbe pensato Antonio a lui.

Gli sarebbe rimasto attaccato come una calamita senza lasciarlo andare neanche per un attimo.

Lo voleva, lo voleva da morire.

E se Lovino glie l'avesse permesso, Antonio sarebbe stato il suo appoggio, il suo amico, il suo amante, il suo pomodoro, il suo tutto, proprio come Lovino era l'appoggio, l'amico, l'amore, il tutto per lui...e il suo pomodorino, anche.

Antonio e Lovino, Lovino e Antonio, Antonio e Lovino, suonava sempre meglio e sempre più convincente a ogni scalino che il ragazzo superava.

Alla fine arrivò in cima e davanti alla porta di ferro che dava sulla terrazza, si concesse solo un breve istante per respirare profondamente.

Lì, con una mano sulla maniglia e l'altra a strizzare il maglione all'altezza del cuore, lo spagnolo non riusciva a smettere di sorridere.

Era un sorriso genuino, uno di quelli che ti fanno tremare le labbra e che proprio non ce la fai a nascondere.

Uno di quelli che ti senti nascere da dentro, che esplodono da un momento all'altro e che lasciano un segno indelebile e profondo, per sempre.

Un brivido di attesa mozzò il respiro ad Antonio nel preciso momento in cui fece pressione sulla maniglia e spalancò la porta. Subito, davanti a lui, vide la figura di Lovino, in piedi di schiena appoggiato al bordo della terrazza.

“Lovi!” lo chiamò, iniziando ad andargli incontro a passo spedito.

L'altro sobbalzò per la sorpresa, voltandosi immediatamente. Dalla faccia che fece, Antonio riuscì a figurarsi l'arrivo imminente di un cazzotto volante diretto in pieno contro di lui. Nonostante questo non si fermò e andò avanti verso Lovino con ostinazione, pronto a tutto, sempre col sorriso sulle labbra ma iniziando a stringere gli occhi all'idea del pugno.

Neanche la visione di Lovino che iniziava ad andargli in contro ebbe il potere di fermarlo; ormai, anche se i secondi scorrevano a rallentatore come in un film, era come un treno lanciato a tutta velocità...un treno coi freni rotti che stava per schiantarsi contro un masso molto duro.

 

Un passo di Lovino,

Antonio quasi saltava,

un altro passo di Lovino,

Antonio allargò le braccia,

un mezzo passo ancora,

ormai erano vicini,

Lovino si fermò di botto,

“ecco lo schianto” pensò lo spagnolo,

Lovino si piantò sul posto con le braccia ben dritte, tese in avanti.

 

E certo fu una bella botta, la migliore che Antonio avesse mai sperimentato, la più forte, la più sentita, la più dolce.

Perché Lovino aveva aspettato che gli arrivasse a qualche centimetro di distanza prima di spingerlo a terra; ma, chissà come, le mani gli erano rimaste attaccate al petto di Antonio quasi fossero state incollate, e così erano caduti tutti e due come birilli, lo spagnolo di schiena e l'altro sopra di lui con tutto il suo peso.

E nella breve frazione di secondo prima di toccare il pavimento, i riflessi di Antonio avevano agito nel modo giusto, facendogli stringere forte contro di sé l'adorato ragazzo. Certo, più che un abbraccio convenzionale era stato un giro sulle auto-scontro, ma accidenti se non era stato emozionante!

Antonio se ne stava così, sorridente e con gli occhi socchiusi come un bambino a cui hanno appena regalato un lecca lecca, le dita ben affondate sulla schiena di Lovino, ma immobili in quel piccolo momento di estasi. Neanche se l'altro l'avesse baciato! Neanche se gli avesse detto...

“Non è vero che ti odio”

Già, neanche se...un momento! Questo Lovino l'aveva detto davvero!

Piano piano, con la voce appena percettibile eppure in modo abbastanza distinto, il viso affondato contro lo sua spalla, l'aveva proprio detto, e ora lo ripeteva, con un'ansia abbastanza marcata che trapelava da ogni parola.

“Hai capito, mi hai sentito? Io io, non è vero che ti odio”

Un peso gigantesco svanì di colpo dentro Antonio come neve buttata in un caminetto acceso.

Era un sollievo di tale intensità che il ragazzo riuscì a percepire la tensione accumulata scivolargli via a tutta velocità, lasciandolo felice come non mai ma anche incredibilmente provato, tanto che la sua presa su Lovino si allentò un po'.

“Ah, meno maleeeeeeee” disse, con un sospiro sentito, “meno male che non mi odi, perchè io ti amo”

In quel preciso istante Lovino alzò il busto con uno scatto, issandosi sulle mani appoggiate al torace di Antonio. Lo spagnolo non riuscì a trattenere un piccolo spasmo, perchè in effetti con tutto quel peso addosso non ce la faceva proprio benissimo a respirare.

“Che hai detto?” gracchiò.

“Ho detto” tentò Antonio, ma, rendendosi conto che così non ce la faceva a parlare, dovette mettersi a sedere e allontanare un pochino da sé l'altro con sommo dispiacere (tanto contava di riabbracciarlo di lì a poco).

“Ho detto che ti amo” gli disse, serenamente.

L'espressione del più giovane rimase immutata; gli occhi erano fissi e seri, la linea della bocca sottilissima e le sopracciglia un po' corrucciate.

Eppure, lentamente e con gran compiacimento dello spagnolo, un certo rossore gli si diffuse su tutto il viso, non tralasciando nemmeno il più piccolo angolo.

Antonio era talmente intento a godersi quello spettacolino che non notò neanche la mano di Lovino, prima portata pian piano verso l'alto, ora ferma in aria da qualche secondo. Quando però quella mano gli si abbatté sulla guancia in uno schiaffo tanto violento da fargli girare la faccia dall'altra parte, Antonio temette che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite per il colpo e per la sorpresa.

Era un rifiuto!

...Un altro!

Eppure...eppure, anche se proprio Lovino avesse voluto respingerlo per la seconda volta, che bisogno c'era di arrivare alle mani? Adesso Antonio stava iniziando a sentirsi seriamente urtato; capiva che l'amore potesse benissimo non essere corrisposto, ma un po' di rispetto per i suoi sentimenti sentiva di meritarselo.

Portandosi una mano sulla guancia colpita, che bruciava, ma non quanto l'orgoglio ferito, tornò a fissare Lovino più sconvolto che mai.

