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Autore: prudence_78    22/12/2011    4 recensioni
Rosalie Hale detesta il natale da anni oramai, per colpa di un brutto episodio accadutole in passato. Una sera uno sconosciuto bussa alla sua porta per chiedere aiuto per un associazione di beneficienza. Dapprima restia Rosalie cercherà di far capire all'uomo perché non lo può aiutare. E' l'inizio di una rinascita... la sua...
Storia partecipante al contest LUCI DI NATALE
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Emmett/Rosalie
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Eccomi qui con la shot che ha partecipato al contest di Natale, sono comunque molto contenta di come è venuta, mi sono cimentata in una trama non facile, ma appena ho letto il contest la mia mente ha partorito questa trama e ho dovuto scriverla. Non è la classica shot natalizia me ne rendo conto però a me piace.
Se tutto va bene domani avrete anche notre dame, se no c'è da aspettare un pochino. Ricordo che ho scritto anche una fantasi che si chiama il pulsare velenoso del cuore, se vi va fateci un salto.
Sono molto orgogliosa di tutte le mie storie in corso.

Anno del Signore 2011.

Manhattan è un tripudio di luci e suoni. Tra pochi giorni sarà Natale, e qui c'è un clima di festa che mi rende triste.

E' da anni oramai che io, in questa festa, non ci vedo niente di magico e niente di speciale. Da anni la odio. Da anni vorrei che sparisse dal calendario insieme a tutte le sue canzoncine e filastrocche.

Mi chiamo Rosalie Hale e la mia vita è un inferno.

Da piccola amavo il Natale, in parte per i regali, in parte per il clima di festa che si respirava a casa mia, mamma e papà stavano a casa dal lavoro, ed io, libera dalla scuola, passavo la maggior parte del tempo con la mia migliore amica, Vera.

Eravamo inseparabili, e durante le festività passavamo praticamente tutti i giorni insieme, solo il pranzo di Natale lo passavamo separate per poi riunirsi subito dopo, raccontandoci dei regali che avevamo ricevuto e giocando con alcuni di essi.

Quelli sono stati i Natali più felici della mia vita.

Ero una bambina serena, senza problemi, senza preoccupazioni, credevo che il mondo fosse perfetto e che sarei stata sempre felice come lo ero in quei giorni.

Mai la mia realtà si è discostata così tanto dalla mia fantasia.

Crescendo smisi di credere a Santa Claus, ma non per questo il mio amore per la ricorrenza venne meno. Anzi...

L'amore per questa festa era, se possibile, aumentato perché ne riuscivo a comprendere lo spirito.

Era l'amore quello che rendeva la ricorrenza magica, non i regali o le feste. Era la magia dell'amore che si liberava nell'aria a rendere tutto più speciale.

Ora che so che l'amore non esiste, ora che ho preso coscienza del reale significato di questa parola, sofferenza e delusione, e non certo felicità e gioia come vogliono farci credere, mi rendo conto che il natale non è altro che un'enorme menzogna, la più infame che si possa raccontare ai bambini perché poi se la trascinano fino alla fine della loro vita se non hanno avuto la sfortuna, come me, di incontrare qualcuno che aprirà loro gli occhi.

Nel mio caso l'ingrato compito di farmi crollare giù dal mio mondo fatato tocco a Royce King.

Conobbi Royce che andavo ancora al college, non frequentava i miei stessi corsi ma era impossibile non notarlo sia per il modo di fare da duro sia per la ricchezza che aveva e che gli consentiva di venire a scuola come se fosse un modello di una qualche casa di moda.

Era bello da impazzire, quando varcava la soglia del college tutte le ragazze si voltavano a guardarlo sperando che lui notasse qualcuna di loro, mentre i ragazzi lo fissavano per lo più con invidia, avendo capito perfettamente che con lui non avrebbero mai potuto competere.

Tra le ragazze che se lo mangiavano con gli occhi c'ero anche io, specie quando lo vedevo varcare la soglia mentre si toglieva gli occhiali da sole che non abbandonava mai, neanche di inverno e mostrava a tutti i suoi bellissimi occhi azzurro ghiaccio.

