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Autore: GreedFan    26/12/2011    6 recensioni
Il virus Idra non è una semplice malattia.
E' un vero e proprio incubo.
L'infezione dilaga nell'isola di Manhattan, trasformando i contagiati in aberrazioni assetate di sangue, e, mentre le autorità sanitarie di tutto il mondo si arrovellano per trovare una soluzione, una sola figura si erge al di sopra di tanta degradazione.
Zeus.
Un infetto più potente degli altri o un semplice scherzo della natura? La società "Eden" non può di certo immaginare quali saranno le conseguenze del suo gesto, quando tenterà di creare un'arma biologica in grado di contrastarlo.
E Sasuke Uchiha, l'arma biologica in questione, non ha la minima idea dell'incubo in cui si sta gettando.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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027 – Bloodtox


«Non immaginavo che lo sapessi. Come sei arrivato a scoprirlo?»

«Non è un dettaglio importante. Tu, piuttosto, sei sicuro che sia vero?»

Zeus appariva preoccupato e confuso, anche se Orochimaru era quasi certo che quella notizia, più che dargli un'altra preoccupazione, lo aveva tranquillizzato: era come un ragazzino alla continua ricerca di punti fermi, il Prototype, e finalmente ne aveva trovato uno. A testimonianza di ciò, i suoi occhi parevano improvvisamente più saldi.

«Non certo... diciamo sicuro al novanta per cento. Ci sono ancora alcuni punti oscuri in questa storia, ma mi auguro che presto tu sappia chiarirli».

«Lo spero anch'io. Come sai di Hope? Hai violato il database governativo?»

«Anche. So di Hope perché ero lì quando successe quel disastro».

Il Prototype sgranò gli occhi, smettendo per un attimo di camminare. Era incredulo, attonito e stranamente rallegrato da quella notizia: che fosse quello il momento in cui ogni mistero veniva svelato? Orochimaru gli leggeva sul viso la voglia spasmodica di sapere, ma, purtroppo, le nozioni da lui possedute erano probabilmente minori di quelle che Zeus si aspettava di ricevere.

«Eri là... e come... come sei arrivato qui? Cosa successe?»

«È una storia molto lunga. Dopo il disastro ho vissuto in varie parti dell'America con i miei compagni... siamo tornati a New York in occasione dell'epidemia».

«E Hope?»

«Dovresti sapere già ciò che è successo, no? Io che ero lì non so molto più di te, visto che all'epoca non eravamo informati di nulla».

«Capisco...» mormorò, l'espressione delusa «... eppure, scommetto che non sei qui per dirmi cose che già so, vero?»

«No, infatti. Innanzitutto, sono qui per chiederti se sai quale sia l'esatto numero dei sopravvissuti di Hope».

«No. Non c'era scritto niente e...»

«Ovviamente non c'era scritto nulla. L'unica su cui sono stati compilati dei dossier, e cioè Kushina, era anche l'unica che potessero tenere in laboratorio con il pretesto di arginarne la pericolosità. L'unica contagiosa, non so se mi spiego. Nessuno degli altri superstiti può trasmettere il virus, eccetto lei».

«Questo è vero... infetta tutto ciò che tocca».

«In lei non c'è solo il virus Idra, ma una combinazione letale di genomi in costante mutazione. Questo la rende enormemente pericolosa. Comunque, sono arrivato a concludere che, dei circa diecimila abitanti di Hope al momento dell'incendio, ne siano sopravvissuti in tutto sei, se ammettiamo che tu sia figlio di Kushina sette».

«E chi sarebbero?»

«Io e i miei due compagni, Kushina, Sasuke e-»

«Cosa?! Sasuke proviene da Hope?»

«Non lo sapevi?» Orochimaru inarcò un sopracciglio «Sul serio?»

Dall'espressione sconvolta di Zeus, pareva che quella notizia gli fosse nuova.

«Ma non è possibile... lui è un esperimento-»

«"Creato dall'esercito per uccidermi"... risparmiami il discorso. E così, Sasuke non ti ha detto tutta la verità, mh? Deve essere un brutto colpo per te, Zeus».

