Premetto che questa OS ha partecipato al Contest indetto da Vanderbit (Jessica) e Serena, dal titolo "Luci di Natale"! La storia si è posizionata TERZA! E di questo sono moooolto felice! *-* ora, bando alle ciance e buona lettura! ;)
« Quando
l’amore vi chiama, seguitelo,
anche se le sue vie sono ardue e ripide. »
Blind
Date – Un appuntamento per
Natale
Denver, Colorado.
24 Dicembre 2006
Non
mi sentivo più una qualsiasi ragazza di città,
insignificante, invisibile. Per
la volta, in tutta la mia vita, mi sentivo bella.
Indossavo
un vestito blu scuro. Era a fascia, senza spalline. Sotto il seno si
collocava
una fascia in sangallo bianco, arricciata. La gonna arrivava poco sopra
le
ginocchia. Ai piedi, un paio di sandali intrecciati fino al polpaccio
facevano
la loro bella figura.
I
capelli erano lasciati sciolti, eccezion fatta per due piccole ciocche
legata
dietro con un fermaglio dello stesso colore del vestito, tempestato con
strass
bianchi. Erano mossi, lunghi fino a metà schiena.
Il
trucco era semplice. Una sottile linea di eyeliner argento, con un
ombretto che
sfumava dal bianco al blu scuro. Sulle guance un leggero strato di
cipria e
sulle labbra un gloss trasparente, brillantinato.
― Bella,
sei pronta? ― domandò Alice, entrando nella mia stanza.
― Sì,
Alice. ― risposi ― Mi stavo dando un’ultima occhiata.
― Sei bellissima. Io e Rose abbiamo fatto un ottimo lavoro, ma la tua
bellezza
ci ha aiutate parecchio. ― disse, sorridendomi. L’abbracciai,
ripensando a
quanto mi fossi infuriata quando scoprii quello che quelle due pazze
avevano
combinato…
― Che cosa?! ― urlai,
venendo trascinata nel retro del negozio. Lavoravo alla Boutique
di moda di Alice come commessa, insieme a Rosalie. Mancava una
settimana a Natale.
― Vedi? ― domandò
quest’ultima ad Alice ― Io
lo avevo detto che si incavolava!
― Ma io l’ho fatto per
lei! ― rispose, tornando a
concentrarsi su di me ―
Bella, tu sei una ragazza magnifica, ma
devi far vedere questa tua magnificenza anche agli altri! ― strillò, isterico, il folletto dai
capelli
neri.
― E secondo te, dovrei fare tutto
questo grazie ad un appuntamento al buio indetto dalla radio locale,
per
attirare ascolti sotto Natale? ― le
domandai, in tono quasi isterico.
― Ok, ammetto che magari
l’idea non è
brillante… però ehi, hai la tua occasione di
incontrare il principe azzurro!
― Sì Alice, nelle
favole! ― dissi, cercando la
giacca e la borsa.
― Dove te ne stai andando, scusa? ―
domandò Rosalie, confusa.
― A casa! ― risposi ― Ed
esco dal retro perché
nel salone c’è quel pazzo di Dj Jake e la sua
truppe! Che, tanto per essere
chiare, avete invitato voi!
― Noi abbiamo chiamato, tu sei stata scelta. ― specificò
Rose, la guardai in cagnesco.
― Non esiste. ― dissi ― Mi
dispiace, ma il ragazzo – quando e se mai vorrò
trovarmelo – lo
cercherò con mezzi più…
più… ― non
trovavo le parole, mentre mi infilavo la giacca in camoscio beige ―
più normali, ecco.
― Isabella Marie Swan! ―
tuonò Alice, facendomi spaventare ―
Ora tu vieni con noi! ― senza che potessi fare nulla, mi presero
sotto braccio conducendomi in quella gabbia di pazzi. Cercare di
scappare era
inutile, perciò mi arresi.
― Eccoci ragazzi, di nuovo in onda!
―
disse Dj Jake, parlando ad un piccolo
microfono ― La nostra Isabella
Swan è
tornata tra di noi! Allora, Isabella, come stai? ― domandò, puntandomi quel minuscolo
affare nero sotto il naso.
― Ehm… bene,
grazie… ― risposi,
intimorita. Questa figuraccia
sicuramente me l’avrebbero pagata. E con gli interessi!
― La nostra Bella, posso chiamarti
così, vero? Certo che sì! Dicevo: la nostra Bella
è un po’ imbarazzata,
dovreste vedere come le dona il rossore alle guance! Ma bando alle
ciance,
amici. Siamo qui, tutti insieme, per fissare l’appuntamento
da sogno tra Bella
e il suo ragazzo perfetto. Magari scoccherà la scintilla,
chi lo sa! Così che
la nostra Bella, passerà il Natale con il ragazzo dei suoi
sogni.
Il ragazzo dei sogni, pensai. Che
stupidaggini. Ero un po’ troppo
cresciuta
per credere ancora nelle favole. I principi azzurri sui cavalli bianchi
non
esistevano, lo sapevo bene.
Avevo
diciannove anni e non
mi ero mai mossa dalla mia città natale, cioè
Denver. Avevo frequentato tutto
qui, dall’asilo al liceo e adesso – come se non
bastassero tutti quegli anni
trascorsi in questo posto – avevo cominciato il college.
Volevo diventare
biologa molecolare. Fin da piccola sognavo questo mestiere. Per questo
Natale,
per esempio, avevo chiesto ai miei genitori di regalarmi un nuovo
microscopio. Ero
strana, lo sapevo benissimo.
― Allora Bella? ― mi
incitò nuovamente il Dj ― Come
vorresti che fosse il ragazzo con cui dovrai trascorrere la sera della
Vigilia?
― ci pensai un attimo. Oramai ero
in
ballo, perciò, come si sul dire in questi casi, balliamo!
― Non saprei… ―
risposi, mordicchiandomi il labbro
inferiore.
― Immaginalo. ― disse Dj Jake ― Proiettati
all’appuntamento di settimana prossima e prova a
visualizzare come vorresti che fosse il ragazzo che varcherà
quella soglia. ―
concluse, indicando la porta del negozio.
Feci come mi era stato detto.
Un
ricordo di infanzia si
insinuò prepotente nella mia mente. Ero al parco, con mia
madre, e notai un
bambino bellissimo dall’altra parte dello stagno. Stava
giocando con le rane…
Ma non fu quello a catturare la mia attenzione. Il bambino era il
più bello che
avessi mai visto. Doveva avere qualche anno più di me.
― Cappelli bronzei, lasciati indomati. ― cominciai, senza neppure rendermene conto ―
Occhi verdi, come gli smeraldi grezzi.
Alto e più grande di me. Deve amare gli animali, tutti gli
animali. Deve essere
colto e simpatico. Delle belle mani, con le dita lunghe, come quelle di
un
pianista. E la fossetta al lato sinistro, quando sorride.
― Tutto qui? ― chiese, scoppiando a ridere Jake ― Ok Bella, vedremo cosa poter fare per te. ―
mi baciò la mano, salutando gli
ascoltatori della giornata e sparì.
Tornò quattro giorni dopo, dicendo di aver trovato il
ragazzo perfetto per me.
