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Autore: Miyuki chan    23/12/2011    3 recensioni
Io, giuro, quella ragazza non l'avrei mai capita.
Prima mi ringhiava contro, poi si arrabbiava, poi mi ignorava, poi ancora fuggiva.
E adesso addirittura mi baciava...
*
Io, un giorno o l'altro, a quello stupido pirata avrei staccato la testa dal collo.
Lui e quella sua perenne aria da moccioso compiaciuto, i capelli corvini e ribelli, le lentiggini, gli occhi scuri e ardenti...
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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Only one word is left for me to say... Why?

Appoggiai la schiena alle assi ruvide della parete, turbata.

Perché?
Ero stata sul punto di chiederglielo, di aprire la bocca e dar fiato al fiume di emozioni contrastanti che provavo e che lui stesso aveva reso più impetuoso con quella risposta detta così, quasi che gli fosse sfuggita dalle labbra per caso.
Mi sentivo combattuta, come spaccata in due.
“Ti rendi conto di quello che dici? Hai ben presente cosa fa un marine e cosa fa un pirata? Hai chiaro che lo scopo principale della marina è quello di eliminare la pirateria? C’è bisogno che te lo spieghi?”
Una parte di me avrebbe voluto ringhiargli in faccia questo, stizzita dal suo comportamento illogico e irrazionale, fiera e orgogliosa fino all’inverosimile.

Ma, l’altra parte, si era sentita immensamente sollevata sentendo dire a Portgas “ti lasciamo andare”, con voce bassa e calma, gentile quasi.
Un brivido mi corse lungo la schiena mentre mi rendevo conto di essermi addirittura sentita riconoscente, e che rimanere impassibile fingendo disinteressate era stato molto difficile.
Addirittura c’era una piccolissima, e ripeto piccolissima, parte di me che iniziava quasi a sentirsi in colpa, per comportarsi in modo tanto insopportabile con chi in fin dei conti mi aveva salvata.
Mi coprii il volto con una mano, insinuando le dita tra i capelli.
E pensare che appena quella mattina mi ero detta che non avevo nessun motivo per dimostrare gratitudine ad una stupida banda di pirati…
Lasciai che la mia schiena scivolasse mollemente contro il muro freddo fino ad accasciarmi a terra, le ginocchia strette al petto, mentre le mie dita torturavano impietose le ciocche scomposte della frangia.
Cosa dovevo fare?
A quale delle due parti di me avrei dovuto dar retta?
Sentii l’ansia attanagliarmi il petto in una morsa gelida, mentre il groppo che avevo in gola trasformava in un singhiozzo strozzato il mio respiro.
Perché nessuno mi aveva mai detto che sarei potuta finire in una situazione del genere?
Perché durante l’addestramento nessuno mi aveva mai spiegato come mi sarei dovuta comportare se fossi finita prigioniera di un pirata?
Certo l’avevano fatta facile loro: dare per scontato che un pirata avrebbe ucciso un marine all’istante eliminava la possibilità della prigionia.
E quindi?
Si erano sbagliati?
Su tutto?!
Mi lasciai sfuggire un singhiozzo esasperato mentre domande su domande sia accavallavano nella mia mente e mi rendevo conto che per ognuna di esse non avevo una sola risposta, ma ne avevo due, tre, quattro!
Ogni piccola parte di me rispondeva in modo diverso a domande che, fino a quel momento, non mi ero mai nemmeno posta.
Marina uguale buoni e pirati uguale cattivi: era sempre stato così semplice e lineare!
Ma se i pirati alla fine non erano così cattivi, allora come cambiavano i ruoli?
Era la marina il cattivo?
No, no, non poteva essere, non si era mai sentito.
Ogni tanto poteva essere accaduto che non fosse riuscita a fare giustizia nel modo adeguato e questo era okay, in fondo niente è perfetto, ma che fossimo noi i cattivi era fuori discussione.
Chi era che si spostava di isola in isola tra razzie e scorribande depredando, rubando e uccidendo? Certo quelli non eravamo noi.
E allora?
Allora come stavano davvero le cose?
Come un cane che si morde la coda mi sembrava che i miei ragionamenti non portassero da nessuna parte, ogni volta che credevo di aver trovato una soluzione mi rendevo conto che ero invece giunta soltanto all’ennesima contraddizione.
Semplicemente, al momento sembravo non essere in grado di affrontare la situazione.
Mi sentivo troppo fragile, stanca, debole…
Che cosa avrebbe fatto Smoker al mio posto?
“Un pirata rimane pur sempre un pirata” sentii la sua voce riecheggiarmi nella mente, calma e assolutamente sicura di sé.
Inspirai profondamente cercando di calmarmi, sforzandomi di buttare fuori dalla mia mente tutto quel groviglio di dubbi e risposte indesiderate.
Allora non era poi così difficile.
“Un pirata è sempre un pirata” è un modo come un altro per affermare che tutti i pirati, indipendentemente da cosa possano fare o da come possano comportarsi, sono nemici giusto?
Espirai piano: si.
Il mio respiro lentamente tornò regolare mentre, ancora sul pavimento, la mia presa convulsa sulle ginocchia si allentava appena.
Allora, se le cose stavano così, sapevo cosa fare.
Ignorai con forza la vocina flebile che nella mia mente mi chiedeva se ero proprio sicura che fosse giusto giudicare una persona per una sua scelta di vita anziché per i propri comportamenti, mentre cautamente mi rialzavo in piedi.
Ignorai quella voce perché nonostante tutta la confusione che avevo in testa, paradossalmente, c’era una cosa mi era parsa chiara: non potevo concedermi il lusso del dubbio.
Non potevo permettermi di dubitare di quello in cui credevo, se lo avessi fatto allora sì che sarei stata davvero persa.
Mi era bastato un sorriso gentile ed io avevo iniziato a pensare e farmi delle domande, e all’improvviso non ero più stata certa di nulla: ero persino arrivata vicina a schierarmi dalla parte dei pirati.
Non importava come la pensavo io alla fine: la legge era legge, i pirati erano i cattivi e i marines i buoni.
Misi a tacere con rabbia la parte di me che si opponeva a questo ragionamento che io stessa mi rendevo conto essere rigido e forzato: un profondo respirò mi gonfiò il petto mentre il mio sguardo tornava limpido e fiero, nella mente ancora l’eco flebile della voce di Smoker.
“Dopotutto, un pirata rimane sempre un pirata.”
 

