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Autore: Diamante Narcissa Uchiha    27/12/2011    3 recensioni
All'improvviso sentii dei passi, i suoi passi.
Era arrivato. Era venuto per me; e questa ne era la conferma.
Ero una ragazzina, un'adolescente per la precisione, era quindi ovvio che avessi tentano più volte di scappare.
Anche questa volta. Mi ero rintanata in un magazzino in disuso ormai da decenni ed era sudicio e puzzava di topi morti. Ma daltronde volevo fuggire.
Però come ad ogni fuga, ne conseguiva il "ritrovamento della fuggiasca" come lo definiva lui.
Già; sempre lui, il mio maestro, il mio protettore, l'amore e l'odio profondo della mia vita.
Sin da quando mi ha trasformata non avevo visto o conosciuto alcun'altra persona al di fuori di Madara.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Madara Uchiha, Nuovo Personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Diamante’s…'
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The Library and The Fairies

Quando ormai anche l’ombra di Sebastian era scomparsa sentii dei rumori provenire dalla catasta alla mia destra che occupava tutta la mia visuale. Così, dopo essermi tolta le mie ballerine azzurre con il fiocco a quadri blu in tinta con il vestito, mi alzai in piedi sulla poltrona per cercare almeno di scorgere qualcosa che soltanto dopo essermi messa anche in punta di piedi vidi: dei capelli neri spuntavano dagli scaffali anch’essi ricolmi di libri e strane boccette contenenti liquidi di ogni colore immaginabile.
All’improvviso la massa di capelli neri, lasciò spazio ad un volto e ai suoi occhi rossi, che ormai mi si erano impressi nella mente.
Gli occhi poi sparirono e da dietro tutti i libri spuntò fuori l’uomo che Sebastian mi aveva detto chiamarsi Madara, lo stesso che prima mi aveva fatto visita.
Teneva in mano un grosso libro dalla copertina antica e le pagine ingiallite.
Mi guardò un attimo, poi, sistemando un segnalibro altrettanto antico che aveva tirato fuori da chissà dove in mezzo alle pagine, chiuse il libro e si sedette sulla poltrona dalla parte opposta della scrivania proprio di fronte a me.
-Allora, vedo che finalmente ti sei decisa a uscire da quella stanza. Dunque, come ti sembra la casa e… Sebastian?-
Rimasi in silenzio, non gli volevo parlare. Mi aveva strappata dalla mia casa e da mio fratello, non volevo entrare in confidenza con una persona del genere.
-So bene che sei arrabbiata, lo sarei anch’io al tuo posto. Ma ti prego devi credermi: è solo per il tuo bene. Tu sei una persona davvero importante per me. Ho bisogno di te.
Ti prego Dia, io… non voglio farti del male.-
Rimasi sbalordita. Ha bisogno di me? Non vuole farmi del male? Ma questo è proprio pazzo.
-No, non ti credo. Mi hai rapita! Mi hai RAPITAAAA! Come faccio a crederti quando dici che non vuoi farmi del male?! E perché tu avresti bisogno di me?-
Dopo che si era seduto davanti a me anch’io mi risedetti, ma in quel momento avrei tanto voluto alzarmi e andarmene.
-Mi dispiace davvero! – aveva iniziato a piangere- La tua storia è iniziata molto prima della tua attuale nascita. Ora non posso spiegarti ma prima o poi lo farò, te lo prometto. Ma per favore… non essere arrabbiata con me. Questa situazione non è frutto di una mia decisione. Mi dispiace.- aveva abbassato il capo così da andarlo a nascondere tra le braccia. All’improvviso un senso di dispiacere m’invase. La rabbia nei suoi confronti scomparve. Non riuscii mai a capire il motivo ma sapevo che non mi stava mentendo.
Avevo capito che non mi aveva rapita per sua volontà.
Vedendo le sue spalle scosse dai singhiozzi non mi venne che da dire…
-Non… non devi dispiacerti! Se c’è qualcuno che si sente in colpa qui, sono io! Ti chiedo scusa, non avrei dovuto urlarti addosso in quel modo senza ascoltare le tue ragioni.-