“E adesso questo perchè?!” gridò quasi, dispiaciuto e anche irritato.

Certo, si era mentalmente preparato a una dose di violenza fisica, sicuro che neanche quella l'avrebbe fermato, ma sotto sotto aveva sperato di sbagliarsi. Senza tralasciare che i fatti contavano di più della sua immaginazione, e che uno schiaffo reale era molto peggio di una testata immaginaria.

“Te lo sei meritato! E' perché ieri sera sei sparito senza neanche una parola, deficiente! Quanto ti costava dirmi che andavi via, figlio di puttana?!” urlò l'altro, massaggiandosi la mano destra con la sinistra.

Antonio pensò che evidentemente il colpo dovesse essere stato così forte da far male anche a lui.

“E se non ti davo questo ceffone adesso...” continuò Lovino, con voce rotta e agitata, “se non te lo davo adesso e tu andavi avanti così, poi non avrei più potuto schiaffeggiarti dopo, ecco perchè!”

Le ultime parole le aveva ruggite con un tale senso di sconfitta che Antonio si sentì disorientatissimo e, nel vedere gli occhi bassi e il volto quasi sofferente di Lovino, la sua esasperazione scemò di colpo.

In un momento molto confuso, allo spagnolo sembrò quasi di essere lui quello nel torto e che l'altro fosse nella ragione.

Perché era come se a ricevere un ceffone fosse stato Lovino, e perchè ad Antonio sembrava di essere stato proprio lui a infliggerglielo?

“Non potevi schiaffeggiarmi dopo se io andavo avanti così? Ma così come?” chiese incerto, grattandosi la testa.

Lovino lo fissò con odio mordendosi le labbra e scoppiò in un mugolio frustrato.

“Così, così, così, a dire che mi ami!” disse, muovendo le mani in grandi cerchi, come se parlare in quel modo gli costasse tantissimo.

Antonio mise su un broncio sinceramente triste, ma andò avanti con cocciutaggine; infondo Lovino aveva detto che non lo odiava, quindi adesso voleva proprio capire perchè non potesse amarlo.

“E non ti va bene se dico che ti amo?”

“SI CHE MI VA BENE!” scoppiò l'altro.

Per qualche secondo quella frase riecheggiò nell'aria, lasciando stupiti entrambi i ragazzi. Mentre Lovino si tappava la bocca e stringeva gli occhi che si erano fatti lucidissimi, Antonio per poco non si sentì svenire dalla felicità, e già stava per prendere tra le braccia Lovino, se non che questo aggiunse sommessamente:

“Mi va bene, ma volevo comunque togliermi la soddisfazione di dartelo, quello schiaffo”

Aww. Sempre sincero come un bambino, il suo Lovi.

Sempre dolce-amaro come un pomodoro pachino.

“Adesso ti senti abbastanza soddisfatto da questo punto di vista?”

Antonio aveva parlato in tono scherzoso ma con un certo intento di sondare il terreno, perchè veramente si era stufato di ritrovarsi pieno di more.

“Sì, abbastanza soddisfatto” mormorò l'altro.

“E quindi potrei abbracciati come si deve ora, che ne pensi?”

Non desiderava altro, non voleva altro.

Be', forse qualcos'altro Antonio lo voleva: voleva Lovino, lo voleva tutto e tutto per sé. Adesso. E magari era ricambiato, perchè accidenti, “si che gli andava bene”, aveva detto lui.

Il più giovane abbassò la testa, iniziando a torcersi le mani. Per qualche secondo non disse nulla, ma quando tornò a fissare gli occhi verdi in quelli di Antonio, lo spagnolo si assicurò di farsi trovare da Lovino con un bel sorriso incoraggiante stampato in faccia e a braccia aperte.

“Se non...se non mi abbracci subito ti spezzo il collo” gli disse in fretta.

Antonio non se lo fece ripetere due volte, andando subito ad avvolgere l'altro in un abbraccio, il migliore che riuscisse a regalargli; provò a metterci dentro un po' di tutto: l'amore forte e passionale che provava per lui, l'affetto tenero e instancabile, la buffa curiosità per quelle sue reazioni esplosive che si, erano imprevedibili, ma che gli davano una soddisfazione indescrivibile se poi l'esito era quello.

Quando sentì Lovino rilassarsi completamente in quella stretta, gli appoggiò il viso sulla spalla, cercando di annullare ogni minima distanza che era rimasta tra loro, sia fisica che psicologica.

Piano, si accomodò per bene attaccando la propria guancia all'orecchio dell'altro, che era ardente come un tizzone appena tolto dal fuoco.

“E' difficile” disse piano, “perchè ci complichiamo le cose da soli, io e te”

A quella affermazione sentì Lovino diventare di marmo contro il suo petto.

“Cazzo vuoi, io sono fatto così” iniziò infervorato, “sono difficile, e se non ti sta bene puoi andartene af...”

“Ma a me vai benissimo come sei fatto, sennò non ti amerei” lo interruppe Antonio, scandalizzato.

Era chiaro che stravedeva per lui, no? Era ovvio.

Oppure per Lovino non era mai stato ovvio?

Forse per lui ottenere l'amore di qualcuno non era mai stata una cosa ovvia.

“Quello che volevo dire è che se ci complichiamo le cose da soli...magari insieme funzioniamo bene, no? Io e te, insieme. “Antonio e Lovino”...funziona! E' bello...dio, quant'è bello!” disse con impeto, stringendolo più forte.

“Non ha senso” fu la roca risposta di Lovino.

Ma le sue mani erano andate a stringere il maglione di Antonio sui fianchi, cosa che aveva causato una sorta di shock elettrico allo spagnolo, che stava iniziando a temere la fusione del proprio cervello, visto che gli pareva di vedere fiorellini e cuori volare per aria.

Doveva dirglielo, l'effetto che gli faceva! Così Lovino avrebbe capito che lo rendeva felice, e che il suo essere oggetto d'amore gli faceva meritare ancora di più il ricevere un po' di amore.

“E' insensato, però è vero. E' proprio vero che io ti amo. Tu mi fai vedere i fiori e i cuoricini...”

“Che cazzo dici?! Stai delirando?”

“Forse sì, ma ti amo” affermò Antonio con convinzione, annuendo con la testa, per quanto riuscisse a muoversi, incastrato com'era con Lovino.