Ricordo ancora la prima volta che mi sorrise, sentii le guance avvampare e nascosi il volto dietro lo sportello del mio armadietto. Non volevo far capire a nessuno che mi piaceva, tanto meno a Royce, circolavano voci sul fatto che per lui le donne fossero solo dei giocattoli e per quanto lui mi piacesse molto avevo deciso che non sarebbe bastato un suo sorriso a mandarmi a gambe all'aria.

Non volevo essere una delle tante per un uomo, lui compreso, se una persona voleva costruire qualcosa con me, quel qualcosa doveva essere profondo e duraturo, non una semplice avventura.

A quel sorriso ne seguirono molti altri, a cui io rispondevo a mia volta sorridendo, ma a differenza delle altre ragazze presenti al college, non mi facevo mai avanti con lui cercando di iniziare una conversazione.

Avevo deciso che doveva essere lui a cercarmi, e se non mi avesse cercato, bhé me ne sarei fatta una ragione.

Non passarono molti mesi che una mattina, mentre ero con la testa immersa nel mio armadietto, sentii una voce sussurrarmi:

«Buongiorno, è da un po' che ti osservo, sei una ragazza particolare, posso avere l'onore di presentarmi? Mi chiamo Royce, Royce King e tu?»

«Rosalie, Rosalie Hale...»

«Lieto di fare la tua conoscenza miss Hale, posso accompagnarti alla prossima lezione? Che cos'hai»

«Letteratura, grazie...»

Mi accompagnò all'aula cominciando a farmi domande su di me, sulla mia vita sulla mia famiglia, domande che mi facevano piacere e che mi facevano sentire orgogliosa del fatto che tra tutte le ragazze, era proprio con me che stava parlando.

Ancora non sapevo che per me sarebbe stato meglio se Royce quella mattina avesse rivolto le sue attenzioni altrove.

Da quella mattina Royce prese l'abitudine di aspettarmi all'entrata e di accompagnarmi ad ogni lezione, facendomi domande su domande e ignorando tutte le mie.

Quando gli domandavo qualcosa della sua famiglia lui glissava sempre, sostenendo che non andavano affatto d'accordo e che non voleva parlare di quelle cose perché correva il rischio di rattristarsi.

Già completamente infatuata di lui gli credetti e decisi di non insistere più con altre domande sulla sua famiglia.

Del resto quale ragazza -mi dicevo- fa soffrire l'uomo che desidera con domande indiscrete? Senza contare poi che sulla sua famiglia non circolavano chiacchiere di nessun tipo, quindi evidentemente non erano persone che davano adito a pettegolezzi.

Per molto tempo andammo avanti così, vivendo il nostro rapporto nei momenti di pausa scolastici e qualche volta a mensa anche se lui stava quasi sempre con la squadra di basket di cui era capitano.

Mi sarebbe piaciuto dare una svolta alla nostra storia, sapere che cosa eravamo se per lui ero una ragazza come tante o se stavo cominciando ad occupare un posto speciale nel suo cuore, perché lui stava cominciando ad occupare un posto molto speciale nel mio.

Mi stavo innamorando di Royce King, non ci mancava molto e poi avrei perso definitivamente la testa per lui, mi era diventato necessario, se ritardava alla porta dell'aula dove avevo lezione lo cercavo con lo sguardo nel corridoio, preoccupata di poterlo trovare tra le braccia di qualche ragazza più carina di me. La mattina passavo ore a prepararmi per rendermi più desiderabile ai suoi occhi, avevo sempre messo particolare cura nel vestirmi ma da quando avevo iniziato a frequentare Royce la mia attenzione per la cura dei particolari e per l'abbigliamento era aumentata.

Volevo piacergli, volevo che mi trovasse seducente, io lo trovavo bellissimo, sensuale ero attratta da lui fisicamente e mi stupiva la sua maturità rispetto a tanti miei compagni di college che si interessavano solo di football e di ragazze.