― Ora dobbiamo andare. ― disse Alice, sciogliendo l’abbraccio
e risvegliandomi
dai miei pensieri ― L’appuntamento è alle nove in
negozio, sono già le otto e
quarantacinque. Ci conviene andare o Rose si chiederà che
fine abbiamo fatto. ―
le sorrisi, presi lo scialle per la serata, e la seguii fino alla sua
bellissima Porsche gialla.
― Sei nervosa? ― domandò Alice, mentre guidava per le strade
di Denver – tutto
era illuminato e addobbato a festa. L’indomani sarebbe stato
Natale.
― Un po’. ― ammisi, torturandomi le mani, cercando
– nel frattempo – di non
rovinare la manicure del pomeriggio ― Credo sia normale.
― Stai tranquilla, Bella. ― mi rassicurò lei ― Con la
descrizione che hai
fornito ti avranno trovato un ragazzo stupendo, che ti
donerà una serata
incantevole.
E tra una chiacchiera e l’altra, arrivammo davanti alla sua Boutique.
L’entrata
era gremita di gente. C’erano microfoni, furgoncini blu con
la scritta gialla –
quelli della stazione radio –, giornalisti e, come di
consueto, i curiosi.
Entrammo
nel negozio dal retro, evitando così i flash dei fotografi.
Jacob Black – così,
avevo scoperto, si chiamava il Dj – mi diede
un’accoglienza da star.
― Eccoci
qui con la nostra ragazza della serata! ― disse Dj Jake ― Dovreste
vederla nel
suo bellissimo abito blu! Sembra una vera principessa… ―
ammiccò, facendomi
l’occhiolino. Arrossii, non abituata a questo genere di
complimenti.
― Cara
Bella, abbiamo trovato il tuo principe azzurro… ― concluse
Jake, indicando un
ragazzo che non riuscivo a guardare bene in faccia. Indossava un
completo nero,
non troppo elegante ma nemmeno sciatto. La camicia era bordeaux, senza
cravatta. Meglio, pensai. Odiavo i
ragazzi in giacca e cravatta!
― Isabella
Swan, ti presento il tuo cavaliere della serata. Lui è
Edward Cullen. Ha
ventidue anni, studia medicina – per diventare Pediatra. La
sua passione è il
pianoforte, lo suona da quando aveva cinque anni. Come puoi vedere, i
capelli
sono bronzei, scompigliati, e gli occhi sono di un verde particolare. ―
concluse
Dj Jake, lasciandomi impalata dinanzi a Edward. Pregai che la bava non
mi
colasse dalla bocca. Dire che era il ragazzo più bello che
avessi mai visto era
un eufemismo.
― Piacere Isabella. ― disse Edward, prendendo la mia mano per baciarne
il dorso
― Sono Edward Cullen, lieto di fare la tua conoscenza.
Rimasi a fissarlo per un tempo che mi parve eterno. Era esattamente
come lo
avevo immagino, forse anche meglio di qualsiasi fantasia.
― Bella, dovresti dire qualcosa. ― mi sussurrò Rosalie
all’orecchio. Ritirai la
mano di scatto, imbarazzata come mai prima. Edward, dal canto suo,
sorrise
sghembo, mettendo in mostra una piccola fossetta sul lato sinistro.
Stavo per
avere un infarto!
― La nostra Isabella sembra essere rimasta affascinata dalla bellezza
del
signor Cullen. ― disse, sghignazzando, Jacob al microfono.
― Piacere mio, Edward. ― dissi poco dopo, con voce roca.
Passarono i minuti e venimmo invasi di domande, anche piuttosto
imbarazzanti.
Tutte le persone fuori dal negozio ci fissavano, come se non avessero
mai visto
nessuno uscire per un appuntamento. Certo, la situazione era inusuale,
però…
Solo allora mi resi conto di un dettaglio: non fissavano noi,
squadravano lui. E
come poteva essere altrimenti? Il mio accompagnatore era bello da
mozzare il
fiato.
― Bene ragazzi! ― strillò Leah, l’assistente del
Dj ― Adesso possiamo andare a
cena. Seguiteci, la macchina vi porterà al ristorante scelto
per la vostra
serata.
La seguimmo fuori. Edward mi offrì un braccio che accettai
volentieri, mentre
ci dirigevamo a bordo di una limousine nera lucida. Non ne avevo mai
vista una,
se non in televisione, figuriamoci salirci.
― Una macchina del genere l’ho vista solo in tv. ― disse
Edward, attirando la
mia attenzione. Mi voltai e lo vidi sorridere. Le mie guance presero
colore,
ero imbarazzata.
― Dove stiamo andando? ― domandai a Leah, cercando di calmare il mio
cuore
impazzito. La vidi sorridere, mentre rimetteva il tappo su una piccola
bottiglietta di acqua naturale.
― Al Kevin Taylor Restaurant. ―
rispose
lei, mentre io sgranavo gli occhi. Quello era il locale più
grande, caro e
lussuoso di tutta Denver! Lo Chef, infatti, era il più
importante e famoso di
tutto il Colorado.
― Ah però! ― disse Edward, enfatizzando la frase con un
piccolo fischio ― Ci
tratta bene la radio, vedo.
― Ovviamente. ― rispose la ragazza, dando direttive
all’autista.
― Allora, cosa ti ha spinta a iscriverti a questo concorso radiofonico
per
trovare l’anima gemella? ― domandò,
improvvisamente, Edward.
― Veramente non mi sono iscritta io. ― ammisi, scrollando le spalle. Lo
vidi
perplesso, così mi affrettai a spiegare ― Sono state le due
mie migliori
amiche, Rosalie Hale e Alice Brandon. Dicono che sia ora, per me, di
trovarmi
qualcuno…
― Quanti anni hai? ― domandò, sorridendo.
― Diciannove.
― Le tue amiche hanno avuto un’ottima idea. ―
sussurrò al mio orecchio,
sorridendo sghembo.
― E tu? ― domandai, cercando di scacciare l’imbarazzo ― Cosa
ti ha portato a
fare la selezione per l’altra metà della serata?
― Mio fratello Emmett. ― rispose, facendo un risolino ― Non sapevo
nulla. Ha
fatto tutto da solo. Mi ha iscritto dopo aver sentito la tua
descrizione alla
radio.
― Ops. ― dissi, mordendomi il labbro inferiore ― Forse facevo meglio a
descrivere un ragazzo più semplice, così non
saresti finito in questo caos.
― E chi ti ha detto che mi dispiace? ― soffiò poco distante
dal mio viso. I
suoi occhi verdi erano due specchi splendenti, seducenti. Leah,
fortunatamente,
richiamò la nostra attenzione, invitandoci a scendere dalla
macchina. Eravamo
arrivati a destinazione. Il ristorante era in centro città,
nella zona più
facoltosa. L’entrata era ornata da una colonna in marmo
bianco, con su scritto
– nello stesso materiale, però nero – il
nome del locale, in cima. Sotto un
piccolo portico vi erano le due porte, costruite in vetro. Erano due
grandi
finestre, suddivise in piccoli quadrettini e abbellite, tutte intorno,
da legno
nero laccato lucido. Ai lati della porta erano appesi quadri con
cornici d’oro
e piante, poste in vasi antichi e piuttosto pregiati. Per terra un
sontuoso
tappeto scuro. Mi ricordava l’entrata della sala da ballo del
Titanic. Come se non bastasse, per
richiamare il periodo nel quale ci trovavamo, piccoli festoni e luci
decoravano
il quadro, rendendolo ancora più magico.