“Ti amo...io ti amo”

Lo disse più sommessamente ora, ripetendolo come una cantilena, iniziando a cullare il ragazzo che aveva tra le braccia.

Fatti amare Lovino, fatti amare da me, era la muta preghiera che esprimeva in ogni suo singolo respiro.

“Io ti amo” ripeté.

L'altro esplose in un sospiro spezzato che sembrava quasi umido, quasi carico di lacrime, come se l'avesse trattenuto fino a quel momento. Spostò il viso di lato per non farsi vedere, alzando il naso per aria, mentre al posto delle parole gli uscivano dalla bocca respiri irregolari.

“Piantala adesso, bastardo” riuscì a brontolare alla fine, “o dovrò picchiarti di nuovo. Dici cose...proprio insensate”

“E che importa? A dir la verità, è un periodo che la gente non fa che dirmi che faccio cose insensate, ma io non posso farci niente e non credo che...”

Improvvisamente Lovino rizzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, niente segni di commozione sul viso se non il rossore delle guance.

“In effetti sto aspettando le tue scuse, e ho intenzione di ottenerle” sentenziò. “Scuse sincere però, e non cazzate buttate lì tanto per dire. E senza girarci troppo intorno, voglio che ti scusi per...”

Ma lasciò la frase in sospeso, per poi affondare la testa contro il petto di Antonio in un gesto rapido e un po' violento.

Una testata, insomma.

“Per avermi fatto prendere un colpo...e che cazzo, andartene via di notte così, stupidamente! E poi chi è questo tuo amico di cui mi ha parlato Feliciano, eh? Idiota!”

Ah, quindi era quello il problema...

Antonio sorrise, sornione come un gatto, osservando il proprio riflesso negli occhi di Lovino, mentre ancora il suo mondo era tutto margherite e dolcetti.

“Allora sei geloso, Lovi! Ma non ti preoccupare, Francis è solo un vecchio amico per me...”

“Ma che geloso! Che geloso!” urlò l'altro.

Dato che erano così vicini, la sua voce trafisse i timpani dello spagnolo, ma questo non gli impedì di tenere salda la presa su Lovino che tentava di divincolarsi dalle sue braccia.

“Non è una stupida questione di gelosia...fottuto, fottutissimo bastardo!” ringhiò, e adesso ogni sorriso era di colpo svanito, e l'ombra dell'ennesima incomprensione aleggiava tra loro come i nuvoloni che si stavano addensando nel cielo.

Ma che Antonio non aveva notato, tanto era preso da quello che stava succedendo e che rischiava di sfociare in una nuova discussione.

“Come fai a essere così ottuso, eh? E' una cosa quasi inumana! E lasciami andare, lasciami, cazzo!”

Con uno strattone deciso il ragazzo indietreggiò di un paio di passi, ma così come si era allontanato, Antonio lo riportò a sé prendendolo di slancio.

In un gesto insolito per lui, incrociò a forza le braccia di Lovino dietro la sua schiena e gli chiuse i polsi con le proprie mani, quasi gli avesse messo le manette.

Detestava comportarsi in quel modo.

Aveva sempre aborrito l'idea di forzare qualcuno, e adesso che stava costringendo proprio Lovino a rimanergli attaccato, si sentiva un verme. Ma era deciso, fermo come non mai. Non ce la faceva più con tutte quelle brusche svolte nella loro relazione, che ancora, a pensarci bene, non era nemmeno cominciata, ma che già l'aveva fatto soffrire come un cane.

Stava male perchè non era possibile non stare male se la persona a cui hai donato il tuo cuore non fa che sbatterlo a destra e a sinistra.

Antonio era sicuro però che Lovino non volesse tutto ciò; non aveva intenzione di ferirlo, ne aveva avuto la riprova poco prima, forse voleva addirittura stare con lui, ma non potevano andare avanti così.

A quanto pareva Antonio continuava a fare lo stesso errore con quel ragazzo: continuamente lo faceva soffrire e di conseguenza, e pure giustamente, Lovino se la prendeva con lui. Dovevano chiarirsi, dovevano proprio farlo e non c'era tempo da perdere; ancora Antonio sentiva nella testa l'assillo delle voci che aveva sognato quando era svenuto a casa di Francis...quelli erano sicuramente ricordi, ed erano lì, sul punto di tornargli alla mente e...

E un tuono in quel momento rimbombò nel cielo, facendo scattare contemporaneamente due teste verso l'alto.

Se quello non era un avvertimento, Antonio non era più Antonio.

Lo spagnolo riportò lo sguardo su Lovino; uno serio e l'altro con una strana espressione tra l'allarmato e l'infuriato, si fissavano, i volti vicini, separati solo da un fitto muro di tensione.

“E' vero che non capisco, è vero! Allora dimmelo tu che cosa c'è che non va, Lovino, perchè io non ci arrivo, e di questo ti chiedo scusa!” fece Antonio.

“Ti chiedo scusa anche per essermene andato da casa tua senza avvertirti, ma tu fino a un minuto prima eri in collera con me ed ero convinto che non volessi vedermi! E poi anche io ero molto triste, e confuso e...e c'era Francis che...ma questa è un'altra storia”

Quando aveva pronunciato le parole “triste e confuso”, l'espressione del più giovane si era fatta di colpo stordita, e Lovino aveva dischiuso le labbra con sconcerto, come se quella confessione non se la fosse proprio aspettata. Antonio lo notò e, per quanto agitato, fu felice di essere riuscito a fargli percepire almeno un po' il potere che aveva su di lui.

“Poi ti chiedo scusa un'altra volta se sono stato un idiota imperdonabile” riprese tutto d'un fiato, “ma sono sicuro che questo non ti basta, non è così? Quindi devi dirmelo qual'è il vero problema, se non lo fai non saprò mai cosa...”

“E' che ti sei sempre comportato così con me, non solo ieri sera! E' questo il problema, sei contento adesso?!” sbraitò Lovino, scuotendo forte la testa. “Tutte le volte, tutte le volte...tu sei sempre sparito senza dirmi niente! Quando Feliciano mi ha detto che te n'eri andato, ma che non aveva visto con chi, che cosa avrei dovuto pensare? Con tutto quello che sta succedendo, che cosa avrei dovuto pensare?”

