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Autore: RossaPrimavera    18/12/2011    4 recensioni
-Il nostro non sarebbe amore quindi?
-Esattamente. E' solo un gioco.
-Però converrai che sappiamo giocare molto bene... Attenta, potrei renderti piuttosto felice.
-Non dirlo: potrei prenderti sul serio.
E' uno scontro da film americano di serie B quello tra Edie e Clay, tanto diversi quanto irrimediabilmente simili.
Tra le pareti di una scuola dove vige un ridicolo assolutismo, in una dimensione a se stante basata sul culto dello specchio, può una sola ragazza stravolgere il corso delle cose?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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"Su molte cose non erano d'accordo, anzi di rado erano d'accordo su qualche cosa.
Era un litigio continuo, una sfida continua ogni giorno.
Ma nonostante il loro essere così diversi, una cosa importante avevano in comune:
erano pazzi l'uno dell'altra."
 [The Notebook]
 

Physical Logical Temptation
di Elle H. 
 
INTRODUZIONE
"Di una Vita Immensamente Facile"
 

“Take me down to the Paradise City
Where the grass is green and the girls are pretty
Oh, won’t you please take me home”

 
 
Il chiarore di un’alba autunnale sul viso, il tepore setoso delle coperte lungo il corpo,  il gelo del mondo esterno comunicatogli ai polpastrelli, intenti a sfiorare le vetrate delle grandi finestre. Gli occhi ancora pesanti di sonno, il sapore del caffè che gli aleggiava sulle labbra.
Metà della divisa come sempre abbandonata nell’armadio, la borsa coi pochi libri gettata con noncuranza sul sedile posteriore della macchina.
Rabbrividì per il freddo, sorridendo rilassato mentre l'auto prendeva vita sotto le sue mani, il rombo del motore come sua personale colonna sonora.
Per Clay vivere era immensamente facile.
Come poteva non amare quella quotidianità? Per lui tutto era così semplice, ogni sua idea gli appariva come immediatamente realizzabile, tanto che a volte rischiava persino di annoiarsi.
A volte… saltuariamente. Ultimamente fin troppo spesso.
Diede un ultimo sguardo al cielo, di una tinta tra il roseo e l’aranciato che non poteva fare a meno di affascinarlo.
Con nonchalance prese una strada che sarebbe stato capace di percorrere anche ad occhi chiusi. Non che fosse difficile, dopotutto erano cresciuti insieme: più che migliori amici potevano considerarsi fratelli.
“N’giorno Neils” lo salutò appena lo vide, mangiandosi le parole in uno sbadiglio e ricevendo come unica risposta una portiera sbattuta sgarbatamente.
“L’hai chiusa?” commentò ironicamente, recependo solo uno sbuffo esasperato.
“Fammi un favore: ricordami perché odio questa giornata”.
Clay aggrottò la fronte, fingendosi pensieroso.
Le note di una vecchia canzone riempivano l’abitacolo: “Take me down to the Paradise City”.
Ogni mattina si rendeva conto di quanto amasse quella città in ogni sua singola via, piazza ed edificio. Amava persino le persone frettolose capaci di rendere il traffico mattutino invivibile; gente comunque fin troppo sbrigativa per accorgersi di un cielo del genere.
“Non ho mai capito perché odi le elezioni studentesche. Io e gli altri le adoriamo” affermò in tutta tranquillità, mentre Neils gli rivolgeva uno sguardo carico di rancore.
“Si bravo, hai detto bene! A quelli là interessano solo fino a quando possono fare casino, per poi non aver la più pallida idea di quali siano i loro doveri, a parte i cazzi loro. Non capisco nemmeno perché continuiamo a coinvolgerli” ribatté infastidito.
Clay scoppiò a ridere.
“Ma come siamo polemici stamattina!” disse prendendolo in giro, mentre parcheggiava nel consueto posto davanti a scuola. 
Sempre lo stesso, perennemente libero da quando aveva preso la patente, solo due anni prima.
“Amico mio, questo è il nostro ultimo anno… Per quelli là non so, per noi due di sicuro” spiegò con un accenno di sorriso, mostrando la sua perenne, giocosa serietà; erano davvero in pochi quelli che riuscivano a capire quando fosse serio o meno, e Neils era certamente uno di quelli.
“E’ appunto per questo che dobbiamo godercelo fino in fondo, non credi?”
Quando scese gli fece un cenno col capo in una direzione che non aveva ancora considerato con gli occhi, ma dalla quale sapeva perfettamente cosa aspettarsi.
Un capannello di ragazze, a occhio e croce di qualche anno più piccole di loro, si erano prontamente avvicinate. 
Probabilmente avevano passato ore intere a discutere se azzardarsi a rivolger loro la parola.
La più audace tra loro fece un breve passo avanti per prendere la parola.
“Ciao, ci siamo visti all’End of Line sabato scorso… Volevamo essere sicure che quest'anno vi candiderete ancora. Lo farete, vero?” chiese in un impacciato tentativo di attaccare bottone, quasi commovente nella sua incertezza. Quasi.
Clay sorrise affabile, con un fare che le mandò in evidente visibilio.
“Certamente, tesoro” le assicurò, sostituendo quel vezzeggiativo ad un nome che al momento gli sfuggiva, ma ottenendo ugualmente l'effetto desiderato.
“Fantastico! Voteremo tutte per voi, ovviamente!” ribatté la ragazza entusiasta, senza più parole; sicuramente non aveva neppure osato in sperare così tanta cordialità.
Mentre si allontanava con le sue amiche, rese pressoché uguali dalle divise e dall’eccitato cicaleccio, il giovane rivolse un sorriso all’amico.
“E poi che male c’è ad approfittarne? Lo facciamo da sempre, non vedo perché quest’anno debba essere diverso”
E Neils finalmente si concesse a sua volta un sorriso, afferrando la borsa e chiudendo la portiera con molta più gentilezza.
“Certo che sei proprio stronzo, eh?” commentò, mollandogli una leggera gomitata.
Avviandosi però Clay non poté però fare a meno di pensare che, tutto considerato, l’amico aveva le sue ragioni.
Tutto era divenuto col tempo così uguale, così lineare, così abitudinario.
Ed era una gran bella abitudine, niente in contrario, ma come tutte le consuetudini prima o poi finivano per stancarlo.
Aveva iniziato a desiderare ormai da tempo qualcosa di nuovo, qualcosa capace di dare una scossa alla sua dorata esistenza.
Ancora non lo sapeva, ma l’avrebbe avuta, molto presto anche.
Perché la vita per Barclay Durless era immensamente facile.
 