― Entriamo?
― ci domandò Leah, seguita da Jacob e la truppe, vedendo che
né io né Edward
compivamo un passo.
― Certamente. ― rispose quest’ultimo, rioffrendomi il braccio.
Il salone era uno spettacolo. Il parquet lucido, sotto i nostri piedi,
luccicava a contatto con le piccole luci tonde a neon del soffitto
bianco.
Altre colonne, in marmo bianco – decorate con fiocchi rossi e
piccole luci
bianche –, erano sparse per tutto il piano. Piccoli tavolini
– di massimo
quattro posti – erano posizionati in maniera apparentemente
causale. Eppure, il
loro disordine, trasmetteva una precisione sconcertante.
Un cameriere si portò dinanzi a noi.
― Siete i ragazzi della radio, immagino. ― disse, sorridendomi.
― Esattamente, giovane! ― rispose Dj Jake, cingendolo per le spalle ―
Hai
preparato tutto quello che ti è stato chiesto? ― il ragazzo
annuì, invitandoci
a seguirlo.
Il nostro tavolo era appartato, rispetto al resto. Avevamo la sala
tutta per
noi, o quasi. Poco distante, Jacob Black e tutti i suoi aiutanti, non
ci
perdevano d’occhio nemmeno per un istante, riferendo ai
radio-spettatori ogni
nostra più piccola e insignificante mossa o parola.
― È imbarazzante. ― sussurrai, posando la forchetta. Non
avevo toccato molto,
nonostante fosse tutto buonissimo. C’era stata servita ogni
specialità del
ristorante, a partire dagli antipasti fino al dolce.
― Non hai toccato quasi niente, Isabella.
― Bella. ― gli dissi, evitando il suo sguardo ― Chiamami Bella, lo
preferisco.
― Gli ha detto di chiamarla Bella… ― sentii dire a Jacob. Mi
voltai,
impercettibilmente, per poi tornare a fissare il mio piatto e Edward.
― In effetti hai ragione. ― disse il ragazzo dagli occhi verdi ― Questa
situazione è assolutamente imbarazzante. Non possiamo fare
nulla che quelli lo
sventolano ai quattro venti! ― sorrisi, notando la sua piccola smorfia.
― Perché ridi? ― domandò Edward.
― Per la tua smorfia. ― risposi, guardandolo ― Sembravi tanto un
bambino! ― sbuffò,
ma rise anche lui.
― Ridono. ― sentii dire, ancora.
Proseguimmo, così, la cena in silenzio, trovando ridicolo
che ogni cosa dovesse
essere riferita per filo e per segno. Diamine, era il nostro
appuntamento di Natale! Potevano lasciarci un po’ di
privacy! Come potevo capire se Edward potesse piacermi, se non avevamo
neanche
mezzo secondo tutto per noi? Mi diedi della sciocca. Era solo una
stupida
trovata radiofonica, come potevo realmente pensare che, dopo questa
serata, lui
volesse rivedermi ancora? E io? Avrei voluto davvero
rivedere lui?
― Che ne dici di andarcene via? ― domandò, in tono piuttosto
basso. Lo sentii
per pura fortuna.
― Bisbigliano… ― disse Dj Jake ― e purtroppo non riusciamo a
capire cosa si
stanno dicendo…
― Che intendi dire? ― risposi, usando lo stesso tono di voce e mi
avvicinai di
più a lui.
― Ho accettato per fare un favore a mio fratello, ma non pensavo di
conoscere
una ragazza davvero molto carina. ― disse, arrossendo un po’
― Vorrei
conoscerla meglio, se me lo permetti. Ma qui è impossibile!
Perciò andiamocene
via. Cosa ne dici? ― lo fissai, interdetta, per qualche secondo. Poi un
sorriso
smisurato apparve sul mio viso e annuii decisa.
― Assolutamente sì! ― risposi, cercando di trattenere
l’euforia ― Andiamo via
da qui.
― Perfetto allora.
― E quando? ― chiesi, vedendo che stava immergendo il cucchiaino nella
mousse
al cioccolato fondente.
― Con calma, Bella. ― rispose, sorridendomi ― Non dobbiamo farci
notare, se no
è la fine. ― in effetti il suo ragionamento non faceva una
piega.
Era passata più di mezzora da quando Edward mi aveva offerto
la fuga, ma
stavamo ancora attendendo il momento giusto. Il Dj aveva chiesto di
mettere su
un po’ di musica, così ora ci trovavamo in mezzo
alla sala da pranzo a ballare.
Peccato che io detestassi ballare, in quanto non ne ero per niente
portata.
Edward mi fece fare una piroette e
tentai con tutte le mie forze di non cadere, facendo una figura del
cavolo
davanti ad un ragazzo tanto bello. La mia buona stella, per fortuna, si
era
messa a girare dalla parte giusta. Almeno per queste sera. Quando la
canzone
cominciò a sfumare, Edward, mi tirò a
sé accompagnandomi in un dolce casquet.
― Pronta? ― sussurrò al mio orecchio, fingendo un bacio.
― Per cosa?
― Per la fuga. Quando ti dico “corri” tu inizia a
correre, io ti seguo.
― E dove vado?
― La cucina. ― rispose lui ― C’è sempre una porta
sul resto, capito? ― annuii e
mi rimise in piedi, mentre tutta la truppe ci applaudiva.
― Adesso. ― sussurrò Edward ― Corri! ― non me lo feci
ripetere due volte.
Sfrecciai verso la cucina, avvertendo lo scompiglio generale. Mi voltai
un po’,
sperando di non cadere, per accertarmi che Edward mi stesse seguendo.
Come
deciso era proprio dietro di me e rideva come una matto. Visto
così era ancora
più bello…
― Stanno scappando! ― urlò Dj Jake, ma non gli prestai
troppa attenzione.
Raggiungemmo l’uscita senza intoppi. Edward riuscì
a fermare un taxi e sparimmo
da quel ristorane in men che non si dica.
― Dove vi porto? ― chiese il taxista, mentre si rimetteva in
carreggiata.
― Ovunque! ― rispose Edward affannato ― Basta che ci porti via di qui.
― Siete i due ragazzi della radio, vero? ― ci domando il signore. Io
annuii, ma
fu Edward a rispondere. L’uomo sembrava simpatico,
né troppo anziano né troppo
giovano. Aveva i capelli brizzolati, gli occhi azzurri e un
po’ di pancetta, ma
il viso era fresco e pimpante.
― Sapete che in centro hanno allestito il Luna Park di Natale? ― ci
domandò il
taxista. Facemmo di no con il capo, così continuò
― Se volete posso lasciarvi
lì., c’è anche la pista di pattinaggio
sul ghiaccio. Come primo appuntamento
direi che è molto meglio per due giovani come voi.
Specialmente in una notte
magica come questa. ― ci sorrise calorosamente.
― Direi che la sua idea è ottima! ― rispose, entusiasta,
Edward ― Tu cosa ne
dici, Bella?