Lo sguardo infantile di Zeus, però, era stranamente deciso. Lo fissava con un'ostinazione che rasentava il ridicolo, e, ascoltando la sua ultima affermazione, sul suo volto si aprì un sorriso spavaldo.

«Ti sbagli. Sasuke non mi ha mentito. Sono sicuro che gli abbiano fatto qualcosa per impedirgli di ricordare, che so... tipo... un lavaggio del cervello».

Ridacchiò, Orochimaru, e soffiò:« Puoi credere ciò che preferisci... di certo non sarò io a obbligarti a prestare fede alle mie parole. Comunque, Sasuke era figlio di Mikoto e Fugaku Uchiha. Abitavano accanto a Kushina, ed erano l'unica altra famiglia giapponese - a parte il mio gruppo - residente ad Hope».

«Gli abitanti erano stati scelti in base alla razza?»

«Non esattamente. I militari avevano creato una sorta di campus multietnico, non chiedermi per quale ragione. Quando tutto andò a fuoco il nostro quartiere, più periferico rispetto agli altri, bruciò per ultimo, e questo permise a pochi di noi di scappare».

«Capisco... quindi anche tu sei come Sasuke? Anche tu hai lo stesso tipo di mutazione?»

«No. Quella notte si liberarono una gran quantità di ceppi diversi, e dovresti sapere meglio di me che il virus Idra muta a seconda del suo occupante, manifestandosi in molti modi differenti. Tutti coloro che sopravvissero sono diventati infetti superiori, ma nessuno è uguale agli altri. E prima non mi hai fatto finire, Zeus... stavo dicendo che, oltre a Sasuke, si salvò anche un altro membro della famiglia Uchiha. Suo fratello».

«Sasuke non mi aveva mai detto di avere un fratello... spero che tu stia dicendo il vero».

«Non ho nulla contro di te, nulla per cui mentirti. Sarà meglio che tu chieda a Sasuke di spiegarti quello che spero sia un malinteso, anche se, visto quanto sembrava preoccupato l'ultima volta che l'ho visto, anche a me pare improbabile che voglia tradirti».

«Un fratello...» mormorò Zeus, che, assorbito dai propri pensieri, non sembrava aver ascoltato la risposta di Orochimaru. L'uomo gli lanciò un'occhiata a metà tra il sarcastico e l'inquisitorio, poi, incurante se l'altro lo stesse sentendo oppure no, riprese a parlare.

«Il suo nome era Itachi. Un ragazzo estremamente intelligente, anche se si è sempre comportato in maniera molto strana... un sociopatico, probabilmente. Mi ricordo che una volta venne da me perché il fratello aveva la febbre, e mi pregò di raggiungere casa sua per visitarlo. Si preoccupava sempre troppo per Sasuke».

«Eri un medico?»

Gli occhi di Orochimaru si ridussero a fessure.

«Sì, un medico. Ed è proprio un mio collega la persona che custodisce il segreto di Hope».

«Sarebbe?»

«Kabuto Yakushi. Si è occupato di ogni progetto riguardante l'Idra negli ultimi vent'anni. Più in alto di lui c'è solo Madara».

«Madara...» Zeus ripeté quel nome lentamente, quasi ne stesse assaggiando la consistenza «Chi è?»

«Il vero responsabile di tutto. È un generale dell'esercito, invischiato fino al collo in questa storia. Uccidilo, e avrai eliminato la causa dell'inferno».

Il Prototype sollevò lo sguardo, fattosi improvvisamente rabbioso, quasi famelico, e ghignò. Orochimaru lo osservò con la coda dell'occhio, notando quanto quella smorfia stonasse sul suo viso, apparendo quasi fuori posto. Non era fatto per sporcarsi, quel ragazzino, e nonostante tutte le malefatte che aveva commesso sembrava fosse rimasto pulito, puro, in piena contrapposizione con quello che l'uomo si sarebbe aspettato da lui.