 


 
CAPITOLO PRIMO 
"In Cui si Fanno Nuovi Incontri"
 
“I want you please take me home!”
[Paradise City, Guns N’ Roses] 
 
Era in ritardo. Di nuovo, un’altra volta, per l’ennesima volta.
Non un gran ritardo, solo di una leggera mezzora… minuto più e minuto meno.
Quello era un difetto che portava con sè sin da quando era piccola, doveva averlo ereditato insieme al latte materno, evidentemente.
Avrebbe tanto desiderato essere puntuale almeno una volta nella vita, per le occasioni importanti se non altro.
Perché quel giorno era il suo primo giorno di scuola, e piombare in una classe nuova, a metà ottobre e per giunta in ritardo, non corrispondeva sicuramente ai canonici termini di “cominciare bene”.
La fronte appoggiata al finestrino del pullman, osservò con inevitabile malinconia ogni via, ogni piazza, ogni singolo edificio che le si parò davanti.
Altro che “Take me down to the Paradise City”.
Non le era mai piaciuta quella città, mai. Nemmeno quand'era bambina. Puzzava di ferro ed era perennemente grigia, ma questa non era una novità: per Edie ogni città puzzava di ferro, anche se ci teneva a specificare che non tutte le sembravano grigie.
Quando si ritrovò in strada ne approfittò per specchiarsi in una vetrina, rimirandosi dubbiosa.
Che razza di idea era l’obbligo di una divisa? Era ormai convinta fosse un relitto dell’anteguerra, roba del secolo passato.
Più che un tentativo di unificare lo spirito studentesco ed eliminare le discriminazioni, altro non era che un patetico mezzo di massificazione.
L’omicidio di ogni traccia di individualità. E oltretutto, ad essere pignoli, quegli abiti erano davvero orrendi.
Fu anche per questo che, quando svoltò l’angolo e intravide il bianco edificio poco distante, realizzò che il suo umore non aveva la benché minima speranza di migliorare nel corso di quella giornata. Sopratutto perché quel primo giorno di scuola sanciva definitivamente l’inizio di una sorta di nuova vita, mentre una parte di lei era ancora tenacemente attaccata alla precedente.
“Hundred Roses Institute”. Istituto delle Cento Rose.
Un moderno nome di ispirazione inglese, un nome chiaramente megalomane.
Quel posto vantava la prestigiosa fama di essere una delle migliori scuole private del paese e, a giudicare dalla retta schifosamente alta, doveva esserlo per forza.
Le sembrò, in successione: immensamente grande, incredibilmente bianco e straordinariamente privo di crepe, graffiti o qualsiasi macchia del tempo.
Le sue larghe colonne classiche all’entrata richiamavano un passato che in realtà non aveva mai vissuto.
Provò istintivamente un senso di nausea. Il suo passo verso l’entrata fu lo stesso di un condannato a morte che si appresta a raggiungere il patibolo.
Lo sguardo perso nella borsa alla ricerca dell’orario, fu costretta ad alzare la testa solo quando finì per sbattere duramente contro un corpo altrui.
Barcollò quasi, mentre il contenuto della borsa si spargeva a terra.
“Ehi, ma guarda dove cazzo metti i piedi!” sbottò una voce chiaramente irritata.
“Mi dispiace” mormorò lei in una risposta incolore, senza badare minimamente al suo interlocutore, chinandosi per raccogliere le proprie cose.
“Scusa, puoi ripetere? Magari usando un tono adeguato?” chiese ancora la voce, il tono vivamente risentito.
Edie alzò la testa, ritrovandosi a spalancare lievemente gli occhi dallo stupore.
Non poté fare a meno di rimanere profondamente colpita dal fine, elaborato tribale che decorava la guancia destra del ragazzo, circondandogli l’occhio come una curiosa decorazione. Non aveva mai visto nulla del genere.
Il ragazzo era bello quanto appariscente, eppure in lui c’era come qualcosa che non convinceva.
Non indossava la divisa, ma ad una seconda occhiata si accorse che, oltre la giacca di pelle e i jeans sbrindellati, erano presenti in totale contrasto una camicia bianca e una cravatta blu.