― Dico che è perfetto! ― lo vidi sorride di nuovo e il mio
cuore fece le
capriole.
Arrivammo al Luna Park di Denver nel giro di pochi minuti. Fu Edward a
pagare
il taxista, anche se avevo insistito perché facessimo a
metà.
Come
di consueto, all’entrata – passata la biglietterie
–, si trovava il chioschetto
dello zucchero filato. Vedevo i bambini, accompagnati dai loro
genitori, in
fila ad aspettare il proprio turno. Anche io da bambina mi ritrovavo
là, come
tutti loro. I miei genitori mi portavano spesso, sotto Natale, in
questi posti
– anche fuori Denver – e lo zucchero filato azzurro
era un rito immancabile.
―
Ne vuoi? ― domandò Edward, vedendomi fissare il chiosco da
almeno venti minuti
buoni. Sentii le guance diventare calde. Che
imbarazzo!, pensai.
―
Ehm no, grazie. Stavo solo guardando.
―
Dai Bella, non c’è niente di male. ― disse,
prendendomi per mano, e mi trascinò
in fila ― Anche io da piccolo lo mangiavo, sai? Mi manca proprio il suo
dolce
sapore! Che colore: rosa o azzurro? ― domandò sorridente.
―
Azzurro. ― mi sentii sussurrare e il suo sorriso si allargò
ancora di più.
Passammo
le ore seguenti a chiacchierare, ridere e fare giri su ogni attrazione
possibile. L’unica che saltammo furono le montagne russe;
odiavo l’altezza e
vedere Final Destination mi aveva
segnato a vita, in modo negativo ovviamente.
La
serata, anche se molto diversa da come era cominciata, stava andando
nel
migliore dei modi.
Edward,
per prima cosa, era dolcissimo e premuroso. Era davvero il ragazzo
perfetto.
Non solo per aspetto fisico, ma anche caratteriale. Stavo cercando di
conoscerlo meglio; il meglio possibile, ovviamente. Ogni tassello che
mettevo a
posto non era per niente una delusione, tutt’altro. Da quello
che mi aveva
raccontato, Edward, era il figlio minore di due fratelli: il maggiore
si
chiamava Emmett. Carlisle ed Esme Cullen erano i nomi dei loro
genitori; due
persone fantastiche, da quel poco che mi aveva detto. Il padre,
Carlisle
appunto, era il primario dell’ospedale di Denver; Esme,
invece, gestiva un
negozio di fiori in centro città – era anche
un’arredatrice di esterni.
Non
avevano sempre abitato qui, mi spiegò il mio partner della
serata; fino a dieci
anni prima risiedeva a Chicago. Il trasferimento di Carlisle incise su
tutta la
famiglia.
―
Quanti anni hai, Edward?
―
Ne ho compiuti ventitre a Giugno. ― rispose, dandomi
un’informazione in più.
Adesso sapevo anche il suo mese di nascita! Non potevo esserne
più contenta.
―
A cosa aspiri per il futuro? ― mi chiese lui, affrontando un altro tema
importante.
Ci
trovavamo sulla banchina, davanti alla ruota panoramica. Le luci
dell’attrazioni erano fantastiche; rendeva tutto ancora
più intenso e magico.
―
Adoro la scienza. ― risposi, quasi sussurrando ― Vorrei diventare
biologa
molecolare, anche se riconosco che il mio desiderio è
ambizioso; presenta una
strada lunga e tortuosa.
―
Dobbiamo diventare ciò che vogliamo. ― disse Edward deciso.
Gli occhi gli
brillavano di tenacia ― Non importa quanto la strada possa essere in
salita, se
ti metti d’impegno puoi diventare tutto ciò che
vuoi. ― mi sorrise, ed io
sprofondai nei suoi smeraldi liquidi ― Abbiamo una sola vita da vivere,
Bella.
Dobbiamo goderci ogni attimo; ogni singolo momento. Ma, soprattutto,
dobbiamo
fare le scelte che vogliamo fare; non quelle semplici, quelle dovute,
quelle
imposte.
Lo
osservai attenta, senza perdermi nemmeno una parola. Adoravo la sua
voce. Lo avrei
ascoltato parlare per giorni, mesi e, forse, perfino anni.
―
Sono d’accordo con te. ― riuscii a dire poco dopo, notando il
suo sguardo fisso
su di me, in attesa di una risposta ― Tu, invece? Cosa hai studiato e
cosa vuoi
diventare?
―
Ho sempre studiato moltissimo, a dire la verità. ― rispose,
facendo una piccola
smorfia con la bocca ― Non vorrei sembrarti un secchione o simile, solo
che
adoravo studiare. Uscivo anche, eh! Avevo una grande vita sociale, ma
non ho
mai voluto trascurare gli studi. Ho preso un diploma al conservatorio:
pianoforte e chitarra classica. Amo suonare; è una passione
che ho fin da
piccolo, me l’ha trasmessa mia madre. ― le sue mani
confermavano le sue parole.
Le dita erano lunghe, affusolate, lisce e candide. Erano le mani di un
pianista; di un ottimo pianista. Chissà come sarebbe sentirle sul mio
corpo,
mi ritrovai a pensare. Arrossii, cercando di capire da dove mi fosse
venuto
quell’assurdo pensiero.
―
Ad un certo punto mi sono trovato dinanzi ad un enorme bivio: scegliere
la
strada di mio padre, diventando medico – pediatra, per essere
precisi? Oppure
specializzarmi in veterinaria?
―
E quale hai scelto? ― chiesi curiosa.
―
Di fare l’uno e l’altro! ― rispose col mio stesso
tono ― O meglio, diventare
pediatra ufficialmente. Poi, nel
tempo libero, vado al canile municipale e do una mano lì.
Odio di picchia,
abbandona o maltratta gli animali. È qualcosa che non
capisco né concepisco.
―
A chi lo dici. ― sussurrai, guadagnandomi uno sguardo di ammirazione.
Restammo
in silenzio per un po’, ma non era un momento pesante o
imbarazzante, tutto il
contrario. In quel mutismo c’era un velato senso di
tranquillità e benessere.
―
Ti va di fare un giro sulla ruota? ― domandò Edward,
alzandosi in piedi e mi
porse la mano. Sorrisi, afferrandola di slancio.
―
Ottima idea, Edward! ― risposi e ci avviammo, mano nella mano, verso
quel
fantastico arcobaleno di colori.
Mi
rendevo di conto di sembrare un bambina. Ero completamente spiaccicata
al vetro
della nostra piccola cabina; guardavo fuori attenta, incantata.
Il
nostro “alloggio” era piccolo e privato. Un ovale
schiacciato e piuttosto
largo, per due persone. L’esterno era rosso scuro,
l’interno nero.
Percepii
un ghigno di Edward, così mi voltai.
― Devo
dedurre che stai ridendo di me. Sbaglio, forse?
―
No, non sbagli. ― rispose lui, con moltissima sincerità ― Ma
non è come pensi! Non
ridevo per te, ma con te. Direi che
c’è differenza.
Storsi
il naso e mi accomodai davanti a lui, fissandolo negli occhi. Mi sporsi
un po’
in avanti, sentendo le sue ginocchia scontrarsi con le mie. Il contatto
mi fece
stare bene; percepivo la solita scossa, ogni volta che mi toccava o
sfiorava.
