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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    22/12/2011    7 recensioni
«Edward?», sussurra, tremando e stringendo le dita sulla stoffa della camicia.
«Hm?», rispondo semplicemente, senza staccare le labbra dai suoi capelli. Sotto il leggero odore d’alcol c’è il suo profumo di sempre, che solo una volta ho avuto l’occasione di aspirare come ora. È dolce, sa di fragola, di shampoo, di pulito. Sa di Bella.
Sento il suo corpo tremare per un istante. «Non mi lasciare sola».
Il suo è solo un sussurro spezzato, una preghiera detta a bassa voce, ma dentro di me risuona con la stessa potenza di un’eco incessante, e si incide a fuoco nella mia mente, nella mia memoria e nel mio cuore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Salveee! :D

Sono in ritardissimo, sorry. Avevo in mente questo capitolo da tantissimo tempo, ma ogni volta che lo scrivevo non mi piaceva, così cancellavo e riscrivevo tutto da capo. Così è passato un mese. Ci tevevo a postarlo entro Natale, però, quindi ieri mi sono messa di impegno, e spero che il risultato non sia un obbrobrio :)

Il capitolo è lunghetto, perciò vi lascio subito alla lettura :)

Buona lettura! :D

___________________________

 

Don’t Leave Me Alone

Capitolo 18__Sciogliti

Venerdì 25 Dicembre

Bella

“Avvisiamo i gentili viaggiatori che per motivi di sicurezza l’aeroporto è sorvegliato da telecamere a circuito chiuso. I bagagli incustoditi verranno sottoposti a controlli della sicurezza…”

Distolgo l’attenzione dall’ennesimo annuncio all’altoparlante, e lancio un’occhiata spazientita all’orologio: le undici e venti. Questo significa che tra non molto inizieranno a imbarcare per il nostro volo, diretto a Vancouver, e non vedo l’ora che succeda. Aspetto solo di potermi sedere per dormire un po’, sono esausta. Questa notte non sono riuscita a chiudere occhio per moltissimo tempo; credo fossero ormai le quattro quando sono finalmente riuscita ad addormentarmi. Il motivo? Continuavo a ripetere nella mia mente le parole di Edward, e la mia mente immancabilmente si proiettava nei scenari più disparati del futuro. Sono ormai un caso perso.

«Resisti, tra un quarto d’ora potrai dormire», sussurra una voce al mio fianco, con una punta di divertimento.

Mi copro la bocca, nascondendo l’ennesimo sbadiglio. «Quindici minuti sono troppi», bofonchio, muovendo la testa per sgranchire i muscoli del collo, intorpiditi. Siamo seduti su queste panchine da più di mezz’ora e nonostante il caffè bevuto appena sveglia mi sento addormentata.

Edward ride leggermente, continuando a leggere il quotidiano comprato nell’unica edicola aperta dell’aeroporto. I negozi, ad eccezione di alcuni, sono chiusi, ed i viaggiatori sono davvero pochi; il gruppo più consistente è formato da me, Edward, Alice, Jasper ed Emmett, seduti accanto al gate del nostro volo; le altre persone sono perlopiù coppiette in viaggio e uomini di lavoro che non si fermano nemmeno il giorno di Natale o che rientrano solamente oggi a casa. Inizio a chiedermi perché Alice abbia deciso di partire proprio oggi invece di domani.

La mia amica si muove inquieta al mio fianco per tutto il tempo, accavallando le gambe di continuo, nervosa.

«Vado a comprare qualche rivista da leggere durante il volo!», esordisce infine, alzandosi dalla poltrona. «Vieni con me, Bella?»

Annuisco, per il semplice motivo che se non faccio subito qualcosa per risvegliare i muscoli intorpiditi mi potrei addormentare su questa sedia, e non trovare neanche la forza per arrivare all’aereo. Così mi alzo a mia volta, e la seguo in direzione dell’unico giornalaio aperto nel terminal in cui ci troviamo. Non appena siamo a debita distanza dai ragazzi, però, la mia amica si avvicina, fissandomi con fare cospiratorio.

«Allora, gliel’hai detto?», sussurra, facendo attenzione a non essere sentita da nessuno.

«Cosa? A chi?», domando, inarcando un sopracciglio, addormentata.

Alice ruota gli occhi, scuotendo il capo. «Ad Edward, ovviamente. Quella cosa. Quello di cui abbiamo parlato ieri sera».

Arrossisco, cadendo dalle nuvole e risvegliandomi un po’. «Eh? No, figurati. Quando avrei potuto dirglielo? Ci siamo visti neanche un’ora fa!»

Alice arriccia le labbra. «E quanto aspetti a dirglielo?», sbuffa. «Lascia stare. Ci penserai in aereo. Hai ben 6 ore per trovare un modo per dirglielo».

Scuoto il capo. «Alice, non è così semplice», borbotto, mentre entriamo nell’edicola e ci dirigiamo verso le riviste. «Quando ci sarà l’occasione glielo dirò».

Lei alza gli occhi al cielo. «Allora dovrai aspettare in eterno. Conoscendo Edward non tirerà più fuori l’argomento perché penserà che non sei affatto interessata a lui come ragazzo».

Aggrotto le sopracciglia, mordendomi il labbro inferiore. Alice ha ragione. Edward non mi chiederà direttamente se ho pensato alle sue parole, per paura di allontanarmi. Abbiamo già affrontato questa situazione con i contatti fisici, e a quel punto abbiamo perfino dovuto ricorrere ai permessi per abbracciarci. In questo caso cosa potremmo fare?

Questa mattina avevo paura di rivedere Edward; ero sicura che l’imbarazzo ci avrebbe travolto entrambi, portandoci a parlarci a mala pena, ma per fortuna mi sbagliavo. È come se non fosse successo nulla ieri sera, e non so se essere felice o triste per questo.

«Glielo dirò presto», sussurro, al tempo stesso emozionata e terrorizzata. Nonostante la sicurezza infusami dalla sua dichiarazione sono comunque atterrita.