Antonio liberò piano i polsi del ragazzo, che aveva abbassato di colpo la testa per nascondere le lacrime di rabbia spuntate agli angoli degli occhi.

“Quella volta che ti ho aspettato davanti al liceo di mio fratello per ore, quell'altra volta che ho aperto la porta di questa terrazza e non tu c'eri più...è ovvio che ho creduto subito che te ne fossi andato di nuovo, come hai sempre fatto! E io non lo sopporto!” urlò forte, “non lo sopporto! Non ce la faccio...” concluse poi, con una disperazione disarmante.

Antonio vide l'immagine di Lovino annebbiarsi davanti a lui di colpo. Solo dopo qualche secondo si rese conto che era a causa di uno spesso velo di lacrime, che gli erano salite silenziose agli occhi, e bruciavano e scalpitavano per uscire fuori, dopo averlo allagato di tristezza dentro.

Sapere di aver fatto tanto male a Lovino era sconvolgente.

Poteva immaginarselo lì da solo, sotto la pioggia, che aspettava lui, come in disparte aveva sempre aspettato la carezza amorevole del nonno...ma niente era mai arrivato in tempo per Lovino, e i suoi anni erano stati costellati di delusioni su delusioni.

Antonio, proprio Antonio che lo amava, con tutte le sue apparizioni e sparizioni improvvise gli aveva forse stravolto la vita...e non era stato in senso positivo.

Invece lui fino a quel momento si era curato solo di se stesso.

Della sua indagine misteriosa, di capire come fosse evoluta la propria vita, di conoscere quel ragazzo che lo affascinava tanto; aveva pensato di portargli del bene, di farlo sorridere, era vero anche questo, ma non poteva negare che presto si era egoisticamente dedicato a costruire un rapporto con lui, senza tenere conto dei giorni che si accumulavano intanto per Lovino, degli anni che passavano.

Pensare che glie l'aveva pure detto, quella volta sotto l'ombrello giallo! Gli aveva pestato il piede e gli aveva detto che l'aveva aspettato per tanto tempo...quanto era stato idiota.

E dopo tutti quei pensieri, l'unica cosa che Antonio riuscì a mettere insieme fu:

“Mi dispiace tanto, non l'ho fatto apposta”

La sua voce suonò patetica al suo stesso orecchio, e ovattata come quella di chi si è fatto un grande pianto, quando invece lui non faceva che perdere acqua dagli occhi lentamente, come il sangue che sgorga piano da una ferita.

La cosa più brutta fu che Lovino non volle nemmeno guardarlo e si allontanò da lui, portandosi una mano alla fronte con aria stanchissima.

“Non avrei mai voluto costringerti ad aspettarmi” gli gridò dietro Antonio, nel tono roco, chiuso e sforzato di quando aveva un forte raffreddore.

“Eppure l'hai fatto” soffiò Lovino. “Non ho fatto che aspettarlo di giorno in giorno, cercandolo quando ho saputo dove abitava, girando a vuoto per la città...senza poi trovarlo mai...quello stronzo che appariva solo ogni tanto e mai per più di un giorno...quel bastardo che spariva senza dirmi nulla...l'uomo di cui non potevo parlare con nessuno, l'uomo che sono arrivato a credere frutto della mia fantasia...l'uomo a cui ho dato il mio primo bacio”

Antonio si sentì morire.

Per chiunque parlare in quel modo, mettersi a nudo così, sarebbe stato difficile; poteva solo immaginarsi cosa significasse per Lovino.

Asciugandosi in fretta gli occhi, “ti prego, scusami, non continuare a scappare da me” era quello che avrebbe voluto dire.

Ti prego, scusam...” furono le parole che riuscì invece a pronunciare, prima che una serie di tuoni si succedette con un gran botto, e il cielo si colorasse come se fossero esplosi sinistri fuochi d'artificio.

Solo in quel momento i due ragazzi parvero notare i nuvoloni di pioggia, fitti e grigi e tanto vicini che sembrava si potessero toccare.

Allora si guardarono, Antonio e Lovino, stravolti e tutti e due con gli occhi arrossati, e Antonio fece per raggiungere l'altro accanto alla porta verso la quale si era avvicinato, e al suo passo anche Lovino si mosse, e si corsero incontro nonostante tutto, e Antonio gli portò le mani alle spalle e Lovino gli afferrò le braccia, un'espressione di orrore dipinta sul viso.

La porta” farfugliò velocemente, “Antonio la porta è bloccata, è chiusa da fuori”

Ma io, io sono entrato” rispose lui, che non capiva ma percepiva il panico e la confusione del più giovane.

Ti dico che la porta si è bloccata, si apre solo dalla parte delle scale, non si riesce ad aprire dall'esterno, sono ore che sono chiuso qui e provo ad aprirla ma quando sei entrato tu non l'hai tenuta e si è richiusa e adesso non si riaprirà, Antonio!”

Lo spagnolo volò verso la porta, le pupille grandi come due limoni, e iniziò a strattonare forte la maniglia da tutte le parti. Lovino gli era arrivato subito dietro e gli aveva afferrato la schiena, cercando ti tirarlo via.

E' inutile Antonio, cazzo, ti dico che è inutile, e sta per piovere cristo santo, andiamo in ascensore, sbrigati, vieni via di li”

Antonio si voltò sconvolto più che mai, gli occhi fuori dalle orbite.

Non ci posso entrare lì” disse, con una calma apparente tradita dal viso stralunato.

Dai non fare lo stronzo, l'ascensore ci metterà due minuti ad arrivare al piano terra, resisterai, e piantala con questa cazzo di storia della claustrofobia!”

Non posso, non posso” disse, scuotendo la testa, ma improvvisamente il fisico si era fatto molle, e la consapevolezza di essere rimasto fregato gli arrivò come un pugno nello stomaco.

Se Antonio non avesse preso l'ascensore, la pioggia l'avrebbe colto in pieno, proprio come aveva fatto l'altra volta.

Ironia della sorte, la situazione si era ripresentata esattamente nelle medesime condizioni.

Era un punto di svolta, dunque.

Nel 1998 si era fatto trascinare via dalla pioggia, lasciando dietro la porta un bambino che, ormai lo sapeva, l'avrebbe aspettato con tristezza per anni.

E allora, allora...forse avrebbe potuto rischiare.

Sta volta, avrebbe potuto rischiare.

Per Lovino, avrebbe potuto rischiare.