―
L’unica pecca, nel suo discorso signor Cullen, è
che io non stavo ridendo.
―
Infatti lei stava sorridendo,
signorina Swan. ― rispose, regalandomi un sorriso sghembo che mi fece
sussultare. Il cuore cominciò a fare le capriole e lo
stomaco mi si riempì di
farfalle ― Sei molto bella. Dico davvero… Non ho mai
conosciuto una ragazza
come te, Isabella. Sei… sei speciale. Anche la tua bellezza
lo è. Non è la
solita che si trova nelle donne, è raffinata, è
semplice e al contempo
particolare. Prima sorridevi ed io ti fissavo e pensavo:
“Dio, sono l’uomo più
fortunato del mondo!”
―
Non ti sembra di esagerare? ― chiesi, rossa come un pomodoro ― Insomma,
non
sono chissà che.
―
Ti sbagli di grosso. ― affermò deciso. Si alzò e
mi porse la mano perché anche
io facessi lo stesso ― Questa tua insicurezza mi fa impazzire, lo sai?
Tu sei
una persona formidabile! Eppure non te ne rendi conto. Bella, tu sei
strepitosa. Ti conosco da poche ore, eppure sembra che per tutta la mia
vita è
te che stessi aspettando.
―
So quello che vuoi dire… ― mi lasciai scappare e lui mi
alzò il viso,
posizionandomi un dito sotto al mento.
―
Davvero? ― domandò, con gli occhi che gli brillavano.
Annuii, aspettando
qualcosa che volevo da tutta la sera: il suo bacio. Quello sarebbe
stato il
regalo di Natale più bello che avessi mai ricevuto.
―
Bella? ― mi chiamò Edward, avvicinandosi sempre di
più ― Buon Natale. ― disse,
posando le sue labbra sulle mie. Non appena le nostre bocche si
soprapposero,
cominciando una danza tutta loro, l’orologio della piazza
suonò mezzanotte. Era
Natale.
Quando
rimettemmo i piedi a terra, non riuscivamo a staccarci l’uno
dall’altra. Edward
mi teneva un braccio intorno alle spalle, facendo intrecciare le nostre
dita.
Era una sensazione fantastica e assolutamente inebriante.
―
Forse è meglio che ti accompagni a casa. ―
mormorò tra un bacio e l’altro,
sulla panchina appena fuori dal Luna Park. Mugugnai qualcosa di poco
felice che
lo fece sorridere ― Sta’ tranquilla, domani in giornata dopo
il pranzo di
Natale verrò a prenderti.
―
Promesso?
―
Promesso.
Restammo
abbracciati ancora per un po’, godendoci quel giorno tanto
magico. Sperai di
vedere altri Natali insieme a lui, e che la nostra frequentazione non
durasse
poco.
Vidi
Edward alzarsi e chiamare un taxi, il quale arrivò nel giro
di dieci minuti.
Trascorremmo il viaggio in silenzio, a coccolarci. Ci eravamo scambiati
i
numeri e gli indirizzi di casa, così avremmo saputo sempre
dove trovarci.
Quando
arrivammo davanti a casa mia, la luce del patio era ancora accesa;
evidentemente, mio padre, l’aveva lasciata così di
proposito.
―
Sono stata bene, stasera.
―
Anche io, più che bene.
Restammo
a fissarci per un po’, senza parlare. Sembravano due
deficienti, ma non avevamo
alcuna voglia di separarci. Forse era un atteggiamento stupido e
infantile, il
nostro, eppure non ci importava.
―
Questa è stata la prima di molte, moltissime uscite,
signorina Swan.
―
Lo spero proprio, signor Cullen.
Sorrise
e poi riposò le sue labbra sulle mie. Il bacio fu stupendo,
come tutti gli
altri. Edward era un baciatore fantastico.
―
Ti chiamo domani. ― disse, prima di risalire sul taxi.
Lo
guardai allontanarsi, percependo il mio sorriso allargarsi sempre di
più.
Non
avevo ancora idea che quelle promesse sarebbero durate, davvero,
moltissimo
tempo.
………………
Cinque anni dopo
………………
San Francisco, California.
23 Dicembre 2011
Le
palline dell’albero di Natale – fatto la sera
prima, nonostante la nostra
imminente partenza – erano ancora sparse per tutto il
salotto; così come le
luci in più e le altre varie decorazioni. Sbuffai, irritata.
Amavo le feste,
specialmente il Natale, ma lasciavo dietro di esse un tale disastro!
Nel
tentativo di mettere in ordine, stavo anche aspettando che Edward
rientrasse a
casa. Era andato a ritirare i nostri biglietti aerei.
Molte
cose erano cambiate in cinque anni. Per prima cosa, non ero
più la signorina
Swan, bensì la signora Cullen. Io ed Edward
c’eravamo sposati esattamente un
anno dopo il nostro incontro radiofonico – il 24 Dicembre
―
Mamma! ― sentii chiamarmi dal piano di sopra. Il mio piccolo terremoto
si era
svegliato.
―
Tesoro, arrivo subito!
Ecco
la seconda cosa che era cambiata nella mia giovane vita: ero diventata
madre.
Renesmee
Cullen, così avevamo deciso di chiamarla, aveva da poco
compiuto quattro anni.
Assomigliava moltissimo a suo padre: i capelli lunghi, mossi, erano di
quell’insolito, quanto adorabile, bronzeo; gli occhi erano
castani, come i miei,
screziati di verde acceso quando c’era bel tempo. Era minuta
e abbastanza alta
per una bambina della sua età. Dolce e solare, era
l’unione perfetta delle
nostre caratteriste migliori.
―
Ben svegliata, cucciola. ― sussurrai, posandole un bacio sulla guancia.
Renesmee era la cosa più importante della mia vita, insieme
ad Edward.
―
Buongiorno mamma! ― rispose, stropicciandosi gli occhi con le manine.
―
Hai fame? ― le domandai, sedendomi sul bordo del letto. Come faceva
ogni
mattina, si scoprì e mi gattonò in braccio.
Annuì e si fece coccolare un po’.
―
Dov’è papà?
―
È andato a prendere i biglietti per la partenza, amore. Tra
un po’ rientra.
Vidi
gli occhi di mia figlia illuminarsi e si svegliò di colpo.
Totalmente.
―
Andiamo dai nonni! Andiamo dai nonni! Andiamo dai nonni!
Andiamo… ― la
interrupi quasi subito. Conoscendola, avrebbe continuato
così per tutta la
mattina.
―
Renesmee! Datti un calmata, dai. Adesso andiamo a sciacquarti il viso e
poi
scendiamo a fare colazione. Ci sono i muffin al cioccolato col miele,
che ne
dici?
―
Sì! Buoni! ― scese dal letto, mi prese per mano e mi
trascinò in bagno con lei.
Mezzora
dopo eravamo a tavola, a fare colazione. Renesmee indossava una
salopette di
jeans, con gonna, e sotto un maglioncino a collo alto rosso –
come le scarpe e
le calze felpate per tenerla calda. I capelli, lasciati sciolti, le
ricadevano
luminosi sulla spalle.