Alice alza gli occhi al cielo, mentre afferra alcune riviste e si dirige verso la cassa. «Ecco, così mi piaci».

Sospiro, trattenendo un altro sbadiglio.

Quando torniamo dagli altri hanno appena aperto le porte del gate, poco affollato. Tutti ci aspettano con i biglietti e i passaporti in mano, pronti a salire a bordo dell’aereo, e nel giro di pochi minuti ci ritroviamo ai nostri posti, disposti tutti e cinque su un’unica fila. Io ed Edward da un lato, e Jasper, Alice ed Emmett dall’altro.

Mi sistemo meglio vicino al finestrino, guardando la pista di fianco a noi, semideserta anch’essa.

«Sai, se il posto vicino al mio non è occupato dopo potresti perfino sdraiarti», mormora Edward, quando appoggio la testa sulla sua spalla, stanca. Voglio solo riuscire a resistere durante il decollo per poter poi abbassare lo schienale ed essere più comoda.

«Non mi dare illusioni», bofonchio con un sorriso, ad occhi chiusi.

Edward sussurra qualcos’altro, ma mi sono già addormentata. Mi sveglio pochi minuti dopo, a causa del suono della voce del pilota dell’aereo che informa i passeggeri della durata del viaggio - sei ore, all’incirca - e altre cose. L’aereo è già decollato, e fuori dal finestrino New York scorre sotto i nostri occhi, lontana.

Edward nota il mio risveglio, perché mi parla: «Buone notizie. Il posto vicino è libero. Vuoi sdraiarti?»

«Come?», sussurro, intontita per il brusco risveglio.

«Se mi sposto di un posto poi puoi appoggiare la testa sulle mie gambe e sdraiarti un po’».

Impiego qualche secondo a capire cosa vogliono dire le sue parole, ma ad Edward bastano per scivolare di un posto, sollevando entrambi i braccioli fra i tre sedili.

Rimango indietro, arrossendo violentemente. «Non credo che…» …sia una buona idea.

«Dai, Bella. Saremo più comodi entrambi, non credi? Non voglio rischiare di svegliarti ogni volta che mi muovo o peggio che ti venga male al collo». Sorride.

Alla fine la stanchezza ha la meglio su tutto, persino sul mio imbarazzo. Mi sposto vicino a lui, e mi sdraio piegando al petto le gambe, ringraziando per una volta la mia bassa statura che mi permette di sistemarmi perfettamente in quell’angusto spazio.

Sotto la guancia, nonostante il piccolo cuscino dato in dotazione dalla compagnia di volo, sento la consistenza soda ma morbida delle gambe di Edward, e lascio che le palpebre troppo pesanti si richiudano, gettandomi nel buio.

E mentre sento la mano di Edward accarezzarmi delicatamente i capelli, mi addormento.

 

«Hai sentito Rose?», domando ad Alice non appena abbiamo recuperato i nostri bagagli dal nastro di raccolta dell’aeroporto.

La mia amica annuisce, tirandosi dietro un trolley, mentre Jasper spinge alle nostre spalle un carrello con altre due valigie della sua ragazza, il suo borsone e il pacco contenente la loro attrezzatura da sci.

La mia valigia invece è sul carrello spinto da Emmett, che mentre si fa strada attraverso la fila di porte scorrevoli scandaglia le poche persone in attesa alla sala degli arrivi, alla ricerca di una chioma bionda.

Edward è vicino a Jasper, con il quale parla di quello che sarà il programma di domattina, sperando nelle buone condizioni del tempo.

Ho dormito per quasi cinque ore in aereo, ovvero per quasi l’intera durata del viaggio. Quando mi sono risvegliata avevo solo bisogno di sgranchirmi le gambe, ma per fortuna non avevo alcun male al collo, proprio come aveva detto Edward.

«Ehi, ragazzi!»

Ci voltiamo tutti in direzione della familiare voce che arriva attraverso il lieve brusio in sala, e finalmente vediamo Rosalie. La sua chioma bionda spicca in mezzo ai colori scuri dell’aeroporto come una lampadina, mentre scuote una mano in aria nella nostra direzione, venendoci incontro senza allontanarsi troppo dalle sue valigie, vicine ad una panchina.

Prima ancora di poter dire qualcosa arriva vicino a me ed Alice, e ci stringe in un unico abbraccio. È passata solo una settimana dall’ultima volta che ci siamo viste, eppure sembra passato molto più tempo.

Non facciamo neanche in tempo a separarci che Alice ha già iniziato a insediarla di domande, cercando di strapparle quante più informazioni possibili su cosa ha fatto, chi ha visto, come ha passato la settimana in famiglia.

Rosalie risponde con un sorriso a tutte le sue domande mentre saluta anche gli altri, prima di lasciarsi stringere nell’abbraccio di Emmett, che sorride come un bambino nel giorno di Natale, e di lasciarsi baciare dal suo ragazzo.

 

Pochi minuti dopo ci troviamo davanti all’autonoleggio dell’aeroporto. I ragazzi sono entrati nell’ufficio a discutere le ultime pratiche per il noleggio delle auto, mentre io, Alice e Rose siamo rimaste fuori con le valigie, davanti alle file infinite di automobili di ogni tipo.

Rosalie sorride, prendendo la parola. «Com’è stato il viaggio? Scommetto che il fuso orario vi scombussola».

Prima che possa rispondere, Alice interviene.

«Giusto, Rose. Allora, Bella?», trilla Alice, avvicinandosi a me con un sorrisetto malizioso. «Com’è andato il volo?»

Distolgo lo sguardo, sentendomi arrossire fino alla punta dei capelli. «Non riniziare, ti prego. Non gli ho ancora detto nulla».

«Di cosa state parlando?», chiede Rose, ancora all’oscuro degli ultimi avvenimenti.

«Edward ha detto a Bella che vuole stare con lei!», le dice la mia coinquilina, con un tono di voce troppo alto.