Per Lovino, avrebbe rischiato.

“Corri” gli disse allora Antonio, prendendolo per mano perchè solo così avrebbe avuto la forza per chiudersi lì dentro.

In due passi arrivarono all'ascensore, Lovino si buttò sul pulsante per chiamarlo mentre teneva spasmodicamente l'altro ragazzo schiacciato contro il muro, nel tentativo forse di ripararlo dalle gocce, che potevano iniziare a cadere un momento all'altro. Antonio intanto si sforzava di non pensare, di rimanere col sangue freddo, di materne la coscienza lucida. Di sicuro gli sarebbe stato di grande aiuto concentrarsi esclusivamente sulla cosa più concreta della sua vita: Lovino. Fu questo a spingerlo dentro quando le porte dell'ascensore si aprirono, fu questo a dargli un coraggio enorme.

Ma già sentendosi attanagliato da un orrore sordo, gli sembrò che tutto stesse avvenendo pianissimo, e che la sua concezione del tempo si stesse dilatando, come gli succedeva sempre quando si sentiva male.

Lovino tirò intanto un sonoro sospiro di sollievo, ignaro di tutto, e con la mano ancora stretta in quella di Antonio. Contemporaneamente lo spagnolo inspirò forte, le porte d'acciaio che si avvicinavano tra di loro, lente davanti a lui.

Sempre più vicine, sempre più ristretta la visuale della terrazza, sempre più sottile il mondo al di là di loro, sempre più piccolo lo spazio in cui si trovavano.

E le porte si chiusero.

Antonio trattenne il fiato.

All'inizio gli sembrò che tutto andasse bene.

Accidenti, era stato facile, avrebbe potuto farcela! Se l'avesse saputo non ci sarebbero stati tanti problemi, già si stava girando per sorridere a Lovino, oh, era un sacco di tempo che non saliva in ascensore, quasi non ricordava più quando fosse stata l'ultima volta...

...Non...non lo ricordava?

Il ragazzo si sentì improvvisamente la testa pesante, gli occhi fissi su l'altro che premeva il pulsante per scendere al piano terra. E non appena appoggiò il dito su quel piccolo cerchietto con uno “0” scritto sopra in rilievo, un suono segnalò che la destinazione era stata decisa.

Un tintinnio innocuo, che la gente nemmeno nota più quando fa questo genere di cose. Un “tin” che fece rabbrividire di colpo Antonio, come se qualcuno gli avesse appena versato sulla schiena un secchio pieno di ghiaccio.

La nausea lo attanagliò subito alla bocca dello stomaco, un formicolio forte e spiacevole, mentre la sensazione che quel suono significasse qualcosa di brutto, di molto brutto, lo invadeva lasciandolo spossato.

Tutto successe nel giro di un secondo, giusto il tempo che Lovino si voltasse dalla sua parte e Antonio si sentì come se gli avessero dato una forte botta in testa.

Immediatamente barcollò all'indietro quasi fosse stato un ubriaco, andando subito ad incontrare con la schiena la parete dell'ascensore, e lì scaricò tutto il suo peso.

Sentiva di non riuscire più a reggersi in piedi; nelle orecchie gli fischiava il tintinnio di prima, che un po' era proprio lo stesso, un po' era un suono lontano, appartenuto a una situazione che era certo di aver già vissuto da qualche parte nel suo passato.

Nonostante tutto, Antonio seppe che Lovino era accanto a lui, che gli stava toccando il viso, che lo chiamava. Almeno ce l'aveva vicino in questo momento.

Ce l'aveva vicino ma non riusciva a dirgli niente, e questo era...

Era successo un'altra volta, sì, ne era sicuro...era successo proprio così, lui l'aveva avuto vicino, avrebbe voluto parlargli, quella volta, ma non c'era riuscito...piangeva a terra, quel bambino, prostrato sul pavimento, poi aveva alzato la testa, e quei suoi occhioni verdi, zuppi di lacrime...inondato di pianto anche il viso di Antonio...

Una cosa terribile, ma com'era stato possibile? Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Gilbert, lì dentro...che Gilbert non ci sarebbe più tornato, a casa loro, quel giorno...l'aveva detto Francis ai parenti dell'amico, i parenti tedeschi che non avevano voluto vedere Antonio, ma Antonio si era alzato dal letto e aveva origliato, aveva sentito tutto...erano usciti fuori, aveva detto detto Francis agli zii del tedesco, erano usciti, Antonio e Gilbert, mentre lui era rimasto a casa a...

 

 

Preparare la cena di post-Natale! La scusa più vecchia del mondo per non venire a crepare di freddo insieme al Magnifico e al suo schiavetto spagnolo!” aveva gracchiato Gilbert mentre scendevano le scale di casa loro.

Dai Gil, lo sai che ormai è una specie di tradizione che sia Francis a cucinare per noi quando festeggiamo. Poi sei stato tu a dirmi di uscire per cercare un regalo per tuo fratello, o no?” gli disse Antonio.

Certo che si, ma Francis poteva pure aggiungersi a noi, no?” gridò l'altro, scandalizzato.

Poi guardò Antonio con gli occhi carichi di una certa pietà, come a voler dire che provava compassione per gli esseri dalla mente inferiore come la sua.

Insomma dai, Antonio, un po' me l'aspettavo...va bene, ero abbastanza sicuro che dopo la mia proposta superlativa pure il frocetto francese sarebbe venuto insieme a noi, e invece mi ha rovinato i piani! Che stronzo”

Lo spagnolo guardò Gilbert sbattendo le ciglia con enfasi mentre buttava le chiavi di casa nella cassetta della posta come facevano sempre.

Aww, ti sarebbe piaciuto che fossimo andati tutti e tre insieme a fare compere...ma quanto sei tenero, Gil!”

Piuttosto direi geniale, altro che tenero!” disse lui, portandogli un braccio intorno alle spalle, “In realtà non mi fido più di tanto del tuo buon gusto in fatto di regali, mio caro Antonio. E invece Francis, be'...lui è frocio ed è anche francese, non si può sbagliare per queste cose!”

Ma è anche positivo che non sia venuto, perchè sai, io...”

Antonio si fermò, schiarendosi la voce. Non era un argomento che gli piaceva sbandierare con gli altri, però sapeva che non c'era bisogno di vergognarsi con Gilbert, che era nella sua stessa identica situazione: tutti e due erano poveri in canna.