Royce mi sorprendeva sempre con dei discorsi molto profondi e brillanti e questo non faceva altro che aumentare l'attrazione e l'amore che provavo per lui... Desideravo con tutto il cuore che anche lui mi notasse e anche se cercavo di non mettergli fretta, il mio umore peggiorava nel vedere che la situazione rimaneva immutata e che noi due non ci muovevamo di una virgola dalla posizione di quiete che avevamo trovato.

O almeno io credevo che non ci muovessimo di una virgola, in realtà Royce stava già macchinando nella sua mente un piano che definire diabolico e geniale sarebbe senz'altro stato riduttivo.

Passò qualche altro mese, mese in cui Royce si avvicinò a me anche dal punto di vista fisico, infatti aveva preso l'abitudine di prendermi per mano quando mi accompagnava a lezione; la prima volta che la sua mano calda sfiorò la mia il mio cuore perse un ulteriore battito, la sua pelle morbida a contatto con la mia mi aveva fatto rabbrividire ed una strana sensazione di languore si stava impossessando del mio basso ventre, avrei voluto baciarlo, lì in mezzo al corridoio, davanti a tutta la classe, ma la parte orgogliosa di me mi diceva di resistere, se mi fossi comportata come le altre, Royce non si sarebbe mai interessato veramente a me, e mi avrebbe abbandonato.

Detestavo questo mio lato orgoglioso, specie quando questo entrava in conflitto con il mio lato passionale ed istintivo, ma anche stavolta decisi di dargli retta e non feci niente di niente, mi limitai a stringere la sua mano e a continuare a camminare, con il cuore gonfio di felicità e pieno di tristezza dall'altra perché la situazione mi appariva sempre più ingarbugliata.

Fu verso la fine dell'anno scolastico che la tanto attesa svolta arrivò, era in programma il solito ballo di fine anno, ed io ero in profonda crisi: avrei voluto invitare Royce, ma temevo un suo rifiuto, del resto invitare qualche altro ragazzo dopo che per quasi tutto l'anno ero stata appiccicata a Royce mi sembrava ancora più assurdo.

Senza contare che nella mia testa già ronzavano le voci maliziose delle mie compagne che avrebbero malignato sulla fine della mia storia con Royce e su quanto lui si fosse stufato di una ragazza noiosa e banale come me.

Invece, anche questa volta Royce mi stupì: come mi vide entrare a scuola mi prese per mano e invece di condurmi a lezione mi portò in un luogo appartato situato nel giardino dell'edificio.

Quando si fermò prese le mie mani e le strinse nelle sue.

«Royce che hai?» gli chiesi preoccupata da quel suo lungo silenzio...

«Rosalie, in questo anno ho imparato a conoscerti e ad apprezzarti per la splendida ragazza che sei ed ho visto dentro di te la splendida donna che diventerai, ti va di diventare la mia ragazza e di venire con me al ballo di fine anno?»

Non riuscivo a credere alle mie orecchie, a Royce King io piacevo e non mi trovava solo attraente no, gli piacevo tanto da volermi come sua ragazza e voler venire al ballo con me, e non mi importava se non ero stata io a chiederglielo, la felicità di aver raggiunto il mio obiettivo era troppa per star dietro ai dettagli.

Royce tra tutte aveva scelto me, se era un sogno non volevo essere svegliata, mai.

Poi accadde la cosa più bella di quel giorno. Royce mi baciò, e lo fece con un trasporto e con una passione tale che per la prima volta in tutta la mia vita mi sentii completa e felice.

Avevo trovato la mia metà nel mondo ed ero convinta di essere lo stesso per lui.

Da quel giorno io e Royce fummo inseparabili, mi rendeva felice completa, mi faceva sentire amata e speciale.

Spesso mi ritrovavo a fantasticare sulla mia vita con lui, mi immaginavo sposata, con dei bambini, immaginavo, di fargli passare il giorno di Natale con me e la mia famiglia, dal momento che lui aveva problemi con la sua.

I miei genitori sarebbero stati felici di accoglierlo in quel giorno, nella festa dell'amore più profondo ed assoluto.

