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Autore: Celest93    22/12/2011    1 recensioni
Charlene e Tyron, due ragazzi esperti di una materia che nessuno dovrebbe conoscere: l'infelicità, mischiata a tanto dolore, rabbia e paura, paura di dover rivivere i drammi che hanno caratterizzato la loro vita, tragedie che non augurerebbero a nessuno e che sperano di non dover nuovamente affrontare.
Lei a 18 anni, per la prima volta conosce la parola felicità, nonostante quel piccolo raggio di sole che ora le illumina le giornate sia nato anch'esso dal suo tormentato passato; Lui a 27 anni ha un solo obiettivo: vendicare ciò che gli è stato tolto, tanto brutalmente quanto violentemente, che non pensa più a crearsi una vita e ignorando il suo futuro, pensando a quello delle persone che deve far soffrire. Perchè l'unica vendetta possibile, è far soffrire persone a lui sconosciute, o quasi.
Le loro strade si incroceranno, ma nessuno pensa che l'altro abbia un passato degno della cronaca nera...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4




Belle è stata la cosa più speciale che tu mi abbia regalato.
Certo, considerarla un regalo è un pò esagerato, ma l'ho sempre pensata così.
Poi, tutto è andato storto, per colpa di chi non lo so, forse tua. Si, molto probabile, perchè sei stata tu a cominciare, tu!
Io non ho fatto niente... o almeno è quello che mi dicono sempre.
"Non è stata colpa tua, Tyron. Non devi farti di questi problemi." E cerco di auto convincermi che hanno ragione loro, le persone che mi sono sempre rimaste accanto, a differenza tua.
A distanza di tre anni, la notte vedo ancora la sua figura mentre dorme tra le mie braccia, tranquilla, dolce, bellissima.
Per colpa tua tutto questo non c'è più!


*****

"Stai calma Charlene, è solo un incubo."
Già, un incubo che però ho vissuto realmente.
"No, non pensare a quello..."
NON HO VOGLIA DI RIVIVERLO!!! Urlai con tutto il fiato che avevo. Mia madre cercava, inutilmente, di tranquillizzarmi, ma non poteva veramente farlo...
"No, tesoro, stai calma, questo è solo un incubo. E... tu non sei scappata di casa perchè rischiavi di prenderle da quei mostri..."
Tu non mi avresti cacciata via di casa, vero mamma? Sembrava una preghiera la mia domanda, volevo accertarmi che mia madre non mi avrebbe fatto niente, se solo ci fosse stata.
"No, mai!"
"...E no, tu non ti sei persa per poi capitare in un vicolo cieco."

Non sei sicura di quello che dici! Le urlai contro, in mezzo alle lacrime.
"No, so quello che dico."
E allora? Quelli non sono forse dei malintenzionati? Sicuramente non sono persone amichevoli! Tremavo all'idea di quello che mi sarebbe successo di li a poco.
"Con calma, girati e tornatene a casa, ignora quei due."
Cercai di fare come mi diceva, ma appena voltai la testa per girarmi dall'altra parte, mi trovai bloccata tra quattro corpi.
"Mamma!!"
Purtroppo, quell'urlo non uscì mai dalla mia bocca...