Io non ho ancora potuto comprargli nulla come regalo, magari posso rimediare adesso! Tu invece?” chiese alla fine.

E come cazzo facevo, Antonio? In realtà non ho preso nulla nemmeno per te, ma chissene frega, tanto a te non devo niente, basta l'affetto, no?”

Lo spagnolo scoppiò a ridere, perchè in effetti neanche lui aveva potuto acquistare qualcosa per l'altro, ma anche perchè gli era venuto il sospetto che...

Aspetta, non dirmi che Francis ha anticipato anche a te la rata dell'affitto di questo mese?” domandò, prendendolo per le spalle.

Gilbert lo guardò con gli occhi sgranati.

SI! Ha prestato i soldi anche a te?”

SI!”

Dopo un attimo di silenzio, i due scoppiarono a ridere sonoramente tendosi lo stomaco e sbattendo i piedi per terra, ma dopo poco il tedesco volò a tappare la bocca di Antonio facendogli segno di stare zitto, perchè stavano parlando sotto casa.

La verità è che siamo due poveracci e pure stronzi (io magnifico ugualmente anche in questa situazione, però), e Francis è un francese maledettamente ricco” soffiò Gilbert.

Non dimenticare di aggiungere che è anche un grande amico” disse Antonio, sorridendo.

Infatti non era sicuro che qualcun altro, per quanto ricco, avesse potuto essere così incredibile con loro come era stato Francis, che aveva praticamente pagato l'affitto per tutti e tre quel mese...e non era stata neanche la prima volta.

Magari oggi non la prendiamo la macchina, eh?” disse piano Gilbert, lo sguardo puntato sull'auto di Francis parcheggiata lì vicino.

Infatti l'unico dei tre ad avere la macchina era proprio il francese, e quindi quella veniva usata per gli spostamenti anche da loro.

Sì” concordò lo spagnolo, annuendo, “sì, almeno non gli consumiamo la benzina, sta volta”

Gilbert ghignò soddisfatto, blaterando qualcosa sulle sue idee che erano sempre le migliori, e tirò fuori dalla tasca del giaccone rosso una paio di guanti e un berretto dello stesso colore.

I guanti se li infilò lui, e Antonio dovette sforzarsi per non mettersi a ridergli in faccia: l'effetto visivo che faceva in quel modo, vestito di rosso e pallido come un fantasma, era impagabile.

Gilbert intercettò lo sguardo divertito dello spagnolo e gli infilò il berretto in testa, calandoglielo fino agli occhi.

Facciamo che ti regalo il mio cappello, per quest'anno! E quindi ho accontentato pure te, stronzetto! Mamma mia, sono troppo buono...santo Dio, sono così magnanimo che mi faccio quasi paura da solo!”

Antonio rise forte buttandosi addosso all'amico, felice e davvero grato di avere accanto a sé due persone tanto splendide.

Lui non aveva più nessuno in Spagna, e per tanti anni aveva creduto che le cose non sarebbero mai potute cambiare. Invece poi aveva trovato quasi per caso Gilbert e Francis, tutto aveva avuto un nuovo senso e lui aveva guadagnato due fratelli...

Sono o no troppo magnifico per essere vero?”

Lo sei, Gilbert, lo seiiiiiiiii!”

Se ne andarono così, Antonio e Gilbert, parlando a voce alta e ridendo,

 

verso il centro commerciale,

 

a piedi.

 

 

Esattamente, a piedi.

C'era qualcosa di strano in questo, qualcosa di fuori posto...un dettaglio che non tornava. Tuttavia, proprio come le voci inquietanti della volta prima, non si era trattato di un semplice sogno...quello non poteva che essere un ricordo.

Lo era, era vivido e doloroso e Antonio, semi cosciente mentre Lovino lo trasportava dalla macchina fin dentro casa, aiutato da Feliciano, si chiese come avesse fatto a dimenticare proprio quella cosa.

Come aveva potuto...?

Erano stati quelli i minuti prima che succedesse tutto, prima che la sua vita cambiasse radicalmente e che Gilbert non ne facesse più parte...prima che morisse. Era un ricordo del 28 Dicembre 1995, Antonio ne era certo.

Ed era una certezza spaventosa che non poteva negare; il suo cuore glie lo diceva, non si stava sbagliando.

Ma nonostante questo, non riusciva proprio a capacitarsi di come avesse fatto a mettere da parte la risata di Gilbert sotto casa, l'affitto pagato da Francis, i guanti e il cappello rosso. Di come avesse potuto dimenticare...dimenticare che...

Confusamente, Antonio si accorse che non erano solo i suoi pensieri a singhiozzare: stava piangendo come un bambino, il viso sepolto in un cuscino morbido. Quando riuscì a trovare la forza di alzare la testa, si rese conto di essere nella disordinata camera di Lovino, steso sul suo letto. E accanto c'era proprio lui, seduto in un angolo ai piedi del materasso, che lo guardava con gli occhi verde pistacchio carichi d'ansia.

“Stai bene? Come stai? Che è successo?” gli chiese a raffica, sporgendosi un po' verso Antonio.

Il cuore dello spagnolo mancò un battito. Passandosi rapido una mano sul viso, si mise a sedere anche lui, avvicinandosi a Lovino.

Per fortuna che era lì. Per fortuna che c'era.

“Io...” iniziò Antonio, ma dovette fermarsi perchè la sua voce era così rotta e sofferente da spaventare persino se stesso.

“Non ti sforzare, hai un aspetto terribile...fai schifo” disse Lovino, tentando di nascondere le labbra che tremavano e puntando lo sguardo sul piumone. “Non lo sapevo che saresti stato così male in ascensore...sei caduto come...come un birillo” aggiunse, afflitto.

Il tono era sommesso e dispiaciuto, quasi come se Lovino stesse provando a chiedergli scusa o a giustificarsi o comunque a dire qualcosa di carino. Se Antonio non si fosse sentito uno straccio, gli avrebbe volentieri mostrato il più grande dei suoi sorrisi.

“Non ti preoccupare Lovi” riuscì a gracchiare, “se non fossi entrato lì, ti avrei perso di nuovo. Era l'unica cosa da fare. Dimmi una cosa, poi...non ha piovuto, vero?”

L'altro lo guardò in modo strano, piegando un sopracciglio. Antonio notò che anche lui non aveva un aspetto molto sano, soprattutto per via degli occhi gonfi e pesti.