«Shh!», sibilo arrossendo, guardandomi alle spalle per vedere se i ragazzi dentro il locale hanno sentito qualcosa. Nessuno di loro si volta verso di noi per fortuna, ancora tutti coinvolti a parlare con l’uomo del noleggio auto.

Le sopracciglia bionde di Rose schizzano verso l’alto, l’espressione sorpresa. «Davvero?» Sorride. «Ce ne ha messo di tempo, eh?»

Inarco un sopracciglio, e sto per ribattere che sono passati solo un paio di giorni da quando Edward ha dimostrato di essere interessato ad una relazione con me, ma mi zittisco appena Emmett esce dal locale, seguito dagli altri due.

«Andiamo ragazze? Abbiamo ancora quasi due ore di viaggio prima di arrivare a Whistler», dice Jasper, con due chiavi in mano.

Alice si attacca al braccio del suo fidanzato e gli prende le due chiavi, dandone una ad Emmett mentre l’altra la porge ad Edward. «Eddy? Ti dispiace guidare tu l’altra auto? Vorrei che Jazz non guidasse», gli dice con aria innocente.

Edward inarca un sopracciglio, perplesso per quella domanda inaspettata. «Non c’è problema», ribatte, afferrando le altre chiavi.

Alice sorride ancora, ed alzo gli occhi al cielo, capendo cosa sta facendo, mentre suo fratello sembra ancora ignaro dei suoi piani. «E dato che sei allergico alle nostre dimostrazioni d’affetto andremo con Rose ed Em. Non voglio iniziare a litigare con te perché sei insofferente».

Edward è sempre più perplesso. «Non sono insofferente», borbotta, mentre Alice gli fa la linguaccia. «Comunque non ti preoccupare, sorellina. Non ci tengo a rischiare di fare un incidente ogni volta che mi arrischio a guardare nello specchietto retrovisore, quindi andate pure con Emmett e Rose».

Così ci dirigiamo tutti verso le auto, parcheggiate una accanto all’altra: sono due jeep argentate, come quella di Emmett, con i porta-sci sopra il tettuccio.

Carichiamo i bagagli sulle auto, dopodiché ci diamo appuntamento alla baita, separandoci.

Quando nessuno ci guarda, Alice si volta verso di me, e il suo labiale è chiaro: “Diglielo”.

 

Pochi minuti dopo la partenza, in auto è calato il silenzio, spezzato solo dal lieve chiacchiericcio della radio in sottofondo, intervallato da pezzi di canzoni. Il paesaggio scorre veloce fuori dal finestrino, innevato e illuminato dal sole che sta ormai calando velocemente dietro le montagne che ci circondano.

La jeep di Emmett è davanti alla nostra, ed Edward la segue restando a qualche metro di distanza, mentre i suoi occhi rimangono fissi sulla strada nera, che risalta in mezzo alla distesa bianca che si estende fino al bordo della carreggiata.

Quando anche gli ultimi raggi di sole calano dietro le montagne, inizio a sentire questo silenzio sempre più pressante.

«Edward?», lo chiamo, voltandomi verso di lui, concentrato sulla strada.

I suoi occhi si voltano nella mia direzione per un secondo, per poi tornare a fissare oltre il vetro. «Mh?»

«Manca ancora molto a Whistler?»

Lui lancia un’occhiata all’ora, aggrottando leggermente la fronte. «Credo che in mezz’ora dovremmo arrivare. Ti stai annoiando?», mi chiede poi, con una punta di incertezza.

«No», rispondo subito, sinceramente. Rimango in silenzio per un secondo, poi decido di continuare a parlargli. «Da quant’è che non venivi qui in vacanza?»

Edward si irrigidisce, e per qualche secondo le sue dita si stringono intorno al volante con più forza, facendo quasi sbiancare le nocche. Poi prende un profondo respiro, e la sua presa diminuisce, e le rughe sul suo viso si distendono. «Da quattro anni», risponde, improvvisamente teso.

Annuisco, rimanendo in silenzio, scossa dalla sua strana reazione. «Va tutto bene?», mi azzardo a chiedergli, sperando di non peggiorare la situazione. Il suo umore è improvvisamente cambiato, e non riesco a capirne il motivo.

Edward scuote il capo in senso affermativo, ma la sua postura rimane rigida e nell’aria la tensione è palpabile. «L’ultima volta che sono venuto qui c’erano anche Esme e Carlisle. Credo sia stata l’ultima vacanza che abbiamo fatto come famiglia con anche Alice ed Emmett».

«E non siete più tornati qui da allora?»

Edward aggrotta le sopracciglia. «Non tutti. Alice e Jasper sono venuti qui a fare la settimana bianca l’anno scorso, ed anche Esme e Carlisle vengono a passare qualche settimana in estate e inverno tutti gli anni. Credo che solo Emmett ed io non siamo più tornati».

Fra di noi cala di nuovo il silenzio, e notando l’ombra scura calata sui suoi occhi decido di non insistere più su questo argomento. Ho la sensazione che Edward non abbia alcuna voglia di rivelarmi quale sia il motivo per cui la sua famiglia non si è più ritrovata su queste montagne per festeggiare le vacanze, e non voglio costringerlo a parlare di qualcosa che possa guastare il suo umore.

«Significa che non scii da quattro anni?», gli chiedo, con un tono di voce più allegro.

Edward inarca un sopracciglio, lanciandomi un’occhiata veloce. «Già».

Sorrido. «Allora non sarò l’unica a rischiare di fare qualche figuraccia per la mancanza di allenamento, domani».

Finalmente Edward sorride, e la strana tensione di poco fa sparisce, insieme all’ombra che era calata sui suoi occhi. «Anche se non scio da quattro anni non significa che cadrò di sicuro».

«Vuoi scommettere?», lo sfido, allegra.

«Ci sto», risponde prontamente, con un ghigno divertito sulle labbra. «Qual è il premio per chi vince?»

«Possiamo deciderlo poi sul momento», propongo, mentre lo osservo.