Poi gli avrei presentato la mia amica Vera, che nel frattempo aveva trovato un ragazzo prima di me.

Sognavo uscite di noi 4, speravo che Royce potesse andare d'accordo con Vera ed il suo ragazzo così come ci andavo io.

Vera fu la prima delle persone a me care che gli presentai, avevo riposto tutte le mie speranze in quella cena, ed invece cominciò proprio da lì la mia discesa verso l'inferno.

Solo che allora non ne ero consapevole.

Avevo lasciato a Vera il compito di scegliere il locale, volevo che fosse lei ad organizzare la serata perché di lei mi fidavo, perché volevo farla sentire importante e volevo farle capire che tra me e lei non era cambiato niente.

Quando io e Royce arrivammo al locale vidi il suo volto rabbuiarsi.

Alle mie numerose richieste di spiegazioni iniziò a ripetermi che non aveva niente, che non mi dovevo preoccupare.

Durante la cena Royce si chiuse in un mutismo assoluto, tutte le domande che Vera gli rivolgeva sembravano cadere nel vuoto.

Usciti dal locale Royce mi disse chiaro e tondo che la mia amica Vera non gli piaceva, che era troppo infantile per me, per noi, che una bambinetta come lei non avrebbe mai potuto capire l'amore, la passione ed il desiderio che provavamo l'uno per l'altro e che per questo avrei dovuto passare meno tempo possibile con lei. In fondo ora avevo lui, lui sarebbe stato il mio migliore amico, il mio confidente il mio tutto.

Stupidamente gli credetti, e rallentai fin da subito i miei contatti con Vera, contatti che cessarono a metà del primo anno di università.

Arrivò anche il tanto atteso ballo di fine anno, quella sera mi ritrovai in camera mia a prepararmi, felice e triste allo stesso tempo. Felice perché quella sera sarebbe stata la nostra serata, mia e di Royce, e profondamente triste perché per la prima non c'era più Vera con me a prepararci insieme per una festa.

Mi mancava, tremendamente. Ma la tristezza passò presto non appena vidi Royce davanti alla mia porta di casa, con in mano il bouquet di orchidee bianche che scambiava quattro chiacchiere con i miei. Era la prima volta che si incontravano, ed io speravo ardentemente che almeno con i miei potesse andare d'accordo, speravo che potessero prendere il posto di quella famiglia con cui non andava d'accordo. Conoscevo i mie genitori abbastanza bene da sapere che non si sarebbero fatti problemi ad accoglierlo come secondo figlio se Royce mi avesse fatto veramente felice. E felice lo ero, o almeno credevo di esserlo.

Il ballo fu fantastico, io e Royce passammo tutto il tempo insieme, lui mi teneva stretta a sé mentre ballavamo e mi sussurrava parole dolci all'orecchio. Poi a festa finita mi chiese se volevo andare da lui, visto che i suoi erano fuori città per affari. Accettai. Sapevo che molto probabilmente saremmo finiti a fare l'amore ma non mi preoccupava la cosa, sebbene fossi vergine ero convinta che Royce fosse quello giusto e non mi sarei fatta problemi nel donarmi a lui, lo amavo sopra ogni cosa.

Arrivati a casa prese a baciarmi con foga e passione, ed io ricambiavo con ugual trasporto, mentre le sue mani vagavano sul mio corpo iniziando a spogliarmi e portandomi verso quella che doveva essere camera sua. Una volta giunti nella stanza Royce finì di spogliarmi e poi si spogliò velocemente mentre riprendeva a baciarmi sempre con più passione. Non so ancora dove trovai la forza per fermarmi un attimo e confessargli che ero vergine... Pensavo che in quel momento si fermasse e mi mandasse via, invece mi disse una cosa che lì per lì non capii appieno troppo sconvolta dal momento che stavo vivendo:

«lo so per questo ti ho scelta»

Poi mi amò in una maniera dolcissima ed intensa per tutta la notte, certo un po' di dolore lo provai ed il piacere arrivò molto dopo, ma rispetto alle mie amiche potevo ritenermi soddisfatta di come era andata.