"Non sei fatto per sporcarti, Zeus. Puoi cercare quanto vuoi di corromperti e scendere al livello delle bestie che ti circondano, ma non ci riuscirai mai".

«Hai intenzione di attaccarli?»

«Sì».

«Bene. In questo caso, ti aiuterò. Non so se i miei due compagni saranno dello stesso avviso».

«Sarai dalla mia parte anche se loro dovessero rifiutarsi?»

«Mi credi forse sciocco, Zeus? Non sono un fantoccio o un ragazzino, che ha bisogno del consenso di qualcun altro per agire. Piuttosto, quando intendi muoverti?»

«Non appena Sasuke si sarà ripreso».

«A proposito di Sasuke... mi farebbe piacere che mi permettessi di vederlo».

«Curiosità professionale?» Il Prototype sorrise, vagamente malizioso.

«Niente affatto. Voglio semplicemente accertarmi che non abbiate commesso errori irreparabili».


***


Dopo aver lasciato Orochimaru davanti alla porta di Ade – con Kisame a controllare che tutto andasse per il verso giusto – Naruto si recò alla stanza del prigionieri ed entrò.

Il suo ingresso fu accolto con più calma del previsto: Temari lo fissava in cagnesco, come sempre, e Shikamaru era immediatamente impallidito, ma nel complesso pareva che cominciassero ad abituarsi tutti alla sua presenza. Sorrise.

«Salve». Visto quello che stava per chiedere. Ritenne opportuno presentarsi con una certa cordialità «Perdonami per averti lasciato come uno scemo davanti alla porta della mia stanza, Shikamaru, ma dovevo accogliere un nuovo ospite. Abbiamo ricevuto notizie fondamentali».

«Ah, davvero?» Lo sguardo del ragazzo si fece corrucciato: evidentemente, si chiedeva il perché di quella conversazione.

«Spero capiate che c’è un motivo se vi abbiamo lasciati in vita fino a questo momento». Tagliò corto Zeus, consapevole che, qualsiasi fosse il pensiero dei prigionieri, non gli sarebbe mai stato opposto un rifiuto «E cioè, che speriamo di utilizzare le vostre conoscenze per raggiungere i nostri scopi».

«Volete attaccare?»

«Non subito. Stiamo cercando una persona, in particolare, e vorrei conoscere la disposizione degli uffici nei piani che...»

«Aspetta, frena». Fu Shikamaru a bloccarlo, attirandosi le occhiate stupite e scandalizzate dai compagni «Raderete al suolo quel posto, vero? Se lo attaccate in massa, tutti quelli là dentro moriranno?»

«Sì».

«Be’, non possiamo permetterlo!» Esclamò Kiba, che, evidentemente, aveva afferrato il corso dei pensieri del Nara «Ti ricordi quella che hai salvato dalla mantide gigante? Il mio capo. Con lei c’è anche Rock Lee, e poi...»

«Ino, la mia ragazza». Sai lo fissò di sottecchi «Non sarò di certo io a darti consigli su dove colpire, se non mi garantisci che vivrà».

Gaara, in un angolo, stava zitto. Fissava il Prototype con un’aria vagamente incuriosita, ma pareva che non riuscisse a focalizzare l’attenzione sullo stesso punto per più di qualche secondo: il suo sguardo, alternativamente, saettava dal viso di Zeus al soffitto, poi di nuovo giù, sul pavimento. Come se qualcosa lo stesse distraendo.

Naruto, da parte sua, era troppo occupato a cercare una soluzione per ascoltarlo.

«Cosa volete che faccia? Potrei obbligarvi a parlare con la violenza, ma...» sospirò, poi sorrise tristemente «... ma suppongo che non lo farò».

«Potresti portarli via. Salvarli prima, e poi attaccare e distruggere definitivamente quel posto. Se ci pensi, ti converrebbe: avresti la possibilità di fare una prima incursione sul campo e studiarlo per bene, per poi dirigere tutta la potenza sui punti più deboli...»