«Sicura di non voler porre alcun limite alle richieste?», mi domanda, con un sorrisetto malizioso.

Sento le guance infiammarsi, ma non distolgo lo sguardo. «Non hai intenzione di ordinarmi un omicidio nel caso vincessi, vero?»

Edward ride tranquillo. «Certo che no. Anche se in effetti dopo aver visto cosa sei in grado di fare quando ti arrabbi con qualcuno potrei prendere in considerazione l’idea di usarti come killer. Scommetto che Jessica Stanley ha gli incubi quando sogna la vostra lotta».

Rimango in silenzio per un lungo istante, mentre il nome di Jessica Stanley riporta alla mia memoria momenti difficili e sgradevoli, lacrime e dolore. A causa sua ho passato le ventiquattr'ore più orribili della mia vita, seguite da una settimana difficile e opprimente. Edward percepisce il mio improvviso cambio d’umore, perché la sua risata si spegne subito. Ma pochi istanti dopo sono io a scoppiare a ridere, lasciandolo basito.

Lascio che non siano i pensieri negativi a prendere il sopravvento, ma piuttosto i ricordi più piacevoli; ripenso alla faccia rossa di rabbia e graffi di Jessica subito dopo la nostra lite in ufficio, ai suoi capelli spettinati simili ad un nido di rami e alle unghie, alcune lunghe e finte, altre corte.

«Ti ricordi come camminava quando se n’è andata dall’ufficio?», gli chiedo, ricordando di averla vista mentre Edward mi tratteneva dal rincorrerla per continuare la lotta.

La sua risata si sovrappone alla mia, mentre il suo sguardo rimane fisso sulla strada. «Per forza, l’hai terrorizzata talmente tanto che non si è nemmeno fermata per rimettersi la scarpa che aveva perso».

Quando le risate si spengono fra di noi cala nuovamente il silenzio, e prendo un profondo respiro, sentendomi finalmente pronta.

«Ho pensato a quello che mi hai detto ieri sera», sussurro, sentendo le guance bollenti, e senza avere il coraggio di guardarlo. Osservo il suo riflesso nel finestrino al mio fianco, e mi sembra quasi di percepire la tensione nuovamente presente nell’auto.

Edward rimane in silenzio, in attesa che continui.

«Credo…». Mi mordo il labbro. La sicurezza che ho avvertito un istante fa sembra essersi dissolta non appena ho iniziato a parlargli, ma ormai è troppo tardi per tirarsi indietro. Devo dirglielo. Voglio dirglielo. «Anch’io non voglio essere solo un’amica per te», sussurro infine, resistendo all’impulso di chiudere gli occhi.

Nei successivi dieci secondi di silenzio sento solo il mio cuore tamburellare frenetico nel mio petto, e i suoi battiti che rimbombano assordanti nelle mie orecchie, mentre osservo il riflesso di Edward, immobile.

«Ne sei sicura?», sussurra, incerto.

Mi volto lentamente nella sua direzione, osservando il suo profilo, mentre i suoi occhi scrutano la strada.

«Sì. Sì, certo», rispondo semplicemente.

E la mia risposta gli basta, perché le sue labbra si piegano in un sorriso, specchio del mio.

 

Come mi aspettavo, lo chalet dei Cullen non ha niente a che vedere con le piccole baite di montagna a cui sono abituata. È una bellissima baita a tre piani, con tanto di seminterrato, nascosta fra i boschi delle montagne, ad appena un chilometro dal centro di Whistler; le pareti sono costruite in pietra e legno, ed una breve scala in ciottoli conduce alla porta principale. Un ingresso accogliente e interamente in legno conduce alla cucina e al salotto, da cui due portefinestre conducono ad una veranda che ospita un barbecue e un dondolo, perfetti per la stagione estiva. Ora invece la casa è immersa nel manto bianco e immacolato della neve, che la avvolge da cima a fondo, nascondendo le piante sempreverdi che circondano come una siepe il piccolo giardinetto dietro la casa, dove una fontana spenta troneggia circondata da cespugli spogli.

In cima alle scale si trovano quattro camere da letto, due bagni, e, all’ultimo piano, un’altra camera da letto, che da quanto mi ha detto Alice è quella che usano sempre Esme e Carlisle quando vengono qui.

Appena giunti qui ci siamo tutti ritirati nelle nostre rispettive stanze per disfare i bagagli e rinfrescarci dopo il lungo viaggio. La mia camera si affaccia sul retro della casa, illuminato da alcuni piccoli lampioni che gettano fasci di luce sul piccolo giardinetto innevato.

Proprio come mi aspettavo da un’arredatrice d’interni come Esme, tutte le camere sono diverse fra loro, ognuna di un colore diverso e con i mobili che seguono lo stile della stanza.

Quando si avvicina l’ora di cena scendo in cucina, dove trovo Emmett già posizionato dietro i fornelli, alle prese con alcune pentole. Dopo aver scoperto che Rosalie l’ha spedito qui a cucinare per tutti decido di dargli una mano, e in poco tempo riusciamo a mettere insieme una cena per sei persone, grazie alle provviste che Alice ha portato da casa per evitare di andare a fare la spesa questa sera stessa.

Ceniamo tutti insieme, seduti intorno al tavolo della sala, con la televisione in sottofondo che trasmette le notizie dell’ultima ora ed una bottiglia di vino stappata da Emmett in occasione della prima sera di vacanza ufficiale.

«Che ne dite di andare in paese a fare un giro? Se non sbaglio in centro dovrebbe esserci una specie di festa di Natale», propone Alice, dopo aver riposto tutti i piatti in lavastoviglie.

«Adesso?», chiedo, perplessa, guardando l’orologio. Segna solo le nove, ma a New York, per il fuso orario, è già mezzanotte. Per di più non ho voglia di camminare per le strade innevate di un paesino con questo freddo.