L'estate fu perfetta, andammo in vacanza insieme e passammo il tempo a rilassarci e ad amarci.

Poi arrivò il momento di andare all'università, avevamo fatto domanda per la stessa università non sopportando di stare separati neppure per un giorno e stranamente ci accettarono... Fu in quel periodo che Royce cominciò a cambiare atteggiamento nei miei confronti, mi stava sempre addosso in maniera quasi ossessiva, chiedeva continuamente cosa facessi, dove fossi, chi avevo come compagno di banco ai corsi, mi diceva che dovevo dare pochissime relazioni ai miei compagni di corso, perché loro erano solo invidiosi di noi due e avrebbero fatto di tutto per portarmi via da lui.

Pretendeva che tornassi in stanza appena finite le lezioni se tardavo di qualche minuto me lo trovavo davanti alla porta a passeggiare su e giù nervosamente, come mi vedeva mi assaliva, chiedendomi dove fossi stata e come mai avevo tardato, poi mi spingeva in camera e faceva l'amore con me in fretta e furia più come a voler marcare il territorio che come modo per amarci.

Dopo un paio di mesi provai a parlarci, gli dissi che così non potevamo continuare, non ne potevo più dei suoi continui dubbi su di me e sul nostro amore o si dava una calmata o lo avrei lasciato. Non ero un suo oggetto, ma una persona e volevo che di questo si rendesse conto.

Appena finii il discorso Royce scoppiò a piangere come un bambino, si scusò per come mi aveva trattato dandosi dell'idiota per avermi fatto soffrire, purtroppo si era scoperto molto geloso di me dopo la nostra prima volta insieme e la paura che io potessi essere di un altro così come ero stata sua lo faceva reagire in quel modo.

Mi chiese di aiutarlo, dicendomi che solo io potevo placare quel mostro colmo di gelosia che aveva dentro di sé, e quando io gli chiesi cosa dovessi fare lui mi propose di sposarci.

Ero perplessa, e anche impaurita pensavo di essere troppo giovane per sposarmi, ma lo amavo veramente molto e se il matrimonio poteva ridargli un po' di serenità avrei acconsentito volentieri a sposarlo.

Accettai la sua proposta e gli chiesi di poter avere una bella cerimonia con amici e parenti, volevo che quel giorno fosse speciale per me e per i miei familiari, volevo che mi vedessero finalmente felice ed al sicuro con l'uomo che avevo scelto di amare per tutta la vita.

Ma anche stavolta Royce disse che non era possibile, che il vedere la mia famiglia lì riunita non avrebbe fatto altro che renderlo ancora più triste per il non poter avere la sua lì visti i pessimi rapporti in cui erano.

Ancora una volta per il troppo amore cedetti, trovammo una chiesetta sperduta nei dintorni dell'università e ci sposammo lì. Niente abito bianco in grande stile, nessun padre ad accompagnarmi all'altare, solo io lui ed il prete che ci sposava.

Basta l'amore mi dicevo, con l'amore che nutrite l'uno per l'altro puoi superare anche questa mi dicevo.

Ma l'amore non basta, specie quando non è vero amore.

I miei genitori ci rimasero malissimo per non essere stati invitati alle nozze, ci tenevano a presenziare al giorno più bello per la loro unica figlia, io ero già nervosa di mio e litigai con loro accusandoli di volermi portare via da Royce, e giurai che non li avrei più cercati.

I primi tempi dopo il matrimonio Royce sembrava davvero migliorato, era meno nervoso e mi lasciava i miei spazi, ma la calma non durò a lungo.

Ben presto Royce cominciò a ritardare la sera sempre più inquieto e nervoso, tornava tardi la notte e se gli chiedevo spiegazioni mi si fogava contro dicendo di non intromettermi che aveva problemi ai corsi che era nervoso e che dovevo lasciarlo in pace. Una notte non sentii il suo corpo vicino al mio e cominciai a girare per la casa che avevamo preso dopo le nozze. Sentii la sua voce provenire dal piccolo studiolo, e mi avvicinai piano...