«Se facessi così, i militari intensificherebbero molto la sorveglianza, dopo il primo attacco».

«Mi inventerò qualcosa». Lo sguardo di Shikamaru si accese per il fervore «Io ti prometto, Zeus, che se ci permetterai di salvare i nostri amici sarò per te la tua arma più potente. Le guerre non si vincono soltanto con la forza bruta, questo dovresti saperlo, e ti è sempre mancato uno stratega... senza contare che conosco i loro schemi meglio di chiunque altro».

Naruto era dubbioso. Accettare quell’offerta significava rischiare il tutto per tutto, affidarsi completamente ad un umano fragile e debole che poteva serbare nel cuore un desiderio di rivalsa nei loro confronti. Eppure, il suo istinto gli diceva che poteva andar bene, e che soltanto attraverso qualcuno come Shikamaru avrebbero potuto trovare il modo di raggiungere Madara, Kabuto o chiunque altro desiderassero eliminare.

Assentì.

«Sia. Dovete dirmi chi volete che porti via da lì, e poi...»

«Aspetta. Prima hai accennato ad una “persona”. Chi sarebbe?»

«Kabuto Yakushi».

Kiba, a quel nome, atteggiò il viso in un’espressione a metà tra lo schifato ed il sofferente.

«Eeeeew, Kabuto Facciadiculo. Dio Santo, io in tutta la mia vita non ho mai conosciuto un simile stron-»

«Come Kiba sta cercando di farci notare, sappiamo di chi parli. È il capoccia dei laboratori e controlla in toto la ricerca sperimentale sull’Idra. Il fatto che sia una persona così importante ci aiuta».

«Perché?»

«Perché potresti sfruttarlo come ostaggio per andartene di lì quando avrai trovato tutti quelli che ti chiederemo di salvare. Se anche ti portassi dietro i tuoi compagni al completo, nel caso qualcosa andasse storto sarebbe difficile scappare con tutti gli ostaggi, no? Kabuto lo potrai usare come scudo... per quelli della Gentek è troppo importante».

«Uhm». Zeus si sedette a terra, le gambe incrociate, il viso alla stessa altezza di quello di Shikamaru «Va bene. Senti, spiegami un po’ questo piano che vuoi fare. Però parla piano, eh, che non sono un genio in queste cose... avrai capito che non penso molto prima di agire».

«Credo... credo di sì. Abbiamo della carta e una penna?»

«Perché?»

«Potremmo averne bisogno».


***


Orochimaru si sedette sospirando accanto al letto di Sasuke.

Nonostante avesse ispezionato le orbite vuote con singolare perizia, non aveva trovato nulla. Ed era proprio quel “nulla” – più del silenzio forzato di Sasuke, che si poteva sicuramente imputare al fortissimo trauma – a fargli storcere il naso.

Non c’erano tumori, infezioni o traccia di pus. I tessuti erano perfettamente cicatrizzati.

Stabili.

Il che, in poche parole, significava che non si sarebbero mai rigenerati.

Secche, bruciate, le orbite nere sarebbero rimaste tali probabilmente per sempre, e lui non aveva idea di come comunicarlo al Prototype senza che quello si gettasse in qualche impresa avventata.

Sospirò di nuovo.

«Ah, Sasuke...» il corpo, tra le coperte bianche, ebbe un fremito «... alla fine proprio Zeus, che grazie a te ha avuto salva la vita, rischia di non poterti aiutare. Voi Uchiha siete sempre complicati, non è così? Quasi ci trovaste un qualche piacere perverso...»

Ade digrignò i denti, ma non parlò.

Dopo qualche secondo di attesa, Orochimaru si alzò. Prima di uscire, la mano poggiata sullo stipite della porta, guardò a lungo il ragazzo dai capelli neri, vide il suo pallore e l’orrendo viso sfigurato. Ricordò come gli era apparso – vivo e acceso dal sangue, bello come solo un giovane può essere – quando gli aveva dato la cura.