―
Mamma, i tuoi muffin sono i migliore di tutto il mondo! ― disse, mentre
masticava energicamente.
―
Renesmee, cosa ti ha detto mille volte la mamma?
―
Che non si parla con la bocca piena. ― rispose, capendo
l’antifona. Rise e poi
chiese scusa.
Chiacchierammo
del più e del meno durante tutta la sua colazione,
dopodiché tornammo al piano
di sopra per lavarle i denti e finire la sua valigia di Hello
Kitty.
Sentii
la porta d’ingresso aprirsi e capii che anche mio marito era
tornato.
―
C’è nessuno?
―
Edward, siamo di sopra! ― urlai, mentre cercavo di infilare
l’orso preferito di
mia figlia in qualche buco – inesistente – del suo
piccolo bagaglio.
―
Tesoro, non ci va.
―
Uffa, però! Io lo voglio portare dai nonni!
―
Lo capisco, ma non ci va. E la valigia di mamma e papà e
piena…
―
No, voglio l’orso!
― Voglio non esiste neanche nel
giardino
del re! ― disse Edward entrando. Mi salutò, dandomi un dolce
e veloce bacio a
stampo e poi si precipitò sulla sua principessina ― Capito?
Eh, eh? ― domandò,
mentre le faceva il solletico.
―
Papà, papà no! Dai, ahahah papà!
―
Edward ha finito di fare colazione poco fa, dai lasciala stare.
―
Guarda che ce n’è anche per te, mamma!
― mi rispose mio marito, tirandomi insieme a loro sul letto. Era un
assalto in
piena regola: lui mi teneva ferma e nostra figlia mi solleticava.
―
Se non mi lasciate do i vostri regali al primo che passa! ― urlai tra
le
risate. Quei due insieme mi facevano diventare pazza.
―
Oh no! ― disse Renesmee, fermandosi all’istante. Scoppiai a
ridere per la sua
reazione e cominciai, io, a farle il solletico.
Passammo
la mattina così, a scherzare e ridere, godendoci a pieno la
nostra bellissima
famiglia.
***
L’International
Airport di San Francisco era stracolmo di gente, tutti in partenza o in
arrivo
per le festività invernali.
Edward
era al check-in, mentre io e Renesmee lo attendavamo
all’entrata dell’imbarco.
―
Non lasciare la mia mano neanche per un attimo, capito cucciola? ―
ripetei per
la trecentesima volta, in quell’ora.
―
Shì, mammina.
Il
viaggio per arrivare a Denver sarebbe durato due ore e mezza,
all’incirca.
Speravo, segretamente, che non vi fossero stati intoppi. In primis,
odiavo i
ritardi; in secundis, odiavo volare. L’aereo,
però, era il mezzo più facile e
veloce per tornare a casa. Non potevo fare la bambina, ormai ero una
donna. Ero
una moglie e una madre. Nonostante avessi appena ventitre anni, ero
già
all’apice della mia vita. Non potevo lamentarmene,
però. Edward era una marito
affettuoso e un uomo incredibile, non avrebbe potuto capitarmi persona
migliore; Renesmee era stata una sorpresa inaspettata. Durante la luna
di
miele, troppo presi dai festeggiamenti, avevamo dimenticato le
precauzioni e
una settimana dopo, quella piccola bambina già cresceva
dentro di me.
L’emozione, quando scoprii di essere incinta, fu enorme. Non
mi importava il
dover abbandonare gli studi o l’essere troppo giovane, per
diventare moglie e –
quasi subito – madre. Non appena vidi il test positivo,
desiderai quel bambino.
Lo stesso fu per Edward, con la differenza che gli proibii di
rinunciare alla
sua carriera di pediatra.
―
Possiamo andare! ― annunciò Edward, tornando da noi ― Le
valigie sono
imbarcate, possiamo raggiungere il gate e attendere la chiamata per
Denver. Il
volo è il 149, gate due.
―
E poi arriviamo dai nonni? E gli zii? Ci sarà zia Rose? E
zia Alice? ― ecco,
mia figlia – spesso e volentieri – diventava una
macchinetta. Scossi il capo,
sorridente, lasciando che per un po’ se ne occupasse Edward.
Vederli
insieme era fantastico. Gli occhi di mio marito brillavano
più del dovuto e
Renesmee adorava suo padre. Credo sia
normale, pensai. E mi tornò alla mente Charlie; il
mio, di padre.
―
Verranno anche Alice e Jasper? ― domandò Edward,
risvegliandomi dai miei
pensieri. Annuii, sorridendo. Eravamo diventati tutti una grande
famiglia, e
non solo per modo di dire.
Alice
Brandon era la mia migliore amica, di sempre, e stava con Jasper dalle
superiori. Jasper Hale era il fratello maggiore della nostra migliore
amica,
Rosalie, la quale si sarebbe sposata a breve con Emmett Cullen,
fratello
maggiore di Edward.
Delle
volte il destino era bizzarro, pensavo spesso. Quando quelle due pazze
mi
iscrissero al concorso di Natale, alla radio, nessuna di noi avrebbe
mai
immaginato che io e il “ragazzo ideale” ci saremmo
sposati; nessuno, inoltre,
avrebbe mai lontanamente pensato che anche Rosalie, grazie a quel
concorso,
avrebbe trovato l’uomo della sua vita. La
vita è divertente, a volte, pensai con un leggero
sorriso.
―
Il volo 149 per Denver, partirà a breve. ― ci
annunciò la voce degli
altoparlanti ― Si presa ai passeggeri di recarsi immediatamente
all’imbarco.
―
È il nostro. ― sussurrò Edward, prendendo in
braccio Renesmee e afferrando la
mia mano. La strinsi con forza e mi sistemai la borsa sulla spalla
sinistra.
―
Si vola, si vola! Che bello, adesso voliamo! Come Babbo Natale, anche
lui
arriva in volo! Però lui ha una slitta! E le renne!
Papà mi compri una renna?
Cercando
di calmarla un po’, raggiungemmo i nostri posti, scusandoci
con i passeggeri
per il caos che, una sola bambina di quattro anni, stava facendo.
―
È tutta sua madre.
―
Che cosa vorresti insinuare? ― domandai, alzando un sopracciglio.
―
Oh nulla, nulla! ― rispose, posando le sue labbra sulle mie.
―
Uh, mamma e papà si baciano… ― scoppiammo a
ridere, per il modo in cui nostra
figlia aveva pronunciato quella frase. C’era un misto di
felicità e sorpresa,
ma anche venerazione, come se quel gesto per lei fosse sacro.
―
Cosa facciamo, adesso? ― domandò Renesmee, guardandosi
intorno.
―
Adesso stiamo tranquilli e in silenzio. ― risposi alla sua domanda ―
Resteremo
sull’aereo per qualche ora, dopodiché ci
verrà a prendere nonno Charlie e
andremo dagli altri.
―
Ma io mi annoio, uffa. ― sbuffò, incrociando le piccole
braccia al petto.
―
Ma amore! ― disse Edward, scoppiando a ridere ― Non siamo neanche
partiti,
ancora!
―
Ma io mi annoio lo stesso, ecco.
―
E cosa vorresti fare? Sentiamo. ― domandai, mettendomi un po’
di lato per
fissarla negli occhi.