In quell’attimo di silenzio lui la squadrò da capo a piedi, sorridendo come se la stesse valutando.
“Ah però, buongiorno” disse con fare totalmente diverso.
Edie gli rivolse uno sguardo stralunato, rialzandosi.
“Però Axel... ti è venuta addosso proprio una bella figa” commentò una voce alle sue spalle.
La ragazza si chiese come avesse fatto a non vederli: appoggiati al muro dell'entrata e seminascosti dalle grandi colonne vi erano altri tre ragazzi, che esibivano la costante, come il loro amico, di non indossare la divisa.
Uno di loro le si avvicinò a tal punto da farla indietreggiare: non avrebbe saputo dire cosa la intimoriva di più, se l'elevata statura o la muscolatura taurina. 
I lunghi dreads neri, raccolti in un’alta coda, gli donavano una sgradevole nota selvaggia che gli occhi, di un azzurro troppo intenso per essere vero, non riuscivano a mitigare.
“Allora tesoro? Dovresti come minimo scusarti, non credi?”
Edie valutò in un istante se rispondere o meno con la sua consueta acidità, a in un eccesso di ottimismo, stringendosi la borsa al petto quasi fosse uno scudo, mostrò invece un sorriso condiscendente.
“Sì scusatemi, non ho guardato dove stessi andando…” esordì falsamente educata, lasciando cadere la conversazione e facendo per voltarsi.
Il suo interlucutore pareva però di tutt’altro avviso.
“Sai, si vede che hai la lingua lunga… peccato incontrarci qui, preferirei usarla in un altro modo” commentò scoppiando a ridere, presto imitato da tutti gli altri.
Ci fu qualcosa in quella frase lasciva che ebbe il potere di sbriciolare istantaneamente la gentile, bendisposta facciata di convenienza di Edie. Un qualcosa che le fece quasi digrignare i denti dalla rabbia, obbligandola a sforzarsi di mantenere l'autocontrollo.
“Scusa, ma che cazzo vuoi?”
Le risate cessarono all’istante. Bastò uno sguardo per capire che quei ragazzi non erano avvezzi ad aspettarsi reazioni di quel genere.
“Che cosa hai detto?” ribatté il ragazzo col tatuaggio, Axel.
Avanzò a fianco dell’amico come se volesse spalleggiarlo in un qualche scontro, ma lei aveva da un pezzo imparato a preferire le parole ai fatti.
Anche perché altrimenti non sarebbe neppure potuta esser lì a parlare: se mai qualche suo resto fosse riuscito a scampare ad un'eventuale rissa, avrebbero probabilmente dovuto raccoglierlo con un cucchiaino.
“Credo tu abbia sentito benissimo quello che ho detto. E ora per favore spostati, si da il caso che tu stia ingombrando il mio passaggio" 
Dura, fredda, sbrigativa.
Entrambi tacquero increduli, come se facessero fatica anche solo ad elaborare ciò che avevano sentito.
Un attimo dopo il viso del ragazzo più grande iniziò a tingersi di uno sgradevole colore purpureo.
“Ma chi cazzo ti credi di essere,  sfigata?!” sbraitò concitato, i pugni che si stringevano ad evidenziare le nocche.
Edie fece spallucce, mostrando un sorriso che, lo sapeva benissimo, sapeva riscuotere un risultato di profonda irritazione.
“Nessuno in particolare, evidentemente. Ma ti ringazio ugualmente per l'attenzione” sussurrò con una strizzata d'occhio. 
E finalmente, sfruttando lo squisito stupore che era riuscita a creare,  si diresse di gran carriera oltre la soglia.
Affrettò il passo, quasi arrivando a corrire, ma finalmente sorridendo soddisfatta. Un po' per aver straordinariamente mantenuto l'autocontrollo, un po' per il coraggio e la fortuna avuti nel raggirare il pericolo.
Fuori invece il ragazzo aveva fatto  il gesto di seguirla, ma un amico l'aveva prontamente fermato da dietro.
“Lasciami andare, devo sapere chi cazzo è quella stronza, voglio saperlo subito!” sibilò inferocito.
Axel pose una spalla sulla mano dell’amico.
“Stai calmo Brad e lascia fare a noi, che se quella la becchi la sfondi”
Si voltò in cerca di un qualche sostegno fraterno, ottenendo solo un unico, valido suggerimento.
“Perché non lo fai fare a Clay?”
 