Quando finii, lui rialzò la testa e mi guardò con uno sguardo esterrefatto.
-Dia, tu non devi scusarti per nessun motivo! Tu non… non hai fatto nulla! Davvero devi perdonare tu me. Anzi, per scusarmi voglio farti vedere una cosa che sono sicuro ti stupirà!- detto questo si alzò, passò alla mia sinistra, strusciandosi contro la scrivania e mi si avvicinò, mi tese una mano in attesa che io lo seguissi.
Ero indecisa sul da farsi, ma, vedendo il suo volto e i suoi occhi, che ormai non mi spaventavano più di tanto, pieni di speranza, scesi in fretta dalla poltrona, mi rimisi le scarpe e strinsi forte la mano di Madara. Lui sorrise, e incominciammo a camminare tra le pile di libri e gli scaffali.
La biblioteca era enorme. Quando Sebastian mi ci aveva accompagnata mi era sembrato soltanto uno studio ricolmo di libri con qualche scaffale, la scrivanie e le tre poltrone.
Non mi sarei mai aspettata una stanza tanto grande.
Dopo un bel po’ che camminavamo incominciai a sbuffare, lui se ne accorse.
-Lo so che sei stanca, ma siamo quasi arrivati. Abbi pazienza.-
Poi però, probabilmente notando che non mi aveva per niente convinta, mi lasciò la mano e mi prese in braccio.
-Ecco, così va meglio?- Ero imbarazzata ma anche un po’ felice. In quel momento mi ricordava mio padre, coi suoi capelli neri e le sue braccia forti che mi sorreggevano.
Appoggiai la testa al suo petto e scossi la testa in segno di affermazione.
Il battito del suo cuore, calmo e regolare, mi fecenro addormentare. Ad un certo punto sentii un suo dito sfiorarmi il viso e scostami i capelli neri della frangia dalla fronte.
-Ehi dormigliona, siamo arrivati-
Aprii gli occhi lentamente, alzai un attimo lo sguardo per incrociare il suo; poi mi girai alla mia sinistra per scoprire a che cosa quella passeggiata ci aveva portati.
Rimasi sbalordita. Davanti a me si estendeva una distesa di verde immensa: la biblioteca polverosa aveva lasciato spazio ad una specie di giungla rigogliosa.
Vedendo la mia sorpresa, Madara mi mise giù e, appena poggiai i piedi per terra, corsi in mezzo alla vegetazione non solo per vederla da vicina ma anche per assicurarmi che non fosse solo un’allucinazione.
All’improvviso, mentre ero intenta ad accarezzare le grandi foglie di una delle piante, sentii qualcosa toccare la mia spalla. Pensando fosse Madara, alzai subito lo sguardo, dove supponevo di trovare il suo viso. Invece mi ritrovai a guardare soltanto altre piante. Così, stupita, abbassai lo sguardo e vidi che sulla mia spalla stava seduto un esserino dalle fattezze umane e un paio di lunghe e leggere ali che sembravano quelle di una libellula.
-Ciao- mi disse l’esserino con la sua voce stridula.
Spalancai gli occhi a quell’avvenimento. Presa alla sprovvista, inizia ad urlare di paura e chiusi gli occhi cadendo all’indietro. Dopo poco che urlavo delle mani mi presero le braccia e tirandomi su, mi fecero voltare.
-Ehi, ehi, piccola! Che cosa è successo? Una fatina ti ha spaventata?-
Riaprii gli occhi al suono di quella voce. Mi catapultai tra le sue braccia. Avevo avuto davvero tanta paura.
-C’era un esserino sulla mia spalla!- iniziai a piangere.
-Stai calma piccolina! Era solo una fatina! Ti ha salutata non è vero?-
-Sì, …perché?- dissi tra i singhiozzi.
-Perché significa che gli stai simpatica e che ti hanno accolta nel loro “territorio”!- mi disse accarezzandomi i capelli.
-Sai ognuno di noi ha la propria fatina! La mia è alta poco più di 15 cm, ha un paio di ali color ambra e, devo ammettere, che ti assomiglia abbastanza! Anche lei ha i capelli lunghi neri e gli occhi gialli. Ed è davvero carina; proprio come te!-
Mi sorrise e con i pollici andò ad asciugarmi gli occhi dalle lacrime.
-Davvero?- gli chiesi.
-Sì Dia, sì!-
-Dici… dici che quella fatina che mi ha salutato era la mia?-
- Molto probabilmente sì! Anche la mia mi si è presentata in quel modo.-
