Cos'è?
… Si avvicina correndo. Cos'è? … Occielo! È un unicorno
gigante! Si salvi chi può!
(Attenzione:
FLUFF uccidente in quantità esorbitanti)
Istantanea
«Uchiha, Uchiha!»
Nel silenzio rilassato dell'ora di pranzo, la voce di Kushina è uno squillo acuto che fende l'aria come un kunai: Mikoto quasi scivola dal ramo su cui sta appollaiata e si lascia sfuggire il bento. Lo recupera per un pelo, salvando il pranzo con abilità.
«Uzumaki» saluta, compita.
Kushina cerca attorno perplessa e a guardarla dall'alto, che piroetta su di sé come se fermarsi potesse ucciderla, è un caleidoscopio di rosso acceso e verde dell'erba.
Si ferma solo al secondo saluto, lanciato a voce più alta: blocca i piedi di scatto e getta il viso in su, incurante dell'onda rossa che le frusta la schiena.
«Ah, sei qui. E mangi» aggiunge, con un interesse luminoso che vuol dire una cosa sola.
«Hai di nuovo dimenticato il pranzo, Kushina?» sospira Mikoto, più amichevole.
La risposta è un sorriso da volpe furba che convince la bambina a farsi più in là sul ramo con un sospiro rassegnato.
Kushina non se lo fa dire due volte: prende la rincorsa e si arrampica come una scimmia, per sistemarsi a cavalcioni accanto alla compagna.
È a quel punto che Mikoto nota con perplessità la scatola nera che le pende dal collo.
La
bambina nella foto ha un'espressione buffa.
Ha
ciglia folte, capelli al nero di seppia e la faccia seria per
forza, una di quelle facce che usa chi ce la sta mettendo tutta
per non ridere in maniera proprio sguaiatissima. Tiene le spalle
rigide e sembra seduta in una posizione quantomeno precaria.
Non
precaria quanto quella dell'altra ragazzina, però: lei ride in
maniera vivace, di un sorriso pulito e caparbio; è contenta di stare
là, nel rettangolo di carta lucida, l'unico braccio visibile
drappeggiato sulla spalla dell'amica. Sta tutta sbilanciata verso
l'obiettivo e c'è un che di mascolino nel modo in cui si tiene
vicino la compagna, il gomito spigoloso fuori dal riquadro e le dita
in segno di vittoria sotto il mento dell'altra, come ci fosse
qualcosa di cui festeggiare.
Hanno
all'incirca la stessa età, sembra. La ragazzina dai capelli neri ha
un viso familiare in mille modi, dolorosi da stretta allo stomaco e
insieme piacevoli come un bagno caldo.
L'altra
anche è familiare, ma in modo tutto nuovo e inaspettato.
Sasuke
stringe la foto tra le dita, perplesso.
Seduto
a gambe incrociate sul tatami, lo scatolone a un passo e la schiena
poggiata al grande letto matrimoniale, scruta il rettangolo di carta
come se a guardarlo più da vicino potesse annullare la distanza di
spazio e tempo.
Passa
un pollice sulla superficie, piano, e porta via con sé una striscia
di polvere vellutata.
Adesso
la ragazzina sorridente sembra ancora più luminosa, e divertita
dall'avere sotto il naso un vero
baffo di polvere, sfuggito al polpastrello.
E
anche se gli occhi sono stretti in una smorfia di felicità schietta
e piccante, Sasuke è certo che sotto le palpebre siano chiari e
intensi insieme, in un paradosso che vede tutte le mattine e che
ancora non si spiega.
Deve
essere una di quelle persone asfissianti che ti inseguono fino allo
sfinimento e, una volta preso, ti stringono al petto con le braccia e
col cuore e ti obbligano alla faccia seria per forza.
Lo
sa che è così, quella bambina di cognome fa Uzumaki: non potrebbe
essere diversamente.
Il
fusuma viene chiuso e la stanza in fondo al corridoio smette
di nuovo di far parte della casa.
Sasuke
scende in cucina con calma, seguendo l'odore di cibo.
C'è
caldo di vapori, tramestio di pentolame e, nel mezzo, Naruto che
impasta tori dango con una smorfia concentrata da fesso tardo.
L'ex
nukenin si avvicina con calma e scosta il coperchio per spiare nella
pentola: dentro galleggiano già una manciata di polpette tutte di
dimensione diversa, informi; mandano un buon odore di pollo e spezie.
Naruto
è troppo preso e neanche nota la presenza del compagno finché lui
non gli mette la foto sotto il naso, tra i suoi occhi e l'ultima
opera scultorea in pollo appallottolata maldestramente tra le dita.