«Certo! Dobbiamo iniziare ad abituarci fin da subito a questo fuso orario, quindi proibisco ad ognuno di voi di andare a dormire prima delle undici. Non ho intenzione di farmi svegliare domattina alle cinque solo perché siete convinti che siano già le otto», dice, incrociando le braccia sotto il seno e fissandoci dal primo all’ultimo.

Edward alza le braccia in segno di resa. «D’accordo. Prometto di non andare a dormire prima delle undici. Ma non ho intenzione di andare fino in paese a quest’ora».

Alice socchiude gli occhi, fissandolo. «E cosa vorresti fare allora?»

«Non lo so. Guardare la tv, magari. Fa troppo freddo per uscire per i miei gusti», commenta, scrollando le spalle.

La mia amica sospira, e guarda me e gli altri ragazzi. «Vi prego, ditemi che non siete anche voi della sua stessa idea».

«A me non dispiacerebbe fare un giro in paese», interviene Rosalie, sorridendole.

Emmett le passa un braccio intorno alle spalle. «Okay, allora è deciso: si va in città!», esordisce, mentre si allontana con la sua ragazza e Jasper in direzione degli attaccapanni nell’ingresso.

«Bella, resti a fare compagnia ad Edward o vieni con noi?», mi domanda Alice, prima di raggiungere gli altri.

Mi volto verso suo fratello, fermo vicino al divano in salotto, che mi sorride. «Se vuoi, vai pure. Non preoccuparti per me».

«Credo che rimarrò qui anch’io…», mormoro girandomi di nuovo verso Alice, che sorride. «Fa troppo freddo per uscire».

Lei annuisce, e si volta per raggiungere gli altri e vestirsi. Io ed Edward li guardiamo uscire di casa, e li salutiamo mentre salgono a bordo di una jeep, per poi richiudere la porta alle nostre spalle.

«Okay…», mormoro a disagio quando il rumore del motore della Jeep diventa solo un ricordo. «Cosa possiamo fare ora? Guardarci un film? Giocare a… scarabeo?», propongo interdetta, leggendo un nome a caso nella pila di scatole di giochi da tavolo impilati in fondo alla libreria.

Guardo Edward, il cui sguardo è fisso verso qualcosa fuori dalla finestra. Quando i suoi occhi puntano i miei sulle sue labbra appare il suo sorriso sghembo. «Io ho un’idea migliore».

 

«Forse era meglio restare a casa e giocare a scarabeo», borbotto, reggendomi con tutte le mie forze al muretto in pietra.

Edward sfila al mio fianco veloce, e con un piroetta elegante si volta nella mia direzione, lasciandosi scivolare all’indietro senza alcun timore. «Abbiamo la pista tutta per noi, cosa puoi chiedere di meglio?»

«Un pavimento meno scivoloso!», replico, osservando la lastra di ghiaccio sotto i nostri piedi, fermandomi non appena sento le lame dei miei pattini slittare pericolosamente.

Edward fa un giro completo della pista, aggraziato quanto un ballerino professionista. Io in confronto sembro un cavallo con quattro paia di rotelle al posto dei ferri, in procinto di ritrovarsi schiantato a terra. L’unica cosa che mi consola, effettivamente, è sapere di essere soli, almeno se cadrò - cosa che accadrà sicuramente - limiterò questa figuraccia alla sola presenza di Edward, e non a quella di dozzine di adulti e bambini perfettamente capaci di reggersi in piedi su due lame.

La pista è poco distante dallo chalet dei Cullen; è situata in un piccolo parco giochi frequentato quasi esclusivamente dai proprietari o affittuari di questa zona, e quattro lampioni la illuminano a giorno. La pista non è molto grande: è un semplice quadrato di medie dimensioni, circondato da un muretto di pietre rosse che arrivano fin sopra la mia vita, e c’è un solo ingresso. A quanto dice Edward in estate è una pista di pattinaggio su ruote.

I pattini sono un vecchio paio di Alice: erano ritirati in un armadio del garage, dall’aspetto nuovo e con le lame perfettamente affidabili, secondo la veloce stima di Edward.

«Ti ho raccontato della mia unica esperienza sui pattini, vero?», gli chiedo, restando ancorata al muretto, accanto all’uscita.

«Erano pattini a rotelle», puntualizza, continuando a girare in tondo, divertito.

«È la stessa cosa», bofonchio. Pignolo.

Arriva a pochi passi da me, e si ferma senza problemi. Come diamine fa? «No, non è vero. Io non vedo nessuna palma contro cui andare a sbattere, qui», sogghigna.

Alzo gli occhi al cielo. «Capirai. Ci sono solo quattro muri di mattoni contro cui posso sempre schiantarmi».

Edward scuote il capo, sorridendo. Si avvicina, e allunga entrambe le mani verso di me. «Dai, Bella. Concedimi un po’ di fiducia».

Mi mordo il labbro, esitando. Alzo una mano, posandola leggermente sulla sua. Le sue dita si stringono intorno alle mie, delicate. «Solo… non lasciarmi cadere», sussurro, timorosa.

Le labbra di Edward si piegano in un sorriso, ed i suoi occhi si addolciscono. «Mai».

Sorrido timidamente, e lascio andare con lentezza la presa sul muretto, lasciando che entrambe le mani stringano quelle di Edward. A differenza mia, non indossa i guanti, ma la sua pelle è comunque calda anche attraverso la sottile stoffa intorno le mie dita.

«Pronta?», mi chiede, restando immobile, mentre mi concentro sui miei piedi per farli rimanere dritti, in modo che le lame non scivolino di lato.

Annuisco con un cenno del capo, deglutendo.

«Okay, allora iniziamo con le regole fondamentali. Primo», inizia, con un tono colloquiale, «mai guardarsi i pattini».

«Se non li guardo rischio di cadere», protesto, senza sollevare lo sguardo.

«A meno che tu sia un Jedi e non me l’abbia mai detto, dubito che la Forza del tuo sguardo riesca a trattenere i tuoi piedi dritti».