 
“Words like violence, break the silence
Come crashing in… Into my little world”

 
 
“Allora, che te ne sembra?” chiese Violet, trattenendo a stento l’entusiasmo.
Vi non era cambiata di una virgola: sempre la stessa malcelata allegria, sempre in perenne contrasto con l'estrema timidezza che tanto la contraddistingueva.
Era solo un po’ più alta, il viso un po’ più maturo, i capelli scuri semplicemente più lisci e lunghi.
Edie le rivolse uno sguardo dubbioso.
“E’ tutto così… strano” esordì, raccogliendo in una parola tutto il suo smarrimento.
Nulla di ciò che aveva visto corrispondeva alla sua immaginazione.
L’Hundred era più grande di quel che si poteva immaginare, con i diversi indirizzi astutamente separati in diverse alee, in modo da creare un’invisibile linea di divisione tra corsi prevalentemente maschili e femminili, in un modello di perfetta organizzazione
Era però bastato veramente poco perché si accorgesse che fosse in realtà solamente una facciata: metà del corpo studentesco vestiva divise “ritoccate”, accorciate o ingegnosamente personalizzate. Ragazzi e ragazzi non facevano altro che mischiarsi tra di loro in ogni attimo di pausa possibile, attimi che parevano non mancare mai. E l’insegnamento aveva dimostrato di non aver nulla da invidiare ad una qualsiasi altra scuola pubblica, decorandosi persino di professori pigri e accondiscendenti.
In generale, le sue impressioni sul grigiore del posto si erano ridotte, nonostante continuasse a provare una sottile inquietudine.
“Sì lo so, con una classe di sole femmine sembra difficile superare l’anno senza litigare, ma davvero sotto sotto siamo unite!” continuò l’amica con un sorriso incoraggiante.
“Sotto sotto siamo unite”. Edie dubitava seriamente della veridicità di quelle parole.
18 ragazze, da quel giorno 19.
Violet non aveva forse notato la marea di bisbigli che le nuove compagne le avevano proposto, già un attimo dopo che aveva fatto la conoscenza di ognuna di loro? Per un attimo si era sentita talmente a disagio da farle considerare seriamente di barattare il suo indirizzo linguistico con un geometra.
“Sì, non sembrano male…” mentì, piuttosto sconfortata.
Si guardò attorno: si trovavano sulle gradinate della grande palestra, che lentamente continuava a riempirsi di tutte le classi quinte dell'istituto per le annuali elezioni studentesche. Era capitata nel giorno giusto, dopotutto le piacevano quelle tipiche riunioni di inizio anno, perfetta parodia di una realtà americana che non poteva altrimenti conoscere.
“Come sono i candidati di quest'anno?”chiese, cercando di smuovere la conversazione.
Lei e Vi erano amiche da sempre, potevano considerarsi persino sorelle. Costrette a separarsi per quattro lunghi anni, l’intento di entrambe era di far ritornare il loro rapporto esattamente allo stato originale. Cosa che dopotutto, non sembrava troppo difficile.
“Sono sempre gli stessi da un paio d’anni, a nessuno salterebbe mai in mente di proporsi al posto loro”
“Perché, che hanno di speciale?” domandò Edie, suo malgrado incuriosita dal tono abbattuto dell'amica.
“Appena li vedrai capirai. Sono tutto loro!” mormorò abbassando la voce, lo sgaurdo fisso sulle dita intente a giocherellare con una delle pieghe della gonna blu.
Edie avrebbe voluto indagare ancora, ma le sue parole vennero precedute da un improvviso silenzio.
Seguito in breve da un'ovazione generale.
“Ecco, cosa ti avevo detto?” domandò retoricamente Violet, indicando il centro della palestra con un cenno della testa.
Edie non poté fare a meno di sgranare gli occhi stupita nel riconoscere i quattro ragazzi con cui si era scontrata quella mattina tra i sei che stavano ora facendo il loro ingresso in palestra.
La sua impressione sulla loro peculiarità venne in breve confermata: per quanto i ragazzi fossero fisicamente diversi gli uni dagli altri, era come se tutti fossero straordinariamente coordinati tra loro, ostentando un'qualcosa di simile che al momento non riusciva a definire.
Per un attimo fu tentata di rivelare a Violet la discussione di quella mattina, ma poi uno dei ragazzi prese il microfono, ed Edie si ritrovò ad aver perso ogni parola.
Quasi non avvertì lo scrosciare di applausi che lo accolse, e udì a malapena il nome sussurrato dall’amica.
Per un attimo il suo umore parve quietarsi, come le nuvole che si diradano al passaggio del vento.
Perché Barclay Durless aveva la fortuna di possedere un’incredibile, totale bellezza.
Il pensiero di Edie era certamente identico a quello di buona metà delle ragazze presenti nella sala, eppure con tutta probabilità ne era consapevole più di ogni altra: lei, studentessa novellina, per la prima volta al cospetto di  tanta idolatriata avvenenza.
Un’occhiata le bastò per recepire i tratti salienti del giovane: i capelli scuri parevano spettinati ad arte, il bel viso, dalla carnagione tendente all'olivastro, era coperto da una barba sottile e ben curata e i suoi tratti si piazzavano in lizza con la corporatura nell'aggiudicarsi il primo posto.
Si voltò verso Vi, notando come anche il suo sguardo dardeggiasse verso il centro della palestra; ma non su Barclay, bensì verso il ragazzo al suo fianco.
“Quello chi è?” le chiese, facendo uno sforzo per regalargli uno sguardo; in confronto al compagno le parve insignificante.
“Neils Dunham” bisbigliò Violet stralunata.
“E da quanto ti piace?”
L'amica si voltò di scatto verso di lei, come se il solo formulare ad alta voce quell’ipotesi fosse un reato.
“Beh, da un po’” concluse infine con un bisbiglio, quietandosi.
Quando Edie riportò il suo sguardo verso il basso, la parola era passata a un altro ragazzo.
Axel, il ragazzo con il tatuaggio sul volto che tanto l’aveva impressionata quella mattina, era ora accanto a Barclay, con gli occhi puntati sulle gradinate come in cerca di qualcosa.
Un attimo dopo si soffermarono in una direzione, con il punto levato ad indicare un punto preciso.
Non cercava qualcosa, ma bensì qualcuno. E quel qualcuno era lei.
Un istante dopo suoi occhi incontrarono quelli di Barclay Durless, e anche a quella distanza riuscì ad individuarne il colore: erano verdi. 
E per un attimo si sentì ferita dalla loro intensità.