Dopo quelle parole, mi sentii molto più sollevata. Smisi di piangere e gli sorrisi.
Mi rispose anche lui con un sorriso, poi però alzò il viso e il suo sorriso si allargò mostrando i suoi denti bianchi e lucenti.
-Credo che la tua fatina sia tornata.-
Finita quella frase mi girai. L’esserino che avevo scoperto essere una fatina stava svolazzando proprio davanti a me con una faccia dubbiosa.
Madara avvicino la testa alla mia, sfiorando con il mento la spalla.
-Sai, credo che la tua fatina sia un maschio!-
-Sì, sono un maschio.- disse la fatina avvicinandosi di più a me –mi chiamo Hoeru…-
-Significa ululato. E’ un nome davvero strano per una fatina- intervenne Madara sempre vicino a me.
-Lo so, lo so! Mia madre era solita stare a guardare i lupi con la sua padroncina. Devi prendertela con lei per questo- lo disse tenendo le braccia conserte e tenendo la testa all’insù.
-A me piace!- dissi io all’improvviso.
-Oh! Vedi? La mia padroncina mi capisce!- disse con tono di scherno rivolto a Madara.
-Sì, sì, lo vedo!- detto questo si avvicino al mio orecchio –ascolta Dia che dici se vi lascio soli? Così vi conoscete meglio!-
-Non lo so!- ero ancora insicura, anche se quel Hoeru sembrava simpatico.
-Dai Dia! Sono sicuro che diventerete grandi amici anche senza di me!-
-O… ok! Cercherò… ehm… di fare amicizia!-
-Brava bambina!- incominciò a scompigliarmi i capelli –Allora vado eh!- Ci salutò entrambi con la mano e dopo qualche passo sparì nella vegetazione, forse alla ricerca della propria fatina.
-Allora…-
-Allora.- ripetette Hoeru
-Sai il mio nome?- gli chiesi
-No! Perché me lo chiedi?-
-Così! E’ solo che qui sembra che tutti conoscano il mio nome e, in più pensavo che ogni fatina sapesse il nome del rispettivo umano anche prima di incontrarlo!-
-Bè, devo dire che non hai tutti i torti! Devi sapere che noi fatine abbiamo due modi per trovare il nostro umano. Uno di questi è tramite il nome, l’altro invece è tramite la luce interiore sprigionata dal suddetto umano.-
-Ma comunque, come fate a sapere che è quello giusto?-
-Semplice, seguiamo le nostre ali! Io, essendo molto testardo, volevo provare a cercarti solo tramite il tuo colore!-
-Oh! Anch’io sono molto testarda a sentire… mia madre. Ma, comunque, che colore avrei io?-
-Bè, vedi le mie ali? Sono di un color turchese tendente al verde. Ti piace l’acqua?-
-Ehm, sì! Ma questo cosa centra?-
-No niente! Comunque vieni con me! Ti faccio conoscere mia madre.-
-Va bene! Andiamo!-
Così ci incamminammo. Durante il tragitto ebbi il tempo per osservarlo.
Era davvero piccolo, forse era alto quanto la fatina di Madara, aveva i capelli biondi lunghi fino alle spalle e la frangia. Notai anche che il colore delle “ali di libellula” era quello che lui mi aveva descritto. Portava una giacca ampia con maniche altrettanto ampie, a quadri rosa e azzurri con i bordi color oro tendente all’arancione, dei pantaloni neri aderenti e un paio di scarpe nere a punta.
Oltre al nome aveva anche un abbigliamento strano per una fatina. Era vestito più come un umano che come uno della sua specie. Non che io me ne intendessi molto, solo che su tutti i miei libri sulle fate, queste erano vestite in modo da sembrare più un fiore o una pianta e non un umano.
Così, con questi pensieri e chiedendomi anche come fosse possibile avere una giungla dentro una biblioteca; pensiero che fino a quel momento di pausa non mi era saltato in mente, seguii Hoeru stando in silenzio.





Dia's Time
Oohh ragazzi! Questo è il capitolo più lungo dopo il terzo di Lost
Love In The Moon!
Stò migliorando per quanto riguarda la lunghezza che dite? X)
Comunque, sperando che anche questo capitolo vi piaccia e sempre in attesa di recensioni
vi saluto e mando un bacio come sempre
la vostra pazza
Dia Uchiha


P.S.: Scusate eventuali errori se me ne sono sfuggiti!

   
 
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