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Autore: atlanta    26/12/2011    0 recensioni
Mi guardo indietro e scopro angoli di una città che non ho vissuto, posti su un tram che non ho mai preso. Sedili graffiati, lucidati dal tempo.
Scopro sguardi che non ho incontrato, nemmeno per errore nel riflesso di una vetrina. Scopro rughe che non ho contato, capelli bianchi che non ho strappato e paesaggi che non ho dipinto.
C’è una strana inquietudine in questa lenta esplorazione. Come di colui che scende in un pozzo, si cala e ne palpa le pareti, quasi come con il corpo di una donna: con premura, attenzione, lieve sospetto, timida paura. Profonda voglia di conoscenza.
- Non so nemmeno io cosa vederci in questo testo. Anzi, io lo so. L'autore forse lo sa sempre.
Non lo dice quasi mai. -
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scopro sul mio volto occhiaie che non credevo di avere. Segni del tempo, delle notti in bianco a pensare, delle lacrime versate e del trucco lasciato a macerare sul mio volto per troppo tempo, quasi a mandare a quel paese la vecchiaia con le sue rughe, che oggi sembrano così lontane e irreali.
Scopro nei miei occhi ombre di un passato che non avevo considerato, oscurità di corpi che non ho toccato. Scopro nelle mie orecchie silenzi di parole che non ho detto, fotografie, stampate sulla retina, che non ho mai scattato.

Mi guardo indietro e scopro angoli di una città che non ho vissuto, posti su un tram che non ho mai preso. Sedili graffiati, lucidati dal tempo.
Scopro sguardi che non ho incontrato, nemmeno per errore nel riflesso di una vetrina. Scopro rughe che non ho contato, capelli bianchi che non ho strappato e paesaggi che non ho dipinto.
C’è una strana inquietudine in questa lenta esplorazione. Come di colui che scende in un pozzo, si cala e ne palpa le pareti, quasi come con il corpo di una donna: con premura, attenzione, lieve sospetto, timida paura. Profonda voglia di conoscenza.
Quante volte ho sfiorato quelle mani, sempre diverse, eppure ogni volta uguali.
Solo ora mi ricordo di loro, dei loro calli. E anche lì scopro, chiudo gli occhi e scopro ruvidità che non avevo accarezzato, scopro unghie scheggiate, dita lunghe, quasi ingannevoli, che si insinuano, mani larghe, mani che sfiorano, mani che calano con pesantezza.

Scopro sulle mie braccia lividi che non ho curato. Scopro cicatrici biancastre, ormai dimenticate, ma firma perenne del passato che non molla mai il colpo.
Nelle mie orecchie risuonano canzoni che non ho più sentito, che non ho mai ascoltato. Scopro melodie che non avevo immaginato né costruito sulle mie memorie.
Mi guardo allo specchio e non sono più la stessa. Ma nei miei occhi vedo quel guizzo di bambina, una luce fuggevole, immagine trita e ritrita di una giovinezza che è stata come i petali della rosa. Di una giovinezza che è. Che mi tiene in bilico.
E scopro corse mai concluse, scherzi mai compresi. Labbra mai baciate.
Scopro palpiti di cuore mancati, come un salto nel vuoto. E poi ancora la luce. Ancora la terra ferma, il silenzioso assenso di una vita che ha già visto tutto, come in un film guardato e riguardato,  riesplorato, con le battute ancora sulla punta della lingua.

Riscopro parole ormai dimenticate. Straniera. Lontana. Inadeguata.
Le riascolto, conscia che le sto scoprendo per l’ennesima volta,  come si scopre una ferita per disinfettarla.
Scopro oceani che non ho mai considerato, pieni di pesci che non ho mai conosciuto, non ho mai sfiorato come fa il subacqueo, con la punta delle dita, intimorito dal vuoto che quella visione provoca nel suo animo.
Scopro storie che non ho scritto né ascoltato.
Scopro immagini nei miei occhi, che non pensavo nemmeno di aver afferrato. Riaffiorano, come fanno i pezzetti dei nostri incubi, scivolando nel buio languido dell’acqua che affolla il cuore degli uomini.
Scopro libri che non pensavo di ricordare. Parole che non mi appartengono e che mi penetrano con la violenza di chi la dignità non te la concede.
Mi guardo allo specchio. E non sono più me stessa. Ho perso qualcosa. E qualcosa ho guadagnato.
Scopro vocaboli, modi di dire, che mi sembrano estranei. Parole come “fottuto”, “stronzo”, “puttana”, che un tempo erano così numerose sul filo della mia voce ora sembrano lontane. Sembrano immensamente volgari.
Sentirle mi inquieta. Le parole portano immagini.

Mi guardo allo specchio. Ho chiuso gli occhi, ma mi vedo comunque, anzi, mi scruto. E mi scopro come un pittore scopre il suo quadro. All’ultimo istante, prima della mostra, ci vede qualcosa che non aveva premeditato. Qualcosa che è sfuggito persino a lui.

Scopro di avere diciotto anni. Negli occhi ancora la sensazione di un futuro. E sembrano quaranta. 
  
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