 
 
 
"Painful to me, pierce right through me
Can't you understand, oh my little girl..."
 
 
“Ehi, scusami?”
Era il momento di distribuzione delle schede elettorali, e buona parte dei presenti attendeva ansiosamente il passaggio dei candidati. C'era chi sperava in un saluto come segno di riconoscimento, chi in una qualsiasi occasione, nascosta in un sorriso o in uno sguardo in più rispetto agli altri.
Violet si voltò e si trovò faccia a faccia con Clay Durless in persona.
Istintivamente trattenne il respiro, mentre tutte le ragazze attorno a lei puntavano loro addosso lo sguardo con l’attenzione astiosa di un’ arpia.
Non era lui il ragazzo che Violet passava ore ad ammirare, ma indubbiamente non potè fare a meno di rimanere irrimediabilmente colpita: per una come lei quelle poche parole avevano lo stesso valore di un'inaspettato miracolo.
“Sì?” chiese, tremante quasi.
“La tua amica, la rossa, dove è andata?”
“In bagno, credo... ” rispose sconcertata.
Clay sorrise intensamente.
“Capisco. E’ sua questa giacca, vero? Credo che gliela riporterò io”
Tra le ragazze si profuse una selva di bisbigli, a cui il ragazzo non prestò minimamente attenzione.
“E come si chiama questa tua amica?” domandò nuovamente, prima di voltarsi.
“Edie. Edie Alstreim
Violet seguì la sua figura con gli occhi, quasi incredula di fronte a quell’improvviso sviluppo; le compagne si concedettero di alzare la voce, lamentandosi tra loro con palese invidia, e fantasticando ampiamente su quella ragazza fortunata.
Forse, se avessero conosciuto le reali intenzioni del ragazzo, probabilmente avrebbero cambiato idea.
 

“Vows are spoken to be broken
Feelings are intense, words are trivial.
Pleasures remain, so does the pain
Word are meaningless… and forgettable”


 
 