E provò disprezzo per quella creatura e la sua debolezza, simile a quello che i bambini riservano ad un giocattolo rotto.

Eppure, era uno spreco enorme.

«Combatti, Sasuke. Con l’odio, se necessario, ma risvegliati da questo stato pietoso e smettila di affogare nel tuo dolore. Sappiamo entrambi che non hai bisogno dell’aiuto di Zeus per portare avanti la tua vendetta... altrimenti, puoi sempre continuare ad affogare nella tua oscurità. Ma non sperare che la situazione si risolva, o che sia il Prototype a salvarti... ti rispetta troppo per offendere così la tua dignità».

Sasuke l’aveva sentito, ne era certo.

Così come era certo che avrebbe raccolto la sua sfida.


***


Le squadre speciali in servizio per tutta la città vennero richiamate alla base.

Inizialmente Morino, Danzo, Mizuki e Zabusa erano rimasti colpiti dall’ordine (il setaccio della città non aveva portato nessun risultato, pareva che Zeus fosse scomparso dalla circolazione, e l’urlo terribile che aveva scosso Manhattan aveva gettato gli infetti in un tale disordine da impossibilitare qualsiasi operazione), poi, saputo quanto era successo alla squadra Kakashi, avevano supposto che si trattasse di una manovra per evitare nuovi infortuni. Magari, Madara riteneva il pericolo troppo alto per sacrificare così degli uomini.

Quello che non sapevano era che Madara non si sarebbe mai curato a tal punto della loro vita, se si fosse trattato di catturare Zeus. Aveva semplicemente trovato qualcosa di meglio da scagliare contro il Prototype.

Appena fu buio, cinque elicotteri da trasporto partirono dalla basa Gentek. Viaggiarono uniti per un primo tratto di strada, poi le loro traiettorie si aprirono a ventaglio e si sparpagliarono in varie zone della città – quelle, fondamentalmente, in cui i grandi alveari troneggiavano e ribollivano nell’aria fresca della sera.

Poi, ad un segnale convenuto, sganciarono delle grandi bombole collegate a dei detonatori.

Sulle bombole, grossi caratteri rossi recitavano “A-113A”.

L’aria divenne rossa.

Grandi nuvole di vapore scarlatto si levarono su una buona parte della città; quelle nuvole sapevano di morte, decomposizione, e gli infetti che vi si trovavano immersi cadevano a terra, contorcendosi per il dolore, la carne che si anneriva, ricoperta di croste, fino ad ucciderli. Persino i cacciatori, incommensurabilmente grandi e forti, cadevano, senza nemmeno capire cosa fosse a piegarli.

Quel veleno sottile e mortale si propagò in buona parte della città, prima che il vento cominciasse a spingerlo via, sui quartieri sani. D’altra parte, agli umani non faceva nessun effetto: lo respiravano senza nemmeno accorgersene, perché quell’arma biologica non era stata progettata per uccidere loro. Solo chi portava l’Idra nel sangue si sentiva male, vomitava e si accasciava a terra in preda alle convulsioni.

E poi, slittando e avvolgendosi attorno ai grattacieli, la nuvola tossica raggiunse il porto.


***


«Che vuol dire che non potrà più avere la vista?»

Aveva passato il pomeriggio con Shikamaru e gli altri umani, a pianificare nei dettagli quella che sarebbe stata, molto probabilmente, l’operazione più pericolosa che il Prototype avesse mai compiuto. Si era rivelato più difficile del previsto, ma alla fine erano venuti a capo di tutti i problemi, calcolando anche le eventualità più nefaste.

E Orochimaru gli diceva che...

«Non chiedermi perché. Il suo corpo ha rigenerato perfettamente tutta la zona dell’orbita, senza che si verificassero infezioni, ma i bulbi oculari non accennare a ricrescere. Ormai le condizioni si sono stabilizzate, per cui è da escludere che Sasuke possa tornare a vedere».

