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Autore: shotmedown    18/12/2011    3 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Cosa posso perdere, se decido di essere una
prostituta per un po' di tempo? L'onore.
La dignità. Il rispetto per me stessa. A ben pensare,
non ho mai avuto nessuna di queste tre cose.
Non ho chiesto io dinascere,
non sono mai riuscita a farmi amare,
ho sempre preso le decisioni sbagliate-ora
sto lasciando che la vita decida per me.

~ Paulo Coelho, Undici Minuti




“ Montréal?! ” sbraitai, scesa dal taxi. Vidi un sorriso a trentadue denti stamparsi sul volto di Jack, nel momento in cui aveva notato la mia espressione decisamente contrariata.
“ Non volevi andare a Sherbrooke... ”
“ Perché era a quattro ore da Boston! ”
“ Montréal è a cinque. ” Affermò soddisfatta Leah. Ebbi un certo moto di ira nei confronti di quei due. “ Hai sempre sognato di venire in Quebéc, e ora che ci sei ti lamenti. ” Dichiarò Jack. Gli lanciai un’occhiataccia per poi rivolgermi alle mie valigie.
“ Va bene. Questo te lo concedo, ma se mi ritrovo anche una sola formica di Boston nei paraggi prendo il primo autobus per Anchorage. ”
“ Non sopporteresti mai tre giorni e undici ore di viaggio, amica mia. ” Intervenne Leah, ammiccando.
“ Ma hai imparato a memoria ogni itinerario?! ”  annuì. In quel momento abbi la strana sensazione che intendesse seguirmi, seppur sapesse bene che non mi sarei mossa di lì. Portammo i bagagli dentro l’appartamento, esattamente nel centro della città.
“ Ah. Non ti ho detto una cosa...Domani sera andiamo in Rue Crescent! ”

Afflitta, cercai camera mia. Leah stava facendo di tutto per farmi distrarre, e anche se non glielo dicevo esplicitamente, la ringraziavo. Trovata una stanza di media grandezza, gettai la borsa sul materasso scoperto e lasciai le valigie sulla soglia. Era carina, anche se vuota. Presi da uno degli scatoloni una piccola tenda di tulle arancione, che si intonava perfettamente alle pareti beige chiaro e ne infilai i passanti nel bastone. Poi presi una sedia e, salitaci sopra, lo bloccai tra i due ganci attaccati al muro. Faceva il solito effetto, lo stesso ogni volta che veniva attraversata dai raggi del sole. Dopo circa dieci minuti dal nostro arrivo, ci armammo di detersivi e disinfettanti; quella casa sarebbe rimasta occupata un bel po’. Ad ognuno di noi fu affidata una camera, così da finire più in fretta.
Spolverai e pulii per bene l’armadio, attaccando sulle ante degli adesivi antitarme. L’indomani li avrei staccati, sperando che non ve ne fosse rimasta appiccicata neanche una. A fine giornata, la casa risplendeva. Io e Leah terminammo di pulire anche il salotto entro le nove di sera, giacché il giorno dopo entrambe avevamo un appuntamento di lavoro. Quando finalmente Jack ci lasciò sole, potemmo parlare liberamente.
“ Perché non hai accettato quell’impiego al giornale? ”
“ Sarebbe stato come schiacciare il pulsante ‘replay’. Magari un giorno riuscirò a voltar pagina. ”
“ Così disse una giornalista! ” capii troppo tardi la sua battuta. “ Scherzi a parte, sei davvero sicura di voler rinunciare alla scrittura per un banale lavoro da commessa? ”
“ Le recensioni sui libri e le interviste possono aspettare. Tu, piuttosto, sei pronta per il museo? ”
“ Sempre. Non vedo l’ora di iniziare a portare indietro nel tempo i canadesi! ”
“ Se tutto andrà bene, domani offro una birra a te e Jack. Promesso. ”
“ Mano sul cuore a destra? ”  
“ Mano sul cuore a destra. ” Ripetei.
 