Edie uscì dal bagno ancora intenta a litigare con la scomoda gonna della divisa,tentando di rinfilarvi dentro la camicia alla bell'e meglio. 
Voltandosi per dirigersi ai lavandini si accorse con un tuffo al cuore di una presenza estranea alla sua. Ma non una qualsiasi…
Per un attimo rimase immobile a guardare stranita Barclay Durless, il candidato a rappresentante d’istituto, appoggiato allo stipite della porta con un sorrisetto dipinto sul bel volto.
“Edie, giusto?” chiese, con il fare di chi conosce già la risposta.
La giovane annuì appena, per poi riprendersi in fretta dalla sorpresa. Per quanto potesse essere stupita, non era mai stato il tipo di persona che si ferma di fronte alle apparenze. Bastava osservare quel sorriso carico di sfida per intuire che le intenzioni del ragazzo fossero tutt'altro che nobili.
“Posso fare qualcosa per te?” chiese Edie sulla difensiva.
Evidentemente fu la domanda sbagliata, perché il ragazzo scoppiò in una breve risata.
“Oh credimi, ci sono tante di quelle cose che potresti fare per me!”
Con il piede spinse improvvisamente la porta, chiudendola violentemente, facendo sobbalzare la ragazza.
“Sono certo che non ci sia bisogno di presentazioni” suggerì poi, avvicinandosi a lei.
Edie fece lo sforzo di non indietreggiare, ancorando saldamente i piedi al pavimento piastrellato.
“Dalla regia mi dicono che sei poco presuntuoso” ribatté con un accenno di sarcasmo.
Barclay rimase per un attimo basito, proprio come i suoi compagni quella mattina, ma poi sorrise, se possibile ancor più soddisfatto.
“E a me dicono che hai un gran bel caratterino”
Per un attimo gli occhi di Edie percorsero invano la stanza, in cerca di una qualsiasi via d’uscita, e quando tornarono sulla figura del ragazzo notò la giacca di una divisa femminile tra le braccia conserte.
“Quella è mia, per caso?”
Il ragazzo la sollevò, mostrandogliela.
“Però, sei una ragazza perspicace”
Istintivamente la giovane fece il gesto di avvicinarsi per prenderla, ma lui la sollevò sopra la propria testa, allontanandola dalla sua portata.
Edie incontrò subito la resistenza dettata dall’elevata differenza d’altezza; inutile: era sempre stata bassa, almeno venti centimetri buoni li differenziavano l’uno dall’altra.
Cercò stupidamente di tendere le mani per afferrarla, protendendosi anche sulle punte dei piedi, dettaglio che sembrò divertire enormemente il ragazzo.
“Sai, credo che potresti ottenerla facilmente se usassi anche solo un pizzico di gentilezza” le suggerì, abbassando leggermente il braccio.
“Allora io come minimo dovrei ricordarti il significato della parola coerenza” ribatté sdegnata.
“Coerenza, dici?” chiese Barclay, fingendo di non capire.
“Io non ti ho fatto nulla, non ti ho mai nemmeno rivolto la parola” spiegò Edie, mostrando assieme al risentimento una certa insicurezza.
Clay parve per un attimo valutare ciò che lei aveva appena detto, osservandola con più attenzione.
“In effetti hai ragione. E’ più una questione di cosa non hai fatto… ” insinuò scandendo le parole, continuando ad ostentare un sorriso pieno d'arroganza.
“In che senso?” chiese turbata, ma proprio in quel momento il ragazzo lasciò cadere a terra la giacca, cogliendola di sorpresa. 
Edie non perse tempo a riflettere su quel gesto improvviso, chinandosi per afferrarla, prima di avvertire due mani cingerle saldamente la vita e spingerla duramente contro al muro.
Fu un attimo: Barclay Durless le prese i polsi, sollevandoli sopra la testa, e infilandole un ginocchio tra le gambe.
Con un malcelato accenno di panico la ragazza capì subito che quel ragazzo sapeva esattamente dove farle male e in quale misura dosare la propria forza. Ugualmente tentò di divincolarsi, prima che lui si appoggiasse completamente a lei, schiacciandola col peso del proprio corpo.
I loro visi erano così vicini che Edie poteva sentire il suo respiro sulla pelle, e guardando quegli occhi calcolatori, per un attimo si sentì boccheggiare.
“Bene Edie, ora vediamo di fare i seri. Credo proprio di doverti fare un bel discorsetto riguardo al casino di questa mattina”
“Questa mattina?” domandò, la  voce che lasciò trapelare un'incredibile nota di timore.
“Esattamente. E’ evidente tu sia appena arrivata, altrimenti non mi spiegherei tanta stupidità”
“Stupidità?" chiese nuovamente, sentendosi un'idiota nel ripetere ogni sua parola come un pappagallo.
Poi parve capire l'allusione, e sentì un fiotto di rabbia pervaderla 
"Per cosa, perché ho risposto a quattro stronzi che mi prendevano per il culo e si rifiutavano di farmi passare?” 
Tuttavia tacque, il cuore che accellerò i suoi battiti, quando sentì la fronte di Clay premere contro la propria.
“In certi luoghi ci sono cose che si possono fare, e cose che non si possono fare: è una legge elementare. E qui questa legge è stabilita da noi. E' un concetto piuttosto facile da comprendere, non trovi?”
“No, non lo è. Per niente” rispose la ragazza lapidaria.
“Sei un po’ troppo insolente per i miei gusti Edie, e questo non va affatto bene. E’ richiesto un certo rispetto nei nostri confronti: il fatto che tu sia nuova di queste parti non giustifica la tua maleducazione”
Le parlava come un maestro avrebbe potuto rivolgersi ad un alunno particolarmente indisciplinato, determinato a imporgli un'adeguata educazione.
Ogni attimo costretta tra il muro e quel corpo non faceva altro che aumentare la spiacevole sensazione di trovarsi in trappola. Divisa tra rabbia e un certo timore, faceva fatica persino a scegliere le parole con cui ribattere, ma ugualmente si rifiutò di dargliela vinta.
“E sentiamo, quali sono le cose che non potrei fare?” domandò, in un’aperta provocazione.
“Oh, sono davvero un' infinità per elencarle, ma non ti preoccupare le impararerai col tempo. Volente o nolente” ribatté amabile.
“Quindi devo immaginare siano previste delle sanzioni, nel caso qualcuno non rispetti le vostre... direttive” sottolineò Edie, calcando l'ultima parola con un certo disprezzo.