Rido sotto i baffi, ma non gli obbedisco. «È una questione di concentrazione. Così è più semplice coordinarmi».

«Sì, ma è più difficile capire dove stai andando e mantenere l’equilibrio», ribatte, pacato. Cerca di liberare una mano dalla mia presa ma non glielo permetto.

«Cosa vuoi fare?», gli chiedo, allarmata.

«A meno che tu non alzi gli occhi dal pavimento, vorrei sollevarti il viso».

Rifletto velocemente. Meglio perdere un appiglio, o il controllo sui miei piedi? Decisamente la seconda, visto che lui mi sta tenendo ferma.

Lentamente, e aumentando la presa intorno le mani di Edward, sollevo lo sguardo e il viso, fino a incontrare i suoi occhi verdi.

«Così?», borbotto, ripetendomi mentalmente di tenere i piedi immobili.

Edward sorride. «Esatto».

Sospiro, resistendo alla tentazione di abbassare di nuovo lo sguardo ai pattini per assicurarmi che siano nella stessa identica posizione di poco fa. «Regola numero due?»

«Devi scioglierti», snocciola subito.

Aggrotto le sopracciglia, perplessa. «Cioè?»

Inarca un sopracciglio, osservandomi dall’alto in basso e viceversa. «Ecco… sei un po’ troppo rigida in questo momento. Non offenderti, ma sembri una statua di ghiaccio. Dovresti lasciarti andare un po’, essere più elastica».

«Un paragone migliore non potevi trovarlo?», brontolo, arricciando le labbra.

«Guardalo dal punto di vista pratico: se una statua di ghiaccio cade si rompe, se lo fa un elastico i danni sono minori, no?»

Alzo gli occhi al cielo. «Certo». Aspetto alcuni secondi, cercando di rilassarmi, senza successo. «Quindi devo sciogliermi».

«Esatto», conferma lui.

«Come la neve?»

Edward ride leggermente. «In un certo senso».

«Fa un po’ freddo qui fuori per sciogliermi come neve, non credi?», chiedo, ridendo a mia volta.

Edward non risponde, ma lascia andare una mia mano, e mi affretto a stringergli il gomito. Le sue dita arrivano sotto il mio mento e afferrano la zip del giaccone che indosso, e la inizia ad abbassare.

«Cosa fai?», sussurro, rabbrividendo.

«Voglio provare una cosa», risponde, seguendo con lo sguardo la zip che arriva a slacciare completamente.

Appena il giaccone è aperto infila la mano sotto di esso, allacciandola al mio fianco e spingendomi verso di lui.

Con il cuore che inizia a battere più forte, mi lascio avvicinare, fino ad appoggiare la testa sul suo petto, lasciando andare l’altra sua mano per stringere le sue braccia.

Entrambe le sue mani mi cingono la vita, e arrivano fino alla mia schiena, stringendomi contro di lui. Con una mano mi avvolge, mentre l’altra percorre interamente la mia spina dorsale, lentamente. Quasi subito, sento i miei muscoli iniziare a sciogliersi, tornando ad essere rilassati.

«Edward…», lo chiamo, con la voce ridotta ad un sottile sussurro, «cosa…?»

«Ho notato che quando ti abbraccio tendi a rilassarti», sussurra contro i miei capelli, senza interrompere quella lenta carezza. «Ho pensato potesse essere d’aiuto vista la situazione».

«Quindi tu saresti il sole», sussurro, con il viso affondato nel suo cappotto.

È molto utile, in effetti. Se non fosse per il fatto che il pattinaggio è l’ultimo dei miei pensieri in questo momento.

Sollevo il capo leggermente, e le sue labbra premono contro la mia fronte. «Edward», lo chiamo, con il cuore che ormai sembra un rullo di tamburi. «Ti ho già detto che anch’io voglio di più, vero?»

Sento le sue labbra piegarsi in un sorriso contro la mia fronte, e il suo petto scuotersi per una risata trattenuta. «Signorina Swan, sta forse cercando di distrarre il suo maestro durante la lezione?»

Aspetto alcuni secondi, senza rispondere, poi inclina il suo viso, lasciando che i nostri nasi si sfiorino e le nostre labbra siano alla stessa altezza. Trattengo il respiro, mentre i suoi occhi incontrano i miei. L’oceano verde sembra in subbuglio, o forse è il mio cervello in totale confusione a farmeli sembrare tali.

«Sei pronta?», sussurra a pochi millimetri dalle mie labbra.

E quando penso che mi stia per baciare si allontana, riallaccia velocemente la zip del mio giubbotto e mi prende le mani. La delusione e la sorpresa sul mio viso devono essere abbastanza evidenti, perché sorride trionfante e trattiene una risata.

Fa un paio di passi indietro, facendomi scivolare sul ghiaccio con lui. Stringo di più la presa intorno alle sue mani, e faccio una smorfia.

«Adesso devi provare a pattinare tu», dice, sorridendo.

Sbuffo, arrendendomi. I successivi venti minuti trascorrono così: con lui che mi tiene per le mani sorreggendomi all’istante quando rischio di cadere, ed io che provo a compiere passi anche solo lontanamente aggraziati sul ghiaccio, sperando di non spezzarmi il collo. E in breve mi rendo conto che pattinare mi piace, a differenza di quanto credevo. Sentire il mio corpo scivolare sulle lame mi fa sentire leggera e libera, e le mani di Edward strette intorno alle mie mi fanno sentire sicura e protetta.

Quando sembra che riesco a muovermi nel modo corretto, Edward si ferma e lascia andare le mie mani, decidendo che è il momento che provi a farcela da sola. Arretra alla distanza di pochi passi, guardandomi.

«Okay. Adesso prova a venire qui», mi istruisce, con le mani tese per afferrarmi quando sarò vicino a lui.

«Non ce la farò mai», protesto, preparandomi comunque a prendere lo slancio.

Edward tiene gli occhi puntati nei miei, mentre io mi costringo a fissare il suo viso e non i miei pattini.