*

 
Lancia il cuscino per terra con tutta la forza che avevo, mentre un gemito frustrato mi usciva dalle labbra.
Mi sembrava di impazzire a stare chiusa in quella stanza: non c’era assolutamente nulla che potessi fare, ogni minuto sembrava durare un’eternità e, per quanto continuassi a fare finta di nulla, la mia coscienza mi urlava che la conclusione a cui ero giunta – quando? Un ora, forse due, o tre, o anche quattro prima – era sbagliata.
Non era da me non affrontare un problema, come non era da me non usare la mia testa per decidere ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
…solo non volevo che i dubbi mi assalissero di nuovo, o temevo che debole e confusa come mi sentivo avrei finito con lo schierarmi dalla parte dei pirati per semplice istinto di conservazione.

Non me lo sarei mai perdonata, tradire tutto quello che ero sempre stata per paura o fragilità.
E, soprattutto, non potevo tradire Smoker.
Tutto quello che mi aveva insegnato, quello che mi aveva detto, i suoi ordini…
Sentii un brivido gelido scuotermi, mi sembrava quasi di vederlo: il suo sguardo freddo e carico di disprezzo che riservava ai pirati puntato invece su di me.
Mi opposi con forza a questa immagine: no, non sarebbe mai accaduto, non lo avrei mai permesso.
Sentii la tristezza scendere improvvisamente su di me come nebbia umida e appiccicosa in una sera d’inverno, mentre di nuovo tornavo a chiedermi dove fosse Smoker in quel momento.
Non credevo che Portgas mi avesse mentito al riguardo, probabilmente davvero non sapeva più di quel poco che mi aveva detto.
E questo, se possibile, faceva ancora più male: significava che non avevo più nessun modo per sapere cosa gli fosse accaduto dopo che i pirati avevano lasciato la nave in fiamme.