―
Eh, non lo so. ― questa volta fu il mio turno di scoppiare a ridere.
―
Ti va di dirmi come si chiamano le renne di Babbo Natale? ― intervenne
Edward,
che stava tentando di rimanere serio.
―
Shì! Allora, le renne si chiamano: Comet, Dancer, Dasher,
Prancer, Vixen,
Donder, Blitzen, Cupid. ― certo, la pronuncia non era totalmente
corretta, ma
mi sorprese. Io alla sua età era già tanto se
sapessi Cometa e Saltarello!
―
La conosci la filastrocca delle renne di Babbo Natale? ―
domandò Edward, mentre
l’aereo stava decollando.
―
Nuo. ― rispose Renesmee, guardandolo incuriosita. Stava morendo di
sonno, lo capivo
dai suoi occhietti lucidi. Tutto sommato era normale, solitamente di
pomeriggio
faceva il suo riposino, oggi non aveva potuto.
Eravamo
arrivati in aeroporto alle tre; alle quattro e mezza sarebbe partito
l’aereo.
―
Allora facciamo così, tu mettiti tranquilla nella tua bella
poltrona… ― disse
Edward, sistemandola e posandole addosso il suo giubbotto ― ed io ti
recito la
filastrocca. Ti va? ― lei annuì, così lui
cominciò:
― Non
solo fanno la slitta volare e in ciel galoppano senza cadere.
Ogni
renna ha il suo compito speciale, per saper dove i doni portare.
Cometa chiede a ciascuna stella
dov’è
questa casa o dov’è quella.
Fulmine guarda di qui e di là,
per
sapere se la neve verrà.
Donnola segue del vento la scia, schivando
le nubi che sbarran la via.
Freccia controlla il tempo
scrupoloso; ogni secondo che fugge è prezioso.
Ballerina tiene il passo cadenzato,
per far che ogni ritardo sia recuperato.
Saltarello deve scalpitare, per dare
il segnale di ripartire.
Donato è poi la renna postino:
porta
le lettere d’ogni bambino.
Cupido, quello dal cuore d’oro,
sorveglia
ogni dono come un tesoro.
Quando
vedete la renna volare, Babbo Natale sta per arrivare. ― rimasi
incantata nel
vedere le labbra di mio marito muoversi così lentamente,
mentre producevano un
canto segreto. Non fui la sola ad apprezzare; Renesmee, infatti, si era
addormentata verso la fine con un sorriso felice stampato un faccia.
―
Sei il migliore. ― sussurrai al suo orecchio, accarezzandogli il viso.
―
Mai quanto te, amore mio. ― rispose, baciando con passione e dolcezza ―
Oggi ti
ho già detto che ti amo, signora Cullen? ―
domandò, quando
si staccò leggermente.
―
Non credo, no.
―
Allora dobbiamo assolutamente rimediare! ― disse, tornando a baciarmi ―
Ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo… ― continuò tra un bacio e
l’altro.
Passò
così il nostro tempo su quell’aereo; nel modo
più dolce e romantico possibile.
Alle
sette in punto sbarcammo a Denver.
Renesmee
non fu troppo felice di svegliarsi, perciò decidemmo che io
l’avrei portata in
braccio ed Edward avrebbe trascinato le nostre valigie.
All’uscita,
una Wolkswagen nera ci stava aspettando.
―
Bells! ― gridò mio padre, sbracciandosi per farsi vedere.
―
Papà! ― lo salutai, aumentando un po’ il passo.
―
Ciao Charlie. ― lo salutò Edward, porgendogli una mano.
―
Ciao ragazzo, tutto bene? Il viaggio?
―
Tutto ok, grazie.
―
Ma guarda un po’ chi c’è! ― disse mio
padre, riferendosi a mia figlia ―
Microbo, non vieni a salutare il tuo nonno preferito?
―
Nonno, ciao! Dov’è la nonna? E gli altri? ―
domandò Renesmee, saltandogli in
braccio.
―
Quante domande! A volte mi ricordi Alice.
―
Uh, dov’è zia Alice?
―
Ora ci andiamo! ― rispose Charlie, prima di rivolgersi ad Edward ― Ti
serve una
mano per caricare le valigie in macchina?
―
No, no, tranquillo. ― rispose, andando verso il bagagliaio. Glielo
aprii e lui
vi sistemò dentro i bagagli.
―
Allora, andiamo? ― chiesi, non stando più nella pelle di
rivedere tutti gli
altri.
―
Shì! Andiamo, andiamo!
Charlie
sorrise e ci fece entrare tutti in macchina.
Arrivammo
alla residenza Cullen – una notevole villa marrone e bianca a
tre piani – circa
quaranta minuti dopo. La casa era tutta illuminata da luci natalizie di
ogni
tipo; diedi per scontato che fosse opera di Alice e Rosalie.
Il
giardino era interamente costellato da piccole lucine disperse tra i
grandi
alberi; sull’entrata, una ghirlanda di fiori faceva bella
mostra. Aveva un
fiocco rosso alla base e al centro vi era scritto “Merry
Christmas!”.
―
Bella! ― urlarono in coro Alice e Rosalie, prima di venirmi ad
abbracciare.
―
Che bello rivedervi, ragazze! ― dissi, stringendole forte.
―
Ciao cognatina! ― mormorò Emmett, picchiettandomi sulla
testa.
―
Ciao orso!
―
E tuo fratello non si saluta, mascalzone? ― domandò Edward,
facendo il finto
offeso.
―
Io prediligo le belle donne, fratello! ― e puntò i suoi
occhi azzurri su
Renesmee ― E a proposito di belle donne… Nessie,
vieni da zio Emmett!
Mia
figlia non se lo fece ripetere, gli saltò in braccio
attirando l’attenzione di
tutti i presenti. Odiavo il nomignolo che le venne affibbiato fin dai
suoi
primi anni di vita. L’ideatore – Emmett, appunto
– sosteneva che quella bambina
non avesse preso né da Edward né da me, in quanto
fosse un mostro di intelligente. Da
lì il nomignolo Nessie.
―
Che piacere rivedervi. ― disse Carlisle, alle nostre spalle.
―
Ciao Carl! ― risposi entusiasta, abbracciando mio suocero ― Come stai?
Ed Esme?
E mia madre? ― domandai, guardandomi intorno. Non le avevo ancora viste.
―
Sono andate a fare le ultime compere. ― rispose mio padre, alzando gli
occhi al
cielo.
Renesmee
aveva manipolato completamente l’attenzione di tutti. Io ed
Edward stavamo
sistemando le nostre cose, nella sua vecchia stanza. Renesmee avrebbe
dormito
in quella vecchia di Emmett, visto che ora abitava insieme a Rosalie in
centro.
―
Direi che almeno ci è stata concessa un po’ di
intimità, non trovi? ― domandò
Edward, abbracciandomi da dietro. Aveva appoggiato il mento sulla mia
spalla e
ci stava dondolando a destra e sinistra.
―
Intimità? E secondo te quanto durerà?
―
Mamma! Papà! ― urlò Renesmee, dal piano inferiore.
―
Dire poco. ― rispose mio marito, sorridendo. Si mise una mano tra i
capelli;
gesto che adoravo vedergli fare.
