Capitolo 2 -
Nostro padre e nostra madre fanno i più brutti pensieri. […] La povera mamma è proprio malata e non esce di camera. Se si facesse forza sarebbe meglio, ma non c’è da sperarlo; il babbo poi non l’ho mai visto così abbattuto. […] Il babbo sta per partire col colonnello Forest a ricercarli.
Sola, nella stanza dell’arazzo di mia zia, contemplai i nomi dei miei illustri antenati fino a giungere al suo nome.
Stolta di una sorella. Folle Andromeda. Traditrice.
Che cosa aveva pensato? Quale pensiero aveva attraversato la sua testa?
Così simili eppure così diverse: siamo sempre state lo specchio distorto l’una dell’altra, quello che nessuno delle due sarebbe mai potuta essere. Non ci siamo mai comprese appieno, ci siamo sempre limitate a specchiarci reciprocamente: la timida e l’aggressiva, la debole e la forte. Troppo lontane.
Mentre nostra madre si rigirava inquieta nel letto, invocando il nome di quella figlia ingrata, io osservavo l‘ultima “a” di Andromeda scomparire dall’arazzo di famiglia. Ma non c’era dolore in me.
Aveva scelto, la piccola Dromeda, e aveva scelto lui, non me, non Cissy, non i Black. A noi aveva preferito un Nato Babbano. Aveva osato sposare quella feccia, mischiare il nostro sangue, macchiare l’onore della casata, inquinare la nostra purezza.
Il suo nome scomparì definitivamente dal muro, inghiottito da una macchia nera, un abisso di oblio e vergogna.
Morta. Per me lei era morta.
Andromeda Tonks era un’estranea che aveva deciso di unirsi alla feccia. Non era nessuno, se non un’altra persona da tormentare per le sue scelte.
Mia madre - mia e di Cissy - sprecava tempo ed energie a dibattersi in preda ai deliri tra le coltri del suo letto; inutile era l’abbattimento di mio padre - mio e di Cissy - e i tentativi di trovarla.
Se n’era andata, ci aveva tradito, non si sarebbe più fatta né vedere né trovare. E anche nel caso in cui si fosse presentata davanti casa nostra, di certo nessuno l’avrebbe più riaccolta. Dall’oblio non si esce.
Osservai un’ultima volta la macchia nera sul muro: l’ombra di un sadico sorriso attraversò il mio volto mentre il piano di una lenta vendetta si delineava lucido e preciso nella mia mente.
Che si godesse il suo miserevole idillio familiare, che lo consumasse nell’onta, nella vergogna, nell’ombra, nascosta. Che fosse pure felice.
Tanto, non sarebbe durata a lunga.
Perché i Black non perdonano.