Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Alkibiades    19/12/2011    0 recensioni
Pensieri più o meno idioti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Normalmente, si metteva lì.
Apriva, guardava fuori, richiudeva e si sedeva.
Le giornate, così, passavano l'una uguale all'altra.
Libri, ammucchiati qua e là in pericolanti assembramenti, formavano delle entità di tutto rispetto, nella sua stanza.
Cataste qua e là vagamente ordinate, pagine e pagine, chilometri d'inchiostro e di pensieri di persone che, ne era sicuro, nemmeno sospettavano della sua esistenza.
A lui non importava però, proprio no; si metteva là, sulla poltrona, leggeva svogliatamente e rimetteva i libri sulla catasta. La loro catasta, mica una presa così a caso.
E pensava.
Leggeva, s'immedesimava, pensava, soffriva, gioiva, finivano i libri e il trasporto per quei personaggi, a lui così vicini per quel lasso di tempo, riecheggiava nella sua mente, solo ancora per un po', poi, poco a poco, si spegneva assopendosi sempre di più.
Così ricominciava a leggere. Lettera dopo lettera, parola dopo parola, frase dopo frase, pagina dopo pagina. Libro dopo libro.
A volte, piano piano, idee lo prendevano sempre di più, fino ad avvolgerlo lentamente, felicemente, facendolo addormentare in un mondo che non esisteva.
Normalmente, queste idee, stupide idee, erano ragazze.
Andava a periodi.
Venivano in mente lentissimamente, un particolare che si ampliava sempre di più, fino poi a scorgerne la totalità.
Si lasciava pervadere da loro. Annullava i sensi, dimenticava la vita, sopravviveva.
Allora immaginava gli occhi. Partiva sempre da lì.
Gli occhi, quando avevi quelli, poi facevi tutto.
Partiva con gl'occhi dunque, in quel caso erano nocciola, ma non nocciola chiaro, no, qualcosa di più sfumato verso il marroncino. Nocciola scuro insomma.
Poi, era la volta del naso. Non troppo perfetto, leggermente piccolo, ma piacevole; sbrigato anche questo, risaliva alla fronte, giusta si sarebbe detto, né troppo spaziosa né troppo piccola.
Dopodiché su, ancora più su, fino ai capelli. Lisci, liscissimi, d'un color corvino che ti prendeva, si faceva fissare, e tu, imbambolato rimanevi lì, ci avresti potuto passar ore, a guardare, anche solo un poco. E lui ci perdeva un po' di tempo a dire la verità, perché c'erano cose che non capiva. Come, ad esempio, potessero avere, anche se corvini, quelle strane sfumature rosse. Allora, verrebbe da dire, non sono corvini, ma lui no, s'opponeva, sono corvini, diceva, solo che con dei riflessi rossi, ecco, son solo sfumati di rosso.
Svelato il mistero.
Era un tipo strano, sì. Mappe mentali su ragazze, ma solo a periodi.
Quindi, passava alla conclusione, il sorriso e le guance.
Le guance erano un po' magre, ma il giusto insomma, quando sorrideva le venivano le fossette e le si tiravano gli occhi.
Ci si perdeva sempre lì dentro.
Poi la bocca.
Labbra sottili, rosee, leggere, di quelle che ti facevano fare sogni delicati, anche perché, se sorrideva, rivelava un mondo dentro sé che non sospettavi.
Così, sorrideva, e tu, povero stupido, perdevi la testa.
Ma non si fermava qui. Vergognandosi, chiedendo scusa mentalmente anche, arrossiva persino, decideva di scendere un po', a esplorare parti che lui, così com'era, non avrebbe mai e poi mai visto più.
Oramai la incontrava solo nei ricordi, come avrebbe fatto a vederla di nuovo così, vera?
Non poteva, quindi chiedeva scusa alla ragazza dei suoi ricordi e andava giù, infischiandosene della vocina che gli diceva di non continuare.
Allora passava al collo. Uno di quelli delicati, bianchissimi, uno di quelli che pensi che se venisse un soffio di vento, c'avrebbe rimesso la testa. E invece.
Una curva dolce faceva passare tutte le sue emozioni da uno stato di ammirazione a uno di segreto desiderio e gelosia.
Scendeva ancora: le spalle.
Delicate anche quelle, nel complesso era una ragazza fragile insomma, ma non se ne curava più di tanto. Scendeva lui, non faceva altro.
delicate quindi, bianche pure, non molto larghe, anzi.
Dopodiché diventava ancora più rosso. S'infiammavano proprio le sue guance, chiudeva gli occhi e sognava.
Chiedeva scusa ancora una volta, e proseguiva.
Pensava a quei seni pieni che non avrebbe mai e poi mai toccato, anche volendolo, preferiva immaginare lui, immaginare e struggersi per qualcosa che avrebbe avuto mai. Mai.
Era così bianca nei suoi pensieri, fragile, bella, bellissima.
Scendeva poi velocemente  a quella pancia piatta, quasi da bambina, e via via alle lunghe gambe, fino ai piedi.
E finiva col distruggersi ogni volta, non pensava ad altro, pervaso com'era dalla punta del suo naso a quella delle dita delle sue mani, affusolate.
Apriva gli occhi, ormai velati di lacrime, i ricordi facevano quest'effetto, in fondo era come un'allucinazione, non poteva parlare, men che meno guardarla, era già un delitto immaginarla così.
Pensava alle cose che facevano assieme, le risate e tutto il resto, a quella volta che aveva detto per sempre, quando tutto sembrava felice.
È così che va, ti dicono non dimenticarmi, proprio perché sanno che un giorno, non necessariamente lontano, nel caso dovesse finire tutto, riusciresti a farlo, dimenticare tutto.
Più il tempo passava più la sua mente faceva fatica a ricordarne il volto, gl'occhi, tutto.
Dimenticava.
Spiava dalla serratura dell'oblio dei sensi cose che si allontanavano, sensazioni che lui non avrebbe mai e poi mai ricordato più.

Allora si alzava e riguardava fuori dalla finestra, la nebbia non gli faceva vedere niente.
Immaginava.
Immaginava di vivere.



  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Alkibiades