L'eroe
di Konoha spalanca le palpebre, la pupilla contratta, e trattiene il
fiato. Lascia che la polpetta precipiti nella pentola con un plop
acquoso e prende la foto tra indice e pollice, le mani ancora
inzaccherate di pollo e odorose di soia.
Sbatte
le ciglia per qualche istante, portando lo sguardo dalla foto a
Sasuke e vice versa.
«Ma
che...»
«Stava
su, tra le cose di mia madre» spiega lui, senza alcuna particolare
intonazione.
Il
jinchuuriki aggrotta le sopracciglia e poi emette un «oh» di
comprensione davanti alla somiglianza impressionante che corre tra la
bambina bruna e il Sasuke dei suoi ricordi più remoti, quello seduto
qualche banco di distanza all'Accademia.
Ma
gli occhi sono attratti irresistibilmente dall'altra bambina, quella
che sorride: il peperoncino rosso sangue.
Se
i capelli di Mikoto appaiono lisci e scuri, ordinatamente serici,
quelli di Kushina sono un'esplosione di rosso acceso, una macchia di
colore pastoso e lucente.
Naruto
ricorda d'averla abbracciata, Kushina, e non importa che sia una cosa
avvenuta solo nella sua testa, in quello strano luogo dentro. I
capelli di sua mamma sono proprio così: vivi e morbidi,
odorano di casa.
Il
jinchuuriki non riesce a staccare gli occhi dall'immagine,
un'espressione incredula che gli aleggia sulla faccia. Trascorre
un'altra manciata di secondi, mentre il brodo ribolle roco, prima che
sollevi lo sguardo su Sasuke e si apra in un sorriso buffo, vagamente
sconcertato.
«Come
hai capito... ?» domanda, titubante.
Sasuke
si stringe nelle spalle.
«Hai
detto che aveva i capelli rossi. E poi si vede» aggiunge, ovvio.
Il
sorriso dell'eroe di Konoha si illumina ancora di più, quasi a
conferma.
«Puoi
tenerla» fa Sasuke, sempre con quell'aria quieta e distaccata,
mentre controlla il fuoco sotto il brodo.
La
testa bionda di Naruto acconsente lieve, distratta. Non riesce a
staccare gli occhi dalla vecchia istantanea.
Sasuke
ha preso le ciotole dalla credenza, per apparecchiare alla buona come
al solito, e al rumore di stoviglie Naruto finisce finalmente per
sollevare lo sguardo per osservarne i
movimenti, pensoso.
«Aspetta!»
sbotta, sorprendendolo. Quello torna eretto da che era piegato a
posare le ciotole sul tavolo e lo guarda interrogativo.
«Prima
devo fare una cosa!» spiega il jinchuuriki, in un sorriso.
I
tori dango restano a sfarsi nel brodo bollente.
Sul
comodino di Sasuke ci sono due foto: lo storico ritratto di gruppo
del team seven, conservato gelosamente nella sua cornice, e una
vecchia foto di famiglia un po' austera e impacciata, ma completa,
con un Sasuke grosso meno d'una zucca stretto tra le braccia di
Mikoto: lei sta nel mezzo e sembra equilibrare tutto, la mano sulla
testa di Itachi e la spalla accanto a quella di Fugaku.
Sul
comodino di Naruto, invece, c'è una foto recente, quella con
Kakashi, Sasuke, Sakura, lui, il capitano Yamato e Sai, mescolati e
attivi. È venuta un po' mossa, perché Sakura stava ridendo e Yamato
sedava una lite tra Naruto e Sai, mentre Sasuke - stretto tra tutti
senza che neanche se ne fosse accorto - alzava gli occhi al cielo
sotto lo sguardo bonario di Kakashi.
Naruto
ci tiene di tutto, sul quel comodino: coprifronte, shuriken,
bicchiere che invece di bere rovescia ogni notte, la sveglia a forma
di rospo, fogli e fascicoli sulle missioni.
«Sei
un maiale» gli fa presente Sasuke da dietro, più per abitudine che
per reale fastidio.
Il
jinchuuriki lo ignora con un gesto distratto del capo e continua a
guardare il comodino con aria critica. Si gratta la nuca e poi
sospira.
Sasuke
serra le palpebre in rassegnazione, quando i fogli crollano seguiti
da kunai e bicchiere, che fortunatamente non si rompe.
La
sveglia finisce in un angolo, pencolante sul bordo, ed è con
solennità che Naruto pulisce la superficie ora quasi sgombra del
mobiletto con la manica della felpa, prima di poggiare la cornice con
cautela.
Trattiene
il fiato e poi la osserva dall'alto, con un'espressione piena e
brillante.
«Perfetto»
emette infine, soddisfatto. «Possiamo pure andare a cenare, adesso»
ride di rimando al sorriso dell'Uzumaki Kushina di dieci anni che
sta nella foto.