«Sì papà qui tutto bene e da voi? No chiaro che ancora non sospetta di niente, le dico sempre che ho problemi con i corsi e che mi deve lasciare in pace. Ovvio che sono felice di essere entrato nella famiglia a tutti gli effetti, sognavo di diventare come te fin da quando ero piccolo.»

Famiglia quale famiglia...

«Tranquillo papà con James ho già parlato, non proverà a fregarci la roba anche stavolta, sa benissimo cosa gli tocca sennò...»

Roba? Famiglia? Ma chi era Royce? Chi avevo sposato?

Tornai a letto, ringraziando Dio che non mi avesse visto, ma da quella notte qualcosa dentro di me si spezzò, cominciai a non fidarmi più di lui, e quando mi lasciava sola in casa frugavo alla ricerca di indizi che mi facessero scoprire chi fosse Royce veramente.

Dovetti quasi rischiare la vita per scoprirlo.

Una sera fui trattenuta più a lungo in Università, quando rincasai mi aspettavo di trovare mio marito in salotto pronto ad aggredirmi per il mio ritardo ed invece lui non c'era.

Il non trovarlo lì mi spaventò quasi più che la sua sfuriata, ma decisi di non preoccuparmi e mi recai in camera a cambiarmi, mentre mi avvicinavo sentivo delle voci ridere e scherzare, la porta era socchiusa e quando mi affacciai trovai Royce a letto con un'altra.

Mi crollò il mondo addosso, spalancai quella porta e mi avventai contro di lui e la sua amante urlandogli di tutto, fu allora che Royce si rivelò per quel che era realmente...

Tirò fuori la pistola e me la punto contro, urlandomi di smetterla di urlare e di lasciarlo in pace altrimenti...

«Altrimenti cosa Royce...»

«Altrimenti ti ammazzo, come ammazzo tutti coloro che si mettono sulla mia strada...»

«Ma chi sei veramente eh? Chi sei?»

«Colui che succederà a mio padre a capo della sua organizzazione criminale, colui che ti ha raccattato dalla monotonia in cui stavi e ti ha scelto come compagna, malgrado tu sia insignificante, colui che ti mantiene, ora stai buona vattene e lasciami in pace»

«Certo che me ne vado, vado alla polizia e ti denuncio, brutto stronzo...»

«Oh no mogliettina cara non farai niente di tutto questo...»

E mi colpì con il calcio dell'arma facendomi perdere i sensi, poi sentii uno sparo e poi più niente...

Mi risvegliai molto tempo dopo in ospedale, accanto al mio letto trovai un agente di polizia che mi spiegò come ci ero finita lì, mi disse che solo la chiamata tempestiva dei vicini che avevano udito lo sparo aveva evitato che io morissi dissanguata. Mi disse anche che già da tempo erano in corso indagini sul padre di Royce e mi svelò tutte le menzogne che mi aveva raccontato mio marito...

Mi nascosero per un tempo indefinito, ero sopravvissuta e per mio marito rappresentavo ancora una minaccia, quindi fino a che non lo arrestarono io sparii dal mondo, nemmeno con la mia famiglia in teoria avrei potuto avere contatti. Come se ne avessi ancora una.

Quando alla fine lo presero mi chiesero di testimoniare contro di lui, se non ci fossero state prove sufficienti per una condanna per associazione a delinquere almeno quella per tentato omicidio non gliela avrebbe tolta nessuno.

Lo feci, lo feci guardandolo negli occhi, lo feci e mentre parlavo mi rendevo conto di quel che Royce mi aveva portato via, la mia famiglia, i miei amici, i miei sogni. Ero sola oramai.

Pochi giorni prima di natale arrivò la sentenza che condannò Royce per tentato omicidio e associazione a delinquere.

Da quel giorno io sono sola, mi sono trasferita qui senza conoscere nessuno, un posto in cui stare soli per me valeva l'altro, chiamare i miei mi sembrava fuori discussione, specie dopo come li avevo trattati, avevo provato due o tre volte a farlo ma riattaccavo sempre appena sentivo la loro voce.