“Certamente. Questa, per esempio, lo è... O lo era, dipende tutto da te. In effetti ora che abbiamo messo i punti in chiaro potremmo concluderla in altro modo, che ne dici?" suggerì Clay, inclinando lievemente il capo.
La presa attorno ai suoi polsi si strinse e il fiato del ragazzo acquistò una certa presenza sulle sue labbra. Il cuore rischiò di schizzarle via dal petto, e istintivamente chinò la testa, nel tentativo di evitare quella bocca improvvisamente troppo vicina.
“Edie, Edie, Edie.. non dovresti scaldarti tanto. Stai evitando il sogno che anima la mente di buona metà delle tue nuove compagne” disse Clay in una sorta di mezzo rimprovero, abbandonando la presa su di un polso per afferrarle il mento con la mano.
Trovandosi un braccio improvvisamente libero, Edie tentò di colpirlo, ma il suo gesto non parve sortire alcun effetto se non una risata di scherno.
“Il sogno di qualsiasi altra ragazza ignorante forse, che non si accorge di star dietro a gente come voi!" ribatté allora con astio.
Clay si fermò, valutando tutta la rabbia e la sfida contenute in quei grandi occhi scuri. 
"Sentiamo, e come sarebbe la gente come noi?"
Edie non avvertì la nota minacciosa di quel sibilo, avendo ormai sostituito lo sdegno alla paura.
"Gente che non vale un cazzo, abituata ad essere forte coi deboli, e debole coi forti”
Probabilmente fu quell’ultima protesta, così rabbiosa e sincera da parergli perfino ragionevole,  a far scattare qualcosa in Barclay.
Il sorriso scomparve definitivamente dal suo viso, sostituito da una maschera dai tratti duri e severi.
Non incontrò alcuna difficoltà nell'afferrare la ragazza per i capelli:  brutalmente, con crudeltà, tanto che alcune sottili ciocche rosse gli rimasero allacciate tra le  dita.
Prima che Edie potesse anche solo realizzare si ritrovò improvvisamente spinta contro i lavandini, il bordo di ceramica che le si conficcò con violenza nella pancia. La mano di Clay non le lasciò alcuna via di scampo: le spinse la testa nel vano del lavandino, e un secondo dopo un forte getto d’acqua gelida le si infranse sulla nuca, strappandole ogni parola di bocca.
Immediatamente cercò di ritrarsi, ma Barclay insistette, spingendola sempre di più e lasciando che rivoli d’acqua le inzuppassero i capelli e le bagnassero i vestiti, trascinando con sè le sue ultime proteste. 
Quando le permise di ritrarsi i suoi abiti erano ridotti a nient'altro che stracci bagnati; si appoggiò al muro, le mani bagnate che scivolavano contro le piastrelle.
Clay si asciugò le mani sui pantaloni, osservandole il volto scioccato e dalla pelle deturpata da un trucco disfatto, grossolane gocce nere che le rigavano le guance pallide.
Si concesse un attimo per valutare il suo operato, osservando come l’acqua avesse reso trasparente buona parte della camicia candida, lasciando intravedere i profili del reggiseno al di sotto della stoffa.
Nonostante tutto, le sue prime impressioni si confermavano: quella ragazza era certamente troppo carina per la sua impertinenza.
Edie si passò la mano tra i capelli bagnati, strizzandoli.
In silenzio: nessuno scoppio di rabbia, nessun accenno di protesta.
Quella sorta di punzione era stata qualcosa di troppo, aveva definitivamente  valicato un confine che sin da quella mattina era stato fin troppo vivo.
Le sue inquietudini avevano trovato risposta: all’improvviso provò il tremendo impulso di scoppiare a piangere.
Si ritrasse quando il ragazzo allungò ancora le mani verso di lei, ma lui l’afferrò ugualmente, prendendola per una spalla.
“Suvvia, voglio solo ripulirti il viso” mormorò, premendole il polpastrello sotto gli occhi, lì dove le macchie nere erano più vistose. 
Lasciò che il dito seguisse un suo percorso, scivolando fin sotto il mento in un’impalpabile carezza, scorrendo sul collo e poi giù fino ai lembi della camicetta.
La testa china, gli occhi chiusi in un atteggiamento che scambiò per vergogna, preferendo evitare di pensare che fosse dolore.
Non poté fare a meno di stupirsi per che razza di ragazza fosse quella: una che non piangeva, che non si lasciava nemmeno andare ad isterismi.
“Ti ho fatto del male, vero?”
Edie si sforzò di ignorare quella mano che le sfiorava il viso.
“Vattene, per favore”
“Sei proprio incorreggibile allora... voglio sentire la gentilezza nella tua voce” la corresse con un sospiro teatrale.
“Ho detto per favore” ribatté lei duramente.
“Questa non è gentilezza, Edie”
Non lo supplicava nemmeno, come alla fine facevano tutte le altre, qualsiasi cosa avesse scelto di fare.
Qualsiasi cosa si fosse permesso di fare con loro…
Si chiese perché dopotutto non concludere ciò che stava per fare poco prima: tutto di lei lo tentava, perché non prendersi un'ultima soddisfazione dopotutto? Sperava quasi si lasciasse andare, stimolando uno scontro di ben altro tipo.
Riusciva già ad immaginarsela: schiacciata contro le pareti di uno dei bagni, la gonna alzata sopra la vita e le gambe magre strette attorno al suo  corpo.
Quel pensiero gli strappò un sorriso compiaciuto, e prima di valutare la portata di quell’ultima decisione, le alzò il viso e la baciò senza la benché minima delicatezza. Le premette le guance, spronando quelle labbra sottili ad aprirsi per lui, affondandovi la lingua con profondo desiderio.
Per questo fu con una punta di rinnovata rabbia che si accorse che la giovane non rispondeva in alcun modo a quell'assalto appassionato, la lingua inerte contro la sua.
Gli occhi di Edie erano spalancati, sostenevano il suo sguardo con una determinazione mai incontrata prima.
Non crollava, non si piegava; non si concedeva.
Barclay si staccò sconcertato, osservandola pulirsi  con un gesto dignitoso del polso da ogni traccia bagnata di quel bacio.
Si lasciò poi scivolare a terra, raccogliendosi le ginocchia al petto.
Nessuna parola, più nulla.
Per un attimo Edie avvertì lo sguardo del ragazzo soffermarsi su di lei, e allora temette altre ripercussioni.
Ma poi quei piedi cambiarono direzione, volgendosi lenti verso la porta e sbattendola.
Solo quando fu sicura che se ne fosse andato si permise di lasciar fuoriuscire dagli occhi una serie di lacrime silenziose.
Anche questa volta furono di rabbia.