«Ah,
ho dimenticato il fuoco acceso!» trilla subito dopo, voltandosi di
scatto verso Sasuke.
«L'ho
spento io, idiota».
Il
jinchuuriki fa la bocca ad o, poi torna ad alzare la testa e a
sorridere largo come l'intera stanza, senza motivo.
«Beh,
che c'è?» mugugna l'altro, facendo per precederlo fuori. Naruto lo
raggiunge e gli avvinghia un braccio attorno al collo. Urta il gomito
contro lo stipite della porta, ma non smette di sghignazzare.
«Quando
sarò Hokage ti promuoverò sommo controllore delle cucine,
'ttebayo!» annuncia, come avesse appena comunicato qualcosa di
importanza capitale.
Sasuke
mugghia un «usuratonkachi» scoraggiato, e si assicura di
restare asserragliato dietro la sua migliore faccia seria per
forza, una di quelle che usa chi ce la sta mettendo tutta per non
ridere e perdere così la propria fama di terrificante ex nukenin di
rango S.
A
Naruto non gliene frega niente, della faccia seria: si fa le scale
con un sorriso furbo da volpe, tirandoselo dietro in un avvinghio
intruppato finché quasi non rotolano giù per i gradini.
*
«E
quella a chi l'hai presa?» domanda Mikoto, già rassegnata.
Il
sorriso di Kushina diventa un ghigno, mentre si vanta con aria
leggera.
«L'ho
vinta!» racconta, mostrandole soddisfatta la grossa macchina
fotografica che tiene appesa al collo. E Mikoto sa che, con Kushina,
«l'ho vinta» può significare solo che la ragazzina l'abbia
arbitrariamente sequestrata a qualche compagno d'accademia dopo una
rissa, come ampiamente testimoniato dai capelli arruffati e dai
lividi sulle ginocchia. Avvezza a situazioni simili, si limita a
offrire il resto del suo bento all'amica e a squadrarla con severità
quasi materna.
«Ma
la restituirai, giusto?» ammonisce, decisa a non farsi abbindolare
da quegli occhioni spalancati.
«Eeeh?
E perché dovrei?» sputacchia Kushina, a bocca pienissima.
Davanti al cipiglio serio dell'altra, alza gli occhi al cielo. «E va
bene, come vuoi. Ma prima...» comincia, armeggiando con la
fettuccia di stoffa che le tiene la macchinetta fotografica ancorata
al suo collo, «la proviamo!»
Mikoto
aggrotta le sopracciglia sulla fronte chiara, rifilandole
un'occhiataccia; lei ne approfitta per piazzarle il bento ormai
spazzolato tra le mani e avvicinarsi con impeto, buttandole un
braccio intorno alle spalle.
Per
poco non cadono entrambe dal ramo, ma Kushina non se ne avvede
minimamente, troppo presa dal tenere la macchina fotografica con una
mano sola, il braccio teso davanti a loro.
Caccia
fuori un verso ghignante rivolto all'obiettivo, finché non si
accorge dello sguardo di Mikoto che, mezza soffocata dalla sua
stretta, la sta fissando con estremo biasimo a un centimetro dal suo
naso indisponente.
«Oh,
Mikoto. Sorridi, su!
Se sorridi prometto...» smania ansiosa; gli occhi corrono indecisi
sulla figura dell'altra, fino a posarsi sul bento vuoto tra le sue
mani, e si illuminano, prima di stringersi in un sorriso da volpe
furba. «Prometto che quando sarò Hokage ti nominerò mia cuoca
ufficiale, 'ttebane!»
Mikoto
solleva le sopracciglia non sa se per esasperazione, sorpresa o
cos'altro, e le viene talmente da ridere che, quando il flash scatta,
i lineamenti sul suo viso litigano tra compostezza e divertimento,
catturandola così, stretta contro il rosso denso e lucente di
Kushina e con la faccia seria
per forza. E non significa niente se non che non vorrebbe
essere in alcun altro posto che in quel rettangolo storto di carta
lucida.
Nda
Dove
siamo? In un Utopico Allegro Mondo Perfetto – quindi fuori dalla
grazia di Kishimoto, in un futuro all'insegna del volemosebbene.
I
tori dango sono un
piatto casalingo della cucina popolare giapponese: polpette di pollo
speziato (con soia, zenzero, porro e altri ingredienti) che si
lasciano cuocere direttamente nel brodo.
L'ho
scritta ventordicimila settimane fa, ma faceva veramente troppo
secernere melassa per essere mostrata in pubblico. Oggidì l'ho vista
e ho pensato che il periodo dei Saturnali (finiscono il ventitre, a dire il vero. Oggi è il giorno
di nascita del Sole invitto, invece XD) fosse l'unico
appropriato per pubblicare uno schifio
così.
Comunque
auguri, esseri umani.