“No, alla fine non ha piovuto”

Lo spagnolo piegò le labbra in un sorriso compiaciuto. Ormai aveva intuito...stava venendo a capo di tutto.

“Lo sapevo...vuol dire che è stata la scelta giusta. Credo che...credo proprio che sarei dovuto entrarci per davvero prima o poi, in quell'ascensore”

“Perché dici così...?”

Lovino gli si avvicinò ancora di più, con fare agitato, il viso provato come se si stesse sforzando ti trovare le parole giuste da dire.

“Che cosa...che cosa hai visto che ti ha fatto piangere in quel modo, poco fa?”

Antonio sospirò involontariamente, affondando poi la schiena sulla spalliera del letto.

“Non avevo ancora avuto modo di parlarne bene con te...avrei dovuto farlo prima, però. Credo di aver capito che tutti i miei salti nel tempo siano stati...una specie di percorso attraverso cui, oltre ad aver conosciuto te...” disse, guardandolo con tenerezza, “...ho anche ritrovato alcuni pezzi di me...che mi ero perso per strada. Ci sono delle cose che sembra io abbia dimenticato, cose che devo ricordare e poco fa ho rivissuto un momento particolare, che mi ha fatto chiarire un punto fondamentale...ti avevo parlato del mio amico morto in un incidente d'auto, Gilbert”

Lovino annuì con serietà, avanzando ancora un altro pochino verso Antonio. Ormai non c'era più spazio per sedersi oltre, tanto gli stava vicino.

Ti avevo detto di come io non sapessi esattamente cosa fosse successo” riprese Antonio, e più spiegava tutto all'altro, più la situazione sembrava chiara anche a lui, “...scommetto che è proprio su questa storia che devo “fare ordine nel mio cervello”, come mi ha detto...qualcuno. Io di quella intera giornata non ho mai ricordato neanche un minuto, almeno fino a poco fa. Però c'è qualcosa che non mi torna e devo subito chiamare Francis per chiedergli se...”

Ma in quel momento Lovino allungò una mano e la appoggiò delicatamente all'altezza del cuore di Antonio. Era stato una sorta di gesto per fermarlo, ma di un'intensità tale che lo spagnolo sentì formicolargli lo stomaco. Era lieve, quella mano, e se Lovino non l'aveva bloccato con una testata, significava solo che gli aveva voluto far capire l'importanza della sua richiesta.

Chiamalo domani, questo Francis”

Non era un ordine, ma neanche una pretesa detta in tono patetico. Era un appello sentito, reale, sincero. Lovino gli stava chiedendo di rimanere lì con lui. Dopo le urla e le lacrime e gli sfoghi di prima, gli chiedeva di rimanere lì, quella notte.

Chiamalo domani perchè ho la sensazione che quando gli avrai parlato...te ne andrai per davvero, e sarà per sempre”

Antonio rimase profondamente colpito da quell'affermazione; anche Lovino quindi aveva percepito qualcosa, proprio come lui era stato preso da uno strano presentimento. Poteva leggerglielo negli occhi, brillanti nella semi oscurità della stanza, che era così.

Nonostante questo, non ebbe cuore di dirgli che condivideva la stessa paura: quella di doversi separare da lui una volta trovata la chiave per risolvere il mistero. Decise allora di far capire a Lovino solo quello che desiderava e per cui avrebbe lottato, onestamente e con tutto se stesso.

Ce la metterei tutta per non lasciarti, perchè non voglio farlo, vorrei stare per sempre con te...non so se potrò, ma è la cosa che vorrei di più al mondo e ci proverei fino all'ultimo...se solo tu me lo permettessi”

Allora l'altro staccò la mano dal suo petto, incerto, bloccandola a mezz'aria tra loro due.

E' quello che voglio anche io” bisbigliò.

Davvero?” si animò lo spagnolo, “Prima però mi hai fatto capire che la mia presenza ti ha fatto soffrire tanto”

E' la tua assenza che mi ha fatto soffrire, imbecille, la tua presenza mi ha sempre e solo fatto stare bene! Dopo tutti questi anni in cui ho perso tempo ad aspettarti, adesso che sei qua voglio tenerti con me...sennò sarei doppiamente un idiota, no?”

Persino nel buio, il viso del più giovane era acceso come una lanterna rossa.

Antonio era così felice che gli veniva da piangere. Era un tipo di gioia molto potente, che forse non aveva mai provato; era grande, enorme, infinita, ma allo stesso tempo c'era come qualcosa di triste dentro. Per evitare che la mente lo portasse verso scenari in cui era costretto da una tempesta a dover dire addio per sempre a Lovino, proprio ora che si erano finalmente trovati per davvero, Antonio coprì quei pochi centimetri che erano rimasti a separarli, buttandoglisi tra le braccia.

Che bello, allora” disse, sognante.

Il meglio arrivò quando Lovino incastrò il viso sulla sua spalla, passandogli poi le braccia sulla schiena, dove piantò le dita con decisione. Allora le mani di Antonio si mossero da sole andando a circondare i fianchi stretti dell'altro, e lì rimasero per un numero non definito di minuti, che avrebbero anche potuto benissimo essere giorni o anni.

Nel silenzio totale, pareva quasi che il calore avvolgente della loro vicinanza avesse una musica tutta sua, fatta dei loro respiri; quelli di Antonio erano profondi e lenti, stanchi ma sereni. Quelli di Lovino assolutamente irregolari, a volte impercettibili, altre volte veloci e mozzati. Sarebbero potuti rimanere così per sempre a cercare sincronizzare i loro respiri, ma non sarebbe servito a niente. Infondo, anche i loro cuori battevano a ritmi distinti e ben diversi, sconosciuti l'uno per l'altro, e il bello stava proprio nella reciproca scoperta.

Non si poteva semplicemente rimanere così, saggiandosi l'uno con l'altro, per sempre?

Devi proprio parlare con Francis...?” chiese a un certo punto Lovino, leggendogli nella mente, “Se scopri la verità c'è il rischio che tu ponga fine a tutto, lo sai”

Lo sapeva eccome.

Per qualche secondo, Antonio valutò seriamente l'idea di piantarla con la sua ricerca sovrannaturale di sogni, ricordi e strani avvenimenti. Ma cosa avrebbe fatto allora...sarebbe dovuto rimanere tappato in casa fino alla fine dei suoi giorni, per evitare le pioggia? Che vita avrebbe fatto vivere a Lovino?