Non poteva essere morto.
Non per così poco.
Mi aggrappai disperatamente a questo pensiero impedendomi di tornare a prendere in considerazione altre opzioni.
Dovevo farlo, anche questo era un punto su cui non mi potevo permettere incertezze.
Alzandomi in piedi, interruppi bruscamente il corso dei miei pensieri.
Rimanere ferma in quella dannata cabina buia e silenziosa significava necessariamente essere assalita da dubbi e paure, sensi di colpa e confusione.
Dovevo uscire.
Affrontare la ciurma e la faccia insolente di Portgas mi sembrò improvvisamente la cosa migliore che potessi fare per conservare un briciolo di lucidità: senza esitazioni (perché se mi fossi messa ad analizzare attentamente la questione ci avrei certamente ripensato), aprii la porta infilandomi nel corridoio lungo e silenzioso senza tuttavia avere nemmeno la più pallida idea di dove fossi diretta.
Mi sarebbe andata bene qualunque cosa, qualunque situazione in cui mi fossi imbattuta: tutto, pur di non rimanere da sola con la mia coscienza.
 

*

 
Ero sgattaiolata fin sul ponte principale, e solo in quel momento riuscii a spiegarmi perché non avevo incontrato nessuno: la ciurma al completo sembrava essersi radunata lì.
Esitai per un secondo, intimorita, ma il pensiero di tornare nella cabina buia sbriciolò ogni mio dubbio.
Mi avvicinai cauta e silenziosa alla banda di pirati che mi davano le spalle: la loro attenzione era tutta concentrata sul brigantino che si era affiancato alla nave di Barbabianca, della cui presenza mi accorsi solo in quell’istante.
Aguzzai lo sguardo, incuriosita mio malgrado.
Caso volle che proprio in quell’istante uno dei pirati davanti a me facesse un passo indietro, urtandomi.
Indietreggiai allarmata, mentre l’uomo si voltava: riconobbi in lui l’energumeno che mi aveva trascinato nella cabina solo il giorno prima, anche se a me sembrava essere passato un secolo.
Mi incupii all’istante, sentendo i muscoli tendersi sotto l’uniforme logora.
Il pirata mi guardò sorpreso:
“Non credo che tu dovresti essere qui”
Commentò in un tono calmo e pacato che strideva terribilmente con il suo aspetto rozzo.
Valutai rapidamente ciò che avrei potuto rispondere, mentre anche i suoi vicini si accorgevano della mia presenza e si voltavano verso di me.
In pochi secondi mi trovai al centro dell’attenzione.
Mi pentii di non essermene rimasta buona nel mio angolo, mentre i miei occhi spalancati incontravano gli sguardi – sorpresi, irritati e alcuni addirittura divertiti- dell’intera ciurma.
Ben presto incontrai anche quelli del comandante, le sopracciglia corrugate in un espressione contrariata e perplessa.
“Jugo”
Chiamò semplicemente, irritato.
Il colosso rispose con un cenno del capo, mentre il ragazzo che aveva al fianco (che riconobbi essere lo stesso che mi aveva portata da Portgas quello stesso giorno) sibilava fissandomi un “Ace perché non ti decidi a metterla sottochiave una buona volta?”
In un'altra situazione gli avrei probabilmente risposto per le rime, ma i miei polsi vennero saldamente afferrati dall’enorme pirata che si apprestava ad ubbidire all’ordine implicito nel richiamo di Portgas.
“Lasciami subito!”
Sbottai furiosa, cercando di divincolarmi con tutta la forza che avevo dalla sua presa ferrea.
“Che mi venga un colpo se quello non è il cucciolo di Smoker…”
Sentii una voce che non riconobbi dire all’improvviso, in tono saccente e mellifluo.
Smisi all’istante di agitarmi, sforzandomi di capire chi aveva parlato.
Cosa diavolo stava succedendo?
 

Spazio autrice:
Non credevo avrei avuto tempo, ma ieri sera dopo aver letto e risposto alle recensioni di Killy e Lenhara ero un sacco motivata a procedere con la storia che ho scritto il nuovo capitolo praticamente tutto d'un fiato!
E quindi eccoci qui, la prima parte del quinto capitolo ^^
L'ho spezzato a metà perchè se no sarebbe davvero diventato troppo lungo (e anche perchè sono un po' sadica e mi piace creare -o almeno cercare di creare- suspance) XD
Che dire, oltre a ringraziare Killy e Lenhara per le recensioni e  l'incoraggiamento vorrei anche ringraziare lyu89, Hariken e valepassion95, grazie a tuttiii **
Vi rifaccio anche gli auguri di Natale, a presto! :*

  
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