*****

Mi svegliai di soprassalto, causato dall'incubo e da una mano che mi schiaffegiava la faccia.
Mi sfregai gli occhi, cacciando via le lacrime che si erano formate dietro le palpebre, per poi vedere una piccola manina che tornava all'attacco verso il mio viso.
"Amore, che fai? Picchi la mamma?" Ritrovai subito il sorriso grazie a Peter, mentre appoggiato al mio petto cercava di svegliarmi a suon di schiaffetti. E rideva lui, come se si stesse divertendo!
"Cos'è vuoi la guerra?" Gli chiesi sorridendo, prima di alzarmi a prenderlo per le gambette e mettermelo sulle spalle, mentre lui si sbracciava per potersi allungare verso il mio collo. Eh no, non l'avrei perdonato facilmente.
Anche se mi aveva svegliata da un incubo, non l'avrebbe passata liscia!
E rideva, la risata più bella e dolce che avessi mai sentito, mentre i dentini ancora non avevano deciso di spuntare.
Vederlo così, sdentato, mentre rideva e batteva le manine alla cieca, mi faceva sempre battere il cuore forte dall'emozione, sapere che ero stata io a far nascere quel piccolo curvarsi di labbra in alto, mi faceva sentire in pace, con me stessa soprattutto.
Era la mia felicità, avevo sofferto molto per averlo; però averlo vicino a me era la gioia più grande, soltanto guardarlo mi faceva in qualche modo dimenticare del mio passato.
Mi bastava che lui mi guardasse, per ringraziare il cielo di quel piccolo angelo che mi riempiva le giornate con tanto amore.
Lui era tutta la mia vita, senza, non valeva la pena vivere.
Come al solito, scoppiò di felicità non appena mi vide aprire l'acqua per riempire la vasca da bagno, sapendo che lo avrei lasciato sguazzare in libertà.
Lo spogliai con calma, parlandogli del lavoro e delle nuove amicizie che si erano create all'interno del negozio, raccontandogli di come passavo le giornate mentre lui era insieme a Lucy.
Non mi capiva - come avrebbe potuto? - aveva solo 9 mesi, però mi piaceva lo stesso confidarmi con lui.
Mi spogliai anch'io per poi entrare dentro alla vasca, lasciando Peter in un'estremità, mentre io mi appoggiavo dall'altra parte ad osservarlo mentre batteva felice le manine nell'acqua, schiazzando ovunque, per poi guardarmi, con così tanto amore in quei piccoli occhietti celesti, che alle volte ho rischiato di strozzarlo per come lo abbracciavo. Ci mettevo troppo entusiasmo!
Lo guardai mentre osservava l'acqua, giocandoci, cercando di prenderla in mano, senza successo.
Come capitava spesso, mi persi a guardarlo, a registrare ogni sua più piccola sfumatura, che fosse una risata o una smorfia, per portarmela sempre nel cuore. Pensare a lui, quando tornava fuori il mio passato, era la cura migliore.
Quando l'acqua diventò ormai fresca, mi sciaquai per poi portare via Peter a forza in camera da letto; succedeva tutte le volte, ero arrivata a pensare che se avesse potuto avrebbe voluto vivere nell'acqua, sempre.
Mi tolsi l'accappatoio quando arrivai in camera da letto, guardando di sfuggita il mio corpo nello specchio dell'armadio.
Capelli castani scuri, occhi anch'essi castani, più chiari e con delle sfumature verdi; labbra a cuore, carnose: me le morsi per vedere l'effetto attraverso lo specchio: non male da vedere! Scesi verso le spalle, girandomi per vedermi di profilo: braccia snelle, dita affusolate e ben curate; seno florido, una quarta per la precisione, ventre piatto e gambe perfette e lunghe.
Mi piacevo, era raro.
Troppo spesso, anche se non avevo mai capito che era per invidia, mi era stato detto che non ero bella, unico motivo per cui ero rimasta madre di un bambino senza un padre.
Se solo avessero anche solo lontanamente immaginato cosa mi era successo, non avrebbero fiatato.
La mia attenzione fu richiamata dai versi strani di Peter che giocava, sdraiato e nudo, nel piccolo asciugamano dove lo avevo avvolto.
Mi avvicinai con una lentezza disarmante, cercando ancora una volta di imprimermi nella mente ogni suo più piccolo gesto.
Era concentrato a passare la mano su quella stoffa morbida, mentre si guardava attorno, curioso. Infatti non era mai riuscito a guardare solo un punto preciso, lui guardava, memorizzava, poi si voltava a sorridermi, facendomi scoppiare il cuore dalla gioia. Sempre, come se fosse la prima volta.
Smisi di guardarlo per andare a vestirmi, mentre gli parlavo ancora, raccontandogli tutto ciò che mi passava per la mente.
Mi vestii con un paio di jeans semplici, camicetta e tacchi, mentre i capelli li avevo tenuti in una coda alta. Mi truccai.
Cominciai a vestire anche Peter, che come tutte le volte aveva deciso di fare i capricci per rimanere solo con il pannolino.
Gli sorrisi vittoriosa subito dopo avergli infilato a forza la scarpetta, accompagnando il tutto con una linguaccia. E come se non bastasse, aveva messo su un adorabile broncio! Come facevo a non spupazzarlo tutto dalla contentezza? Infatti, non lo mollai per un attimo, se non per prepararmi ad uscire.
Mentre aspettavo l'arrivo di Lucy, infatti, mangiammo e giocammo insieme, per terra, sul letto, in cucina; lo coccolai, lo strapazzai per bene prima di andare al lavoro: come ogni settimana avevo il turno pomeridiano il sabato.
Al suo arrivo, Lucy per poco non mi cacciò da casa mia perchè non volevo staccarmi da mio figlio, mentre mi tranquillizzava sul fatto che lo avrebbe tenuto sveglio per me in caso di ritardo. L'occhiataccia che le rivolsi le fece capire che non doveva neanche pensarci.