In questo periodo i ricordi mi perseguitano, è vietato per me ricordare, è vietato per me pensare al natale, è vietato tutto. Natale è la celebrazione di ciò che ho perso e che non ho più. Natale è per me un giorno di dolore.

Il campanello suona, lo lascio andare sperando che chiunque sia capisca che non è il caso e sparisca.

Ma chiunque sia non demorde quindi per non far preoccupare gli altri del palazzo decido di aprire.

Davanti a me c'è un ragazzo alto, muscoloso, capelli biondo scuro ed occhi azzurri. Mi guarda e mi sorride, ha dei denti bianchissimi e perfetti.

Seccata gli chiedo che c'è, chi è e che cosa vuole, sono volutamente sgarbata, mai come in questo periodo ho poca voglia di vedere gente.

Mi dice di chiamarsi Emmet Mc Carthy e mi chiede se il giorno di Natale posso dare una mano a servire il pranzo all'associazione di beneficenza che ha aperto da poco nell'edificio accanto al mio, ogni aiuto è ben accetto, se ho altri impegni posso almeno portare un po' del cibo che cucinerò per il classico pranzo e lasciarlo da loro.

Per un attimo mi fermo a pensare che ha una bella voce, ma poi torno in me e lo mando al diavolo insieme al suo natale.

Sbatto la porta e torno a sedermi sul mio divano, quando il campanello suona di nuovo a lungo.

Di nuovo lui, Emmet, che mi chiede come mai sono così acida, in fondo non mi ha chiesto niente di sbagliato, come mi sono permessa di trattarlo così?

Come mi sono permessa mi chiede? Ma che ne sa lui di quel che ho passato io? Niente... Cerco nuovamente di cacciarlo via, ma lui mi risponde che non se ne va se io non gli spiego il perché della porta in faccia.

Non so perché, ma faccio ciò che mi chiede, gli racconto la mia vita, quel che ho passato, cosa provo sotto le feste natalizie, il desiderio di rivivere quell'illusione che avevo da bambina e che ora ho scoperto essere una menzogna.

Gli parlo dei miei genitori di quanto mi mancano, di che pessima figlia sono stata. Di quanto mi sento sola in questo periodo.

Ma lui mi blocca, mi dice di smettere di credere a queste cose, che l'unica menzogna che ho vissuto è stata quella con Royce, che la mia famiglia mi vuole ancora bene, che sta solo aspettando di sentirmi, che il natale è la festa dell'amore più puro e che non c'è niente di sbagliato nel credere all'amore, che amare è la cosa più bella del mondo, è ciò che ci fa sentire vivi, che ci fa battere il cuore, che ci spinge a non mollare nei momenti bui.

Non ce la faccio a sentirlo parlare ancora, il mio cuore fa troppo male, e scoppio in un pianto dirotto. Fino a che non sento due braccia, le sue, cingermi e stringermi a sé.

Mi sento bene, mi sento protetta, mi sento cullata, l'odore di quell'uomo mi riporta a casa, lenisce le mie ferite, ricompone i cocci del mio cuore.

Non so niente di lui, ma so che ha messo in atto il processo di guarigione del mio cuore.

Lo guardo a lungo, in quegli occhi azzurri, come quelli di Royce, ma diversi, per il calore che emanano, per la luce che hanno, per la gioia di vivere che trasmettono.

Gli sorrido dapprima goffamente, poi lo ringrazio e gli prometto che ci penserò, ma che non garantisco di guarire dalle mie ferite.

Emmet mi risponde che lo sa che non è facile, ma che mi vuole aiutare, mi dice di prendermi il mio tempo, lui tra tre giorni sarà all'associazione, se andrò lì vuol dire che sono pronta per ricominciare a vivere se no, non sarà un mio rifiuto a farlo desistere dal convincermi che non sono io quella sbagliata.

Se ne va chiudendo dolcemente la porta dietro di sé ed io mi metto a riflettere. E se avesse ragione? Se la mia famiglia e Vera fossero davvero felici di risentirmi? Se gli mancassi davvero?