Nonostante a quindici anni utilizzassi perennemente Google Maps per visitare Montréal, ora non ricordavo più nessuna strada. E non era una gran cosa, perché se avessi perso quel colloquio, addio lavoro, addio appartamento, benvenuta vita in strada. Cercai un cartello su cui fosse disegnata una mappa dettagliata della città. Se fosse stata così gentile da dirmi anche dove andare sarebbe stato molto meglio. ‘ E’ un fotografo, dove può trovarsi? ’ pensai. Infondo non dovevano essercene molti in città. Oggigiorno si facevano tutti foto da soli.
‘’ Excusez moi…’’   
‘’ Je ne parl pas français, désolé…’’ risposi, cercando di evitare una conversazione in quel momento. Non avevo per niente tempo. Sentii toccarmi una spalla, e voltandomi mi resi conto che a chiamarmi era una donna sui quaranta anni, vestita di un abito fin troppo leggero per il freddo che faceva lì. Tese una mano verso di me, cercando dei soldi. Avevo pochi spiccioli con me, ma non esitai a darle anche il mio pranzo. Tanto, se neanche ci fossi arrivata al colloquio, non mi sarebbe servito a nulla. Mi sorrise, dicendo qualcosa in francese e andò via. Mi guardai di nuovo davanti, cercando una strada familiare, ma niente. Inviai un sms a Leah per farmi scrivere la via, di modo che prendendo un taxi sarei arrivata prima. Perché non ci avevo pensato precedentemente?! Provai ad alzare un pollice in alto, come ero solita fare nella mia vecchia città, ma tutto ciò che ottenni fu una folata di vento abbastanza forte da farmi volare il fogliettino con il numero della stanza in cui sarei dovuta essere ricevuta dalle mani. Perfetto. Lo rincorsi fino ad un incrocio, ma quando stavo per gettarmi tra le auto qualcuno mi bloccò stringendomi due braccia intorno alla vita. Rimasi in una posa alla “ superman che spicca il volo ”.
“ Chi diamine sei?! Lasciami! ” gli sferrai una gomitata in pieno volto e solo quando mi girai mi resi conto che quel tizio lo avevo già incontrato qualche sera prima all’aeroporto. Si inginocchiò mantenendosi il naso, sanguinante ed ansimando per il dolore.
“ Stavi per rompermelo! ” mugugnò.
“ Ti prego, perdonami! Credevo fossi un malintenzionato! ”
“ Veramente stavo cercando di salvarti da quel camion in corsa! Prego, comunque. ”  
“ Scusa se ero di spalle e non l’avevo notato! ”
“ Hey, hey, frena. Non capovolgiamo la situazione. ” Non sapevo perché, ma iniziai a ridere. Ero isterica, ovviamente. Era tutto finito. Erano le dieci passate e il colloquio era saltato. Perfetto.
“ Andiamo, ti porto in ospedale ”. Dissi. Almeno avrei riparato ad uno dei tanti danni che avevo provocato. Si alzò da terra e mi spinse nella sua auto.
“ Casa mia è meglio. Non vorrei morire di emorragia. ” Mormorò, mettendo in moto. Che facesse di me quello che volesse. Non mi premurai di nulla, neanche delle sue intenzioni. In meno di cinque minuti arrivammo alla sua amabile dimora. Era davvero carina, e semplice oltretutto. Almeno da fuori. Mi condusse verso il porticato e aprì la porta. All’interno era ancora più accogliente. Una tipica casa canadese.
“ C’è un solo problema: non so medicarmi. ” Non potei fare a meno di sorridergli.
“ Portami la cassetta, ci penso io... ” Mi misi a sedere sul divano rosso nel salotto e mi guardai intorno. Un caminetto, delle foto e un enorme finestra che dava sul giardino. Stranamente mi sentivo in pace lì dentro; era come se tutte le mie ansie fossero scomparse nell’arco di un secondo.
“ Ecco.” Aprii la piccola cassetta marrone e cercai dell’ovatta e del disinfettante.
“ Farà un po’ male... ” tamponai leggermente vicino alle narici, cercando di non fargli provare troppo dolore. “ Ora tieni la testa alzata. ”
“ Dove andavi così di corsa? ” lo fissai.
“ Ricorrevo una possibilità. ” Sospirai, tappando il disinfettante.
“ Filosofica. E di che si trattava? ”
“ Lavoro. Avevo un colloquio, ma mi sono persa tra le strade della città”, mormorai.
“ Non può essere così grave... ” Scossi il capo, in totale disappunto.
“Non puoi capire...Devo andare. Scusa ancora. ” Corsi alla porta e afferrai la giacca dall’appendiabiti.
“ Dove abiti? ”
“ Rue La Moyne. ”
“ Vengo a prenderti domattina alle dieci. ” Senza dire niente, me ne andai. 

  
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