Lovino, lui che, a detta di Jeanne, alla fine di tutto avrebbe ottenuto del bene...

Quindi il bene di Lovino dipendeva da Antonio. Bastò quello a schiarirgli le idee.

E' necessario che io vada fino in fondo” disse, consapevole di non essere in grado si esprimersi meglio di così...sperando che l'altro potesse intuire tutti i pensieri non detti che c'erano dietro.

Allora metticela tutta per non sparire un'altra volta, e quando avrai rimesso insieme i pezzi che ti eri perso per strada...torna da me e non farmi aspettare più, figlio di puttana”

Quanto lo amava Antonio, quel ragazzo imprevedibile, sboccato, difficile e stupendo.

“Preferirei che la smettessi di insultarmi gratuitamente, però” disse sorridendo, mentre faceva scorrere le mani sulla sua schiena per aggrapparglisi alle spalle.

Lovino venne scosso da un brivido, ma sembrò ben deciso a non far notare la cosa e a rimanere sulle sue ancora un po' più a lungo (proprio adorabile...).

Poi alzò il viso per poter guardare quello di Antonio, svettandolo con tutta la testa perchè si era messo in ginocchioni, e soffiò, abbastanza divertito:

“Ti rende triste che io ti insulti?”

“Un po'” ammise lui, evitando di aggiungere “tanto” solo per quel pochino di orgoglio che non riusciva a mettere da parte, se pensava che infondo lui era più grande di Lovino e si meritava del rispetto per questo.

“Conosco un modo efficace per tirare su di morale qualcuno...una tecnica francese” disse piano piano Lovino, rimanendo serio e senza un briciolo di malizia, ma rosso fino alla punta del naso.

Antonio per un momento credette di stare sognando.

“Mi v...mi vuoi baciare?!” incespicò.

“Lo dovevi proprio dire esplicitamente...? Solo perchè è quasi mezzanotte, comunque”

Allo sguardo interrogativo dello spagnolo, Lovino fece roteare gli occhi verso il soffitto, esasperando il gesto, anche se in effetti non poteva passare per scocciato quando sembrava uno che ha pianto per parecchie ore di fila. Ah, se non era amore...

“Siamo a fine anno! E' il trentuno Dicembre, no?” disse, con fare ovvio.

Antonio l'aveva dimenticato. Con tutto quel pensare agli anni, non aveva più fatto caso ai giorni...sorridendo, slacciò con delicatezza il polso di Lovino dalle proprie spalle per guardare il bell'orologio col cinturino nero del ragazzo.

“Non è più il trentuno...è appena passata la mezzanotte da tre minuti”

Il più giovane lo guardò con intensità, mordendosi un po' il labbro.

“Sei sempre in ritardo, vedi! Ma sta volta posso ignorarlo, se è solo per tre minuti. Comunque non montarti la testa, questo...questo lo faccio solo per assicurami che tu sia davvero qui, ora...e che non sia un sogno...buon anno nuovo, bastar...Antonio” mormorò, e gli si avvicinò al viso a piccoli scatti, tenendo gli occhi chiusi.

Prendendogli il volto tra le mani, come se avesse tenuto un qualcosa di fragile tra le dita, Lovino gli strofinò il naso sulla guancia. Poi, pianissimo, gli appoggiò le labbra un po' ruvide, anziché sulle sue, all'angolo della bocca...dispettoso fino all'ultimo.

Eppure era il massimo, e Antonio si godette per qualche attimo la sensazione più dolce del mondo, prima di piegare la testa e incontrare l'altro nel bacio tanto aspettato e voluto da entrambi.

Un bacio prima tenero come quello dato al bambino con le calze a fantasia di pomodori; poi sempre più dolce, dolcissimo, intenso alla fine, e carico di tutto l'amore accumulato in tanto tempo, di tutta la voglia di dare e ricevere, di conoscersi completamente, di aversi l'uno con l'altro, l'uno per l'altro, per sempre.

Poi, un groviglio di braccia e gambe e mani e labbra che si stringevano, senza volersi lasciare mai, senza vergogna, perchè tutto era vero e così giusto...forse erano nati, per quello.

Erano nati per aversi, Antonio e Lovino, e seppure tanti anni li avevano divisi dal momento del loro primo respiro, erano riusciti a scavalcare persino i giorni per ritrovarsi, finalmente, al punto giusto.

Nel buio di quella notte, sembrava aleggiare la sensazione che tutto sarebbe presto giunto a una conclusione.

Non c'era però nessuna paura, nessun brutto presentimento, adesso. Solo, nella stanza c'erano loro due.

“Buon anno nuovo, amore mio. Che sia il primo di tanti altri insieme” disse Antonio, anche se in qualche modo, tanti anni insieme li avevano già passati.

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti *-* premetto subito che non sarò più esplicita di così, perchè nel mio cervello, questo è il massimo con cui si può osare con questa storia :3 sin da quanto ho iniziato a idearla, avevo deciso che sarei sempre rimasta “sul vago” (xD) e in effetti per questo ho scelto il rating verde. Spero di non aver deluso qualcuno >w<

Comunque, il capitolo è più romantico di tutti gli altri, credo, e spero di essere riuscita a dosarmi, ma adesso serviva un po' di zucchero nel “melodramma”...anche perchè la prossima volta sarà finalmente l'ora delle rivelazioni >w<

A questo punto vorrei spendere due parole sul titolo della long; con “In time with you” volevo rendere l'idea di “nel tempo con te”, riferendomi ai viaggi nel tempo che Antonio fa, andando poi ad incontrare sempre Lovino...ho pensato che fosse un po' come se viaggiasse proprio insieme lui. Inoltre volevo anche esprimere il concetto “in tempo per te”, con riferimento a tutti gli anni in cui questi due si sono aspettati a vicenda, mancandosi magari proprio quando ne avevano più bisogno...arrivando in ritardo.

Be', non sono sicura di essermi espressa in un linguaggio comprensibile, ma per oggi non riesco a fare meglio di così (!? XD)

Ringrazio come al solito tutti voi che leggete, seguite e magari commentate anche, siete la spinta che ha permesso alla storia di arrivare fino a questo punto <3 alla prossima :3

   
 
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