Provo a muovere un piede, ma mi interrompo quando sento la lama slittare sul ghiaccio paurosamente. Mi rimetto in posizione eretta, spaventata.

Edward inarca un sopracciglio, e mi fissa accigliato, poco distante. «Sei troppo rigida, Bella».

Mi acciglio a mia volta. «Scusami tanto se ho paura di spezzarmi l’osso del collo da un secondo all’altro».

Lui scuote il capo. «Ti ho già detto che non succederà se proverai ad essere più elastica», ribatte, alzando gli occhi al cielo. «È più probabile che uscendo di qui vieni investita da un’auto piuttosto che ti spacchi qualcosa cadendo qui dentro».

Inarco un sopracciglio, sconcertata. «Non sei di grande aiuto, sai?»

Chiudo gli occhi per alcuni secondi, ripensando alle braccia di Edward intorno a me, e un brivido corre lungo la mia schiena, mentre i miei muscoli si sciolgono leggermente. Quando sollevo di nuovo le palpebre prendo lo slancio e compio i pochi passi che mi separano da Edward, scivolando sul ghiaccio senza cadere. Arrivo a stringere le sue mani, e mi fermo facendo pressione sulla nostra presa, ancora incapace di fermarmi da sola.

«Visto? Non era così difficile», dice Edward, con un sorriso.

Sorrido a mia volta, soddisfatta. «Solo perché erano pochi metri».

Edward piega la testa di lato, e un sorriso furbo compare sulle sue labbra. «Rimediamo subito, non ti preoccupare».

E così altri dieci minuti trascorrono cercando di farmi pattinare per tratti sempre più lunghi, finché non cado per due volte quando provo a compiere il tratto da un lato all’altro della pista. Non mi faccio mai nulla, ma per Edward sembra essere segno che sono troppo stanca per continuare. Effettivamente, quando guardiamo l’orologio scopriamo che sono quasi le undici, e questo significa che a New York sono già le due di mattina.

«Ti prego, solo un’altra volta», lo imploro, mentre mi aiuta a rialzarmi dal ghiaccio. «Sono sicura che questa volta ce la farò».

Edward ride, divertito. «Ma tu non detestavi pattinare?»

«Non l’ho mai detto», brontolo.

Alza gli occhi al cielo. «D’accordo. Ma solo un tentativo».

Annuisco, e torno indietro alla fine della pista, mentre lui arriva dall’altra parte. La prima volta sono caduta dopo i primi passi, la seconda appena dopo la metà del percorso. Questa volta voglio riuscire ad arrivare fino alla fine.

Prendo un profondo respiro, poi mi lancio in avanti, in direzione di Edward. Cerco di concentrarmi sui miei passi, lasciando che i muscoli delle gambe si muovano scioltamente, e quando finalmente sono a pochi passi da Edward lascio che siano le lame a scivolare sul ghiaccio e a portarmi fino a lui, che prende le mie mani immediatamente e dopo avermi rallentato mi accoglie nel suo abbraccio, fino a fermarmi contro il suo petto.

Sorrido trionfante, mentre ricambio l’abbraccio. «Ce l’ho fatta! Visto che non ero troppo stanca?»

Sento il suo torace scuotersi per una risata. «Ho notato», mormora, con la bocca premuta contro i miei capelli. «Immagino che il mio lavoro come insegnante sia terminato».

Alzo il viso per incontrare il suo sguardo, a pochi centimetri da me. «E immagino che io debba sdebitarmi in qualche modo».

Un angolo delle sue labbra si curva verso l’alto, in un sorriso. «Avrei un’idea a riguardo…»

«Sì?», sussurro, mentre il suo viso si inclina sul mio e socchiudo le palpebre.

«Hmm», mormora ormai vicinissimo.

Chiudo gli occhi, e sento le sue labbra scendere sulle mie, delicate e morbide come piume, ed il mio cuore smette di battere per alcuni secondi. Stringo le dita intorno alla stoffa del suo giubbotto, mentre sembra che il cuore stia per esplodermi nel petto talmente ha ripreso a battere forte.

Le nostre labbra si muovono lentamente, provando e saggiando, diventando di secondo in secondo sempre più audaci.

Il bacio si fa più appassionato quando Edward prende il mio labbro inferiore fra le sue e lo succhia leggermente, facendomi quasi gemere nella sua bocca. All’improvviso mi sento come al centro di un immenso vortice; la testa gira, e il semplice sfiorarsi delle nostre bocche non sembra mai abbastanza. Puntello le mani sulle sue spalle e, dimentica del ghiaccio sotto i nostri piedi e delle lame scivolose sotto le mie scarpe, cerco di alzarmi sulle punte per andargli incontro. E mentre sento la lingua di Edward scivolare in una sensuale carezza sulle mie labbra i miei piedi perdono la stabilità di poco fa, e mi ritrovo con il corpo schiacciato contro il suo e le mani che si aggrappano alle sue spalle nel tentativo di sorreggermi e resistere alla forza di gravità. Le sue mani stringono più forte la mia vita, e sulle labbra avverto il suo sorriso.

«S-Sto s-scivolando», balbetto contro la sua bocca, riaprendo di poco gli occhi, mentre lui li tiene ancora chiusi.

Il sorriso di Edward si amplia, mentre tiene la bocca a pochi millimetri dalla mia. «Lo sento», mormora, con la voce un po’ arrochita.

Quando riapre gli occhi avvolge un braccio dietro la mia schiena per aiutarmi a rimettermi in piedi, e prima che possa fare qualsiasi cosa mi spinge di lato, fino a farmi appoggiare contro il muretto in pietra della pista.

Lo fisso confusa per un secondo, poi, con un sorriso sghembo a piegargli le labbra, mi issa senza sforzo sul muretto, facendomi sedere. I nostri visi sono ora alla stessa altezza, e le mie ginocchia premono contro i suoi fianchi. Edward puntella le mani accanto alle mie cosce, e si sporge con il busto verso di me.