 
"All I ever wanted, all I ever needed
is here, in my arms..."
 

“Allora? Che le hai fatto?”
Eccoli, seduti l’uno accanto all’altro, beatamente intenti a godersi gli ultimi caldi raggi di sole da quello scorcio di tetto.
Sguardo interessato chi più chi meno, erano però tutti come sempre in sua costante attesa.
Clay ignorò la domanda di Brad, infilandosi una sigaretta in bocca con un gesto irritato.
“Le ho solo messo la testa sotto il rubinetto” rispose infine, controvoglia.
“Cosa? Come sarebbe a dire, perché?”
Axel lo guardava scettico, almeno quasi quanto gli altri.
Bradley, Axel, Roy, Connor… Era con loro che trascorreva la maggiorparte delle sue giornate.
Ne avevano passate così tante insieme, ma ancora spesso li sentiva del tutto estranei, distanti anni luce dai suoi pensieri.
“Perché mi girava così” concluse svagato.
Brad si lanciò subito in un monologo su cosa avesse fatto se ce l’avesse avuta tra le mani, ma lui neppure lo considerò.
Evitò lo sguardo di Anya, abbracciata a Connor ma con gli occhi puntati su di lui, dandogli la perenne sensazione di starlo valutando.
Incrociò invece quello di Neils. L’amico non disse nulla, limitandosi a passargli l’accendino in silenzio.
Perché lo sapeva, al pari di lui, che quella smorfia sul viso nascondeva un inconsueto senso di colpa.

 
"Words are very unnecessary
they can only do harm"

[Enjoy the Silence, Depeche Mode]
 
 
 

 
-NOTA AL TESTO e deliri dell'autrice-
Ho sempre desiderato scrivere una storia "stronza", con sprazzi di bullismo e giusto quel po' di erotismo mal represso, su un mondo i cui protagonisti sono solo dei ragazzi: esageratamente snob, terribilmente stile manga, parodia di un tipico telefilm americano pieno zeppo di cliché.
Qualcosa che insomma si trova ad ogni angolo della strada, ma in cui ho deciso di infonderci più passione del previsto.
Ho ancora il timore che sembri una storia intensamente superficiale, ma nutro l'obiettivo di farmi ricredere (e far ricredere voi, belli!)

Piccoli chiarimenti:
1-La storia non è ambientata in nessun posto specifico. E' "sospesa" da qualche parte, in una città simile alla mia, ma al contempo completamente diversa. 
Non so ancora se gli darò nome o se specificherò mai dove si trova; per ora lo lascio alla vostra fantasia.
2-I nomi sono chiaramente anglo/americani, con qualche accenno di francesismo. Questo non ha un particolare motivo, semplicemente sono allergica ai nomi italiani.
Senza dilungarmi oltre, questa è la prima storia originale che mi decido a pubblicare, perché ho un bisogno esagerato di tutto ciò che questo racconto contiene.
Non faccio discriminazioni su chi recensisce o se la legge in incognito, visto che io stessa sono schifosamente pigra e commento ad ogni morte di papa.
E vi avviso, ho la pessima abitudine di aggiornare con estrema lentezza.
Spero che il tutto sia di vostro gradimento, buona lettura e alla prossima!
Elle H. 
   
 
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