Naruto impallidì vistosamente, incassando quel nuovo colpo al cuore con un sorriso amareggiato e un dolore pazzesco da qualche parte, dentro di lui. Non osò nemmeno chiedersi se la situazione sarebbe mai migliorata, si limitò a chinare il capo e arrendersi anche a quell’ultima disgrazia.

«Suppongo che dovrò cominciare a farci l’abitudine. Scusami, io... ho bisogno di un po’ d’aria».

«Zeus...»

Orochimaru scosse la testa, ma nonostante tutto lo seguì mentre percorreva i corridoi della base fino alla botola, fin nel magazzino.

«Io, io non capisco perché...»

Non espresse mai fino in fondo quel pensiero. Spalancò la porta del magazzino, e Orochimaru fece appena in tempo a sentire un puzzo acre, simile alla carne in decomposizione, che Zeus si era accasciato a terra con entrambe le mani attorno alla gola.

Il cervello dell’uomo lavorò in fretta, perfettamente freddo e controllato.

Benché fosse ignaro della situazione, comprese al volo che il Prototype stava soffocando per qualcosa che si trovava nell’aria; smise istantaneamente di respirare e si scagliò sul ragazzo, lo afferrò per la maglietta e lo tirò indietro, fino alla botola, dove si gettò alla massima velocità possibile. Richiuso su di sé il coperchio, si concesse un breve respiro: gli ci volle tutto l’autocontrollo di cui era dotato per non appoggiarsi al muro e vomitare, tanta era la sensazione di nausea e asfissia che gli dava quell’odore greve, seppure non fosse che un sentore vago rispetto a ciò che doveva trovarsi all’esterno del magazzino.

Abbassando lo sguardo sul Prototype, i suoi sospetti furono confermati.

Aveva le braccia, il viso e il collo come bruciati, ricoperti di spaccature e vesciche. La pelle era rossa, solcata da vene rilevate e bluastre.

«Tutto a posto?»

Si teneva ancora la gola, tossicchiando. Gli rivolse un’occhiata riconoscente.

«Che... che cazzo era?»

«Qualche nuova diavoleria dell’esercito. Caso più unico che raro, pare che stavolta siano riusciti a creare qualcosa di utile. Ci sono prese d’aria, in questo posto?»

«Sì... sì, ma è filtrata».

«Speriamo che basti. Pare che dovremo rimandare i piani di attacco».

«Non penso proprio». Allungò un braccio nella sua direzione, e Orochimaru poté osservare la pelle che, rapida, si richiudeva silenziosamente sulle vesciche, tornando liscia e compatta come pochi minuti prima. Lo stesso accadde anche sul viso del ragazzo.

«Conosco le tue capacità di guarigione, Zeus».

«Non è questo che intendevo. Ho assimilato quella merda che ho respirato pochi secondi fa... il mio organismo, molto probabilmente, ha già sviluppato una mezza immunità. Questo è un punto a nostro favore, non il contrario... anzi, mi è già venuta una mezza idea...»

Scattò in piedi, come folgorato, prima che il più anziano lo bloccasse.

«E Sasuke? Ti sei già dimenticato di lui?»

«Niente affatto. Voglio che tu lo aiuti, Orochimaru, che lo faccia tornare a vivere».

Lo fissò, irremovibile. Nei suoi occhi c’era la solita, ammirevole forza d’animo, che lo scienziato non sapeva se deprecare o ammirare con tutto sé stesso: che derivasse da un’ingenuità senza limiti o da una fede cieca nel futuro, quella sua resistenza ad ogni evento negativo era infatti l’arma più potente che possedeva.

«Io? Perché proprio io?»

«Perché sei intelligente, forte e infetto. E perché sento che è una scelta giusta. Io non potrò occuparmene, almeno non domani».

«Perché “non domani”? Non mi dirai che...»

«Intendo colpire domani. Sono stanco di aspettare, e poi non ho bisogno di Sasuke per portare a termine quello che abbiamo deciso con Shikamaru. A proposito di Shikamaru... digli che lo voglio tra cinque minuti davanti al computer. Credo di avere delle ottime modifiche da apportare al piano»


***


Ce l’ho fatta”.