Finalmente anche quella giornata infernale era giunta a termine, il sabato era il più sfiancante, c'erano clienti che arrivavano da tutto il paese, mentre nessuno ci aveva risparmiato le sfilate, anzi. Per sette ore costretta a stare sui tacchi a spillo era una tragedia per i miei poveri piedi, che urlarono libertà non mi appena mi sedetti e tolsi quei trampoli. Meno male.
"Stanca?"
"Chi io? No, assolutamente no!" Seth scoppiò a ridere di fronte alla mia ironia, aveva notato con quanta fatica reggessi quegli odiosi tacchi. Si mise a sedere anche lui vicino me sulle scale, mentre gli altri ci raggiunsero subito dopo.
"Ragazzi, volete uscire stasera?" Guardai con orrore Seth, sperando di aver capito male, cioè: lui non era stanco?
"Ma non sei stanco?" Come se mi avesse letto nel pensiero, Tyron formulò quella domanda.
"No, non sono stanco, voglio uscire e divertirmi, scaricare la stress di oggi in mezzo alla pista... tu ci vieni, cucci?"
Gli riservai la stessa occhiata che avrei rivolto ad un alieno se fosse sceso sulla terra, facendogli capire che non era assolutamente nei miei piani. Per fargli capire maggiormente, gli indicai i miei piedi.
"E allora?" Sbuffai, alzando gli occhi verso Tyron che se la rideva bellamente. Lo pregai con lo sguardo di aiutarmi.
"Seth, è stanca, vuoi costringerla con la forza ad andarci?" Accompagnò il tutto con una risata ironica. Si stava prendendo gioco di me, tanto che incrociai le braccia, offessa, mentre l'irritazione aumentava.
Sussultai, poi, sorpresa quando Seth mi prese - anche se sarebbe stato più giusto dire tirò poco gentilmente - i miei piedi sul suo grembo, facendomi voltare. Prese a massaggiarmi delicatamente i piedi, come se fosse un professionista
Iniziò a sbattere velocemente le palpebre, guardandomi, cercando di convincermi. Quella volta, però, gli occhi da cucciolo bastonato, non sortirono nessun effetto sulla sottosritta.
Con la stessa forza usata da lui, strappai i miei piedi dalle sue mani e li rimisi per terra, perchè se avesse continuato avrei finito con l'accettare.
"Se anche non fossi stata stanca, non ci sarei venuta lo stesso. Sono impegnata stasera." Come tutte le sere d'altronde.
Alzò un sopracciglio, scettico.
"Sei fidanzata, per caso?"
Quella domanda non mi era stata rivolta da Seth, anche perchè non sarei arrossita, ma da Tyron. Con difficoltà pronunciai un semplice 'no', senza neppure guardarlo.
Non ne sarei stata capace, quegli occhi mi attiravano troppo, e poi... mi tornava in mente il bacio della sera prima, e no, non dovevo pensarci assolutamente.
"Uffi, come siete noiosi. Ty, ci vieni tu?"
"Lo sai che odio le discoteche e tutto il casino che ne deriva, vero?"
"Si lo so, ci beviamo una birra..."
"Seth..." Quello era stato sibilato da Marg, ma non ne fui sicura, perchè Tyron sovrastò la sua voce, parlando con rabbia malamente trattenuta.
"Si certo, andiamo ad ubriacarci, eh? Vuoi ubriacarti, Seth?" Ringhiò nella nostra direzione, e anche se quelle parole erano piene di rabbia i suoi occhi celavano altro: paura.
"Ok, per me va bene! Andiamo ad ubriacarci e suicidiamoci, tanto che ci siamo! Vuoi portarmi al suicido!?" Mi portai una mano alla bocca non appena scaraventò per terra un espositore per intimo, alzandomi, cercando di capire che gli fosse preso, mentre un sussulto al cuore mi prese alla sprovvista non appena sentii quella parola: suicidio.