―
Molto poco, direi! ― sussurrai, scuotendo il capo. Presi la mano di mio
marito
e scendemmo di sotto. Per quella sera non ci sarebbe stato nulla di
che: una
cena di bentornato e poi ci saremmo riposati.
Tutti,
Renesmee soprattutto, stavamo aspettando il giorno di Natale.
***
Il
25 Dicembre arrivò in men che non si dica.
―
Mamma, mamma sveglia! ― urlò Renesmee, saltando sul nostro
letto ― È arrivato
Babbo Natale, è arrivato! Ci sono un sacco di regali di
sotto, nonna mi ha detto
che sono per me! Andiamo, andiamo!
―
Che succede? ― biascicò Edward, sollevandosi sui gomiti.
―
Ha insistito per svegliarvi. ― disse Esme, che era sulla soglia della
stanza ―
Non pensavo lo avrebbe fatto in quel modo.
―
Perché? ― domandò Renesmee ― Che modo? ― la sua
innocenza era disarmante. Ma
era questo che contraddistingueva i bambini. Erano innocenti e puri:
per loro
tutto era una festa, specialmente il Natale.
―
Nulla! ― urlai, cominciando a sbaciucchiarmela tutta ― Dai, andiamo a
vedere
cosa ti ha portato Babbo Natale! ― diedi parecchie sculacciate ad
Edward, per
farlo alzare ― Avanti, anche tu! Edward, tua figlia ti reclama!
―
Arrivo, arrivo!
Giungemmo
in salotto, trovando già tutta la famiglia riunita.
I
miei genitori erano seduti sul divano, si tenevano per mano. Charlie
indossava
un completo blu notte, come la cravatta e le scarpe, e una camicia
verde scuro;
Renée aveva un abito che le arrivava al ginocchio, verde
pistacchio, molto
semplice.
Carlisle
sfoggiava un abito scuro, forse grigio piombo; camicia bordeaux e
scarpe del
colore del completo. Non aveva la cravatta. Esme, indossava un abito
lungo, rosso
scuro. Stava benissimo, possibile che non me ne fossi accorta prima?
Jasper
ed Emmett indossavano dei pantaloni scuri, una camicia e un gilet. Il
primo
aveva camicia bianca e gilet grigio perla; il secondo camicia beige e
gilet
marrone scuro. Entrambi avevano le scarpe coordinate ad essi. Alice e
Rosalie
indossavano un vestito sbarazzino, corto. La prima lo aveva a
palloncino, di un
colore viola scuro, senza spalline con sopra un copri spalle; quello
della
seconda era nero, a maniche corte. Ricadeva dritto, fasciandole le
cosce.
―
Siete stupendi. ― sussurrai, notando che a differenza loro noi fossimo
ancora
in pigiama. È imbarazzante,
pensai.
―
Ho già preparato la vostra roba! ― saltellò
allegramente Alice ― Il tempo di
far contenta la piccola Nessie e poi andrete a cambiarvi! ― annuii,
sorridendo
e mi avvicinai a mia figlia.
―
Apri quello grande! ― le stava suggerendo Edward. Glielo
passò e lei lo aprì.
―
È proprio quello che volevo! ― strillò,
trovandosi di fronte un’enorme villa
per le bambole, bianca.
―
Babbo Natale è stato bravo, allora. ― le sussurrai
all’orecchio, sedendomela in
braccio.
L’albero
che Alice aveva allestito era qualcosa di incredibile. Il classico
abete che si
vedeva solo nei film, durante questo tipo di festività. Lo
aveva cosparso di
leggera neve artificiale, le palline erano miste e richiamavano i
classici
colori di Natale: rosso, oro, argento e blu. Le punte erano ornate da
fiocchetti rossi e i festoni ricadevano sottili e argentati in tutta la
grandezza di quell’albero. Le luci, intermittenti, erano
bianche, quasi
azzurre; il puntale in alto era una stella d’oro.
Le
risate di Renesmee mi fecero tornare al presente. Ero felice nel
vederla
felice. Sorrideva, con gli occhi che le brillavano per la gioia.
Continuava ad
aprire pacchetti su pacchetti, di qualsiasi colore e dimensione.
Fino
ad ora aveva ricevuto: la casa delle bambole, una bicicletta, un
piccolo pianoforte,
un sacco di peluches… Ma anche cose utili, tipo: vestiti,
cappellini per il
freddo, un paio di orecchi in oro bianco di Hello
Kitty e molto altro.
―
Abbiamo una cosa per te anche noi. ― disse Edward, afferrando il
pacchetto
quadrato, che avevo impacchettato la sera prima. La carta da regalo era
rossa,
con le renne, e al centro c’era un grande fiocco dorato.
Renesmee
lo prese al volo e cominciò a strappare tutta la carta.
Quando ebbe concluso,
si ritrovò in mano un album fotografico, piuttosto
voluminoso, rosa antico.
Sulla copertina, al centro, era raffigurata una fresia bianca.
―
Che cos’è? ― domandò Renesmee
incuriosita.
―
È un portafoto. ― risposi dolcemente.
―
E a cosa serve?
―
A tenere in ordine tutte le fotografie a cui tieni. ― rispose Edward,
aprendolo
― Guarda, lo abbiamo iniziato noi per te.
La
prima foto era un’immagine mia col pancione. Ero sdraiata sul
divano e dormivo
profondamente.
―
Tu eri qui dentro. ― dissi a mia figlia, indicando la mia pancia.
Renesmee fece
una graziosa “O” con la bocca, ma non
fiatò. Voleva saperne di più.
La
seconda fotografia ritrattava me ed Edward, in ospedale. In braccio
tenevo un
fagottino appena nato, dai riccioli bronzei. Andando avanti vi erano
immagini
di ogni tipo: Renesmee nella culla che dormiva; lei col suo
orsacchiotto
preferito; lei con i nonni, con gli zii, con Edward o con me. Renesmee
che
compiva un anno; poi tutto ciò che aveva fatto quando aveva
due anni e via, via
fino ad arrivare a questo Natale. L’ultima fotografia
ritraeva una bambina di
quattro anni. Aveva un pantalone rosso, una camicia bianca e sopra un
golfino
rosso con fantasie natalizie abbinato al piccolo capellino che portava
in
testa. Sorrideva felice e spensierata.
―
Grazie. ― disse, dopo averlo sfogliato tutto ― È bellissimo!
―
Ed è tutto da finire, gioia mia. ― sussurrò
Edward, avvolgendoci in un caldo
abbraccio ― Da adesso in poi lo continuerai tu.
Restammo
per terra, sotto le luci dell’albero di Natale ancora un
po’. Notai che le
nostre famiglie si erano dileguate, forse per lasciarci un
po’ di privacy
insieme a nostra figlia.
Quando
guardai l’orologio mi resi conto che era quasi mezzogiorno,
così proposi di
andare a vestirci. Edward prese a cavalluccio Renesmee e
salì di sopra, mentre
la nostra bambina rideva come un pazza.
A guardare quella scena il
mio cuore si scaldò di gioia. Il
Natale è
la festa dei bambini, pensai. E mai prima di allora compresi
quanta verità
ci fosse in quella semplicissima frase.