Hinata abbandonò la schiena sulla sedia, il rumore stridente della tuta di lattice a ferirle le orecchie. Rise, il volto protetto dallo schermo di plastica, rise fino a piangere. Le lacrime le rotolarono sulle guance, indisturbate, senza che lei potesse fare nulla per toglierle – né avrebbe voluto.

Erano il simbolo della sua vittoria.

Abbassò lo sguardo sul microscopio, sul tavolo davanti a lei, e sul vetrino sterile che vi poggiava.

Poteva quasi vederlo, il virus Idra che si contorceva e schiumava su quella minuscola superficie piatta, incapace di sottrarsi al cambiamento forzato che lei gli aveva imposto. Incapace di vincere una battaglia contro la creatura che più di tutte era in grado di offendere.

Perdente, per la prima volta dopo tanto tempo.

Ho trovato la cura”.

La cura, quella vera, non un qualche surrogato di poco conto che poteva appena bastare per causare un tumore negli organismi infetti, uccidendoli. No. La sua cura avrebbe restituito la vita a tutti coloro che il virus aveva reso schiavi. Li avrebbe salvati.

Come era successo a Zeus.

Con dita tremanti, afferrò delle provette vuote da un ripiano lì vicino e le posò sul tavolo assieme ad alcune capsule di Petri. Doveva sintetizzare una buona quantità di antidoto per potersi dire davvero soddisfatta.

Dopo un’ultima occhiata al virus Idra, rinchiuso nelle provette sulla scrivania sotto forma di un liquido trasparente, innocuo, si mise nuovamente al lavoro.


***


«Bloodtox. Questa porcata si chiama Bloodtox». Esclamò Shikamaru, puntando un dito contro lo schermo del PC. Zeus corrugò le sopracciglia.

«E che roba è?»

«Un’arma chimica che manda in necrosi istantanea tutti i tessuti infetti, lasciando quelli sani perfettamente normali. Devono aver speso parecchio tempo per inventarsi una roba così raffinata».

«Magnifico. Se è chimica posso abituarmi facilmente... per un attimo ho avuto paura che si trattasse di una sostanza organica...»

«Il modo in cui vuoi sfruttare questa roba è molto pericoloso, Zeus. Non hai nessuna assicurazione che funzioni».

«Conosco le mie potenzialità, Shikamaru».

«Lo so, ma chi ti assicura che il tuo metabolismo si abituerà a questa roba fino a minimizzare i danni? La tua idea è praticamente un suicidio e poi...»

«Tranquillo,» gli poggiò una mano sulla spalla, con un gran sorriso sornione stampato sul viso «andrà tutto bene. E poi, ho il metodo più sicuro del mondo per essere certo della mia teoria».

«Sarebbe?»

Zeus si avvicinò alla porta del salotto, poggiando una mano sulla maniglia lucida della porta.

«Credo proprio che andrò a fare una piacevole passeggiata rigenerante su al porto, che ne dici? La salsedine fa bene ai polmoni umani, forse anche ai miei».

Shikamaru si schiaffò una mano sulla fronte, l’espressione funerea.

«Se non saranno i militari ad ucciderti, Zeus, sarai tu stesso responsabile della tua morte.


Le tenebre non sono sempre la via più facile”.













_Angolo del Fancazzismo_

Ssssssalve e buon Compleanno di Jared Leto!

Ok, scherzo. Buon Natale.
Comunque, ci ritroviamo in questo meraviglioso (ahem), bellissimo (ehehehehemmm), per nulla noioso (mavaccagar’...) capitolo ventottesimo di Prototype. *suonano fanfare*

Ebbenesì, ho aggiornato. E il capitolo l’ho scritto quasi tutto oggi.

Prendetemi a clavate, pleeaaaase.

Scleri a parte, troverete i vaneggiamenti più seri nelle risposte alle recenZioni.
See you soon,

Roby


   
 
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