Decido di provare, di toccare con mano se c'è del vero nelle parole di Emmet, se davvero per Rosalie Hale ci può essere una seconda opportunità.

Corro al telefono e compongo il numero di casa.

Mi risponde mamma, la mia bellissima e splendida mamma.

«Mamma, ciao sono Rosalie... Mamma non piangere... Mamma... Ti voglio bene, volevo solo dirti che mi manchi e augurarti buon natale...»

Faccio per riattaccare ma mamma non si accontenta, vuole sapere dove sono, come sto, che mi è successo, e anche con lei parlo racconto tutto quel che è successo, quel che ho passato con Royce, il perché non mi sono fatta viva, il timore di averli persi per sempre.

E man mano che parliamo scopro che almeno su questo Emmet ha ragione, i miei mi vogliono ancora bene, non hanno mai smesso di pensare a me, di volermi bene, mi hanno perdonato il mancato invito al matrimonio e mi chiedono se possono venire a trovarmi, sotto queste feste, per stare insieme come negli anni passati, non ce la faranno ad essere qui per natale ma per il 27-28 sì...

Dico loro che è perfetto, che non vedo l'ora siano qui di nuovo con me, di nuovo insieme, come un tempo, quel tempo felice che potrebbe tornare presto.

Riattacco il telefono, felice come la bambina di un tempo, un passo avanti l'ho fatto, ora manca solo Vera perché tutto ritorni come era prima, forse anche meglio.

Chiamo anche lei, all'inizio non è facile, per niente, troppo tempo siamo stato lontani, troppo ha lungo l'ho abbandonata, ferita, ma le voglio bene, e molto, la prego di perdonarmi, anche se so che è difficile, le dico che mi rendo conto di meritare il suo odio, ma che spero ugualmente in un suo perdono, perché lei è stata e sarà per sempre la mia migliore amica ed io le vorrò per sempre bene. Infine le racconto tutto di Royce, di ciò che ho passato, ed ora è lei a piangere, a dispiacersi per non essersi intromessa maggiormente, per avermi lasciato libera di allontanarla, per avermi lasciato sola.

Mi dice che vuole vedermi, ma che non può perché sta per avere un bambino, ma mi promette che appena sarà nato mi avvertirà e se vorrò potrò andare a trovarla. Il pensiero di lei col pancione aumenta ancora di più i miei singhiozzi, almeno lei il sogno di diventare madre lo ha realizzato, io ancora no, ma comincio a non disperare, chissà che non capiti anche a me prima o poi.

Ci lasciamo con la promessa di sentirci presto, ed io mi sento più sollevata e felice, manca ancora tanto alla mia guarigione completa ma non sono sola ora lo so.

Guardo il mio appartamento spoglio, buio e decido di comprare in piccolo alberello di natale con le lucine, piano piano voglio far rivivere la magia di questa festa. Decido anche di andare a comprare qualcosa per il pranzo di natale, voglio fare le lasagne, per cui esco e vado a fare spese.

Ci sono luci, suoni colori intorno a me, e man mano che cammino la sensazione di fastidio sparisce, per far posto ad una sensazione di pace e serenità.

Tre giorni dopo, con un sorriso sul mio volto sono di fronte alla porta dell'associazione con in mano la teglia delle lasagne, suono alla porta ed un Emmet sorpreso quanto mai mi apre...

«Sei qui...»

«Sono qui, sono di nuovo viva, grazie a te. Avevi ragione sai? Ed io torto. Mi potrai mai perdonare per come ti ho trattato?»

«Non c'è niente da perdonare, almeno da parte mia, c'era solo un cuore da guarire e spero che mi concederai l'onore di aiutarti a farlo, non ti conosco ancora molto, ma ti reputo speciale, voglio conoscerti meglio, voglio starti vicino, aiutarti nei momenti bui, che dici Miss Hale, me lo concederai questo piacere?»

«Sarebbe un onore per me Mister Mc Carthy.»

E prendendogli la mano ci avviamo al tavolo della mensa, di nuovo viva, di nuovo felice di nuovo amata.

  
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