Inarca un sopracciglio, divertito. «Chissà se riesci a cadere anche qui», mormora, facendosi più vicino.

Avvampo, rimanendo immobile. «Posso sempre cadere all’indietro», sussurro, sentendo il suo respiro accarezzarmi il viso.

«Mmm…». Solleva una mano, e sfiora gentilmente il mio collo, facendosi strada fra i capelli fino ad arrivare alla mia nuca. «Non ci provare neanche», risponde, prima di posare nuovamente le sue labbra sulle mie, bloccando la mia replica sul nascere.

 

Non so quanto tempo passiamo alla pista di pattinaggio, baciandoci e abbracciandoci. So solo che ogni bacio, ogni carezza, si è impressa nella mia mente come un marchio, che non dimenticherò mai.

Presto, però, il peso di questa lunga giornata inizia a farsi sentire, e a nulla serve la scarica di adrenalina ed eccitazione che mi ha tenuta sveglia fino ad ora, perché i primi sbadigli iniziano ad arrivare prepotenti, seguiti dalle palpebre sempre più difficili da tenere aperte.

«Hai sonno?», sussurra Edward, accarezzandomi una guancia.

Appoggio la testa sulla sua spalla, stringendolo ancora. Non me la sento di lasciarlo andare così presto. Mi sembra ancora impossibile che tutto questo sia reale; ho paura che andando a dormire domattina quando mi sveglierò questo non si rivelerà altro che un bel sogno.

Ma non posso nascondere di avere bisogno di dormire, e non posso nemmeno ignorare la stanchezza che leggo sul volto di Edward.

Annuisco sottovoce, per non spezzare la quiete della notte. «Torniamo alla baita?», aggiungo, allontanandomi il tanto necessario per guardarlo negli occhi.

Edward scuote il capo in senso affermativo. Mi aiuta a scendere dal muretto, dopodiché usciamo insieme dalla pista e ci sediamo su una panchina per toglierci i pattini da ghiaccio, che poi ritira in una borsa di stoffa.

Mentre ci allontaniamo in direzione dello chalet, con la mia mano stretta nella sua, non riesco a pensare ad altro a quanto sia fortunata. Fortunata di avere risolto per il meglio la situazione con Edward, fortunata ad avere amici come Alice, senza la quale probabilmente a quest’ora mi ritroverei per le strade di un paesino freddo e sconosciuto, e non vicino al ragazzo che mi tiene per mano.

Quando arriviamo davanti alla casa, però, Edward aggrotta le sopracciglia, e seguendo il suo sguardo mi ritrovo ad imitarlo.

«È strano che siano già tornati», mormora, osservando la jeep di Emmett posteggiata al suo posto.

«Magari la festa in paese è finita prima… oppure hanno capito di essere troppo stanchi per stare in giro fino a tardi», ipotizzo, mentre saliamo gli scalini che conducono all’ingresso.

Edward infila la chiave nella toppa, ma non appena ci ritroviamo all’interno notiamo che non tutte le luci sono spente. Dalla porta della sala filtra uno sprazzo di luce fioca, e un chiacchiericcio di sottofondo indica una televisione accesa. Spingo la porta della stanza leggermente, il tanto da vedere all’interno, e quattro paia d’occhi si voltano subito verso me ed Edward, inchiodandoci.

«Com’è la temperatura fuori?», domanda Emmett, stravaccato sul divano con Rosalie al suo fianco, che sorride.

«Sbaglio o voi due eravate quelli del “fa troppo freddo per uscire”?», aggiunge Jasper, trattenendo una risata, seduto sull’altro divano con le gambe di Alice sulle sue.

Arrossisco, mentre Edward sospira.

«Voi non dovreste essere in paese ad una festa?», chiede ai quattro, e mi sembra di scorgere un accenno di imbarazzo sul suo viso in penombra.

«In realtà ho scoperto che era ieri sera la festa!», risponde Alice, per niente dispiaciuta. «Mi sono sbagliata».

«Così siamo tornati qui a vedere un film», continua Rose. «Ma a quanto pare voi due ve ne eravate già andati».

Mi schiarisco la voce, cercando di scacciare l’imbarazzo. «Siamo andati a pattinare», spiego, arretrando per uscire dalla sala, tirando con me anche Edward. «Però, credo che sia ora di andare a dormire. Quindi… buonanotte a tutti».

Edward richiude la porta alle nostre spalle, e sospira nuovamente. «Avremmo voluto immaginare che li avremmo trovati tutti in piedi ad aspettarci», mormora con un sorriso imbarazzato, mentre ci dirigiamo verso gli attaccapanni.

Mi aiuta a sfilare il cappotto, e prima di allontanarci per salire le scale si china per darmi un bacio.

Mi allontano da lui pochi secondi dopo, e solo in quel momento notiamo Emmett, che ci osserva a pochi passi. Ghigna, e poi va verso la cucina, mentre urla: «Rose! Dovremmo andare a pattinare anche noi! Sembra che quella pista faccia miracoli!»

Edward sospira, appoggiando la fronte contro la mia, mentre un sorriso increspa le sue labbra. «Sicura che non posso assoldarti come killer? Potrebbe tornarmi utile in questa settimana».

Rido, mentre in sottofondo il chiacchiericcio dei nostri amici inaugura quella che si preannuncia una vacanza meravigliosa.

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Lo chalet dei Cullen è questo.


Eccoci :D

Finalmente siamo arrivati alla grande svolta di Edward e Bella :D La scena della pista di pattinaggio l'avevo in mente fin dall'inizio di questa storia, e dopo mille riscritture questa versione è quella che mi ha convinta più di tutte; spero abbia convinto anche voi :D


Come sempre vi ringrazio per il continuo sostegno, per le recensioni, per le continue aggiunte della storia alle preferite/seguire/ricordate :D


Vi auguro di passare un felice Natale, in compagnia di familiari, amici, fidanzati, e chi più ne ha più ne metta :D


Grazie, e Auguri! :*******

   
 
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