E batteva, tanto velocemente che pensai volesse uscirmi di petto, avevo notato l'agitazione di Tyron, da cosa derivasse non lo sapevo.
"Mi faresti solo un favore, cazzo!" Era il flebile ringhio di un animale ferito il suo, come lo era lui in quel momento: ferito, deluso, arrabbiato.
Mi sorpresi di vedere Marg avvicinarsi velocemente a lui e stringerlo forte tra le sue braccia, mentre gli riservava parole che solo loro potevano sentire e capire.
Si sedette per terra, sempre tra le braccia di lei, mentre anche le sue mani correvano a stringere forte la sua maglia, aggrappandovisi come se fosse l'ultimo appiglio rimastogli.
Vedere quella scena, loro due che si abbracciavano, non era confortante per il mio povero cuore; voltai gli occhi, imbarazzata e ferita, in direzioni degli altri ragazzi che facevano finta di nulla, chi cercava qualche maglia piegata male per occuparsene, chi semplicemente si guardava attorno imbarazzato. Seth, che immaginai avesse tutte le colpe della sfuriata di Tyron, era rattristato, i suoi occhi erano spenti dall'allegria di sempre, sembrava in procinto di inginocchiarsi e chiedere perdono... ma che aveva detto di male, poi?
Uno spostamento d'aria mi fece voltare giusto in tempo per vedere Tyron salire velocemente le scale per raggiungere l'ufficio e senza pensarci, mi ritrovai a seguirlo. Di nuovo.
Giunta davanti alla porta, la scostai lentamente.
Sbirciai dentro, e lo vidi seduto mentre in mano teneva una piccola fotografia che guardava con amore.
Una foto.
Piccola, di quelle che si portano nel portafogli, e che non mi era permesso vederne il soggetto data la distanza.
Non appena si accorse della mia presenza, la nascose.
Non si voltò a guardarmi, ma si girò verso il muro per guardare la foto della bambina, quella tenera bimba con il viso sporco di Nutella.
La fissai anch'io, provando tanta tenerezza e affetto per quel volto sconosciuto, accorgendomi tardi che aveva degli occhi verdi capaci di ipnotizzarti. Forse a lui facevano lo stesso effetto.
Se lo avevo seguito in ufficio era perchè volevo parlargli, cercai quindi la forza e la voce per cominciare.
"Anch'io odio le discoteche." Si girò di poco a scrutarmi in viso dopo avermi sentita parlare, per poi tornare alla sua precedente occupazione.
"E anch'io odio gli alcolici." Un lieve sorriso prese forma sul suo viso teso, mentre abbandonava la visione di quell'angelo dagli occhi verdi per dedicarsi a me.
Tornò a guardarmi come le prime volte, mangiando il mio corpo con gli occhi, mentre un brivido di piacere percorreva la mia schiena alla visione dei suoi occhi pieni di desiderio.
Avvampai come al solito, ma non mi preoccupai tanto di quello, ma delle parole che mi disse subito dopo - anche se sarebbe stato più giusto chiamarle coltellate in pieno petto dall'effetto che mi fecero - piene di pentimento.
Nessuna emozione, niente. Solo quelle parole che mi bloccarono il respiro.
"Ho tentato di suicidarmi."






NOTE FINALI:
Ed ecco il quarto capitolo xD
Ci state capendo qualcosa? Spero vivamente di si, anche se potete sempre chiedere, nel caso vi fosse sfuggito qualche passaggio.
Ho provato - male direi -.-" - a fare un immagine, ma non fateci caso XD non sono un'esperta in queste cose.
Ringrazio SmileYou per aver recensito l'ultimo capitolo, chi aggiunge alle seguite/preferite e chi legge soltanto, Grazie veramente =)
A presto per chi volesse leggere, e magari, recensire.
Baci :*








   
 
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